Assegnazione della casa al genitore collocatario anche quando non è attuale l'abitazione nell'immobile
11 Novembre 2016
La massima
La qualificazione giuridica di un immobile come “casa familiare”, postula che la situazione preesistente al conflitto giudiziale sia caratterizzata da una stabile e continuativa utilizzazione dello stesso come abitazione del nucleo familiare. Infatti, la mera destinazione dell'immobile ad un progetto di coabitazione è insufficiente a fondarne il godimento in funzione del prioritario interesse del minore quando né i genitori né i figli vi abbiano mai abitato. Ne consegue che la destinazione di un immobile a “casa familiare” deve ritenersi univocamente impressa allo stesso dalle parti non solo in astratto, ma anche in concreto per mezzo della loro convivenza. Il fatto
Nel caso posto all'esame della Suprema Corte, una coppia aveva acquistato un immobile in comproprietà al 50 % e vi si era trasferita iniziando la convivenza nella prospettiva di destinarlo ad abitazione familiare. Subito dopo la nascita del figlio, tuttavia, tale convivenza era cessata. Il padre del minore si era allontanato per primo dalla casa familiare portando con sé il bambino presso l'abitazione della nonna. Successivamente anche la madre aveva lasciato la casa per sottoporsi ad alcune terapie dirette a risolvere i problemi psicofisici che le si erano manifestati sia in gravidanza che nel periodo post partum e che di fatto erano stati determinanti nella separazione. Nel procedimento per l'affidamento ed il mantenimento del minore, il tribunale aveva disposto l'affidamento condiviso e il collocamento prevalente presso la madre con modulazione del diritto di visita per il padre, l'assegnazione della casa familiare alla madre e la previsione di un contributo pari ad € 300,00 mensili per il mantenimento del figlio. Tale provvedimento veniva confermato dalla Corte d'Appello di Napoli – sezione minorenni – innanzi alla quale veniva impugnato dal padre del minore. La Corte confermava l'affido condiviso, dal momento che la madre del minore aveva superato i disturbi psicofisici emersi in precedenza e statuiva che il minore dovesse essere collocato con prevalenza presso la madre in quanto, ferme le buone competenze genitoriali di entrambi, ella si presentava più capace a garantire il rispetto dell'altro genitore ed il mantenimento dei rapporti con quest'ultimo. Confermava poi l'assegnazione della casa familiare alla madre. La decisione della Corte di Appello veniva impugnata con ricorso per cassazione dal padre del minore che contestava: - l'affidamento del minore alla madre, sull'assunto che il bambino avesse trascorso i primi anni di vita con lui e con la nonna e che i giudici dell'appello non avessero considerato le risultanze della CTU che aveva descritto la madre come “poco sincera, ansiosa, perplessa…”; - l'assegnazione della casa coniugale sull'assunto che il minore non avesse mai abitato la casa familiare e che pertanto non sussistesse alcun interesse alla conservazione dell'habitat precedente al disgregamento familiare. La questione
La questione oggetto della pronuncia in commento attiene alla necessità di garantire o meno l'habitat domestico a tutela del minore e di provvedere all'assegnazione della casa familiare, a seguito della disgregazione della coppia, quando non vi è soluzione di continuità nell'abitazione della stessa, in particolare, quando il conflitto sia sorto prima della stabilizzazione del nucleo familiare nell'immobile. Le soluzioni giuridiche
Secondo la Suprema Corte, i giudici di merito, nella valutazione dell'assegnazione della “casa familiare”, hanno correttamente ritenuto preminenti due circostanze ovvero la pregressa convivenza delle parti presso l'abitazione e la destinazione in concreto a casa familiare dell' immobile, rispetto alle quali assume carattere recessivo la mancata fruizione della casa da parte del minore sin dal momento della nascita. Il Giudice di legittimità ha infatti rilevato che, nella specie, «i genitori del minore non solo hanno destinato di comune accordo e con impegno economico comune l'immobile a loro abitazione familiare, ma vi hanno anche convissuto stabilmente prima del conflitto, deflagrato con la nascita del figlio». Ha chiarito che, affinché