Responsabilità civile
RIDARE

Danno biologico temporaneo

09 Giugno 2014

Il danno biologico temporaneo può definirsi come l'insieme dei pregiudizi anatomo-funzionali, dinamico-relazionali e di sofferenza psico-fisica subiti dalla vittima, in conseguenza della lesione del diritto alla salute, limitatamente al periodo di malattia: vale a dire, nell'intervallo di tempo fra l'evento dannoso e la guarigione ovvero la stabilizzazione dei postumi permanenti.

Inquadramento

BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

Il danno biologico temporaneo può definirsi come l'insieme dei pregiudizi anatomo-funzionali, dinamico-relazionali e di sofferenza psico-fisica subiti dalla vittima, in conseguenza della lesione del diritto alla salute, limitatamente al periodo di malattia: vale a dire, nell'intervallo di tempo fra l'evento dannoso e la guarigione ovvero la stabilizzazione dei postumi permanenti.

Un corretto inquadramento del danno biologico temporaneo, inteso quale “voce” del danno non patrimoniale, richiede la disamina del decennale dibattito sviluppatosi sull'art. 2059 c.c.

Ciò consentirà di comprenderne la natura unitaria e onnicomprensiva, anche (e soprattutto) alla luce dei recenti arresti della Suprema Corte in tema di separata liquidazione del danno da sofferenza interiore e del danno dinamico-relazionale.

Si affrontano altresì le questioni relative all'accertamento e agli oneri di allegazione e prova del danno biologico temporaneo, dando conto dei problematici interventi del Legislatore (dalle modifiche del Codice delle assicurazioni private con il d.l. n. 1/2012, convertito dalla l. n. 27/2012 fino alla recente c.d. Legge Concorrenza n. 124/2017) e dei chiarimenti della Corte Costituzionale.

Viene, infine, esaminato il tema della liquidazione del danno biologico temporaneo, distinguendo i criteri legali (riconducibili all'art. 139 cod. ass.) da quelli equitativi-tabellari.

In evidenza

In tema di danno biologico, la cui liquidazione deve tenere conto della lesione dell'integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell'invalidità temporanea e di quella permanente, quest'ultima è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l'individuo non abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi. Ne consegue che il danno biologico di natura permanente deve essere determinato soltanto dalla cessazione di quello temporaneo, giacché altrimenti la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti comporterebbe la duplicazione dello stesso danno (ex pluribus v. Cass. civ., sent. n. 26897/2014).

Il danno biologico temporaneo quale voce del danno non patrimoniale

Il danno biologico temporaneo costituisce una voce del danno non patrimoniale.

Per comprenderne l'essenza è dunque necessario chiarire preliminarmente la nozione di danno non patrimoniale, dando conto (seppur per brevi cenni) di quel “diritto vivente” sulla responsabilità civile che trova nell'elaborazione del danno alla persona la sua massima espressione (per una compiuta disamina si rimanda a D. SPERA, Tabelle milanesi 2018 e danno non patrimoniale, in Officine del Diritto, Giuffrè, 2018).

Come è noto, la norma di riferimento è l'art. 2059 c.c., secondo cui «il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge».

Fino alle c.d. “sentenze di San Martino” (Cass. civ., Sez. Un.,11 novembre 2008 n. 26972; Cass. civ., Sez. Un.,11 novembre 2008 n. 26973; Cass. civ., Sez. Un.,11 novembre 2008 n. 26974 e Cass. civ., Sez. Un.,11 novembre 2008 n. 26975), per danno non patrimoniale si intendeva, pressoché come sinonimo, il danno morale soggettivo, quale «transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima».

La norma, inoltre, trovava applicazione quasi esclusivamente nelle ipotesi di reato, atteso che l'art. 185 c.p. prevede in termini generali che ogni reato, il quale abbia cagionato (tra l'altro) un danno non patrimoniale, obbliga al risarcimento.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 184/1986

La Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 184/1986, evidenziava che l'art. 2043 c.c. è una “norma in bianco”. Ebbene, «la vigente Costituzione, garantendo principalmente valori personali, svela che l'art. 2043 c.c. va posto soprattutto in correlazione agli articoli dalla Carta fondamentale (che tutelano i predetti valori) e che, pertanto, va letto in modo idealmente idoneo a compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa dell'illecito. L'art. 2043 c.c., correlato all'art. 32 Cost., va necessariamente esteso fino a comprendere il risarcimento, non solo dei danni in senso stretto patrimoniali ma (esclusi, per le ragioni già indicate, i danni morali subiettivi) tutti i danni che, almeno potenzialmente, ostacolano le attività realizzatrici della persona umana».

La Corte distingueva il danno biologico quale evento del fatto lesivo della salute (e dunque anche in assenza degli elementi costitutivi del reato di lesioni) dal danno morale soggettivo (che rimaneva liquidabile solo in presenza di reato) e dal danno patrimoniale, che appartenevano, invece, alla categoria del danno-conseguenza in senso stretto.

Conseguentemente, la sentenza della Corte Costituzionale n. 184/1986 affermava che «da un canto, la giurisprudenza successiva all'emanazione del vigente codice civile identifica quasi sempre il danno morale (o non patrimoniale) con l'ingiusto perturbamento dello stato d'animo del soggetto offeso e, dall'altro, ancor oggi la prevalente dottrina riduce il danno non patrimoniale alla sofferenza fisica (sensazione dolorosa) o psichica. Se, dunque, secondo il diritto vivente, l'art. 2059 c.c., che, peraltro, pone soltanto una riserva di legge, fa riferimento, con l'espressione "danno non patrimoniale", al solo danno morale subiettivo, lo stesso articolo si applica soltanto quando all'illecito civile, costituente anche reato, consegue un danno morale subiettivo».

