Cancellazione della causa dal ruolo

Cecilia Bernardo
17 Marzo 2016

L'iscrizione di un procedimento nel ruolo generale degli affari civili di un ufficio giudiziario ha lo scopo di documentare la pendenza di un processo davanti all'ufficio suddetto.
Inquadramento

L'

art. 168 c.p.c.

stabilisce che, all'atto della costituzione dell'attore o, se questi non si è costituito, all'atto della costituzione del convenuto, su presentazione della nota d'iscrizione a ruolo, il cancelliere iscrive la causa nel ruolo generale. L'iscrizione di un procedimento nel ruolo generale degli affari civili di un ufficio giudiziario ha lo scopo dunque di documentare la pendenza di un processo davanti all'ufficio suddetto.

Una volta iscritto, il procedimento potrà essere eliminato dal ruolo generale solo al momento della conclusione del giudizio (con l'emanazione di un provvedimento decisorio da parte del giudice), ovvero a seguito di un provvedimento (ordinanza) con cui il giudice disponga la cancellazione della causa dal ruolo.

L'istituto della cancellazione della causa dal ruolo è una diretta espressione del principio dell'impulso di parte, cui è palesemente ispirato, salve talune eccezioni, tutto il nostro sistema, sia con riferimento alla fase dell'introduzione del giudizio (principio della domanda), che alla sua successiva progressione.

Ed invero, normalmente la vicenda processuale si conclude con il provvedimento decisorio del giudice che definisce il giudizio, salva la possibilità che vengano proposte eventuali impugnazioni.

Tuttavia, il processo può concludersi in modo anticipato, qualora le parti rimangano inerti ed omettano di compiere gli atti di impulso necessari alla sua progressione. Infatti, all'istituto della cancellazione della causa dal ruolo si ricollega quello dell'estinzione, la cui funzione è di evitare la prosecuzione dell'attività processuale quando le parti la ritengano ormai inutile. Del resto, l'ordinamento non ha interesse a mantenere in vita un processo di cui le parti stesse non hanno più interesse.

In particolare, la tecnica utilizzata dal legislatore per conseguire il suindicato risultato è quella della fissazione di termini perentori con funzione acceleratoria per il compimento di determinati atti, ritenuti essenziali per l'iter processuale. La conseguenza del mancato compimento di tali atti è la cancellazione della causa dal ruolo, cui può conseguire (immediatamente o dopo un determinato lasso di tempo) la estinzione del giudizio.

Inattività delle parti

L'

art. 307 c.p.c.

disciplina la estinzione del processo per inattività delle parti. L'inattività consiste nell'inerzia nel compimento di determinati atti di impulso, cui viene data rilevanza giuridica a prescindere dalla volontarietà.

In particolare, la norma citata elenca una serie di comportamenti omissivi, ai quali consegue, la immediata estinzione del processo oppure la sola cancellazione della causa dal ruolo. In quest'ultimo caso si determina una sorta di quiescenza del processo, cui consegue l'estinzione solo se lo stesso non venga riassunto da una delle parti entro un termine perentorio.

Sicché, in dottrina, sono state distinte le ipotesi di inattività che determinano la estinzione immediata del processo, da quelle in cui l'estinzione si verifica solo a seguito dell'inutile decorso del periodo di quiescenza, successivo alla cancellazione della causa dal ruolo.

La dottrina, inoltre, ha distinto le ipotesi di inattività semplice (previste dai primi due commi dell'art. 307), consistenti nell'omissione di attività minime necessarie per la progressione del processo; dalle ipotesi di inattività qualificate (previste dal comma 3 dell'art. 307) consistenti in omissioni di atti necessari per sanare vizi relativi a presupposti processuali.

Inattività semplice

Il comma 1 dell'art. 307 disciplina le ipotesi di inattività cd. semplice, in relazione alle quali l'estinzione si verifica solo con il perfezionamento di una fattispecie a formazione progressiva, che comprende, oltre alla cancellazione, la mancata riassunzione del processo entro il periodo di quiescenza previsto dal legislatore.

