Esecuzione per consegna e rilascioFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 605
07 Settembre 2016
Inquadramento
Funzione dell'esecuzione per consegna di beni mobili o rilascio di beni immobili è la sostituzione dell'avente diritto all'obbligato nella relazione tra soggetto e cosa costituita dal possesso o dalla detenzione (Mandrioli 617). Tale esecuzione si caratterizza per il procedimento molto semplificato che può concludersi senza l'intervento del giudice nell'ipotesi in cui non sorga alcuna difficoltà materiale nell'ambito dello stesso sino al rilascio dell'immobile oggetto della procedura e svolgersi con il solo ausilio dell'ufficiale giudiziario (Mandrioli 617). Titolo esecutivo c.d. erga omnes
Problema di generale rilevanza nell'ambito dell'esecuzione forzata per rilascio è quello che ha ad oggetto l'efficacia del titolo esecutivo anche nei confronti di soggetti terzi rispetto a quelli indicati nello stesso ed, in particolare, del detentore materiale dell'immobile nel corso dell'esecuzione. La questione deve essere valutata sotto due distinti profili. Innanzitutto si deve stabilire se nell'ipotesi in cui in sede di accesso nell'immobile oggetto del procedimento l'ufficiale giudiziario riscontri che lo stesso è occupato da un soggetto diverso da quello portato dal titolo esecutivo l'esecuzione possa proseguire; in secondo luogo, in caso di risposta positiva ad un tale quesito, quali siano i rimedi a disposizione del terzo. La dottrina è divisa quanto alla possibilità che il titolo esecutivo spieghi efficacia erga omnes: infatti, se alcuni Autori non esitano a riconoscere una tale valenza ai titoli esecutivi di rilascio (MONTESANO; PUNZI), la stessa è negata da altri, i quali ritengono, in una prospettiva maggiormente fedele al principio per il quale il giudicato ha valore esclusivamente tra le parti, gli eredi ed aventi causa, che il creditore debba in ogni caso munirsi di un titolo esecutivo direttamente nei confronti del possessore o detentore dell'immobile (LUISO; MANDRIOLI). La giurisprudenza prevalente ritiene, invece, che il titolo esecutivo per il rilascio contenga un ordine che spiega efficacia non soltanto nei confronti del destinatario della relativa statuizione ma anche di chiunque si trovi a detenere il bene al momento dell'esecuzione forzata (Cass. civ., 4 marzo 2003, n. 3183). Anche sotto il secondo profilo non è pacifico quali sono i rimedi a disposizione del terzo, una volta che si ammetta che il titolo esecutivo per rilascio possa spiegare i propri effetti anche nei confronti di un soggetto diverso da quello cui è riferito l'obbligo portato dal titolo. Secondo l'orientamento dominante in giurisprudenza, il terzo detentore dell'immobile per il quale il locatore ha ottenuto, nei confronti del conduttore, una sentenza di condanna al rilascio, può opporsi o all'esecuzione, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., se sostiene di detenere l'immobile in virtù di un titolo autonomo e perciò non pregiudicato da detta sentenza; o ai sensi dell'art. 404, comma 2, c.p.c., se invece sostiene la derivazione del suo titolo da quello del conduttore, ed esser la sentenza frutto di collusione tra questi e il locatore, in suo danno (Cass. civ., 28 aprile 2006, n. 9964). Minoritaria è, invece, almeno in sede pretoria, la tesi per la quale il terzo detentore potrebbe opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. ovvero un' autonoma azione di accertamento del proprio diritto (Cass. civ., 4 marzo 2003, n. 3183). Del tutto peculiare è la posizione del subconduttore, ovvero del soggetto cui il conduttore abbia a propria volta locato l'immobile oggetto della procedura. Occorre considerare, infatti, che l'art. 1595 c.c. dispone che la sentenza di rilascio pronunciata tra il locatore ed il conduttore spiega efficacia anche nei suoi confronti, talché lo stesso ha una posizione sostanziale permanentemente dipendente da quella del conduttore. Ciò implica che, anche ai fini dell'esecuzione per rilascio, il sub-conduttore non sia considerato un terzo, con la conseguente piena opponibilità nei suoi confronti del titolo esecutivo per il rilascio. Contenuto del precetto
Il precetto, oltre alle indicazioni di cui all'art. 480 c.p.c., deve contenere, ai sensi dell'art. 605 c.p.c., una descrizione sommaria del bene del quale l'istante vuole ottenere la consegna o rilascio. La S.C. ha chiarito che tale descrizione deve essere comprensiva dell'esatta indicazione dell'ubicazione del bene del quale si chiede il rilascio, per consentire di identificare, sin dal momento dell'intimazione del precetto, il forum executionis e di incardinare nel giudice di quel luogo la competenza territoriale per l'opposizione all'esecuzione, senza che trovi applicazione lo speciale criterio sussidiario del luogo di notificazione del precetto di cui all'art. 480 c.p.c. (Cass. civ., 3 novembre 1982, n. 5782). Sulla questione è stato tuttavia precisato che qualora nel precetto manchi la descrizione del bene, ma essa sia contenuta nel titolo esecutivo, non è necessario, in relazione alla finalità della legge, che la descrizione sia ripetuta due volte, essendo sufficiente che sia ben identificato il bene in ordine al quale si deve procedere all'esecuzione (Cass. civ., 26 aprile 1982, n. 2579).