Le sentenze “gemelle” Cass. civ., nn. 8827-8828/2003 e la sentenza della Corte Cost. n. 233/2003

Tale impostazione mutava sensibilmente a seguito della svolta storica operata dalle c.d. sentenze “gemelle” della Corte di Cassazione (Cass. civ., 31 maggio 2003 n. 8827 e Cass. civ., 31 maggio 2003 n. 8828, nonché dalla sentenza della Corte Cost. n. 233/2003.

In relazione al limite derivante dalla riserva di legge prevista dall'art. 2059 c.c., si prediligeva «una lettura della norma costituzionalmente orientata», che «impone di ritenere inoperante il detto limite se la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti».

Conseguiva che «il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela e in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale».

L'art. 2059 c.c. assumeva quindi «una funzione non più sanzionatoria, ma soltanto tipizzante dei singoli casi di risarcibilità del danno non patrimoniale» e diventava norma idonea a ricomprendere «ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona» (così Corte Cost. sent.n. 233/2003).

Da quanto sinora esposto emerge che, fino alle sentenze di San Martino, il danno biologico veniva sempre nettamente distinto dal danno morale soggettivo, ravvisandosi in quest'ultimo una conseguenza del primo oppure il contenuto essenziale del danno non patrimoniale nelle ipotesi di reato e degli altri specifici “casi determinati dalla legge”.

Le Sezioni Unite di San Martino (nn. 26972, 26973, 26974 e 26975/2008)

Per quanto di rilievo ai nostri fini, le sentenze di San Martino stigmatizzano, anzitutto, che l'interpretazione dell'art. 2059 c.c. come contenitore del solo danno morale soggettivo transeunte deve essere definitivamente superata: «la formula "danno morale" non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata».

È fondamentale evidenziare che, per le sentenze di San Martino, le nozioni di danno biologico, di danno morale soggettivo e di danno esistenziale assumono solo una valenza descrittiva della categoria del danno non patrimoniale: «il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno».

Bisogna pertanto distinguere se la sofferenza soggettiva sia in sé considerata o sia componente di un più complesso pregiudizio non patrimoniale: ricorre il primo caso (ad esempio) nel dolore che subisce la persona diffamata; se, invece, vi sono degenerazioni patologiche della sofferenza, si rientra nell'area del danno biologico del quale ogni sofferenza fisica o psichica, per sua natura intrinseca, costituisce componente.

E ancora, premettendo di accogliere la nozione di danno biologico recepita negli artt. 138 e 139 cod. ass. (v. infra), le Sezioni Unite stigmatizzano che il c.d. danno alla vita di relazione è ormai assorbito nel danno biologico nel suo aspetto dinamico, il quale può contenere solo come voci i «pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell'integrità psicofisica, sicché darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione».

Con le Sezioni Unite di San Martino, dunque, il danno non patrimoniale assurge a categoria unitaria e onnicomprensiva.

Ciò deve essere interpretato rispettivamente nel senso di:

- unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;

- onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative in pejus della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall'evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di articolata, compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto del danno, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni (in questi termini, richiamando i dicta di San Martino, v. le recenti Cass. ord. n. 20920/2018, Cass. ord. n. 9057/2018).

Per quanto attiene, infine, alla riserva di legge contenuta nell'art. 2059 c.c., per le sentenze di San Martino il danno non patrimoniale è risarcibile, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dello stesso art. 2059 c.c., nei seguenti casi:

a) in tutte le fattispecie di reato ex art. 185 c.p.;

b) nelle ipotesi specificamente previste dalla legge;

c) quando ricorra la lesione dei diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione e, cioè, in presenza di una ingiustizia costituzionalmente qualificata (purché trattasi di un'offesa grave che abbia cagionato un pregiudizio serio. Sul filtro della gravità dell'offesa e della serietà del danno v. amplius D. SPERA, Danno non patrimoniale, in Ridare.it).

In mancanza di una di queste "tre chiavi" non si apre la porta del risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c.

La definizione di danno biologico temporaneo

Tanto premesso sull'evoluzione della categoria del danno non patrimoniale, procediamo ora con la definizione del danno biologico temporaneo.

La nozione di danno biologico temporaneo si ricava dagli artt. 138 e 139 cod. ass.(d.lgs. n. 209/2005).

Ai sensi degli artt. 138 comma 2 lett. a) e 139 comma 2 cod. ass. «per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito».

Come evidenziato nelle Sezioni Unite di San Martino, si tratta di una definizione «suscettibile di essere adottata in via generale, anche in campi diversi da quelli propri della sedes materiae in cui è stata dettata, avendo il legislatore recepito sul punto i risultati, ormai generalmente acquisiti e condivisi, di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale».

La definizione legislativa ha il pregio di mettere in evidenza la correlazione immediata e diretta tra la lesione del bene salute (“lesione all'integrità psico-fisica”, da intendersi come danno-evento) e le ripercussioni della stessa nella vita del danneggiato (vale a dire i danni-conseguenza) e dimostra, quindi, che il danno risarcibile consiste non solo nelle conseguenze anatomo-funzionali sulle attività quotidiane (ad esempio: non poter più camminare come prima per effetto della lesione ad una caviglia) ma anche in quei pregiudizi che coinvolgono le abitudini di vita e le relazioni del danneggiato.

Nella recentissima ord. n. 7513/2018, la Cassazione acutamente evidenzia che la l. n. 57/2001, art. 5, comma 5 delegò il Governo ad emanare una specifica tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità e lo stesso vi provvide col D.M. 3 luglio 2003, tuttora vigente. In esso si sottolinea che la menomazione dell'integrità psico-fisica della persona «esplica una incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti personali dinamico-relazionali della vita del danneggiato»; nell'Allegato 1 del medesimo D.M. 3 luglio 2003 si aggiunge che «ove la menomazione incida in maniera apprezzabile su particolari aspetti dinamico-relazionali personali, lo specialista medico legale dovrà fornire motivate indicazioni aggiuntive che definiscano l'eventuale maggiore danno»; in definitiva, quindi, l'espressione "danno dinamico-relazionale" non è altro che una perifrasi del concetto di "danno biologico".

