Divieto di partecipare alle riunioni religiose se contrarie all'interesse del minore
25 Maggio 2017
Massima
In caso di conflitto genitoriale sulle scelte religiose dei figli, l'intervento dell'autorità giudiziaria con finalità inibitoria deve ritenersi limitato ai casi in cui si ponga in concreto l'esigenza di salvaguardare il diritto del minore ad un adeguato sviluppo psico-fisico e a mantenere un rapporto equilibrato con entrambe le figure genitoriali e ove risulti accertato il nesso di causa tra il pregiudizio di tali diritti del minore e il rispetto dei precetti religiosi da parte del genitore collocatario. Il caso
Il padre di una minore, “disassociato” dalla fede dei Testimoni di Geova, chiede al Tribunale di vietare alla madre di condurre la figlia alle adunanze religiose di tale fede, in quanto l'osservanza dei precetti di tale confessione religiosa – che vietano il contatto con i “dissociati” – si traduce in una svalutazione della figura paterna, con pregiudizio del diritto della minore a mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori. La madre si oppone, sostenendo che la frequentazione delle assemblee dei Testimoni di Geova da parte della minore ha una finalità meramente ricreativa e il divieto di contatto con i “dissociati” non opera fra i genitori in presenza di un figlio minore. Il Tribunale di Novara accoglie la domanda, evidenziando che la frequentazione da parte della minore di riunioni o assemblee religiose dei Testimoni di Geova risulta pregiudizievole per l'interesse della stessa a mantenere e sviluppare un sano rapporto con le figure genitoriali e, in specie, con il padre a seguito delle conseguenze relative al suo abbandono da tale fede religiosa. La questione
La questione in esame è la seguente: in caso di contrasto fra i genitori, il giudice può vietare ad uno di essi di far partecipare il figlio minore ai riti e alle manifestazioni relative alla professione religiosa di uno dei genitori e nello specifico caso alle adunanze del Regno dei Testimoni di Geova? Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale di Novara ha accolto la domanda del padre di una minore, formulata nell'ambito di un procedimento di modifica delle condizioni della separazione consensuale, di inibitoria alla madre di condurre la figlia alle adunanze o assemblee religiose dei Testimoni di Geova, in quanto gravemente pregiudizievole per l'interesse della minore. Il Tribunale muove dalla considerazione che in presenza di un conflitto genitoriale sulle scelte religiose dei figli, l'intervento dell'autorità giudiziaria con finalità inibitoria deve essere circoscritto alla tutela del preminente interesse del minore a mantenere un rapporto equilibrato con entrambe le figure genitoriali e si giustifica nella misura in cui risulti accertato un nesso eziologico fra il pregiudizio dei diritti del minore e il rispetto dei precetti religiosi da parte di un genitore. Nel caso di specie, il Tribunale ha accertato che il padre della minore aveva abbandonato la fede dei Testimoni di Geova e ciò ne aveva comportato l'esclusione sia dalla comunità religiosa sia, soprattutto, dall'intero nucleo familiare materno e financo dalla propria famiglia di origine, in ossequio ai precetti di tale fede religiosa che impongono agli associati di non mantenere contatti con i dissociati, con i quali non possono nemmeno consumare i pasti. Il Tribunale ha osservato che il comportamento tenuto dai familiari della minore comporta un concreto, attuale e grave pregiudizio per l'interesse della minore a mantenere e sviluppare un rapporto sano con entrambe le figure genitoriali. In particolare, secondo il Tribunale l'educazione della minore alla fede dei Testimoni di Geova rischia di farla crescere in un contesto che ostracizza e svaluta la figura di paterna, ove il rapporto fra i propri genitori, lungi dall'essere improntato alla massima collaborazione, è vissuto come sottoposto ad un “regime permissivo derogatorio”, con la conseguenza che ella finisce per considerare il padre una persona da tenere lontana in considerazione della sua scelta di abbandono della fede. Il Tribunale di Novara ritiene dunque che la tutela dell'interesse della minore giustifichi il divieto alla madre e ai nuclei familiari paterno e materno di condurre la minore alle riunioni o assemblee religioni dei Testimoni di Geova. Osservazioni
