In pendenza del giudizio di separazione il giudice ordinario decide sui figli

Paolo Rampini
27 Settembre 2016

La questione affrontata dalla Suprema Corte ha indubbiamente caratteristiche di novità e concerne i limiti di estensibilità della previsione di cui all'art. 38, disp. att. c.c.: la norma è ordinariamente interpretata nel senso che, per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., la competenza è attribuita in via generale al Tribunale per i minorenni ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c., e fino alla sua definitiva conclusione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale spettano al giudice del conflitto familiare.
Massima

L'attrazione della competenza in favore del Tribunale ordinario in luogo del Tribunale per i minorenni, prevista dall'art. 38 disp. att. c.c. con riferimento ai procedimenti di cui all'art. 333 c.c. e agli altri provvedimenti indicati dal comma 1 dello stesso articolo, opera anche per il caso di pendenza avanti al Tribunale ordinario di giudizio di modifica delle condizioni di separazione, in applicazione del principio di concentrazione delle tutele.

Il caso

È stato introdotto avanti al Tribunale ordinario di Napoli dalla madre di due figlie minori, nei confronti del padre, un giudizio di modifica delle condizioni di separazione in relazione all'affidamento delle figlie, che la donna chiedeva divenisse esclusivo in suo favore anziché condiviso, nonché con riferimento al divieto ovvero alla limitazione, che parimenti chiedeva, del diritto del padre di vedere e tenere con sé le figlie. Essendo successivamente promosso avanti al Tribunale per i minorenni di Napoli dal P.M.M. nei confronti del padre un procedimento qualificato ex art. 333 c.c. fondato sulle lamentate condotte di stalking di questi in odio alla madre e alle figlie, il secondo giudice ricusava di declinare la sua competenza ex art. 38, comma 1, II p.te, c.c. in favore del Tribunale ordinario poiché avanti a quest'ultimo pendeva un giudizio differente da quelli (dalla citata norma contemplati) di separazione, di divorzio ovvero ex art. 316 c.c., né era ravvisabile fra i due processi un rapporto di litispendenza, non essendovi identità di parti, né di continenza. Il padre ha, quindi, proposto regolamento di competenza e la Cassazione, in conformità alle conclusioni del Procuratore Generale, ha affermato la competenza del Tribunale ordinario, cassando la decisione del Tribunale per i minorenni di Napoli.

La questione

La questione affrontata dalla Suprema Corte nella pronuncia in commento ha indubbiamente caratteristiche di novità e concerne i limiti di estensibilità della previsione di cui all'art. 38, disp. att. c.c., come da ultimo sostituito dall'art. 3, comma 1,l. 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall'1 gennaio 2013. La norma è ordinariamente interpretata nel senso che, per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., la competenza è attribuita in via generale al Tribunale per i minorenni ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel giudice ordinario (v. ex aliis Cass., sez. VI, ord., 26 gennaio 2015, n. 1349, che ha peraltro puntualizzato come la competenza rimanga del Tribunale ordinario ove «sia ancora in corso il giudizio di primo grado, mentre appartenga alla corte d'appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello»). L'innovazione legislativa è letta dalla giurisprudenza in coerenza con le preminenti ragioni di economia processuale e di tutela dell'interesse superiore del minore, che trovano fondamento nell'art. 111 Cost., nell'art. 8 CEDU e nell'art. 24 della Carta di Nizza (v. Cass., sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 2833). La Suprema Corte, nella fattispecie qui oggetto di analisi, ha equiparato, ai fini dell'applicazione del citato art. 38 disp. att. c.c., ai giudizi di separazione quelli di modificazione delle condizioni stabilite nei medesimi giudizi, affermando, inoltre, l'irrilevanza del fatto che il processo minorile sia stato promosso dal pubblico ministero.