Il presupposto indefettibile del danno biologico, come detto, è la lesione dell'integrità psicofisica della persona (danno-evento).

Per lesione dell'integrità psicofisica si intende un'alterazione morfologica o funzionale dei tessuti, di un organo o delle cellule, causata da un fatto illecito, la cui azione vulnerante è superiore alla resistenza dell'organismo (così Cass. civ., sent. n. 16788/2015).

Dalla lesione dell'integrità psicofisica consegue normalmente un periodo di malattia, cioè un fenomeno anormale o patologico che altera l'integrità anatomica degli organi o ne fa deviare il funzionamento in senso dannoso.

La malattia può terminare con la morte del soggetto oppure, una volta decorso il periodo di malattia, le lesioni patite dalla vittima si “consolidano”: il soggetto può guarire recuperando integralmente lo stato di salute quo ante, oppure può guarire senza che lo stesso venga recuperato integralmente(si parla, in tale ultima evenienza, di guarigione con postumi permanenti).

Si comprende facilmente che tanto il periodo di malattia quanto la guarigione con postumi permanenti si ripercuotono nella vita del danneggiato, costringendo quest'ultimo ad un modus vivendi temporaneamente diverso da quello usuale e, in ragione dell'efficacia invalidante dei postumi, riducendo proporzionalmente la possibilità per lo stesso di attendere alle ordinarie attività.

In tale prospettiva, e rammentando che per la giurisprudenza delle sezioni di San Martino il danno non patrimoniale è categoria unitaria idonea a ricomprendere il danno biologico in senso stretto, il danno esistenziale e il danno morale soggettivo, possiamo concludere che: il danno biologico temporaneo si estrinseca in quei pregiudizi anatomo-funzionali, dinamico-relazionali e di sofferenza fisica e psichica soggettiva subiti dalla vittima, in conseguenza dell'accertata lesione del diritto alla salute, limitatamente al periodo di malattia.

Il danno biologico temporaneo si colloca, dunque, nell'intervallo di tempo fra l'evento dannoso (traumatico, o morboso, collocabile in un determinato momento preciso) e la guarigione o la morte ovvero ancora la stabilizzazione dei postumi permanenti e solo a partire da quest' ultima verrà ad esistenza il danno biologico permanente.

In tema di danno biologico, la cui liquidazione deve tenere conto della lesione dell'integrità psicofisica del soggetto, sotto il duplice aspetto dell'invalidità temporanea e di quella permanente, la seconda è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l'individuo non abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi. Ne consegue che il danno biologico di natura permanente può essere determinato soltanto a partire dalla cessazione di quello temporaneo, poiché diversamente la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti determinerebbe la duplicazione del medesimo danno (Cass. civ., sent. n. 26897/2014)

Ed è proprio per questa ragione che il giudice con la condanna al risarcimento del danno biologico farà decorrere gli interessi compensativi per la somma liquidata a titolo di danno biologico temporaneo dall'evento lesivo dell'integrità psicofisica mentre , per la diversa somma liquidata a titolo di danno biologico permanente gli interessi decorreranno dalla fine della malattia e quindi dal consolidamento dei postumi (Cass. civ., sent. n. 21396/2014).

Parte della dottrina distingue tra invalidità ed inabilità temporanea.

Appare preferibile la nozione di invalidità temporanea, atteso che la Medicina legale definisce come “inabilità” temporanea le conseguenze della menomazione su una attività di lavoro.

Per la giurisprudenza, invece, di regola non c'è differenza ontologica tra le due parole, salvo talora riservare il lemma “inabilità” al danno biologico temporaneo e quello “invalidità” al danno biologico permanente.

Il danno biologico temporaneo e il danno biologico permanente fra liquidazione separata e unitarietà ontologica

Discorrere di danno biologico temporaneo e danno biologico permanente non significa affatto smentire l'unitarietà ontologica del danno biologico; tuttavia, non si può nemmeno tacere che si tratti di pregiudizi molto diversi tra loro (cfr. da ultimo Cass. civ., ord. n. 13765/2018).

Al di là dell'ovvia constatazione che il primo è temporaneo e il secondo no, si osserva che il danno biologico temporaneo può avere un'intensità del tutto diversa dal quello permanente: infatti, lievi postumi permanenti possono essere il risultato di malattie lunghe e penose (come nel caso, ad esempio, di una frattura costale con segmentazione dei monconi a "becco di flauto"), così come, all'opposto, gravissimi postumi possono essere la conseguenza di un periodo di malattia brevissimo (come nel caso di fratture delle vertebre cervicali, con immediati postumi di tetraplegia, v. Cass. civ., sent. n. 16788/2015).

Un conto è la permanente compromissione dell'integrità fisica e un conto è il periodo di malattia che l'ha eventualmente preceduta e poiché il danno può manifestarsi in plurime forme, occorre accertare «in concreto cosa e come il danneggiato abbia perduto, e per quanto tempo» (cfr. Cass. civ., n. 16778/2015 cit.).

Si comprende dunque perché i due aspetti dell'unico danno alla salute vengono normalmente liquidati in modo separato: ciò risulta sia dalla pressoché unanime giurisprudenza di legittimità (cfr. ex pluribus Cass. civ., sent. n. 26897/2014) che ritiene ammissibile la liquidazione del danno alla salute tenendo distinto il risarcimento dell'invalidità permanente da quello dell'invalidità temporanea, sia dalla legge (artt. 138 e 139 cod. ass.) che impone la liquidazione separata nei casi in cui fissa i criteri di risarcimento del danno alla salute (v. M. ROSSETTI, Il danno alla salute, PADOVA, 2017).

