Crisi familiare e soluzione dei conflitti genitoriali: quale giudice deve decidere?

19 Dicembre 2016

L'articolo si propone di ricostruire la disciplina del procedimento di cui all'art. 709-ter c.p.c., affrontando le problematiche relative al giudice competente, all'oggetto del procedimento e ai mezzi d'impugnazione.
Il giudice competente

La l. n. 54/2006, nell'introdurre l'affidamento condiviso come regime ordinario, ha attribuito al giudice poteri sostitutivi dei genitori per il superamento dei conflitti in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale, riformulando l'art. 155, comma 3, c.c. (oggi confluito nell'art. 337-ter c.c.). A ciò si è accompagnata l'introduzione dell'art. 709-ter c.p.c. e, cioè, di un procedimento ad hoc per la soluzione delle controversie che possono insorgere in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale e delle modalità di affidamento.

L'organo giudicante a cui viene attribuita tale decisione è diverso in considerazione della pendenza o della conclusione di un eventuale procedimento tra i coniugi/genitori, quale può essere quello di separazione, divorzio, annullamento del matrimonio, affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio: ove sia già in corso un giudizio, la soluzione del conflitto è rimessa al relativo giudice; in caso contrario, al tribunale del luogo di residenza del minore in composizione collegiale, stante il richiamo all'art. 710 c.p.c. e, quindi, ai procedimenti camerali riservati al collegio dall'art. 50-bis, comma 2, c.p.c..

Il primo problema che si pone è se nell'ambito di separazione e divorzio la decisione spetti al collegio o al giudice istruttore o, indifferentemente, ad entrambi. Militano a favore della prima soluzione:

1) l'identificazione tra l'organo collegiale ed il giudice del procedimento, inteso come quello che ha la potestas decidendi sullo stesso;

2) l'esigenza di coerenza sistematica, attesa l'irragionevolezza dell'attribuzione della stessa decisione, in base a criteri del tutto casuali, all'organo collegiale o monocratico.

Tuttavia, la seconda opzione assicura maggiormente l'efficacia dell'intervento giudiziario, stante la sua maggiore rapidità e snellezza, e sembra, quindi, più rispondente alla ratio legis che rischierebbe, altrimenti, di essere frustrata. La terza possibilità lascia perplessi in quanto sembra in contrasto con il principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge di cui all'art. 25 Cost., salvo ritenere che il giudice istruttore possa assumere solo un provvedimento provvisorio, soggetto alla conferma del collegio. Infine, alcuni autori sostengono che il giudice istruttore può, in base alle regole generali, adottare provvedimenti di modifica del regime di affidamento e, al più, di soluzione dei conflitti, mentre quelli sanzionatori restano riservati al collegio.

Ulteriore criticità riguarda la possibilità d'identificare il giudice del procedimento con quello di appello o legittimità ove il conflitto, in ordine alla questione di maggiore importanza o più in generale all'esercizio della responsabilità genitoriale, insorga in tale fase processuale. Invero, qualora sia stata impugnata la parte della decisione relativa all'affidamento dei minori, non sembra potersi escludere la pendenza di un procedimento in cui sia coinvolta la responsabilità genitoriale. Più problematica, invece, l'ipotesi in cui le doglianze siano limitate ad altri profili, quali, ad esempio, la quantificazione del mantenimento o l'addebito, per cui potrebbe ritenersi esaurito il procedimento relativamente alla responsabilità genitoriale e passata in giudicato la relativa decisione, con la conseguente necessità di instaurare un procedimento autonomo ex art. 710 c.p.c.. Ad avviso della Corte d'appello di Venezia (21 gennaio 2015) nel processo di separazione le misure ex art. 709-ter c.p.c., sia per la loro funzione (tutelare non solo il diritto del minore ad un pieno sviluppo della sua personalità ma anche il rispetto dei doveri che ineriscono l'esercizio della responsabilità genitoriale e il corretto esplicarsi delle modalità dell'affidamento) sia per la loro natura (cautelare e coercitiva), possono essere richieste in grado di appello anche laddove il capo relativo all'affidamento non sia stato espressamente oggetto d'impugnazione ad opera della parte, sicché non è necessario in tali ipotesi instaurare un separato e autonomo procedimento di modifica ex art. 710 c.p.c., ben potendo la misura essere richiesta e concessa nella stessa sede dell'impugnazione. Quest'interpretazione è stata commentata positivamente dalla dottrina, in quanto favorisce l'economia processuale, evitando l'instaurazione di un nuovo procedimento, che risulterebbe eccessivamente dispendiosa. Il superamento del giudicato viene giustificato con la possibilità di modifica dei provvedimenti in materia di famiglia in virtù della clausola rebus sic stantibus, identificando il conflitto sulla responsabilità genitoriale o gli inadempimenti rispetto al regime di affido con le sopravvenienze, mentre l'assenza della specifica impugnazione sul capo riguardante l'affido non è ritenuta ostativa all'attivazione dei poteri d'ufficio attribuiti al giudice relativamente ai minori (v. F. Danovi, Le misure ex art. 709 ter c.p.c. in appello tra oneri d'impugnazione e poteri del giudice, in Fam. e dir. 2016, 171 ss.). Va, però, sottolineato che, ove si affermi la tesi dell'inammissibilità del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti de quibus, si tratterebbe di una ipotesi di decisione in unico grado.