Modo del rilascio
L'avviso di rilascio è l'atto mediante il quale l'ufficiale giudiziario comunica, almeno dieci giorni prima, alla parte tenuta a rilasciare l'immobile il giorno e l'ora nel quale procederà. La notifica dell'avviso di rilascio, pertanto, è volta a rendere edotto l'obbligato del giorno e dell'ora in cui si procederà, da parte dello stesso ufficiale giudiziario, all'accesso teso ad ottenere, a favore dell'avente diritto, il rilascio dell'immobile, in assenza, nelle more, di un adempimento spontaneo (Cass. civ., 3 luglio 1991, n. 7288): qualora l'accesso sia compiuto senza la preventiva comunicazione dell'avviso in questione, l'esecutato potrà dedurre tale nullità formale in sede di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. Fattispecie analoga a quella della mancanza del preavviso di rilascio è quella in cui non sia indicato nello stesso il giorno in cui l'ufficiale giudiziario procederà, mentre è stato ritenuto soltanto irregolare l'avviso non corredato dell'indicazione precisa dell'ora del rilascio bensì di quella, generica, delle ore 9 e seguenti (Cass. civ., 23 febbraio 1981, n. 1072). Il termine minimo che deve intercorrere tra la notifica ed il momento entro il quale l'ufficiale giudiziario procederà all'accesso in loco è attualmente, a seguito della novella realizzata dalla l. 14 maggio 2005 n. 80, con decorrenza dal 1° marzo 2006, di dieci giorni. L'avviso di rilascio è predisposto dall'ufficiale giudiziario al quale spettano, in linea di principio, le determinazioni in ordine al giorno ed all'ora nei quali procederà all'accesso in loco, anche in vista delle esigenze organizzative del proprio ufficio. Il preavviso di rilascio è, pertanto, atto dell'ufficiale giudiziario che dispone, entro i limiti di efficacia del precetto, circa il tempo di esecuzione dello stesso (CASTORO). La giurisprudenza ha chiarito, sul punto, che, poiché la parte che è tenuta a rilasciare l'immobile non ha alcun diritto di interloquire sulla fissazione, da parte dell'ufficiale giudiziario, del giorno di inizio dell'esecuzione, questi può validamente anticiparlo rispetto ad un precedente preavviso di rilascio, purché glielo comunichi e sia rispettato il richiamato termine dilatorio previsto dall'art. 608 c.p.c. (Cass. civ., 15 luglio 1997, n. 6449). La stessa S.C. ha affermato, sotto un distinto profilo, che nella procedura esecutiva di rilascio dell'immobile, il preavviso prescritto dall'art. 608 c.p.c. esaurisce, con la notifica, il suo scopo di preavvertire l'esecutato del prossimo inizio dell'azione esecutiva, al fine di consentirgli l'adempimento spontaneo e di essere, comunque, presente alla immissione in possesso del creditore procedente, e non deve essere, perciò, rinnovato nel caso in cui l'esecuzione, sospesa dopo il primo accesso dell'ufficiale giudiziario, prosegua a seguito del provvedimento del giudice dell'esecuzione richiesto di provvedere, ai sensi dell'art. 610 c.p.c., in merito a difficoltà insorte (Cass. civ., 27 ottobre 2011, n. 22441). Lo stesso art. 608 c.p.c., così come modificato dalla l. 14 maggio 2005 n. 80, chiarisce che l'esecuzione forzata per rilascio inizia proprio con la notifica all'esecutato dell'avviso di rilascio. Il momento nel quale ha inizio l'esecuzione