L'accertamento medico legale della lesione del bene salute (c.d. danno evento)

Giova premettere che, ai sensi dell'art. 2043 c.c., il "danno" assume rilievo preponderante sotto due profili diversi: come evento lesivo accertabile in base alla causalità materiale e come insieme di conseguenze risarcibili secondo i parametri della causalità giuridica.

Il danno oggetto dell'obbligazione risarcitoria aquiliana è esclusivamente il danno conseguenza del fatto lesivo (di cui l'evento lesivo è un elemento): se sussiste solo il fatto lesivo ma non vi è un danno-conseguenza non vi è l'obbligazione risarcitoria (cfr. Cass. civ., Sez. Un., sent. n. 581/2008. Sulle complesse problematiche aventi ad oggetto la causalità materiale e giuridica si rinvia al Focus “Il nesso di causa nella responsabilità civile” di L. Berti) (LINK).

Nello schema dell'illecito civile così delineato incombe sempre sul danneggiato (tra l'altro) la prova della lesione del bene protetto e del nesso di causalità materiale con la condotta illecita.

Nel caso del danno biologico temporaneo, sul danneggiato incombe dunque l'onere di provare la lesione del bene salute (c.d. danno evento).

Per la giurisprudenza della Cassazione Sez. Unite (v. le citate sentenze di San Martino) il danno biologico, temporaneo e permanente, presuppone l'accertamento in concreto della lesione del bene salute, escludendo in radice ogni ipotesi di liquidazione del danno biologico presunto.

Presupposto indefettibile per l'applicazione della tabella normativa ex art. 139 cod. ass. (ma anche della Tabella milanese) è “l'accertamento medico-legale” della “lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica”(così anche, sostanzialmente, l'art. 13 d.lgs. n. 38/2000).

Del resto, anche per la Corte costituzionale nella citata sentenza Corte cost. n. 233/2003, il danno biologico inteso in senso stretto consiste nella «lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.)».

Ne consegue che solo il professionista specializzato in medicina legale ha la competenza tecnica necessaria per accertare l'entità del danno biologico.

Non a caso l'art. 15 della legge n. 24/2017 (c.d. “Legge Gelli-Bianco”) dispone che, nei procedimenti civili e penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l'autorità giudiziaria deve affidare l'espletamento della consulenza tecnica e della perizia (in primo luogo) a un medico specializzato in medicina legale. Solo il medico dotato di un'elevata professionalità, che tenga congiuntamente conto degli arresti della giurisprudenza e della medicina legale, può adeguatamente accertare l'entità del danno alla salute temporaneo nei termini descritti.

Anche il giudice deve prestare particolare attenzione nel porre il quesito medico legale, ai fini di un corretto accertamento del danno biologico temporaneo (v. quesito medico legale adottato dall'Osservatorio del Tribunale di Milano nell'aprile 2013 e v. D. SPERA, La prova del danno, sia sotto il profilo medico-legale che sotto quello giuridico - L'opinione del giurista, in Tabelle milanesi 2013 e danno non patrimoniale, Giuffrè, 2013, 44 e ss.).

Sempre sotto il profilo medico legale, si segnala che l'invalidità temporanea (così come quella permanente) viene accertata e misurata in punti percentuali: più in particolare, si parla di “invalidità temporanea relativa o parziale” dall'1 al 99% e di “invalidità temporanea assoluta o totale” al 100%.

L'invalidità temporanea totale deve essere riconosciuta soltanto a chi, durante il periodo di malattia, non possa assolutamente godere delle utilità della vita (ad esempio nelle ipotesi di degenza ospedaliera, impossibilità di uscire da casa, ecc.).

Al contrario, frequentemente il CTU riconosce un apprezzabile periodo di invalidità totale in conseguenza di lesioni che non la giustificano affatto, ovvero solo per un limitatissimo intervallo di tempo.

Infine, a completamento delle riflessioni che precedono, è bene ricordare che per le sentenze di San Martino la menzionata nozione legale di danno biologico ex artt. 138 e 139 Cod. ass. priv., sebbene faccia riferimento espresso all'accertamento medico-legale, non ha determinato una modalità di prova esclusiva nell'accertamento della lesione del bene salute.

In altri termini, per la giurisprudenza di san Martino la consulenza tecnica medico-legale non è strumento unico e necessario.

Nella sentenza Cass. civ. n. 26972/2008 si afferma infatti che «il giudice potrà non disporre l'accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perché deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni», ex artt. 115 cpv. c.p.c. e 2729 c.c.

Le modalità di accertamento della lesione all'integrità psicofisica: il d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla l. 24 marzo 2012, n. 27

d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla l. 24 marzo 2012, n. 27.

In particolare l'art. 32 comma 3-ter d.l. cit., convertito con modificazioni dall'art. 1 comma 1 l. cit. ed inserito nel testo dell'art. 139, comma 2, secondo periodo, cod. ass. disponeva che «In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente».

Il successivo comma3-quater disponeva che «Il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all'articolo 139 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l'esistenza della lesione».

Non è questa la sede per riesaminare le complesse problematiche poste dalla compresenza dei menzionati commi 3-ter e 3-quater.

Ai nostri fini è sufficiente rilevare che solo il comma 3-quater, avente per oggetto tutte le ipotesi disciplinate dall'art. 139 citato, si applicava certamente al danno biologico temporaneo, imponendo specifiche modalità di accertamento del danno alla persona (strumentale o, quanto meno, visivo) (v. amplius D. SPERA, Art. 32, commi 3 ter e 3 quater, della l. 27/2012: problematiche interpretative, in Danno e Responsabilità, n. 2/2013, 216 ss.).

La dottrina e la medicina legale hanno espresso molte critiche alla novella legislativa (v. amplius, M. ROSSETTI, Il danno alla salute, op. cit.).

