Notifica della fissazione dell'udienza al difensore sprovvisto di PEC: non è necessaria la comunicazione di avvenuto deposito

13 Luglio 2016

È da considerare correttamente notificato al difensore dell'indagato, non munito di posta elettronica certificata, l'avviso di fissazione di un'udienza camerale ex art. 309, comma 8, c.p.p. mediante il deposito dell'atto stesso in cancelleria...
Massima

È da considerare correttamente notificato al difensore dell'indagato, non munito di posta elettronica certificata, l'avviso di fissazione di un'udienza camerale ex art. 309, comma 8, c.p.p. mediante il deposito dell'atto stesso in cancelleria, atteso che l'art. 16, comma 6, d.l. n. 179/2012 stabilisce che le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non ha provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria.

Il caso

Il Tribunale del riesame di Milano notificava al difensore di un indagato detenuto l'avviso di fissazione dell'udienza camerale per la discussione di un'impugnazione ex art. 309 c.p.p. mediante deposito dell'avviso stesso in cancelleria, ai sensi dell'art. 16, comma 6, d.l. n. 179/2012, in quanto il difensore, a cui l'atto doveva essere notificato, non risultava provvisto di posta elettronica certificata.

Il difensore proponeva ricorso per cassazione contestando la validità di tale notifica eseguita tout court con il deposito dell'avviso in cancelleria. Nello specifico, il difensore sosteneva che la cancelleria avrebbe dovuto inviargli una comunicazione di avvenuto deposito dell'avviso di fissazione dell'udienza poiché il citato art. 16 non ha abrogato gli artt. 148, 149, 150 e 170 c.p.p..

La Corte di Cassazione rigettava il ricorso ritenendo valida la notifica dell'atto mediante il mero deposito dello stesso in cancelleria senza ulteriori incombenti a carico dell'ufficio giudiziario sulla scorta di un'interpretazione letterale della norma de qua, la quale prevede espressamente che in mancanza di PEC o in caso di PEC non funzionante per cause imputabili al difensore destinatario, la notificazione debba essere eseguita mediante il deposito in cancelleria, attività connotata dall'avverbio “esclusivamente”.

La questione

La questione in esame è la seguente: nel procedimento penale, il difensore di un indagato/imputato sprovvisto di PEC ha diritto di ricevere da parte dell'ufficio giudiziario che non è riuscito a notificargli un atto perché egli stesso non ha provveduto ad istituire o comunicare l'indirizzo di posta elettronica certificata o perché la PEC non funziona per cause a lui imputabili, una comunicazione di avvenuto deposito in cancelleria di tale atto?

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento si incasella perfettamente in un duplice filone giurisprudenziale: il primo, specifico, relativo alle notificazioni a mezzo PEC ed il secondo, più ampio, riguardante in generale le notificazioni con mezzi tecnici idonei.

Sotto il primo profilo, i Giudici di legittimità si sono già pronunciati con analogo rigore in merito all'incondizionata validità della notificazione effettuata mediante deposito dell'atto in cancelleria in caso di impossibilità ad eseguire la notifica a mezzo PEC per ragioni legate al malfunzionamento dell'account di posta elettronica certificata del difensore. In particolare, la sentenza della Corte di Cassazione, sez. VI pen., 12 dicembre 2014, n. 24882, ha definito l'ipotesi di cui all'art. 16, comma 6, d.l. n. 179/2012 una «modalità di notificazione surrogata», mentre la pronuncia della sez. IV pen., 3 dicembre 2014, n. 9892, relativa, come nel caso di specie, alla notifica di un avviso di fissazione udienza avanti il Tribunale del riesame, ha stabilito che il difensore non può addurre nessun vizio di notifica per la mancata ricezione di una PEC a causa di problemi di connessione ad Internet, avendo il preciso onere di assicurarsi della perfetta funzionalità dell'apparecchiatura tecnica di cui è dotato lo studio professionale.

Quest'ultimo principio costituisce il trait d'union della giurisprudenza più recente con il filone più datato, ma parimenti restrittivo, in tema di notificazioni urgenti a mezzo fax.

Consolidata giurisprudenza di legittimità ha, infatti, più volte ribadito che il difensore che ha accettato il mandato fiduciario deve osservare la necessaria diligenza per consentire la notificazione degli avvisi per i quali la legge preveda l'urgenza, apprestando a tal fine presso il recapito dello studio i mezzi tecnici idonei alla ricezione di tali avvisi e preoccupandosi di garantire l'accesso agli stessi mezzi (cfr., tra le tante, Cass., sez. II pen., 9 aprile 2014, n. 21831; id., Cass. sez. II pen., 4 dicembre 2013, n. 2233; id, Cass., sez. V pen., 19 marzo 2009, n. 30573; id., Cass., sez. IV pen., 17 dicembre 2007, n. 16369).