in esame è rilevante sotto più profili e, soprattutto, al fine di distinguere tra opposizione a precetto ed opposizione all'esecuzione. Il procedimento di rilascio va peraltro avanti, di regola, sino all'accesso dell'ufficiale giudiziario finalizzato all'immissione dell'avente diritto nella disponibilità dell'immobile. In proposito prevede il comma 2 dell'art. 608 c.p.c. che nel giorno e nell'ora stabiliti dall'avviso di rilascio notificato all'esecutato, l'ufficiale giudiziario, munito del titolo esecutivo e del precetto, si reca sul luogo dell'esecuzione e, facendo uso, quando occorre, dei poteri a lui consentiti dall'art. 513, immette la parte istante o una persona da lei designata nel possesso dell'immobile, del quale le consegna le chiavi, ingiungendo agli eventuali detentori di riconoscere il nuovo possessore. Per alcuni l'ufficiale giudiziario potrebbe effettuare l'accesso in loco soltanto, pena la nullità dello stesso deducibile in sede di opposizione agli atti esecutivi, in applicazione dell'art. 519 c.p.c., che richiama a propria volta la regola generale posta dall'art. 147 c.p.c., tra le ore sette e le ore ventuno. Comporta, invece, una mera irregolarità l'accesso dell'ufficiale giudiziario privo di titolo esecutivo e del precetto (Cass. civ., 5533/1986, stante la possibilità di un deposito successivo in cancelleria di tali atti). L'obiettivo ultimo della procedura in esame è quello di addivenire all'immissione nel possesso del bene oggetto della procedura le modalità mediante le quali lo stesso può essere raggiunto dall'ufficiale giudiziario non sono indicate espressamente dal legislatore talché l'organo esecutivo gode di un potere di carattere discrezionale che può estrinsecarsi, come espressamente chiarito, anche nell'esercizio dei poteri di cui all'art. 513 c.p.c. Ne deriva che, ad es., l'ufficiale giudiziario può, senza necessità di alcuna autorizzazione da parte del giudice dell'esecuzione, nell'esercizio dei propri poteri discrezionali, aprire porte e cancelli, sostituire serrature, allontanare chi eventualmente opponga resistenza (Cass. civ., 19 dicembre 1980, n. 6564, in Foro it., 1981, I, 2513, con nota critica di PROTO PISANI, il quale evidenzia l'esigenza di un controllo del giudice dell'esecuzione). Sebbene l'art. 608 c.p.c. faccia riferimento ad un'immissione in possesso dell'immobile anche mediante la materiale consegna delle chiavi, si riconosce che, di regola, non è necessario tale adempimento per la realizzazione dell'effetto dell'immissione dell'avente diritto nel possesso dell'immobile, potendo ciò avvenire anche soltanto verbalmente attraverso l'ingiunzione dell'ufficiale giudiziario (CASTORO). Invero, le modalità secondo cui può realizzarsi, in concreto, l'immissione in possesso possono differire sia in virtù di ragioni giuridiche (ad esempio, per la sussistenza di un legittimo diritto di detenzione in capo ad un soggetto diverso dalla parte istante il rilascio) sia in ragione del tipo di bene immobile oggetto della procedura. Al momento dell'accesso in loco ai fini della conclusione della procedura esecutiva, l'ufficiale giudiziario ingiungerà anche agli eventuali detentori del bene diversi dal soggetto passivo dell'esecuzione di riconoscere il nuovo possessore.