Non sembra, invece, esservi spazio nella soluzione dei conflitti genitoriali per il giudice tutelare che, ai sensi dell'art. 337 c.c., deve vigilare sull'osservanza delle condizioni che il tribunale abbia stabilito per l'esercizio della responsabilità genitoriale e per l'amministrazione dei beni. Va, tuttavia, segnalato l'orientamento del Trib. Milano, sez. IX civ., 22 giugno 2015, secondo cui il potere di vigilanza del giudice tutelare è di tipo attivo, per cui include anche poteri decisori relativamente alle cd. questioni accessorie o meramente esecutive nell'ambito delle quali va ricondotta la specificazione dei tempi di frequentazione tra prole e genitori (nel caso di specie, è stata attribuita al giudice tutelare la decisione sui tempi di frequentazione delle figure parentali con i figli nel periodo estivo, scolastico e natalizio). Aderendo a tale impostazione, potrebbe ritenersi ammissibile un ricorso ex art. 337 c.c. al giudice tutelare in ordine a tutte le questioni di minore importanza (come, ad esempio, il tipo di sport che il minore deve praticare, le uscite serali). É, tuttavia, opinabile che lo stesso possa intervenire con un provvedimento vincolante per i genitori, essendo la vigilanza strumentale all'attivazione dei poteri d'ufficio degli organi deputati. Piuttosto in questa sede sarà possibile promuovere un accordo tra i genitori o indirizzarli tramite meri inviti e sollecitazioni.

Il procedimento ed il provvedimento

Preliminarmente è opportuno soffermarsi sull'oggetto del procedimento di cui all'art. 709-ter c.p.c., che è più ampio dei conflitti sulle questioni di maggiore interesse per il minore, investendo tutte le controversie in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità di affidamento e che può sfociare in una modifica dei provvedimenti in vigore e/o in un provvedimento di carattere sanzionatorio/risarcitorio. In proposito occorre ricordare l'obiter di Cass. 22 ottobre 2010, n. 21718, secondo cui il provvedimento di cui all'art. 709-ter c.p.c. può riguardare non solo il conflitto tra i genitori sulle questioni di maggiore interesse, ai sensi dell'art. 155, comma 3, c.c. (la scelta della scuola, un intervento medico sul minore, ecc.), ma pure in ordine alla "ordinaria amministrazione", da intendersi in senso atecnico e, quindi, non riferita ai soli rapporti patrimoniali, ma, ad esempio, al modo in cui il minore si veste, agli spettacoli cui può assistere e pure le questioni d'interpretazione dei provvedimenti del giudice, che potrebbero condurre non alla modifica, ma ad una più precisa determinazione e specificazione.

Le indicazioni della giurisprudenza di legittimità non sembrano, però, recepite da quella di merito, in seno alla quale è emerso un orientamento secondo cui l'accesso al modulo risolutivo di cui all'art. 709-ter c.p.c. non è consentito al cospetto di qualsivoglia scontro genitoriale ma limitatamente agli “affari essenziali” del minore ossia istruzione, educazione, salute, residenza abituale e, cioè, per risolvere problemi di macro-conflittualità, non essendo ipotizzabile un intervento del giudice per la micro-conflittualità. Secondo tale impostazione, è inammissibile per difetto di azione il ricorso al giudice per dirimere controversie aventi ad oggetto a titolo di esempio il taglio dei capelli del minore, la possibilità per un genitore di delegare un parente per prelevare il figlio da scuola, l'acquisto di un tipo di vestito piuttosto che un altro, la specificazione di dati di estremo dettaglio in ordine ai tempi di frequentazione, potendo, però, il giudice di fronte ad una simile conflittualità patologica intervenire ex art. 333 c.c., eventualmente delegando il Comune di residenza allo svolgimento delle funzioni di rappresentanza del fanciullo, così che i genitori possano rivolgersi a tale ente affidatario ed essere indirizzati verso uno dei servizi di mediazione familiare, sostegno psicologico, supporto terapeutico (così Trib. Milano, sez. IX civ., 23 marzo 2016, ma già prima Trib. Milano, sez. IX, 9 luglio 2015).