La pronuncia in esame si inserisce nell'ampio dibattito sulla educazione religiosa dei minori in ipotesi di conflitto genitoriale. L'art. 9 CEDU salvaguardia il diritto di libertà religiosa ed enuncia il diritto dell'individuo alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, circoscrivendone gli eventuali limiti imposti dai singoli Stati a ben definiti margini di tassatività. La Convezione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, in Italia con la l. 27 maggio 1991, n. 176, riconoscere al minore la libertà di pensiero, di coscienza e di religione e considera il minore come soggetto di diritti autonomi e propri e non già come mero oggetto di diritti-doveri, ovvero di “potestà genitoriali”, così inaugurando una visione “puerocentrica” degli interessi e dei diritti del minore, sì da assicurarne sempre maggiori tutele all'autonomia decisionale e formativa. A livello nazionale, l'art. 2 Cost. assicura il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità e, dunque, anche nella famiglia e l'ambito familiare. Gli artt. 29 e 30 Cost. affermano, poi, il diritto-dovere del genitore di educare il figlio nel rispetto delle proprie convinzioni religiose, tenuto conto della inclinazione naturale e aspirazione del minore. Dal complesso di tali fonti si evince, da un lato, il diritto dei genitori alla propria libertà religiosa e il conseguente diritto dei medesimi ad educare il minore nel rispetto delle proprie convinzioni religiose e, dall'altro lato, la esigenza di tutela della libertà religiosa del minore. Sotto il primo profilo, la giurisprudenza, chiamata in più occasioni a risolvere questioni attinenti all'educazione religiosa dei minori in presenza di conflitto genitoriale, ha affermato che il credo religioso dei genitori non può essere considerato come “criterio rilevante per la scelta del genitore affidatario”, al pari delle idee politiche o del mutamento di fede religiosa (cfr. Cass. civ., sez. VI, 19 luglio 2016, n. 14728). In tale contesto, con precipuo riguardo, alle ipotesi di disgregazione del nucleo familiare da parte digenitori di fede diversa ed appartenenti al culto dei Testimoni di Geova, la giurisprudenza privilegia l'interesse del minore, sottolineando, che la fede professata dai genitori non rientra tra le componenti che determinano il giudizio sulla maggiore attitudine a curare gli interessi dei figli, di guisa che essa non può avere alcun rilievo sia ai fini dell'affidamento e del collocamento della prole sia per la determinazione delle modalità di incontro tra figli e il genitore non affidatario o non collocatario, fermo restando il potere del giudice di prevedere - nell'interesse del minore - specifiche prescrizioni e divieti a carico del genitore collocatario, la cui adesione alla confessione dei Testimoni di Geova si riveli pregiudizievole per l'equilibrio e la salute psichica del minore (Cass. civ.,sez. I, 12 giugno 2012, n. 9546). Parimenti, la giurisprudenza prevalente esclude che il mutamento di confessione religiosa di uno dei due coniugi possa essere causa di addebito della separazione, ove tale mutamento non si traduca in comportamenti incompatibili con concorrenti doveri di coniuge e di genitore privilegiati dagli artt. 143 e 147 c.c., atteso che l'adesione ad una nuova confessione religiosa, sebbene possa incidere sull'armonia della coppia, rappresenta l'esercizio dei diritti garantiti dall'art. 19 Cost.