Ma lo stesso principio era già stato affermato, in tempi più lontani, anche con riferimento al domicilio fisico (lo studio legale) dell'avvocato: degna di nota, a tal proposito, è la sentenza Cass., sez. VI pen., 8 luglio 1999, n. 2669, in cui, sempre in materia di riesame di misure cautelari personali, i Giudici di legittimità avevano statuito che il dovere di notificare al difensore di fiducia l'avviso di fissazione dell'udienza camerale doveva ritenersi assolto - stante l'urgenza conseguente alla ristrettezza e alla perentorietà dei termini stabiliti dal legislatore in ragione della sollecita tutela dello status libertatis - laddove fossero stati tempestivamente compiuti atti idonei alla notificazione (nella fattispecie accesso della polizia giudiziaria presso lo studio del difensore) e tuttavia questa non si fosse perfezionata a causa della condotta negligente o incurante del difensore (nella fattispecie studio chiuso per le ferie di fine anno), sul quale incombe l'onere di rendere attuabile la ricezione degli avvisi urgenti, inerenti al procedimento incidentale da lui stesso promosso.

Osservazioni

La sentenza in commento, apparentemente assai rigorosa, a parere di chi scrive, è corretta e condivisibile.

L'indubbio formalismo della Suprema Corte, derivante da una rigida interpretazione letterale del disposto di cui all'art. 16, comma 6, d.l. n. 179/2012, trova giustificazione nel fatto che l'argomento riguarda, per l'appunto, le forme e le formalità processuali poste a presidio della validità e dell'efficienza delle notificazioni penali.

L'apparente inflessibilità del meccanismo di deposito in cancelleria dell'atto non notificato via PEC senza alcuna successiva comunicazione di avvenuto deposito non deve trarre in inganno: è vero che per gli avvocati penalisti si tratta di una modalità di notificazione assolutamente inedita (l'unica norma che possa vagamente essere paragonata a quella attuale in esame è l'abrogato art. 65 disp. att. c.p.p.), ma è altresì vero che l'art. 16, comma 4, d.l. n. 179/2012 prevede il ricorso alla PEC per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli artt. 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, c.p.p., ovverosia proprio nei casi in cui il codice di rito già si riferiva a particolari ipotesi di notificazioni con mezzi tecnici diversi dall'ordinario accesso in studio dell'ufficiale giudiziario.

Per tali forme speciali di notificazione, come visto, la giurisprudenza è sempre stata intransigente nel porre a carico del destinatario l'onere di predisporre adeguati mezzi tecnici ed il dovere di tenere una condotta corretta e diligente per non ostacolare il disbrigo di notificazioni urgenti (il termine, non perentorio, di cui all'art. 309, comma 8, c.p.p. è di soli tre giorni) da parte degli uffici giudiziari.

Sintomatico è il fatto che tutte le sentenze sopra citate si riferiscano a notificazioni in materia di riesame di misure cautelari: in tale particolare fase processuale, infatti, la garanzia di effettiva conoscenza dell'atto notificato al difensore deve essere controbilanciata delle esigenze di celerità del rito previste dal codice a favore dell'indagato ristretto della sua libertà personale.

Se, dunque, da un lato può apparire prima facie lesiva del diritto di difesa la mancata comparizione in aula del difensore - peraltro assente in quanto la notifica, pur essendo stata eseguita con mezzi tecnici astrattamente ritenuti idonei (fax, telefono o PEC), concretamente non si è perfezionata per cause addebitabili esclusivamente al difensore stesso - dall'altro non può negarsi che debbano essere innanzitutto salvaguardate quelle spiccate ragioni di tutela dello status libertatis dell'indagato che caratterizzano il procedimento incidentale avanti il Tribunale del riesame.

Il dovere di diligenza nel predisporre e garantire il corretto funzionamento dei moderni mezzi di comunicazione posto a carico del difensore trova poi un ulteriore riscontro nella circostanza che l'istanza di riesame di un'ordinanza applicativa di misura cautelare, nella stragrande maggioranza dei casi, viene promossa dal difensore stesso, il quale non può pertanto non accollarsi (né tanto meno non conoscere) gli oneri che scaturiscono, a vantaggio del suo assistito, dai tempi stringenti della procedura de liberate. Non a caso, la giurisprudenza in tema di notifica di fissazione dell'udienza di convalida di arresto, in cui l'iniziativa processuale non parte dal difensore ma dall'autorità giudiziaria, è invece decisamente più elastica (cfr., ad es., Cass., sez. IV pen., 3 dicembre 2014, n. 3820).

In conclusione, il rigoroso, inedito e tranchant disposto di cui all'art. 16, comma 6, d.l. n. 179/2012 e la sua altrettanto inclemente interpretazione giurisprudenziale, paiono davvero incontestabili in quanto, se è vero che i due diritti in gioco, diritto di difesa da un lato e libertà personale dall'altro, sono parimenti essenziali nel processo penale, è altrettanto vero, quanto meno nella specifica materia del riesame di misure cautelari personali, che il formale rispetto del primo non solo non pregiudica, ma garantisce l'effettività del secondo.

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