Consegna forzata
Ai sensi dell'art. 606 c.p.c., notificato il titolo esecutivo ed il precetto (contenenti l'idonea descrizione dei beni) e trascorso il temine di dieci giorni dal perfezionamento della notificazione da parte del debitore, il creditore si rivolgerà all'ufficiale giudiziario, anche verbalmente, al fine di ottenere dallo stesso la consegna delle cose mobili. L'ufficiale giudiziario, così, ricercherà le cose mobili nella casa del debitore e negli altri luoghi a lui appartenenti. Può anche ricercarle sulla persona del debitore, osservando le opportune cautele per rispettarne il decoro. Si potrà avvalere della forza pubblica quando è necessario aprire porte, ripostigli o recipienti, vincere la resistenza opposta dal debitore o da terzi, oppure allontanare persone che disturbano l'esecuzione del pignoramento. In tema di espropriazione forzata, l'art. 513 c.p.c. dispone che nel caso in cui le cose si trovino presso locali di terzi, ma il debitore ne possa disporre, il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato, su ricorso del creditore, può autorizzare con decreto l'ufficiale giudiziario a pignorarle; in ogni caso l'ufficiale giudiziario può sottoporre a pignoramento, secondo le norme della presente sezione, le cose del debitore che il terzo possessore consente di esibirgli. Secondo una prima interpretazione, l'ufficiale giudiziario potrebbe ricercare le cose in questione in luoghi appartenenti a terzi soltanto quando egli può direttamente disporne o qualora si trovino presso terzi che ne consentano la consegna. Peraltro, si tende a ritenere che il richiamo all'art. 513 c.p.c. operato dall'art. 606 c.p.c., riguarderebbe esclusivamente il potere attribuito all'ufficiale giudiziario di ricercare le cose, vincendo le eventuali resistenze del debitore e dei terzi, senza tuttavia comportare alcuna limitazionecirca i luoghi in cui può avvenire tale ricerca, che, pertanto, sarà consentita non solo nella casa del debitore e negli altri luoghi a lui appartenenti, ma ovunque il bene effettivamente si trovi. Il possessore di un bene di cui è richiesta la consegna coattiva, anche se non nominato nel titolo esecutivo, è legittimato ad opporsi all'esecuzione per far accertare l'inesistenza del diritto a procedere nei suoi confronti, perché divenuto proprietario del bene (Cass. civ., 22 gennaio 1998, n. 603). Se la cosa oggetto dell'obbligazione di consegna non si trova però nella disponibilità materiale di quel soggetto, ma di un terzo e questi rifiuta di eseguire la consegna, si tratta di stabilire se la parte istante può ottenere l'esecuzione coattiva dell'obbligazione anche contro il terzo non nominato nel titolo. L'ufficiale giudiziario, una volta rinvenute le cose, se ne impossessa e le consegna alla parte istante o a persona da lei designata. Nulla esclude che il creditore autorizzi l'ufficiale giudiziario stesso ad apprendere la cosa; qualora, invece, designi un'altra persona, vi è chi ritiene che l'atto di designazione debba essere redatto per iscritto e allegato al verbale di consegna, mentre altri sostengono che sia sufficiente la forma orale, purché ne venga edotto l'ufficiale giudiziario (ANDRIOLI). Delle operazioni è redatto processo verbale, nel quale sono descritte le cose e si dà atto della loro consegna al procedente o alla persona da lui designata Dalla data del processo verbale, anche se la consegna non è materialmente avvenuta, il possesso della cosa passa al creditore. Il verbale non dovrà essere notificato all'obbligato assente, ma sarà depositato in cancelleria appena compiuto (CASTORO). L'art. 610 c.p.c. prevede che, se nel corso dell'esecuzione sorgono difficoltà che non ammettono dilazione, ciascuna parte può chiedere al giudice dell'esecuzione, anche verbalmente, i provvedimenti temporanei occorrenti. La presenza delle difficoltà di cui alla norma richiamata consente, pertanto, l'eccezionale intervento del giudice nell'ambito dell'esecuzione per rilascio che, come abbiamo già avuto occasione di evidenziare, potrebbe essere portata a compimento mediante la sola attività dell'ufficiale giudiziario. Tradizionalmente dibattuta, specie per individuarne la differenza rispetto alla proposizione di