Con particolare riguardo al danno biologico temporaneo, la medicina legale ha evidenziato come vi siano ipotesi di menomazioni funzionali che vengono accertate con l'ausilio di altri sensi (ad esempio mediante il tatto o l'udito) mentre vi siano altre numerose ipotesi come il trauma cranico fugacemente commotivo, la riduzione di lussazione e i danni cagionati da D.P.S.D. (disturbi post-traumatici da stress) che non sono accertabili né visivamente né strumentalmente.

Pertanto, secondo alcuni autori l'interpretazione congiunta delle due norme comporta che la lesione «deve essere documentata da elementi che, a giudizio medico legale, possano essere considerati oggettivi con criterio della evidenza scientifica» (così G. CANNAVÒ, L. MASTROROBERTO, Linee guida della legge n. 27 del 24 marzo 2012).

(segue) … e la c.d. “Legge Concorrenza” (4 agosto 2017, n. 124)

Il comma 3-quater è stato espressamente abrogato dall'art. 30, lett. b) della “Legge Concorrenza” (4 agosto 2017, n. 124).

Inoltre, l'art. 139, integralmente sostituito dall'art. 1, comma 19 della “Legge Concorrenza”, ora nel comma 2, secondo periodo, dispone: «In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, ovvero visivo, con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l'ausilio di strumentazioni, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente».

Per comprenderne l'impatto in tema di danno biologico temporaneo, risulta necessario compiere un rapido parallelismo con il danno biologico permanente.

Come detto, il comma 2 dell'art. 139 cod. ass. prevede la sussistenza di «lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo» stabilendo che le stesse «non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente».

In tal modo, si ripropongono tutte le criticità già ampiamente esaminate dalla dottrina e dalla giurisprudenza sui tre aggettivi che qualificano l'accertamento del danno biologico permanente: “clinico, strumentale e obiettivo” (v., amplius, D.SPERA cit.).

Dal tenore letterale della norma parrebbe che vi sia un'area di “franchigia”, atteso che all'accertamento della lesione del bene salute non consegue alcun risarcimento; diversamente si dovrebbe concludere nel senso che non possa ravvisarsi un “danno ingiusto” e quindi risarcibile (ex art. 2043 c.c.) ove la menomazione non sia suscettibile di “accertamento clinico strumentale obiettivo”. Ma la seconda interpretazione sarebbe sicuramente incostituzionale perché finirebbe per escludere il risarcimento del danno alla salute che è un “diritto fondamentale” tutelato dall'art. 32 Cost. senza alcuna limitazione.

Tuttavia è possibile replicare che il problema non consiste nella compatibilità o meno con la Costituzione della limitazione del risarcimento del danno conseguenza, bensì nel cogliere la ratio giustificativa di una cogente modalità di accertamento della lesione.

In quest'ottica, con la “Legge Concorrenza”, il legislatore (come si è detto) ha avuto la necessità di aggiungere espressamente, nell'art. 139 cod. ass., l'idoneità della modalità di accertamento «visivo, con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l'ausilio di strumentazioni» dato che l'accertamento visivo (oltre a quello strumentale) era previsto solamente dal citato comma 3-quater, che ora è invece abrogato.

Quid iuris, invece, quando l'avvocato chiede nel processo il risarcimento del danno biologico conseguente a «trauma minore del collo con persistente rachialgia e limitazione antalgica dei movimenti del capo»? E in tutti gli altri casi in cui il danno da lesione del bene salute non sia “visivamente o strumentalmente” accertato? (v. SPERA D., bussola art 139)

Il legislatore, con la novella del 2012 ora integrata dalla “Legge Concorrenza” ha inteso escludere del tutto la prova presuntiva, dovendosi la lesione della salute provare esclusivamente mediante “accertamento clinico strumentale obiettivo, ovvero visivo” e non essendo più ammissibile desumere tale prova dalla sintomatologia soggettiva della vittima.

Giova evidenziare che la normativa precedentemente in vigore aveva ricevuto un implicito vaglio positivo dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 235/2014, laddove la Corte ha affermato che le lesioni lievi comportano: «la necessità di un “accertamento clinico strumentale” (di un referto di diagnostica, cioè, per immagini) per la risarcibilità del danno biologico permanente; la possibilità anche di un mero riscontro visivo, da parte del medico legale, per la risarcibilità del danno da invalidità temporanea».

Con la successiva ordinanza n. 242/2015, la Corte costituzionale, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dei menzionati commi 3-ter e 3-quater, in riferimento agli artt. 3, 24 e 32 della Costituzione.

La Corte, richiamando la citata sentenza n. 235/2014, ha confermato l'esclusione della necessità del riscontro strumentale per il danno biologico temporaneo e la non censurabilità della prescrizione della (ulteriore e necessaria) diagnostica strumentale ai fini della ricollegabilità di un danno “permanente” alle microlesioni. Per la Corte costituzionale, in relazione a tale seconda tipologia di danno, la limitazione imposta al correlativo accertamento (che sarebbe altrimenti sottoposto ad una discrezionalità eccessiva, con rischio di estensione a postumi invalidanti inesistenti o enfatizzati) è stata già ritenuta rispondente a criteri di ragionevolezza.

In conclusione, deve confermarsi l'efficacia delle cogenti modalità di prova del danno biologico permanente ed, invece, con l'espressa abrogazione del comma 3-quater, non vi è più alcun limite circa la prova del danno biologico temporaneo.

Il danno risarcibile non è mai in re ipsa e non ha funzione punitiva

In tutti i casi di lesione di diritti inviolabili della persona ed, ancora più in generale, in tutte le ipotesi di applicazione dell'art. 2059 c.c., devesi ribadire che il danno non è mai in re ipsa, riconducibile all'evento lesivo dell'interesse protetto, ma è danno conseguenza che deve essere in concreto accertato, sia pure (spesso) mediante presunzioni; «è sempre necessaria la prova ulteriore dell'entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall'art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente) commisurato» (così Corte Cost., sentenza n. 372/1994).