In evidenza

Ipotesi previste di inattività semplice:

  • tardiva costituzione di entrambe le parti;

  • inosservanza del termine fissato dal giudice per la chiamata del terzo ex art. 107;
  • adesione di tutte le parti all'indicazione effettuata dal convenuto in ordine al giudice territorialmente competente ex

    art. 38, comma 2

In particolare, in caso di tardiva costituzione di entrambe le parti è necessario coordinare l'art. 307 con il disposto dell'art. 171, in base al quale, se nessuna delle parti si costituisce nei termini stabiliti, si applica quanto previsto dall'art. 307.

La giurisprudenza ha ritenuto che i termini di costituzione fissati dalla legge all'attore ed al convenuto fossero nettamente distinti tra loro, nel senso che ciascuna parte potesse validamente costituirsi solo nel termine assegnatole (

Cass. civ., s

ez. un.,

3 ottobre 1995, n. 10389

; Cass. civ., n. 508/1956, n. 483/1958). Nel caso di tardiva costituzione dell'attore e contumacia del convenuto, il giudice deve pertanto disporre la cancellazione della causa dal ruolo d'ufficio in prima udienza (

Cass. civ., sez. II., 16 luglio 1997,

n. 6481

).

Qualora, invece, il convenuto si costituisca tardivamente, non deve disporsi la cancellazione della causa dal ruolo nel caso in cui accetti il contraddittorio, limitando le proprie difese al merito (

Cass. civ., sez. II, 19 settembre 2000,

n.

12419

;

Cass. civ.,

n. 11362/1998

).

Recentemente, la Suprema Corte ha ribadito che gli artt. 171 e 307 non trovano applicazione se le parti, costituendosi tardivamente, dimostrino la comune volontà di dare impulso al processo, regolarizzando in tal modo l'instaurazione del rapporto processuale (

Cass. civ., sez. VI.,

ord., 17 febbraio 2014,

n. 3626

/2014

).

Il comma 2 dell'art. 307, poi, disciplina le ipotesi in cui l'ordine di cancellazione della causa dal ruolo porta alla immediata estinzione del processo, senza periodo di quiescenza. Tale particolare conseguenza era inizialmente prevista per i casi disciplinati dal comma 2 dell'art. 181 (mancata comparizione dell'attore costituito per due udienze consecutive, qualora il convenuto costituito non chieda che si proceda ugualmente) e dall'art. 290 (contumacia dell'attore, qualora il convenuto costituito non chieda che si proceda ugualmente).

Tuttavia, il

d.l. n. 112/2008

(conv. nella l

. n. 133/2008

), applicabile ai giudizi instaurati successivamente alla sua entrata in vigore, ha esteso l'effetto estintivo immediato, senza periodo di quiescenza, anche alla fattispecie prevista dal comma 1 dell'art. 181 (mancata comparizione di entrambe le parti alla prima udienza ed all'udienza successiva fissata dal giudice).

In generale, infine, il comma 2 dell'art. 307 stabilisce che la cancellazione della causa dal ruolo con periodo di quiescenza può verificarsi una sola volta nel corso del processo. Di conseguenza, qualora il processo sia stato già riassunto, questo si estinguerà immediatamente al verificarsi di una nuova fattispecie di cancellazione.

In tutte le suindicate ipotesi si verifica contestualmente la cancellazione della causa dal ruolo e la dichiarazione di estinzione del giudizio

. Tale contestualità era stata criticata da parte della dottrina,

che riteneva che in tal modo si derogasse alla regola secondo cui l'estinzione non poteva essere rilevata d'ufficio, ma solo se eccepita da una delle parti.

Questi problemi interpretativi appaiono, però, attualmente superati, considerato che, a seguito delle modifiche introdotte dalla

l. n. 69/2009

, l'estinzione del giudizio per inattività delle parti è rilevabile d'ufficio (

Cass. civ.,

n.

4721/2014

).

Inattività qualificata

Il comma 3 dell'art. 307 disciplina, infine, le ipotesi di inattività conseguenti al mancato rispetto di termini perentori posti ex

lege

o dal giudice, per sanare vizi incidenti sulla validità del processo. In particolare, il legislatore fa riferimento alle ipotesi in cui la parte debba rinnovare la citazione o proseguire, riassumere o integrare il giudizio. Va evidenziato che l'omessa rinnovazione nei termini della citazione comprende sia l'omessa rinnovazione dell'atto, sia l'omessa rinnovazione della sua notificazione.