Sembra, tuttavia, sicuramente da escludere che il giudice possa ex art. 709-ter c.p.c. sostituirsi ai genitori nell'esercizio della responsabilità genitoriale anche per le questioni di minore importanza, atteso che tale pesante ingerenza nella sfera privata non avrebbe un fondamento normativo. Invero, si è anche sostenuto che l'intervento sostitutivo di cui all'art. 155 c.c. (ora art. 337-ter c.c.) riguardo alle questioni di maggiore importanza si giustificherebbe solo ove il mancato accordo tra i genitori esercenti la responsabilità genitoriale sia accertato come insuperabile, determinando un blocco delle funzioni decisionali inerenti alla vita del soggetto minore, trattandosi di un estremo rimedio, che non può svuotare di contenuto la responsabilità genitoriale, concentrandola in capo all'organo giudicante. In altre parole, l'eventuale coinvolgimento delle questioni di minore importanza nel procedimento potrebbe al più condurre ad una modifica del regime di affidamento o eventualmente ad un intervento di tipo sanzionatorio, consequenziale a condotte d'inadempimento, quale, ad esempio, la costante assunzione unilaterale delle decisioni, senza alcuna consultazione dell'altro genitore, ma non ad un una decisione di tipo sostitutivo.

Per quanto concerne il rito applicabile, il riferimento all'art. 710 c.p.c. ha indotto larga parte degli interpeti a ritenere applicabile il rito camerale di cui agli artt. 737 ss. c.p.c. considerato, peraltro, procedimento d'elezione delle controversie familiari anche alla luce dell'art. 9 l. div. e del nuovo art. 38 disp.att.c.c., come riformulato dall'art. 3 l. 10 dicembre 2012, n. 219. Ciò dovrebbe, peraltro, comportare l'attribuzione della decisione all'organo collegiale, ai sensi dell'art. 50-bis, ultimo comma, c.p.c.. Si è, però, obiettato che l'art. 710 c.p.c. è richiamato solo per i nuovi procedimenti instaurati, ma non per quelli in corso ai quali resta applicabile il relativo rito per cui, ad esempio, se la controversia insorge in sede di separazione e divorzio il modulo procedurale dovrebbe essere quello degli artt. 706 ss. c.p.c. o della l. n. 898/1970 (in questo senso I. Zingales, Il procedimento per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale o alle modalità dell'affidamento in una recente pronunzia della S.C., in Dir. famiglia, 2011, 656 ss., il quale sottolinea che quando il legislatore ha ritenuto opportuno prevedere, anche in materia di separazione e divorzio, le forme tipiche del rito camerale, non ha avuto remore nel manifestare esplicitamente la propria volontà - artt. 709-bis, ultimo inciso, e 710 c.p.c.; artt. 4, comma 15, e 9, comma 1, l. n. 898/1970 - mentre tale «volontà ..non risulta cristallizzata nell'art. 709-ter c.p.c.», per cui nellapendenza in primo grado di un procedimento di separazione o di divorzio, il rito che governa il procedimento ex art. 709-ter c.p.c.non è, dunque, quello camerale ex art. 737 ss. c.p.c., ma il rito speciale proprio della separazione o del divorzio).

Dal rito applicabile dipende anche la forma del provvedimento conclusivo che, ad esempio, nell'ipotesi di procedimento ex novo, soggetto all'art. 710 c.p.c., sarà un decreto camerale, mentre nell'ipotesi di sub-procedimento in corso di separazione o divorzio potrebbe essere un'ordinanza del giudice istruttore o una sentenza del collegio e, nell'ipotesi di sub-procedimento in corso di un giudizio ex art. 337-ter c.c. sul mantenimento e l'affido dei figli nati fuori dal matrimonio, un decreto collegiale.

