Corte d’appello di Milano: primo sì all’adozione mite per le coppie omosessuali

Alessandro Simeone
26 Aprile 2017

La Corte d'appello di Milano, riformando integralmente due sentenze del Tribunale per i minorenni, ha disposto farsi luogo all'adozione “incrociata”, ai sensi dell'art. 44 lett. d), l. n. 184/1983, di due minori, ciascuna delle quali figlia biologica di una sola delle componenti la coppia omosessuale.

Il caso. Tizia e Caia avevano chiesto al Tribunale per i minorenni di Milano, con due distinti ricorsi poi riuniti, di poter adottare ciascuna la figlia dell'altra. A tal fine avevano evidenziato al giudice di primo di grado: a) di avere una stabile relazione affettiva sin dal 2002 e di convivere dal 2005; b) di essersi iscritte nel registro delle unioni civili nell'ottobre 2012; c) di avere maturato un progetto di genitorialità condivisa, cosicché, ricorrendo a tecniche di procreazione medicalmente assistita mediante il seme del medesimo donatore, Tizia aveva dato alla luce Sempronia nel 2011 e Caia aveva dato alle luce Caietta nel 2012; d) di avere ognuna seguito la gestazione dell'altra; e) di aver sempre vissuto come una famiglia vera e propria, da tutti riconosciuta come tale nell'ambito del contesto sociale frequentato dalle madri e dalle minori. Le relazioni del Servizio Adozioni della ATS Milano concludevano confermando quanto esposto dalle ricorrenti in merito alla solidità della relazione familiare, evidenziando che la responsabilità genitoriale era esercitata congiuntamente dalla due donne per entrambe le figlie, sottolineando la serenità delle minori che chiamavano mamma entrambe le donne e rilevando le elevate capacità e competenze genitoriali delle donne. Il P.M. concludeva, con motivato parere, per l'accoglimento di entrambe le domande.

Ciò nonostante il Tribunale per i minorenni di Milano, con sent. 17 ottobre 2016 (v. No all'adozione del figlio del convivente da parte del partner eterosessuale non coniugato, in ilFamilairista.it) ha respinto entrambe le richieste, ritenendo, in sintesi e in contrasto con la giurisprudenza maggioritaria, anche di legittimità, che il presupposto per l'adozione ai sensi dell'art. 44 lett. d) l. n. 184/1983, dovesse sempre essere rinvenuto nell'impossibilità di fatto -e non anche di diritto- dell'affidamento preadottivo e assumendo dunque che l'adozione in casi particolari debba sempre essere preceduta dall'accertamento dello stato di abbandono dell'adottando, insussistente nel caso di specie.

Tizia (per Caietta) e Caia (per Sempronia) hanno impugnato la sentenza con due distinti ricorsi, poi riuniti, evidenziando di avere, nel frattempo e giusta l'entrata in vigore della l. n. 76/2016, costituito, in data 4 novembre 2016, unione civile.

La Corte d'appello, previo motivato parere favorevole del Procuratore Generale, ha accolto le domande di Tizia e Caia.

Si deve procedere all'adozione, ex art. 44 lett. d) l. n. 184/1983 nel caso di impossibilità di fatto o di diritto di affidamento preadottivo. La Corte ha aderito all'orientamento predominante, secondo cui «l'ipotesi di cui all'art. 44 lettera d) si riferisce a casi che non richiedono necessariamente la dichiarazione di adottabilità o l'esperimento dell'affidamento preadottivo di cui all'art. 7, il che è a dire che la norma prevede una impossibilità dell'affidamento preadottivo non solo di fatto» ma anche di diritto.

I Giudici di secondo grado peraltro hanno osservato che il Tribunale per i minorenni aveva qualificato come “tradizionale” l'orientamento interpretativo restrittivo (quello che prevede come requisito l'impossibilità di fatto -e non anche di diritto- di affidamento preadottivo) senza indicare alcun precedente specifico ed anzi contraddicendosi, giacché lo stesso Tribunale per i minorenni di Milano, sin dal 2007 e seppure con riferimento a una coppia eterosessuale aveva interpretato l'art. 44 lett. d) l. n. 184/1983, nel senso esattamente opposto a quello di cui alla sentenza impugnata.

La c.d. Legge Cirinnà non esclude la possibilità per le coppie omosessuali di accedere all'adozione “mite”. Contrariamente a quanto dedotto nella sentenza impugnata, per la Corte, lo stralcio della norma sulla stepchild adoption, non può essere interpretato come conferma del divieto di accesso assoluto delle coppie omosessuali all'istituto dell'”adozione in casi particolari”; infatti l'introduzione, nell'ultimo capoverso dell'art. 1, comma 20, l. n. 76/2016, della locuzione «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalla norme vigenti» deve interpretato come conferma «dell'interpretazione giurisprudenziale, così come si è sviluppata nel tempo e come indicata da ultimo dalla Suprema Corte di Cassazione con sent. n. 12962/16».

L'interpretazione adottata dal Tribunale per i minorenni dell'art. 44 lett. d) aprirebbe problemi di incostituzionalità della norma. La Corte ribadisce che l'unico criterio che deve guidare il Giudice è quello dell'interesse del minore, indipendentemente dall'orientamento sessuale del genitore. «La piena equiparazione, sotto il profilo che qui interessa, dei diritti dei figli dei genitori coniugati e dei figli di genitori uniti civilmente o conviventi, siano essi eterosessuali o omosessuali, si ha oggi attraverso una interpretazione estensiva, o meglio, evolutiva, dell'art. 44 lett. d), profilandosi, in caso contrario, un problema di incostituzionalità dell'art. 44 per violazione del principio di eguaglianza, a maggior ragione dopo l'approvazione della legge sulle unioni civili».