Non tutti gli accordi della separazione consensuale sono modificabili

Valeria De Vellis
17 Ottobre 2016

La separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale ed uno eventuale, non direttamente collegato al precedente matrimonio, ma costituito dalle pattuizioni che i coniugi intendono concludere in relazione all'instaurazione di un regime di vita separata.
Massima

La separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale - il consenso reciproco a vivere separati, l'affidamento dei figli, l'assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti - ed un contenuto eventuale, non direttamente collegato al precedente matrimonio, ma costituito dalle pattuizioni che i coniugi intendono concludere in relazione all'instaurazione di un regime di vita separata, a seconda della situazione pregressa e concernenti le altre statuizioni economiche (nella specie, vendita della casa familiare e attribuzione del ricavato a ciascun coniuge in proporzione al denaro investito nel bene).

In caso di sopravvenienza di un quid novi, modificativo della situazione in relazione alla quale gli accordi erano stati stipulati, è possibile la modificazione degli accordi solo con riguardo alle clausole aventi causa nella separazione personale, ma non per gli autonomi patti, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell'art. 1372 c.c.. Il giudice del merito, nell'ambito dell'accordo destinato a disciplinare la separazione consensuale, deve valutare, alla stregua di un'indagine ermeneutica guidata dagli artt. 1362 ss. c.c., se vi sia inserita anche una convenzione avente una sua autonomia.

Il caso

Con verbale di separazione consensuale, Tizio e Caia, avevano pattuito: i) che la casa coniugale sarebbe stata posta in vendita; ii) che il ricavato della vendita sarebbe stato di competenza, in ragione di un terzo, della moglie; iii) che la moglie, pur in assenza di prole, avrebbe potuto continuare ad abitare nell'immobile, unitamente alla madre e alla nonna, con spese tutte a carico del marito (compresa una percentuale della rata di mutuo); iv) di non prevedere alcuna forma di contribuzione alla moglie (anche) in forza dell'occupazione gratuita dell'immobile di proprietà del marito.

Instaurato il divorzio, con sentenza del 24 dicembre 2013, la Corte di Appello di Firenze ha riformato parzialmente la pronuncia di primo grado del Tribunale di Firenze, revocando la statuizione dichiarativa della perdita di efficacia degli accordi conclusi dai coniugi in sede di separazione consensuale e confermando, invece, la pronuncia di divorzio, nonché riconoscendo alla moglie un assegno di divorzio.

In particolare, la Corte aveva ritenuto che le pattuizioni tra coniugi aventi causa nella separazione devono inerire l'assegno di mantenimento o l'assegnazione della casa familiare, mentre, nella specie, gli accordi conclusi in occasione della separazione si limitavano a disciplinare alcuni interessi economici relativi a pregressi rapporti tra le parti; dunque, per ritenere cessati detti accordi, occorreva una dichiarazione di volontà concorde dei coniugi. Secondo la Corte, la pattuizione sulla vendita a terzi della casa coniugale era da dichiararsi estranea alla separazione, dovendosi, conseguentemente, prospettare a favore della moglie, oltre all'attribuzione dei proventi della vendita della casa, anche il riconoscimento di un assegno di divorzio.

Il marito soccombente ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, sulla base di tre motivi, deducendo, in particolare, che la sentenza avrebbe mancato di operare una valutazione “non atomistica” delle clausole, che avrebbe palesato il risultato solutorio in relazione agli obblighi di mantenimento, ottenuta dalle parti tramite la concessione alla moglie del diritto di continuare ad abitare l'immobile, sino alla vendita del medesimo, con spese per utenze e imposte a carico del marito. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo fondati i tre motivi, considerati unitariamente per la loro intima connessione.

Le questioni

La Corte, accogliendo i motivi di ricorso, risolve due questioni di estremo interesse:

1) la validità degli accordi patrimoniali, stipulati in occasione della separazione, e la loro modificabilità in sede di procedimento di divorzio e/o di procedimento ex art. 710 c.p.c;

2) il collegamento tra le sopracitate pattuizioni e l'assegno di divorzio.

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha motivato la decisione con i seguenti passaggi.

a) La validità degli accordi patrimoniali tra coniugi stipulati in occasione della separazione

Preliminarmente, la Corte ha affermato, in linea con il suo consolidato orientamento, la validità degli accordi conclusi dai coniugi, nel quadro della complessiva regolamentazione dei loro reciproci rapporti economici e patrimoniali, in sede di separazione consensuale, anche ove non abbiano ad oggetto il contenuto tipico degli accordi ex art. 711 c.p.c. (separazione, assegno di mantenimento, assegnazione casa familiare, responsabilità genitoriale).