Anche le sentenze di San Martino stigmatizzano che «Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza (Cass. n. 8827/2003, n. 8828/2003, n. 16004/2003), che deve essere allegato e provato. (…) E del pari da respingere è la variante costituita dall'affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo».

Ancor più di recente, in armonia con queste statuizioni, nella citata sentenza Cass. civ., n. 901/2018 si afferma che il giudice “deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l'aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo “in pejus” con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale).

Profili medico-legali: i parametri di misurazione per la sofferenza morale nel periodo di inabilità temporanea

Nell'accertamento del grado di invalidità e nella conseguente esatta determinazione del danno biologico, il giudice affiderà (di regola) l'espletamento della consulenza tecnica “a un medico specializzato in medicina legale e [ove ritenuto necessario] a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza” di quanto oggetto dell'indagine peritale (arg. ex art. 15 Legge Gelli-Bianco).

La sofferenza fisica è certamente oggetto dell'indagine peritale perché, nella valutazione percentuale del danno biologico permanente, il consulente tecnico non trascura il dolore fisico ovvero la componente sensoriale algica e quantifica il danno biologico base anche in ragione dell'entità delle disfunzioni condizionate dal dolore. Invece, ai fini dell'accertamento del danno biologico temporaneo, il CTU illustrerà il grado di sofferenza fisica della vittima, per offrire al giudice idonei elementi di valutazione sia per la determinazione della percentuale dell'invalidità (assoluta o temporanea) sia (soprattutto) per l'eventuale personalizzazione di tale danno.

Deve ritenersi, invece, che la sofferenza soggettiva interiore, non avendo base organica, non possa essere oggetto di accertamento da parte del medico legale (come peraltro recentemente esposto anche dalla citata Cass. civ., ord. n. 7513/2018).

È di contrario avviso una parte della dottrina medico legale, la quale, con particolare riferimento al danno biologico temporaneo, propone cinque parametri di misurazione per la sofferenza morale nel periodo di inabilità temporanea: durata dell'iter clinico; tipologia di terapia medica prescritta (in particolare analgesica e/o poli-farmacologica); tipologia di presidi utilizzati; tipologia di interventi chirurgici sostenuti; rinunce nella quotidianità.

Rimandando per un commento critico a questa tesi a D. SPERA, Time out: il “decalogo” della Cassazione sul danno non patrimoniale e i recenti arresti della Medicina legale minano le sentenze di San Martino, in Ridare.it, qui si ribadisce che il contributo del medico legale dovrebbe essere espresso solo in forma descrittiva, per coadiuvare il giudice (o le parti in sede stragiudiziale) nell'esatta quantificazione del danno non patrimoniale complessivamente subito dalla vittima.

L'indicazione da parte del medico legale di un'ulteriore valutazione espressa in una scala di valori (da 1 a 5) si presta, invece, al rischio di duplicazioni risarcitorie del medesimo pregiudizio in quanto comporta un aumento percentuale dei valori standard previsti per il danno non patrimoniale, senza tener debitamente conto del danno sofferenziale medio, già inserito nella costruzione della Tabella Milanese (dall'Edizione 2009 ad oggi).

Oneri di allegazione e prova: profili processuali

Come si è già accennato, nelle domande di risarcimento l'onere di allegazione e prova investe necessariamente non solo il danno evento ma anche tutti i danni conseguenza lamentati (Cass. civ., sent. n. 691/2012).

Sia nelle ipotesi espressamente previste dalla legge, sia in presenza di (non lieve) lesione del diritto inviolabile della persona (ex art. 2059 c.c.), è risarcibile solo (ex art. 1223 c.c. citato) la “perdita” subita dalla vittima valutata in termini di sofferenza interiore e di alterazione significativa delle condizioni di vita (è indifferente definire queste ultime relazionali o esistenziali).

Ebbene, la prova della sofferenza interiore, quale fatto (ontologicamente) ignoto, non può che essere presuntiva e, quindi, è necessario (ex art. 2727 c.c.) allegare e provare i fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto.

Per quanto attiene alla prova dell'alterazione delle condizioni di vita del soggetto danneggiato, ampio utilizzo potrà essere riconosciuto alla prova testimoniale.

Gli avvocati spesso si dolgono della mancata ammissione dei capitoli di prova dedotti dalla difesa del danneggiato; molto spesso, la prova dedotta è rigettata dal giudice perché avente ad oggetto circostanze generiche e/o implicanti valutazioni.

Sulle problematiche specifiche si rinvia alla bussola sul tema (F.PICARDI, Onere di allegazione e prova del danno patrimoniale e non patrimoniale, in Ridare.it), ricordando in questa sede che i capitoli di prova per testi devono essere “formulati in articoli separati” e mediante “indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti” (art. 244 c.p.c.); anche la prova per interrogatorio formale deve essere chiesta “per articoli separati e specifici” e quindi anch'essa su “fatti” specifici (artt. 230 e 232 c.p.c.).

Va, tuttavia, ricordato che solo i fatti principali art. 2697 c.c. - e, cioè, costitutivi, modificativi, estintivi o impeditivi del diritto azionato - devono necessariamente confluire negli atti introduttivi, nella prima o nella seconda memoria dell'art. 183, comma 6, c.p.c. (nella seconda solo ove strumentali alla proposizione di un'eccezione consequenziale alla proposizione o modifica delle domande e eccezioni della controparte), mentre i fatti secondari, stante la loro funzione meramente probatoria, possono tradursi anche in un capitolo di prova formulato nella seconda o terza memoria ex art. 183 c.p.c. (in questo senso Cass. civ., sent. n. 7786/2013, secondo cui «l'allegazione dei fatti secondari, per la loro funzione di prova dei fatti principali possono essere indicati successivamente, entro i termini di decadenza stabiliti per la trattazione probatoria»).

