Unioni civili e diritti umani: Italia nuovamente nel mirino UE
10 Settembre 2015
Nel corso della seduta plenaria dell'8 settembre, il Parlamento europeo ha approvato la Risoluzione sulla situazione dei diritti fondamentali nell'Unione europea (2013-2014). Essa rappresenta in sostanza una sorta di verifica sullo stato di applicazione negli Stati membri della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, avente – come è noto – valore giuridico vincolante alla stregua dei Trattati.
La struttura della Risoluzione. La Risoluzione si compone di una prima parte in cui vengono affrontate le questioni istituzionali e di una seconda in cui si analizza lo stato degli specifici diritti fondamentali, in cui ci si propone di garantire il giusto bilanciamento tra rispetto di tali diritti e garanzia della sicurezza collettiva. Nella prima parte della Risoluzione, viene auspicata l'istituzione di una strategia interna dei diritti fondamentali dell'Unione europea fondata sull'applicazione dell'art. 2 TUE che coinvolga tutti gli organi dell'Unione attivi nel campo del rispetto dei diritti fondamentali (v., in particolare, parr. 9 e 10). Si prevede altresì la necessità di superare il “dilemma di Copenaghen”, al fine di garantire la verifica del rispetto dei diritti fondamentali e dello stato di diritto non solo prima dell'adesione all'UE ma anche nei confronti degli Stati oramai membri (paragrafo AH).
La seconda parte della Risoluzione. Con riferimento agli specifici diritti rilevanti contenuti nella seconda parte della Risoluzione, i punti che interessano “più direttamente” l'Italia sono diversi. Si pensi, ad esempio, ai “Diritti dei migranti e dei richiedenti protezione internazionale”, alle “Condizioni di detenzione nelle carceri e in altri istituti di custodia” e, in particolare, ai “Diritti delle persone LGBTI (lesbiche, gay, bisessuali e transgender e intersessuati)”.
Diritti delle persone LGBTI. L'analisi di questi ultimi diritti sono contenuti nei paragrafi da 85 a 92 della Risoluzione. Da segnalare specificamente il par. 86 in cui il Parlamento europeo ritiene che «i diritti delle persone LGBTI sarebbero maggiormente tutelati se esse avessero accesso a istituti giuridici quali coabitazione, unione registrata o matrimonio». A tale riguardo vi è sia l'invito agli Stati membri, come l'Italia, privi di tali tutele, a legiferare in tal senso, sia l'invito alla Commissione a presentare una proposta normativa per consentire il riconoscimento reciproco degli effetti di tutti gli atti di stato civile in Europa, compresi il riconoscimento giuridico del genere, i matrimoni e le unioni registrate. In particolare, il raggiungimento di questo secondo obiettivo permetterebbe di ridurre gli ostacoli discriminatori nei confronti dei cittadini che esercitano il loro diritto di libera circolazione. Interessante, infine, il par. 92, in cui il Parlamento europeo plaude alla legge maltese sull'identità di genere, l'espressione di genere e le caratteristiche sessuali dell'aprile 2015, che proibisce gli interventi chirurgici su bambini intersessuali e rafforza il principio di autodeterminazione degli intersessuali, ed invita gli altri Stati a seguire tale esempio. |