Così in motivazione: «l'accordo mediante il quale i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza può racchiudere ulteriori pattuizioni, distinte da quelle che integrano il suo contenuto tipico e che ad esso non sono immediatamente riferibili: si tratta di quegli accordi che sono ricollegati, si potrebbe dire, in via soltanto estrinseca con il patto principale, relativi a negozi i quali, pur trovando la loro occasione nella separazione consensuale, non hanno causa in essa, risultando semplicemente assunti “in occasione” della separazione medesima, senza dipendere dai diritti e dagli obblighi che derivano dal perdurante matrimonio, ma costituendo espressione di libera autonomia contrattuale (nel senso che servono a costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici patrimoniali ex art. 1321 c.c.), al fine di regolare in modo tendenzialmente completo tutti i pregressi rapporti, e che sono del tutto leciti, secondo le ordinarie regole civilistiche negoziali, purché non ledano diritti inderogabili».

b) La modificabilità delle pattuizioni stipulate tra coniugi in sede di separazione personale

Dopo aver chiarito che le pattuizioni tra coniugi, sia quelle aventi causa nella separazione e finalizzate ad assolvere i doveri di solidarietà coniugale, sia quelle aventi mera occasione nella separazione e finalizzate a regolare altri rapporti tra gli stessi, ben possono convivere nel medesimo atto, configurandosi come pattuizioni del tutto autonome, la Corte ha affermato il principio per cui diverso sarà il trattamento riservato a detti accordi ove una delle parti ne chieda la modifica. Infatti, i patti estranei alla causa e al contenuto tipico della separazione, seppur legittimi, non possono essere trattati, per via della loro diversa natura giuridica, alla stessa stregua delle clausole aventi causa nella separazione personale: ne discende che, allorché una delle parti ne chieda la modifica o la conferma ex art. 710 c.p.c. (oppure ex art. 9 l.div.), il giudice sarà costretto a rigettare il ricorso. Infatti, secondo la Corte, «…è possibile la modificazione degli accordi solo con riguardo alle clausole aventi causa nella separazione personale, ma non per gli autonomi patti, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell'art. 1372 c.c.».

c) I rapporti tra pattuizioni “tipiche” e “atipiche” nell'indagine ermeneutica del giudice

Nel terzo e ultimo passaggio della sentenza, la Corte afferma che il giudice di merito deve, di volta in volta, svolgere un'indagine ermeneutica guidata dagli artt. 1362 ss. c.c. al fine di accertare se la convenzione abbia una sua autonomia, oppure sia funzionale alla separazione.

Sotto tale profilo, secondo la Corte, la sentenza impugnata - riconoscendo comunque un assegno divorzile alla moglie - non ha fatto corretta applicazione dei principi esposti, «avendo affermato che gli accordi aventi causa nella separazione devono necessariamente riguardare l'abitazione familiare o l'assegno di mantenimento, senza considerare che quest'ultimo può essere sostituito da altre forme di contribuzione, né che nel medesimo accordo possono convivere obblighi sostitutivi dell'assegno di mantenimento (da riconsiderare eventualmente in sede di divorzio) con la regolamentazione dei pregressi rapporti patrimoniali (immodificabili nelle forme proprie dei primi)».

Osservazioni

É pacifico nella giurisprudenza, di legittimità e di merito, che i coniugi possano includere nell'accordo di separazione pattuizioni relative a rapporti patrimoniali che non hanno più interesse a mantenere invariati e che esulano dal contenuto tipico della separazione e non hanno causa in essa (cfr. Cass. civ., 12 settembre 1997, n. 9034; Cass. civ., sez. I, 22 novembre 2007, n. 24321; Cass. civ., 24 aprile 2007, n. 9863; Trib. Varese, 23 gennaio 2010).

Sul tema della modificabilità di tali accordi in sede di separazione, la sentenza in commento rappresenta una novità nel panorama della giurisprudenza di legittimità. Il principio affermato dalla Corte di Cassazione è stato, tuttavia, ripreso dalla giurisprudenza di merito: si segnala, in proposito, una recente pronuncia del Tribunale di Monza (sez. II, 12 novembre 2015, n. 2800), che, sempre con riferimento ad una clausola istitutiva dell'impegno di futura vendita dell'immobile adibito a casa coniugale inserita in un verbale di separazione consensuale, rilevato che tale condizione dell'accordo si configura come del tutto autonoma e compatibile con l'assegnazione dell'abitazione stessa, ha affermato che detta pattuizione non è modificabile nelle forme e secondo la procedura di cui agli artt. 710 e 711 c.p.c..

L'impossibilità di esperire il giudizio camerale di modifica con riferimento ad eventuali vizi (nullità o annullabilità) che inficiano la validità dell'accordo di separazione omologato e alla sua eventuale simulazione, si ritrova, invece, in diverse pronunce di legittimità, secondo cui, considerata la natura negoziale dell'accordo, tali vizi devono essere fatti valere attraverso un giudizio ordinario, secondo le regole generali (Cass. civ., sez. I, 22 novembre 2007, n. 24321; Cass. civ., sez. I, 20 marzo 2008, n. 7450).

La sentenza in commento, poi, appare particolarmente interessante, in quanto, per un verso, afferma il principio per cui il giudice di merito, nel distinguere le pattuizioni “tipiche” da quelle “atipiche”, non deve fermarsi al dato formale, ma deve indagare sulla funzione che le singole pattuizioni assolvono nell'economica complessiva dell'accordo voluto dalle parti; per altro verso, nella pronuncia in esame si fa strada l'idea che il giudice del merito, ai fini della decisione sull'assegno, deve tener conto anche del contenuto degli accordi “atipici”, che, pur essendo autonomi dalle altre pattuizioni “tipiche” e non modificabili ex art. 710 c.p.c., potrebbero fare venire meno il diritto all'assegno di divorzio.

Guida all'approfondimento

- G. Pagliani, Modifica delle condizioni della separazione e del divorzio, in IlFamiliarista.it;

- V. Corriero, L'abuso del diritto da parte di uno dei coniugi separandi, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 3, 2011, 0669C;

- C. Verde, Profili evolutivi dell'autonomia negoziale nelle relazioni di tipo “familiare”, in www.juscivile.it, 2014.