Il riferimento alla prosecuzione, riassunzione o integrazione del giudizio contenuto nel comma in esame è del tutto generico: ad esso sono ricondotti gli artt. 34, 35, 36, 38, 39, 40, 54, 102.

In questi casi, l'estinzione è immediata e, a seguito delle modifiche apportate dalla

l. n. 69/2009

, è rilevabile d'ufficio per le cause introdotte successivamente all'entrata in vigore della predetta normativa; per quelle introdotte in data antecedente, invece, l'estinzione può essere rilevata solo se eccepita dalla parte.

Mancata comparizione all'udienza

L'art. 309 stabilisce che, se nel corso del processo nessuna delle parti si presenta all'udienza, il giudice provvede a norma del comma 1, art. 181. Tale ultima disposizione è stata modificata dal

d.l. n. 112/2008

(conv. nella

l. n. 133/2008

), nel senso che, se nessuna delle parti compare all'udienza fissata a seguito di una prima udienza andata deserta, il giudice ordina non solo la cancellazione della causa dal ruolo, ma anche l'estinzione del giudizio. A seguito del suindicato intervento normativo, è stata quindi introdotta una ulteriore ipotesi di cancellazione della causa dal ruolo e contestuale estinzione, senza periodo di quiescenza.

Il presupposto per l'operatività della fattispecie è la mancata comparizione di tutte le parti a due udienze consecutive.

Il termine "parte" deve essere interpretato non già nel senso di parte personalmente, ma con riferimento al suo difensore munito di valida procura ad litem. Da ciò può ricavarsi che, in capo alle parti costituite, grava l'onere di partecipazione alle udienze fissate dal giudice. Inoltre, può anche ricavarsi la distinzione tra il concetto di costituzione da quello di contumacia, nel senso che la parte costituita non può essere dichiarata contumace, ma può essere assente.

La Suprema Corte ha tuttavia evidenziato che è necessario che la prima udienza si sia regolarmente tenuta (

Cass. civ., sez. II, 18 giugno 1992,

n. 7519

); non può dunque trovare applicazione l'art. 309 qualora la prima udienza non sia stata celebrata a seguito di un differimento d'ufficio, ovvero di uno sciopero degli avvocati (

Cass. civ.,

n. 11293/1993

). In particolare, a causa dello sciopero degli avvocati si determina un impedimento allo svolgimento dell'udienza, per cui questa deve differirsi. Di questa udienza non è prescritta alcuna comunicazione alle parti, poiché la comunicazione presuppone la diserzione di una udienza regolarmente tenuta, ai sensi degli artt. 309 e 181.

La disposizione opera soltanto se all'udienza non partecipi alcuna parte. In caso di presenza del Pubblico Ministero, la Suprema Corte ha escluso l'operatività della norma solo nei casi in cui il PM abbia un potere di proposizione della domanda in giudizio (Cass. civ., n. 654/1972).

Quindi, verificata la mancata comparizione di tutte le parti, il giudice deve fissare una nuova udienza ex art. 181, avendo la Cassazione ritenuto non sufficiente un generico rinvio (

Cass. civ., sez. III, 4 ottobre 1991,

n. 10397

).

Tale ordinanza deve essere comunicata alle sole parti costituite, affinchè siano rese consapevoli delle conseguenze della eventuale perdurante inerzia. Qualora poi nessuna delle parti compaia anche alla successiva udienza, il giudice disporrà con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo e, nei giudizi instaurati successivamente al 25 giugno 2008, dichiarerà l'estinzione del giudizio. Prima di emettere tale provvedimento, tuttavia, sarà necessario verificare che le parti costituite abbiano ricevuto la comunicazione dell'udienza di rinvio, atteso che una cancellazione non preceduta dalla rituale comunicazione sarebbe nulla (

Cass. civ., sez. III, 4 ottobre 1991, n.

10397

).

Molto dibattuta era l'applicabilità del suindicato meccanismo nell'abito del processo del lavoro: la questione è stata risolta in senso affermativo dalla Suprema Corte (

Cass. civ., sez. lav., 4 agosto 2015,

n. 16358

).

La giurisprudenza è ancora discorde con riferimento all'opposizione alla declaratoria dello stato di adottabilità; al giudizio di Cassazione (negativamente, Cass. civ., 232/1984); al procedimento sommario di cognizione.