(Cass. civ., sez. VI, 19 luglio 2016, n. 14728; Cass. civ., sez. I, 7 febbraio 1995, n. 1401;Cass. civ., sez. I, 23 agosto 1985, n. 4498). Sotto il secondo profilo, concernente la tutela della libertà religiosa del minore, la giurisprudenza ha evidenziato che l'educazione religiosa del minore costituisce uno degli “affari essenziali” (art. 145, comma 2, c.c.) per la vita del fanciullo, di guisa che in caso di disaccordo, la scelta è rimessa al giudice. In particolare, trattandosi di una delle questioni di maggiore importanza per la vita del minore, anche in caso di disgregazione del nucleo familiare, la scelta della religione deve essere assunta “di comune accordo” da padre e madre (art. 337-bis, comma 3, c.c.), anche ove sia stato fissato un regime di affidamento esclusivo (art. 337- quater, comma 3, c.c.). In caso di contrasto insanabile, è dato ricorso al giudice: non è, dunque, ammissibile una decisione unilaterale del singolo genitore, salvo il caso eccezionale dell'affidamento esclusivo con concentrazione delle competenze genitoriali (cd. affido esclusivo rafforzato, sul punto Trib. Milano, 20 marzo 2014). La Suprema Corte (Cass. civ., sez. I, 4 novembre 2013, n. 24683; Cass. civ.,sez. I, 12 giugno 2012, n. 9546) ha affermato che, in tali casi, il giudice è chiamato ad effettuare un bilanciamento fra il diritto del genitore di professare la propria fede religiosa, tutelato all'art. 19 Cost. e l'esigenza di tutela del diritto del minore, imposta dall'art. 30 Cost. La giurisprudenza di merito, chiamata a dirimere il contrasto fra i genitori in ordine alla educazione religiosa da impartire al minore, ritiene inammissibile l'individuazione della confessione religiosa da impartirsi al minore, non essendo possibile stabilire una gerarchia di valore tra le diverse confessioni religiose; se, tuttavia, il minore è già sufficientemente maturo, i genitori dovranno attribuire prevalenza alla volontà del figlio, laddove, al di fuori di tale ipotesi, l'intervento del giudice è circoscritto alle ipotesi in cui l'educazione religiosa data da un genitore contrasti con l'interesse del minore (Trib. Roma 2 febbraio 1988). A tale ultimo riguardo, è stato affermato che l'educazione del figlio, secondo i precetti di un determinato credo religioso (nella specie, quello dei Testimoni di Geova) non costituisce, in linea di principio, una condotta pregiudizievole per il minore ove sia effettuata in modo tale da non turbarne la crescita equilibrata e non impedire allo stesso di effettuare in futuro le proprie scelte religiose in autonomia (Trib. Min. Venezia 10 maggio 1990). Parimenti, è stato ritenuto che l'avvio da parte del minore di percorso di catechesi non si profila, in linea di principio, lesivo di un diritto proprio del minore alla sua libertà religiosa, ove tale percorso sia stato bene accettato dal minore, laddove, per converso, una sua eventuale interruzione rappresenterebbe nella vita del minore un'ingerenza troppo invasiva che lo farebbe sentire diverso dai coetanei e gli farebbe percepire in maniera maggiormente incisiva il conflitto genitoriale, con conseguente pregiudizio per la sua serenità e stabilità nello sviluppo e nella crescita (Trib. Asti 4 aprile 2013). In tale contesto, il giudice di merito ha tuttavia previsto limitazioni e divieti a carico di un genitore (quali, il divieto di condurre il figlio alle adunanze religiose dei Testimoni di Geova), al fine di risolvere il conflitto genitoriale nel quadro delle preminenti ragioni di tutela del minore (Trib. Prato 13 febbraio 2009; Trib. Napoli 4 gennaio 2006; Trib. Palermo 12 febbraio 1990). La tendenza della giurisprudenza è dunque nel senso di ricomprendere nel concetto di interesse del minore il diritto ad un educazione, anche religiosa, scevra da fanatismi e faziosità e da regole di vita eccessivamente rigorose e volte all'autoisolamento collettivo, ma al contrario, aperta, tollerante e cosmopolita, che possa fare del minore un “cittadino del mondo” capace di inserirsi in maniera serena e solare nella comunità umana e civile. Tale interesse con riferimento ai diritti sopra evidenziati non può che trovare fondamento nel garantire un equilibrato rapporto con entrambe le figure genitoriali. G. Grazioso, Affidamento e tutela del minore e fattore religioso, Dir. famiglia, fasc. 4, 2010, 1786; P. Lillo, Libertà del minore nella sfera educativa e religiosa, Dir. famiglia, fasc. 4, 2009, 1921 M. Tiby, Adesione ad un nuovo credo, interesse del minore e limiti all'esercizio del diritto alla libertà religiosa, Fam. e dir., 2000, 194 |