Ad ogni modo, nei procedimenti de quibus l'audizione del minore, che abbia compiuto gli anni dodici ed anche di età inferiore ove capace di discernimento, appare un adempimento imprescindibile, ai sensi dell'art. 315-bis, comma 3, c.c. che sancisce il suo diritto di essere ascoltato in tutte le procedure che lo riguardano, salvo che ciò risulti superfluo o in contrasto con il suo interesse, come oggi precisato dagli artt. 336-bis e 337-octies c.c., inseriti dal d.lgs. n. 154/2013. Quest'ultima disposizione, dettata specificamente per la crisi familiare, limita però la possibilità di omettere l'audizione del minore infra-dodicenne solo nell'ipotesi in cui i genitori raggiungano un accordo. L'audizione del minore non dovrebbe avere finalità probatorie, ma essere strumentale a far emergere le sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni e, cioè, gli elementi in base ai quali vanno orientate le scelte inerenti alla responsabilità genitoriale. Ciò non significa, però, che la decisione deve essere rimessa al figlio né che le aspirazioni o esigenze dei genitori devono essere annullate, atteso che l'interesse del minore è prevalente rispetto ad eventuali prevaricazioni, inadempimenti, mancanze, ma non rispetto alle esigenze del nucleo familiare e di tutti gli altri suoi componenti.

I mezzi d'impugnazione

L'ultimo comma dell'art. 709-ter c.p.c. rinvia ai modi ordinari d'impugnazione. Secondo l'interpretazione dominante, il riferimento va inteso non all'appello, quale strumento generale d'impugnazione, ma ai mezzi d'impugnazione specificamente previsti rispetto al tipo di provvedimento adottato (così Cass., 22 ottobre 2010, n. 21718 «è appena il caso di osservare che l'indicazione contenuta nell'art. 709-ter, u.c., c.p.c., i provvedimenti assunti... sono impugnabili nei modi ordinari - va considerata come mero richiamo ai mezzi ordinari di impugnazione per quella specifica tipologia di provvedimenti, dipendente dalla loro natura, contenuto e finalità». Sul punto v. anche F. Danovi, Inammissibilità del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti ex art. 709 ter c.p.c. in Riv. dir. proc., 2011, 1538 ss.).

Questa impostazione comporta che la decisione assunta dal giudice istruttore con ordinanza sempre modificabile e revocabile ex art. 177 c.p.c., non sia suscettibile d'impugnazione, come confermato dalla Suprema Corte (sez.VI-I, 4 luglio 2014, n. 15416, secondo cui nell'ambito del procedimento di separazione personale dei coniugi, i provvedimenti adottati dal giudice istruttore ex art. 709, ultimo comma, c.p.c. di modifica o di revoca di quelli presidenziali, non sono reclamabili poiché è garantita l'effettività della tutela delle posizioni soggettive mediante la modificabilità e la revisione, a richiesta di parte, dell'assetto delle condizioni separative e divorzili, anche all'esito di una decisione definitiva, piuttosto che dalla moltiplicazione di momenti di riesame e controllo da parte di altro organo giurisdizionale nello svolgimento del giudizio a cognizione piena). Se ne esclude, difatti, la natura cautelare e la conseguente ammissibilità del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. e, nel contempo, si predica la natura eccezionale dello strumento di cui all'art. 708, ultimo comma, c.p.c., che non sarebbe dunque suscettibile di estensione analogica. Del resto, anche nell'ordinanza d'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale della Consulta (Corte cost., 11 novembre 2010, n. 322) sembra evincersi che rientri nella discrezionalità del legislatore la previsione dell'an e quomodo dell'impugnazione (sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 709, comma 4, e 709-ter c.p.c. impugnati, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, commi 1 e 2, Cost., nelle parti in cui non consentono, nell'ambito del procedimento di separazione giudiziale, di sottoporre a reclamo davanti al Tribunale in composizione collegiale le ordinanze del giudice istruttore in materia di revoca o modifica dei provvedimenti temporanei ed urgenti emessi dal presidente del tribunale nell'interesse della prole e dei coniugi ai sensi dell'art. 708, comma 3, c.p.c. in quanto, da un lato, i rimettenti si sono sottratti all'onere di sperimentare la possibilità di pervenire ad una doverosa interpretazione costituzionalmente conforme della norma che consenta di colmare la dedotta carenza di tutela e, dall'altro, la soluzione da loro richiesta non appare come l'unica costituzionalmente obbligata, tanto più in un contesto, quale quello della conformazione degli istituti processuali, in cui il legislatore gode di ampia discrezionalità).