Quanto ai giudizi di opposizione a sanzioni amministrative, la giurisprudenza nega l'applicabilità dell'art. 181, atteso che, ex art.

23

,

comma 5, l.

n. 689/1981

, se l'opponente non compare alla prima udienza senza giustificato motivo, il giudice deve convalidare l'ordinanza di ingiunzione opposta. Si ritiene, invece, applicabile la disciplina generale in caso di assenza in udienze successive alla prima.

La Suprema Corte ha ritenuto che l'ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo per la mancata comparizione delle parti sia alla prima udienza, sia a quella successiva alla quale la causa sia stata rinviata, non sia impugnabile, per espresso disposto dell'

art. 181,

comma

1

, c

.p.c.

, e, come tale, non sia, ai sensi dell'

art. 177,

comma

3

, c

.p.c.

, modificabile, né revocabile, a pena di nullità, dal giudice che la abbia pronunciata, (

Cass. civ.,

n.

11014

/

2005

).

L'ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo

Il provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo è adottato in forma di ordinanza, non impugnabile ed irrevocabile. La dottrina e la giurisprudenza riconoscono al provvedimento natura costitutiva e necessaria.

Omissione di cancellazione della causa dal ruolo

Tale omissione determina la nullità degli atti del procedimento e della successiva sentenza. Il giudice dell'impugnazione, rilevando il vizio, deve ordinare la rinnovazione, di fronte a sé, degli atti compiuti in primo grado «in applicazione del principio dell'assorbimento delle nullità nei motivi di gravame» (

Cass. civ., sez. un., 3 ottobre 1995, n. 10389

).

Rinnovazione degli atti compiuti in primo grado da parte del giudice dell'impugnazione

Il giudice dell'impugnazione deve ordinare la cancellazione che avrebbe dovuto essere disposta in primo grado (

Cass. civ., n. 6298/1994

).

Cancellazione della causa dal ruolo disposta dal giudice dell'impugnazione

Il giudice dell'impugnazione deve rimettere la causa in primo grado, in applicazione analogica dell'art. 354, per l'adozione del provvedimento (

Cass. civ., n. 11362/1998

;

Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1997, n. 6481

)

Rimessione della causa in primo grado da parte del giudice dell'impugnazione

Adozione del provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo in assenza dei presupposti previsti dalla legge : rimedi esperibili

Il provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo è irrevocabile e non impugnabile; l'unico rimedio è la riassunzione del processo (

Cass. civ., sez. I, 9 luglio 2003 n. 10796

).

Riassunzione del processo

È esclusa la ricorribilità in Cassazione

ex

art. 111 Cost.

(

Cass. civ., sez. I, 23 dicembre 2009, n. 27219

)

Non ricorribilità in Cassazione

La verifica dell'effettiva sussistenza dei presupposti legali per l'emanazione dell'ordinanza è preclusa anche in sede di riassunzione (

Cass.civ., n. 913/1995

).

Preclusione della verifica in sede di riassunzione

L'unico rimedio contro le conseguenze sfavorevoli determinate dal provvedimento è la riassunzione del processo nel termine perentorio previsto dalla legge, con la conseguenza che, in caso di riassunzione tardiva, il giudice dovrà dichiarare l'estinzione del procedimento, non potendo sindacare la legittimità del provvedimento di cancellazione (

Cass. civ., ord., 30 dicembre 2011, n. 30432

).

Estinzione del procedimento nel caso di riassunzione tardiva

Quando l'ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo implica la contemporanea ed automatica estinzione del processo ai sensi del comma 3 dell'art. 307, il provvedimento ha valore sostanziale di sentenza, avendo un contenuto definitorio del giudizio (

Cass. civ., sez. III, 22 luglio 2002, n. 10644

).

Valore sostanziale di sentenza del provvedimento

Riassunzione

Nei casi in cui alla cancellazione della causa dal ruolo segua un periodo di quiescenza, il giudizio può essere riassunto (analogamente a quanto accade a seguito di interruzione o sospensione del processo). L'

art. 125 disp.

a

tt. C.p.c.

prevede che la riassunzione venga fatta con «comparsa», ma si ritiene che la stessa possa avvenire anche mediante ricorso o mediante atto di citazione. Infatti, la scelta per l'una o l'altra forma non determina la nullità dell'atto riassuntivo, non essendo questa espressamente comminata dalla legge. Del resto, ai sensi dell'art. 156, la nullità non può essere pronunciata se non è prevista espressamente dalla legge e se, comunque, l'atto abbia ugualmente raggiunto lo scopo cui era preordinato.

Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, l'estinzione del processo è evitata nel caso in cui la parte interessata abbia depositato il ricorso in riassunzione entro il termine previsto dalla legge, (Cass. civ., n. 391/1977). Il ricorso, poi, potrà essere notificato alle controparti anche successivamente al decorso dei tre mesi purché entro il termine assegnato dal giudice. In particolare, la Suprema Corte ha affermato che, in caso di nullità della notificazione dell'atto riassuntivo, il giudice deve ordinare la rinnovazione della notifica entro un termine perentorio - come previsto dall'

art. 291 c

.p.c.

- il cui mancato rispetto determina l'estinzione del giudizio. Tuttavia, qualora la rinnovazione della notificazione alla parte sia superflua, risultando dall'attività processuale che essa ne ha avuto conoscenza, in applicazione del principio della ragionevole durata del processo di cui all'

art. 111 Cost.

, deve escludersi l'estinzione del processo nel caso di mancato ordine di rinnovazione della notificazione da parte del tribunale, (

Cass. civ., sez. III, 16 marzo 2010,

n. 6325

).

Tuttavia, recentemente la Suprema Corte ha precisato che, qualora venga utilizzata la citazione ad udienza fissa, anziché il ricorso o la comparsa, è necessario che l'atto riassuntivo venga notificato alla controparte prima della scadenza del termine perentorio entro il quale va promossa la prosecuzione del giudizio, (

Cass. civ., sez. III, 6 maggio 2015,

n.

9000

).

In ogni caso, è indispensabile che l'atto riassuntivo (comparsa, atto di citazione o ricorso) contenga tutti gli elementi indicati dal citato art. 125, necessari al fine di riattivare il rapporto processuale quiescente. In particolare, è necessario che esso contenga un esplicito riferimento alla precedente fase processuale ed una «inequivoca» manifestazione della volontà di riattivare il processo già iniziato attraverso il ricongiungimento delle due fasi in un unico procedimento. Di conseguenza, l'atto riassuntivo sarà nullo solo nel caso in cui –tenuto conto del complessivo contenuto- lo stesso risulti inidoneo al raggiungimento dello scopo cui è preordinato, e cioè la ricongiunzione fra le due fasi processuali. In particolare, la Suprema Corte ha affermato che –qualora vi sia stato un provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo- la nullità dell'atto di riassunzione non deriva dalla mancanza di uno degli elementi indicati dall'

art. 125 disp. att.

c

.p.c.

, bensì dall'impossibilità di raggiungimento dello scopo derivante dalla mancanza di elementi essenziali. Ove questi ultimi, però, ricorrano, il cancelliere ha l'obbligo di riattivare il processo quiescente davanti all'originario giudice istruttore senza procedere ad una nuova iscrizione a ruolo, pena la nullità dell'atto e di tutti quelli ad esso successivi, in quanto la riassunzione non introduce un nuovo procedimento, (

Cass. civ.,

n. 21071/2009

).

Legittimate a riassumere il processo sono tutte le parti che abbiano interesse alla sua continuazione, al fine di evitarne l'estinzione. Tale potere va riconosciuto anche alla parte inizialmente rimasta contumace.

Ai sensi del comma 3, art. 125 citato, l'atto di riassunzione, con il pedissequo decreto, è notificato «a norma dell'art. 170 del codice» (e cioè presso il procuratore costituito), ed alle parti non costituite deve essere notificato personalmente.

La causa cancellata dal ruolo, durante il periodo di quiescenza, non fa sorgere alcuna questione di litispendenza, che per contro deve essere valutata con riferimento alla situazione processuale esistente al momento della relativa pronuncia (cfr. in termini

Cass. civ.,

12123/2005

).

Riferimenti

CIACCIA CAVALLARI, Contumacia, in Digesto civ., IV, Torino, 1989;

LUISO, Diritto processuale civile, II, Milano, 2000;

MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, 19ª ed., Torino, 2007;

MANDRIOLI, in Mandrioli, Carratta, Come cambia il processo civile, Torino, 2009.

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