Le soluzioni giuridiche

La soluzione data dalla Suprema Corte con la pronuncia qui esaminata è in sé inevitabilmente nuova, trattandosi di un caso per la prima volta sottoposto al giudice di legittimità, ma si colloca in termini di continuità nel solco di un orientamento che, pur nella brevità dell'arco temporale di riferimento, appare ispirato alla volontà di assicurare la funzione sostanziale della norma, identificata nel conseguimento dell'unitarietà dei giudizi. La Cassazione, pur ribadendo che, per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., la competenza è attribuita in via generale al Tribunale per i minorenni (v. Cass. civ., sez. VI, ord., 26 gennaio 2015, n. 1349), ha evitato di privilegiare in chiave d'interpretazione sistematica il giudice specializzato, da un lato ancorandosi rigorosamente al criterio temporale della prevenzione (v. Cass. civ., sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 2833) e, dall'altro lato, espandendo, nel quadro di un'esegesi estensiva della disposizione contenuta nell'art. 38 disp. att. c.c., le possibilità di attrazione della competenza in favore del giudice ordinario. La Suprema Corte ha quindi ritenuto competente il giudice del procedimento di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c. già in corso, anche se quest'ultimo versi in uno stato di quiescenza, ovvero sia stata promossa impugnazione, ovvero ancora non sia ancora decorso il termine per la stessa e ha affermato che il necessario requisito dell'identità delle parti dei due giudizi ai fini dell'attrazione non è escluso dalla partecipazione, anche in caso di iniziativa officiosa, dei due diversi pubblici ministeri (v. Cass. civ.,sez. VI-1,ord., 26 gennaio 2015, n. 1349 citata; si veda peraltro in senso difforme quanto affermato da Cass. n. 21633/2014 - in via di mero obiter dictum -secondo cui l'attrazione della competenza del Tribunale ordinario adìto per la separazione o per il divorzio non può operare sul ricorso del pubblico ministero minorile proposto al Tribunale per i minorenni in caso di condotta dei genitori pregiudizievole per il figlio minore, non sussistendo tra i due giudizi il requisito della «identità delle parti»).

Osservazioni

La sentenza in commento costituisce una tappa nell'evoluzione dell'esegesi dottrinale e soprattutto giurisprudenziale dell'art. 38, comma 1, disp. att., c.c., come novellato dall'art. 3 l. 10 dicembre 2012, n. 219, interpretazione resa complessa e faticosa dalla scarsa chiarezza del dettato normativo, che ha immediatamente posto all'interprete numerosi problemi di non agevole soluzione.

Fra questi, quello dell'applicabilità della vis attractiva al caso in cui uno dei giudizi sia stato promosso da un soggetto differente dai genitori e, in particolare, dal pubblico ministero presso il Tribunale per i minorenni (problema in relazione al quale la dottrina è stata da subito divisa; per una soluzione più rigorosamente ancorata al dato testuale si veda F. Tommaseo, I procedimenti de potestate e la nuova legge sulla filiazione, in Riv. dir. proc., 2013, 571; in senso parzialmente difforme, si veda invece F. Danovi, I procedimenti de potestate dopo la riforma, tra tribunale ordinario e giudice minorile, in Fam. dir., 2013, 624) è stato espressamente risolto da Cass. civ., sez. VI-1,ord., 26 gennaio 2015, n. 1349, nel solco della quale si colloca, dando una lettura “sostanzialistica” della norma di riferimento, la Cassazione con l'ordinanza 12 febbraio 2016 in esame.

La stessa interpretazione, improntata alla deliberata sottovalutazione del dato letterale e tesa viceversa a privilegiare la funzione normativa, ravvisata in quella di assicurare che siano concentrate in un solo processo la trattazione e la decisione delle due cause nelle quali siano parti entrambi i genitori e nelle quali si rifletta il contenzioso afferente l'esercizio della responsabilità parentale (con le sue eventuali limitazioni e ablazioni), se del caso riducendo l'ambito di competenza del giudice minorile specializzato, ha portato la Suprema Corte, nel caso che occupa, a equiparare il giudizio di modificazione delle condizioni di separazione a quello di separazione, che l'art. 38 disp. att. c.c. indica (con gli altri giudizi specificamente riportati nella norma, fra i quali non vi sono peraltro i procedimenti modificativi) come suscettibile di trasferire la competenza dal Tribunale per i minorenni a quello ordinario.

In questo modo la Cassazione ha del resto risolto un dubbio interpretativo che già aveva affaticato i primi commentatori.