Sembrerebbe, dunque, che l'unica forma di controllo sui provvedimenti eventualmente adottati dal giudice istruttore ex art. 709-ter c.p.c. sia quella dell'eventuale modifica o revoca, anche in assenza di circostanze sopravvenute, da parte del collegio, che non condivida le valutazioni dell'organo monocratico. Deve, peraltro, sottolinearsi che il problema dell'impugnabilità si pone anche qualora i provvedimenti ex art. 709-ter c.p.c. siano adottati con ordinanza collegiale nel corso di un procedimento di separazione e divorzio, trattandosi pur sempre di un provvedimento che non può pregiudicare la decisione della causa e può sempre essere modificato e revocato, salvo ritenere che si tratti, nella sostanza, di una sentenza soggetta all'appello camerale con cui il tribunale esaurisce il suo potere decisionale sulla questione.

In base alla disciplina ordinaria dei mezzi d'impugnazione, invece, è esperibile l'appello nelle forme del reclamo camerale stabilite dagli artt. 709-bis c.p.c. e art. 4, comma 15, l. n. 898/1970 nei confronti delle sentenze di separazione e divorzio che intervengano anche ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c.; il reclamo ex art. 739 c.p.c. nei confronti dei decreti di modifica o di quelli emanati ad esito di un'autonoma istanza ex art. 709-ter c.p.c.. A loro volta, le sentenze conclusive dell'appello in sede di separazione e divorzio sono suscettibili di ricorso ordinario per cassazione che è, al contrario, escluso, in virtù dell'art. 739 c.p.c., avverso i decreti camerali di secondo grado della Corte d'appello. Relativamente a tali ultimi provvedimenti occorre, dunque, chiedersi se sia esperibile il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost – oggi equiparato a quello ordinario alla luce dell'art. 360, ultimo comma, c.p.c. – laddove si tratti nella sostanza di sentenze per il loro carattere di decisorietà e definitività che viene, tuttavia, negato per la loro modificabilità e revocabilità in ogni tempo, a prescindere dalle sopravvenienze in base all'art. 742 c.p.c.. Sul punto le indicazioni della Suprema Corte non appaiono chiare, soprattutto in materia di famiglia, ove si tende ad ammettere il ricorso straordinario per cassazione relativamente ai provvedimenti in materia di affidamento e mantenimento (da ultimo Cass., 16 settembre 2015, n. 18194, secondo cui la l. n. 54/2006 ha equiparato la posizione dei figli nati more uxorio a quella dei figli nati da genitori coniugati, estendendo la disciplina in materia di separazione e divorzio anche ai procedimenti ex art. 317-bis c.c., che hanno assunto autonomia procedimentale rispetto ai procedimenti di cui agli artt. 330, 333 e 336 c.c. senza che abbia alcun rilievo il rito camerale. Ne consegue che i decreti emessi dalla Corte d'appello avverso i provvedimenti adottati ai sensi dell'art. 317-bis c.c. relativi ai figli nati fuori dal matrimonio ed alle conseguenti statuizioni economiche, ivi compresa l'assegnazione della casa familiare, sono impugnabili con ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., ora equiparato sostanzialmente al ricorso ordinario in forza del richiamo operato dall'ultimo comma dell'art. 360 c.p.c. ai commi 1 e 3, nel testo novellato dal d.lgs. n. 40/2006), ma ad escluderlo per quelli ex art. 330 e 333 c.p.c. (tra le tante Cass., 14 maggio 2010, n. 11756, secondo cui i provvedimenti, emessi in sede di volontaria giurisdizione, che pronuncino la decadenza dalla potestà sui figli o la reintegrazione in essa, ai sensi degli artt. 330 e 332 c.c., che dettino disposizioni per ovviare ad una condotta dei genitori pregiudizievole ai figli, ai sensi dell'art. 333 c.c. o che dispongano l'affidamento contemplato dall'art. 4, comma 2, l. 4 maggio 1983, n. 184, in quanto privi dei caratteri della decisorietà e definitività in senso sostanziale, non sono impugnabili con il ricorso straordinario per cassazione di cui all'art. 111 Cost. neppure se il ricorrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espressione del diritto di azione; Cass., 4 novembre 2015, n. 22568; Cass., 31 luglio 2015, n. 16227). Di recente, comunque, è stato espresso un orientamento positivo relativamente ai provvedimenti sanzionatori pecuniari e risarcitori ex art. 709-ter c.p.c. (Cass., 8 agosto 2013, n. 18977, secondo cui il provvedimento emesso ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c.., con il quale il giudice, nella controversia insorta tra i genitori in ordine all'esercizio della “potestà genitoriale”, abbia irrogato una sanzione pecuniaria o condannato al risarcimento dei danni il genitore inadempiente agli obblighi posti a suo carico, rivestendo i caratteri della decisorietà e della definitività all'esito della fase del reclamo, è ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.), mentre il problema resta del tutto aperto riguardo alla soluzione dei conflitti genitoriali. Né appare particolarmente significativo il precedente già segnalato del 2010, in cui l'illustrazione della disciplina viene svolta a livello di mero obiter, essendo stata in concreto esclusa la ricorribilità per cassazione del provvedimento sul conflitto genitoriale relativo alla residenza del minore per la sostituzione del provvedimento impugnato con quello successivo presidenziale, adottato nel giudizio di divorzio e, dunque, per carenza d'interesse.