Il principio enunciato da Cass. civ., Sez. Un., n. 12310/2015 è quello secondo cui «la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali».

Recentemente la Cassazione (Cass. civ., sent. n. 27566/2017) ha stigmatizzato che tale principio è applicabile anche con specifico riferimento ai diritti c.d. eterodeterminati (nel novero dei quali è da ricondurre la fattispecie in esame del danno da lesione del bene salute), ritenendosi ammessa la modifica in corso di causa della domanda originaria di risarcimento del danno, mediante l'allegazione di un diverso/ulteriore fatto costitutivo, purché abbia ad oggetto il medesimo bene della vita e siano rispettate le preclusioni processuali previste dall'art. 183 c.p.c. (Cass. civ., sent. n. 18956/2017). Ne consegue che, scaduti i termini che lo stesso art. 183 c.p.c. detta per effettuare la "modificazione" della domanda, la stessa non è più consentita. Tale preclusione, peraltro, in quanto volta a tutelare anche l'interesse pubblico al corretto e celere andamento del processo, deve essere rilevata d'ufficio dal giudice, indipendentemente dall'atteggiamento processuale della controparte al riguardo (Cass. civ., sent. n. 3806/2016 e Cass. civ., sent. n. 13769/2017).

In applicazione dei menzionati principi di diritto al danno biologico in esame, quid iuris se il difensore della vittima, entro il termine della prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., si limitasse ad allegare la lesione biologica e chiedesse genericamente il risarcimento del danno non patrimoniale consequenziale?

A mio giudizio, la domanda così formulata dovrebbe superare il vaglio per la declaratoria di nullità ex artt. 163 n. 3-4 e 164 c.p.c. ed essere esaminata nel merito (per gli opportuni approfondimenti, v. BARLETTA A., Incertezze e contrasti sul contenuto essenziale della domanda risarcitoria, in Ridare.it). Con la sentenza, ove fosse accertata la lesione temporanea o permanente del bene salute (in conseguenza di un determinato fatto illecito), il giudice dovrebbe liquidare il risarcimento del danno con i valori monetari c.d. “standard”, cioè quelli “medi” previsti dalle tabelle (normative ex artt. 138 e 139 cod. ass. e Tabella milanese), valori che già tengono debitamente conto della sofferenza soggettiva (morale) media e del pregiudizio dinamico relazionale (esistenziale) medio che normalmente si accompagnano ad una determinata menomazione biologica e che, dunque, possono essere ritenuti provati in via presuntiva.

A diversa soluzione si dovrebbe pervenire, invece, in relazione agli “aspetti dinamico-relazionali personali” e alla particolare intensità della “sofferenza psico-fisica”, e cioè a quelle circostanze di fatto che possano giustificare la personalizzazione del danno al fine di ottenere un più pingue risarcimento con gli aumenti percentuali previsti dalle predette tabelle. In queste ipotesi, poiché trattasi di ulteriori fatti costitutivi della domanda di risarcimento del danno ed è esclusa la prova presuntiva, appare preferibile la tesi che tali fatti debbano essere introdotti nel processo con gli atti introduttivi ovvero con la memoria ex art. 183 n. 1, perché integrano una emendatio del petitum richiesto oltre i valori monetari “standard”.

Anche nella recente ordinanza della Cassazione (Cass. civ. n. 7513/2018), il cd. “decalogo”, si afferma che «le circostanze di fatto che giustificano la personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale integrano un "fatto costitutivo" della pretesa, e devono essere allegate in modo circostanziato e provate dall'attore (ovviamente con ogni mezzo di prova, e quindi anche attraverso l'allegazione del notorio, delle massime di comune esperienza e delle presunzioni semplici, come già ritenuto dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la nota sentenza pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008), senza potersi, peraltro, risolvere in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche».

Con specifico riguardo alla personalizzazione del risarcimento del danno biologico temporaneo, si è affermato che (come per il danno biologico permanente) tale personalizzazione opera in base alla sussistenza di circostanze di fatto idonee a giustificarne il riconoscimento, le quali integrano il fatto costitutivo della richiesta di personalizzazione, che in quanto tale deve essere specificamente allegato nella fase introduttiva del giudizio, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche (Cass. civ., sent. n. 27562/2017).

Si noti, infine, che la mancanza di specifica contestazione, se riferita ai fatti principali, comporta la superfluità della relativa prova trattandosi di fatti non controversi, mentre se riferita ai fatti secondari consente al giudice di utilizzarli liberamente solo come argomenti di prova ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c. (Cass. civ., sent. n. 19709/2015).

I principi regolatori della liquidazione dei danni alla persona

Il danno non patrimoniale, a differenza di quello patrimoniale, non può essere provato nel suo preciso ammontare e deve, quindi, essere liquidato dal giudice con valutazione equitativa (art. 1226 c.c.).

Come stigmatizzato dalla sentenza Cass. civ., n. 12408/2011 (c.d. “sentenza Amatucci”), nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c. deve garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché esaminati da differenti uffici giudiziari.

Come è noto, garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dall'Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 Cost. e salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono. riconosce valenza, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., essendo tale criterio già ampiamente diffuso sul territorio nazionale e (v. ex pluribus Cass. civ., sent. n. 16894/2018 e Cass. civ., sent. n. 27562/2017).

La liquidazione del danno biologico temporaneo: criteri normativi e criteri equitativi

Per quanto attiene alle concrete modalità di liquidazione del danno biologico temporaneo, è necessario distinguere i criteri normativi e i criteri equitativi.