Valorizzando la ratio ispiratrice dell'intervento normativo, infatti, già Tommaseo aveva suggerito un'esegesi estensiva rispetto alla lettera della legge, ammettendo anche per quest'ipotesi la competenza del giudice ordinario (F. Tommaseo, cit., 570; si vedano anche F. Danovi, cit., 623; si veda altresì C.M. Cea, Profili processuali della legge 219/2012, in GPC, 2013, 226, per il quale la vis attractiva sussisterebbe unicamente laddove si deduca anche avanti al giudice ordinario la questione dell'affidamento del minore).

Occorre a questo punto rilevare come la linea di tendenza sviluppatasi nel senso dell'interpretazione che privilegia la ratio dell'art. 38 disp. att. c.c. rispetto al dato letterale nonostante si tratti di applicare norme processuali, con un'operazione interpretativa come anzi detto fondata su ragioni di economia processuale e di tutela dell'interesse del minore il cui fondamento è dalla giurisprudenza derivata dall'art. 111 Cost., dall'art. 8 CEDU e dall'art. 24 della Carta di Nizza, non costituisce in sé una novità. Essa appare, infatti, costante negli arresti della Suprema Corte succedutisi negli ultimi anni eha trovato applicazione, in funzione dell'attrazione della competenza – come già ampiamente sottolineato - anche in caso di processo ordinario quiescente, di processo nel quale sia stata promossa impugnazione ovvero di decisione per la quale non sia ancora decorso il termine per il gravame, oltre che nell'ipotesi di azione minorile proposta dal pubblico ministero.

Anche in questi casi si tratta di questioni su cui già si era affaticata la dottrina (se per F. De Marzo, Novità legislative in tema di affidamento e di mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, profili processuali, 2013, 78, è invero sufficiente la mera pendenza del giudizio ordinario, altri Autori ritengono che l'effetto attrattivo non operi in caso di procedimenti sospesi – V. Montaruli, Profili sostanziali e processuali relativi alla legge 10 dicembre 2012, n. 219, 21; analogamente è stato ritenuto non operare l'attrazione per i processi cancellati dal ruolo – F. Danovi, cit., 622, ovvero ancora per i procedimenti per i quali era tuttora pendente il termine per impugnare – V. Montaruli, cit., 21).

Il dato più rilevante da sottolineare nel commentare la sentenza in esame appare dunque, alla luce delle considerazioni svolte e dell'inquadramento sistematico abbozzato, non già quello dell'identificazione della soluzione in concreto adottata, soluzione che si traduce peraltro in un intervento sostanzialmente additivo rispetto alla lettera dell'art. 38, disp. att. c.c. sicuramente di significativa portata pratica, bensì quello di dover rimarcare la coerenza logico – giuridica della scelta interpretativa effettuata dai giudici della Suprema Corte nel caso di specie rispetto ai precedenti arresti, oltretutto con una scelta motivazionale caratterizzata da significativa concisione, quasi parendo volersi così enfatizzare, nel superare la lettera della norma, la profonda convinzione nella scelta esegetica effettuata.

Ne consegue la possibilità di arrischiare una prognosi di plausibile ripetizione da parte dei giudici di legittimità di soluzioni interpretative analogamente improntate a valutazioni sostanzialiste nelle prossime decisioni che la Cassazione sarà chiamata ad adottare con riferimento ai riflessi processuali da attribuire all'art. 38, comma 1, disp. att. c.c., norma che, come si è già avuto modo di rilevare in dottrina è suscettibile di critiche per la sua “oscurità”, con il corollario di una ragionevole prevedibilità – salvo errori - delle future decisioni della Suprema Corte in casi analoghi che deve essere qui salutata come un valore aggiunto per l'operatore, costretto a muoversi con fatica in una materia troppo spesso caratterizzata da dubbi interpretativi di grande impatto pratico e di incerta risoluzione giuridica.

Guida all'approfondimento

- A. Proto Pisani, Note sul nuovo articolo 38 disp. att., c.c. e sui problemi che esso determina, in Foro it., 2013;

- F. Tommaseo, Profili processuali della nuova legge sulla filiazione, 2013;

- A. Graziosi, Una buona novella di fine legislatura: tutti i figli hanno eguali diritti, dinanzi al Tribunale ordinario, Fam. dir., 2013;

- B. Poliseno, Il nuovo riparto di competenza, Giur. It., 2014.

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