Le linee guida restano, dunque, quelle tracciate da Cass., S.U., 21 ottobre 2009, n. 22238 tra provvedimenti che incidono su diritti e sono idonei al giudicato, sia pure provvisorio, in quanto modificabili e revocabili solo per sopravvenienze oppure, al contrario, quelli nell'interesse del solo minore che sono modificabili e revocabili senza limiti, come avviene per le autorizzazioni del giudice tutelare per cui occorrerebbe risolvere la questione preliminare del regime di stabilità della decisione sul conflitto genitoriale (v. Cass., S.U., 21 ottobre 2009, n. 22238, secondo cui il decreto emesso in camera di consiglio dalla Corte d'appello a seguito di reclamo avverso i provvedimenti emanati dal tribunale sull'istanza di revisione delle disposizioni accessorie alla separazione, in quanto incidente su diritti soggettivi delle parti, nonché caratterizzato da stabilità temporanea che lo rende idoneo ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure rebus sic stantibus, è impugnabile dinanzi alla Cassazione con il ricorso straordinario ai sensi dell'art. 111 Cost. e dovendo essere motivato, sia pure sommariamente, può essere censurato anche per carenze motivazionali, le quali sono prospettabili in rapporto all'ultimo comma dell'art. 360 c.p.c., nel testo novellato dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 che qualifica come violazione di legge il vizio di cui al n. 5 del comma 1 alla luce dei principi del giusto processo che deve svolgersi nel contraddittorio delle parti e concludersi con una pronuncia motivata).

Si può, comunque, osservare che qualora la decisione con cui è risolto il conflitto genitoriale sulla questione di maggiore importanza sia assunta con la sentenza conclusiva dell'appello in sede di separazione e divorzio è ammissibile il ricorso ordinario per cassazione, mentre se la medesima decisione è assunta in un procedimento concernente i figli nati fuori dal matrimonio o in un procedimento di revisione delle condizioni di separazione e divorzio la disciplina potrebbe essere diversa, con un dubbio di legittimità costituzionale relativamente alla ragionevolezza di una disparità di trattamento (sub specie di forme procedurali e di mezzi d'impugnazione) di situazioni identiche dal punto di vista sostanziale.

Altra criticità ravvisabile riguarda le decisioni assunte dalla Corte di appello non quale giudice del reclamo o d'appello, ma quale giudice del procedimento in corso. In tale ipotesi, vi è il problema di verificare la reclamabilità di tale decisione dinanzi ad altra sezione della Corte d'appello o alla Corte d'appello più vicina, alla stregua dell'art. 669-terdecies c.p.c., o, al contrario, ritenere vigente il regime proprio del provvedimento, con conseguente ricorso ordinario per cassazione per la sentenza di appello o eventualmente straordinario per il decreto di revisione.

In conclusione

Questa breve panoramica delle numerose e complesse problematiche processuali relativamente alla soluzione dei conflitti genitoriali, insorti nell'ambito della crisi familiare, rende evidente che la disciplina sia inappagante. Il legislatore avrebbe dovuto dedicare una maggiore attenzione agli aspetti procedurali, sui quali almeno ci si attenderebbe sicurezza in una materia in cui, invece, il contenuto dei provvedimenti resta scarsamente prevedibile, attesa la necessità di un costante adattamento all'interesse concreto del minore.

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