un immobile possa essere qualificato come abitazione familiare e dunque essere oggetto di assegnazione al genitore collocatario del figlio, è necessario che «risulti in modo inequivoco che la situazione preesistente al conflitto coniugale sia stata caratterizzata da una stabile e continuativa utilizzazione dello stesso come abitazione del nucleo familiare composto dai genitori e dai figli minori o maggiorenni ma non autosufficienti». Ha escluso quindi che possa essere qualificato come “casa familiare” l'immobile in cui la coppia non abbia mai convissuto prima della nascita del figlio, perchè «la mera destinazione dell'immobile ad un progetto di coabitazione è insufficiente a fondarne il godimento in funzione del prioritario interesse del minore, quando né i genitori né quest'ultimo vi abbiano mai abitato». In maniera innovativa ha poi puntellato il concetto di habitat familiare, chiarendo che esso può ritenersi costituito anche quando il minore non lo abbia vissuto con un certo grado di stabilità, perché la disgregazione del nucleo familiare e l'allontanamento – sia pure temporaneo- dei coniugi dalla casa coniugale siano avvenuti subito dopo la nascita del figlio. Secondo il principio espresso dalla Cassazione, quindi, l'assegnazione della “casa familiare” al genitore collocatario della prole può avvenire quando essa ha costituito, per la fase della stabile convivenza delle parti, “il centro di aggregazione della famiglia” ovvero, l'habitat domestico inteso come il «centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare» e che è importante preservare, tenuto conto del preminente interesse del minore. Osservazioni
La pronuncia in commento ha espresso innanzitutto un importante principio in materia di affidamento dei figli minori, stabilendo che la bigenitorialità connessa con l'affidamento condiviso, deve essere tutelata mediante il collocamento prevalente del figlio presso il genitore che è in grado di garantire il rispetto della figura dell'altro genitore. La Corte ha poi affrontato la nozione di casa familiare ai fini della sua assegnazione al coniuge collocatario della prole e nell'interesse della stessa, ribadendo la necessità della effettiva abitazione nella casa coniugale, della destinazione dell'immobile alla vita della famiglia non solo in via programmatica ma anche in concreto, modalità che è l'unica idonea a costituire effettivamente il «centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare». Nel caso di specie, la convivenza dei genitori nell'immobile e l'utilizzazione dello stesso ad habitat familiare, seppur di fatto preesistita alla nascita del figlio, è stata ritenuta sufficiente a configurare ontologicamente e funzionalmente una casa familiare, nell'accezione sua propria, senza che la sua intrinseca destinazione potesse ritenersi mutata per il temporaneo allontanamento dovuto al conflitto genitoriale. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3331/2016, ha ritenuto corretta la valutazione operata dai giudici di appello che, pur riconoscendo le difficoltà ed i disagi psichici che la donna aveva affrontato in gravidanza e nella prima fase di vita del bambino, avevano ritenuto prevalente, nella scelta del genitore cui affidare il minore, «la maggiore capacità della donna a garantire il rispetto dell'altro genitore ed il mantenimento dei rapporti con quest'ultimo e, di conseguenza, il più equilibrato sviluppo psicofisico del minore, mediante il contenimento del conflitto tra i genitori». In ordine invece alla questione cruciale della decisione, relativa all'assegnazione della casa familiare, costituita nella specie dall'immobile che la coppia aveva acquistato in comproprietà al 50%, e nel quale si era trasferita ed aveva iniziato la convivenza, la Corte, confermando anche sul punto la pronuncia dei giudici dell'appello, ha stabilito che la casa può essere assegnata al genitore collocatario del figlio minore anche quando non è attuale l'abitazione nell'immobile, ma nello stesso vi sia stata stabile convivenza della coppia prima della disgregazione del nucleo familiare e della nascita del figlio. Anche in tal caso, l'assegnazione della casa al genitore collocatario deve ritenersi la scelta più coerente con il prioritario interesse del minore. |