un'opposizione esecutiva, è la natura delle difficoltà che consentono di richiedere un intervento del giudice dell'esecuzione ex art. 610 c.p.c. Secondo un primo orientamento, già sostenuto da autorevole della dottrina, infatti, giustificano una richiesta di intervento al giudice dell'esecuzione soltanto le difficoltà di carattere eminentemente materiale dovendo, nelle altre ipotesi, essere esperite le opposizioni esecutive (SATTA). Analogamente, anche all'interno della giurisprudenza di merito, si è affermato che la funzione dell'art. 610 c.p.c. non è quella della risoluzione di questioni giuridiche in ordine al diritto di procedere all'esecuzione, bensì quella della risoluzione di problemi di opportunità sul concreto modus prendendi, in fattispecie che presentino materialmente e non giuridicamente delle particolarità, che consiglino, anche nell'ambito dell'esecuzione per consegna e rilascio, l'ingresso di una determinazione delle modalità esecutive, sul tipo di quella prevista, nella procedura per obblighi di fare e non fare, dagli art. 612 e 613 c.p.c. (Pret. La Spezia 3 ottobre 1988, in Giust. Civ., 1989, I, 459). La giurisprudenza di legittimità appare incline, peraltro, a ritenere che i provvedimenti di cui all'art. 610 c.p.c. sono esplicazione dei poteri del giudice di direzione del processo esecutivo e sono finalizzati a risolvere non solo difficoltà materiali, ma anche giuridiche, limitatamente, tuttavia, all'interpretazione del titolo esecutivo, ove necessaria rispetto a dubbi o divergenze di opinioni in relazione allo svolgimento del processo (v., tra le altre, Cass. civ., 22 settembre 2006, n. 20648, in Mass. Foro it., 2006, 1875; Cass. civ., 10 febbraio 1994, n. 1365). In accordo con una posizione mediana le difficoltà che giustificano l'intervento del giudice ex art. 610 c.p.c. sono materiali nel senso che, anche se riguardanti profili di diritto, tali questioni devono essere affrontate e risolte dal giudice in vista dell'obiettivo dell'attuazione della tutela esecutiva, i.e. senza che ciò implichi l'emanazione di una decisione sulle stesse idonea a passare in cosa giudicata. In sede di legittimità, in senso analogo, è stato affermato che nella procedura di esecuzione per consegna o rilascio, posto che scopo della medesima è il trasferimento del potere di fatto sul bene indicato nel titolo dall'esecutato all'esecutante, di talché il suo effetto consiste in una modificazione della situazione materiale, il giudice dell'esecuzione è privo della potestà di risolvere questioni giuridiche in ordine al diritto di procedere in executivis ed il suo ambito di intervento è limitato alla soluzione di problemi pratici relativi al modus procedendi in concreto necessario per adeguare la realtà fattuale al comando da eseguire, con la conseguenza che le « ;difficoltà ;», le quali, a norma dell'art. 610 c.p.c., abilitano le parti e l'ufficiale giudiziario a sollecitare al giudice provvedimenti temporanei, possono implicare, per la loro soluzione, anche l'interpretazione del titolo esecutivo, ai fini dell'individuazione della sua portata soggettiva o dell'identificazione dei beni, ma esclusivamente in vista dell'attuazione della tutela esecutiva (Cass. civ., 28 giugno 2012, n. 10865).
Riferimenti
ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, Napoli 1968; CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, 14a ed., Milano 2015; DENTI, L'esecuzione forzata in forma specifica, Milano 1953; GIORDANO, Caratteri e problematiche della nuova esecuzione per rilascio, Riv. dir. proc., 2006, 1229; LUISO, voce Esecuzione forzata. II) Esecuzione forzata in forma specifica, Enc. giur., Roma, 1990, 6; LUISO, L'esecuzione “ultra partes”, Milano 1983; MANDRIOLI, voce Esecuzione per consegna o rilascio, Dig. civ., VII, Torino, 1991, 628; MANDRIOLI, In tema di esecuzione per consegna o rilascio contro il terzo possessore, Riv. dir. proc., 1985, I, 579; MONTESANO, voce Esecuzione specifica, Enc. dir., XV, Milano, 1966, 524; PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, 5a ed., Napoli 2006; SATTA, L'esecuzione forzata, Torino 1963; TRISORIO LIUZZI, L'esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili, Riv. esec. forz., 2003, 1. |