Giova premettere che l'unico criterio legale di liquidazione del danno in esame è (ad oggi) quello disciplinato dall'art. 139 cod. ass., vale a dire il criterio per la liquidazione del danno biologico temporaneo causato da sinistri stradali che abbiano prodotto postumi non superiori al 9% (allo stato attuale, infatti, l'art. 138 cod. ass. è inapplicabile, non essendo stati emanati i decreti aventi ad oggetto la «predisposizione di una specifica tabella unica su tutto il territorio della Repubblica: a) delle menomazioni all'integrità psico-fisica comprese tra dieci e cento punti; b) del valore pecuniario da attribuire a ogni singolo punto di invalidità comprensivo dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso)».

Ebbene, successivamente, l'operatività dell'art. 139 è stata estesa anche al «danno biologico conseguente all'attività dell'esercente le professioni sanitarie» (art. 3 d.l. n. 158/2012). Ed ancora, ai sensi dell'art. 7, comma 4, l. n. 24/2017 (c.d. “Legge Gelli-Bianco) «Il danno conseguente all'attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell'esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private».

Con riferimento al criterio legale dell'art. 139 cod. ass. si è posto il problema di stabilire se possa farsi applicazione analogica al di fuori delle ipotesi ivi previste.

La Cassazione, nella citata sentenza n. 12408/2011, aderisce alla tesi contraria all'applicazione analogica rilevando che la ratio dell'art. 139 cit. è «volta a dare una risposta settoriale al problema della liquidazione del danno biologico al fine del contenimento dei premi assicurativi, specie se si considera che, nel campo della r.c.a., i costi complessivamente affrontati dalle società di assicurazione per l'indennizzo delle cosiddette micropermanenti sono di gran lunga superiori a quelli sopportati per i risarcimenti da lesioni comportanti postumi più gravi».

Del resto, la ratio legis del contenimento dei premi assicurativi si attaglia anche alla citata novella l. n. 189/2012, atteso che si prevede «l'obbligo, in capo ad un fondo appositamente costituito, di garantirne idonea copertura assicurativa agli esercenti le professioni sanitarie»; il fondo è finanziato (oltre che dai professionisti) dal contributo a carico delle imprese autorizzate all'esercizio dell'assicurazione per danni derivanti dall'attività medico-professionale, determinato in misura percentuale ai premi incassati.

Inoltre, la citata “Legge Gelli-Bianco”, negli artt. 10-14, prevede e disciplina l'obbligo di assicurazione delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private e dell'esercente la professione sanitaria.

Queste statuizioni sono ora validate anche dalla sentenza della Corte Cost. n. 235/2014, che ha rigettato tutte le questioni di legittimità costituzionale proposte in relazione ai criteri di liquidazione disciplinati dall'art. 139 in esame.

In conclusione, laddove non sia cogente l'applicazione della disciplina normativa di cui all'art. 139 cod. ass., devesi fare applicazione dei principi di diritto enucleati dalla sentenza della Cass. civ. n. 12408/2011, e pertanto, i giudici di merito sono tenuti ad applicare la Tabella Milanese.

ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Divieto dell'applicazione analogica dell'art. 139 cod. ass.

Cass. civ., ord. n. 12787/2017(in motivazione)

I criteri di liquidazione del danno biologico previsti dall'art. 139 cod. ass., per il caso di danni derivanti da sinistri stradali, costituiscono oggetto di una previsione eccezionale, come tale insuscettibile di applicazione analogica nel caso di danni (come quelli oggetto dell'odierna controversia) non derivanti da sinistri stradali.

Cass. civ., sent. n. 9950/2017

Il danno alla salute, temporaneo o permanente, in assenza di criteri legali va liquidato in base alle cosiddette tabelle diffuse del Tribunale di Milano, salvo che il caso concreto presenti specificità, che il giudice ha l'onere di rilevare, accertare ed esporre in motivazione, tali da consigliare o imporre lo scostamento dai valori standard.

App. Napoli, sent. 4663/2017(in motivazione)

Il d.m. previsto dal codice delle assicurazioni per la liquidazione delle c.d. microinvalidità regola un settore specifico e non è trasponibile, ‘per analogia', al di fuori della materia cui è destinato.

Appello Roma sent. n. 7200/2016 (in motivazione)

Ritiene la Corte d'Appello che la sentenza impugnata del Tribunale di Roma (che aveva applicato la tabella romana) deve essere riformata, in quanto “al contrario di quanto statuito dal primo giudice, la liquidazione del danno subito dalla appellante andasse operata in base alle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano”.

Cass. civ., sent. n. 13982/2015

In tema di danno biologico è precluso il ricorso in via analogica al criterio di liquidazione del danno non patrimoniale da micropermanente derivante dalla circolazione di veicoli a motore e natanti ovvero mediante il rinvio al decreto emanato annualmente dal Ministro delle attività produttive, mentre è congruo il riferimento ai valori inclusi nella tabella elaborata, ai fini della liquidazione del danno alla persona, dal Tribunale di Milano, in quanto assunti come valore "equo", in grado di garantire la parità di trattamento in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentarne o a ridurne l'entità.

App. Bari, sent. 1467/2013 (in motivazione)

Quanto all'appello incidentale, fondato è il rilievo di inammissibilità dell'analogia (retroattiva) dell'art. 139 cod. ass. ai sinistri che, come quello che ne occupa, non riguardano la circolazione stradale. La detta disposizione, essendo di natura speciale, non può applicarsi oltre i casi in essa previsti.

Cass. civ., sent. n. 12408/2011

I criteri di liquidazione del danno biologico previsti dall'art. 139 cod. ass., per il caso di danni derivanti da sinistri stradali, costituiscono oggetto di una previsione eccezionale, come tale insuscettibile di applicazione analogica nel caso di danni non derivanti da sinistri stradali.

Ammissibilità dell'applicazione analogica dell'art. 139 cod. ass.

Trib. Genova, sent. n. 862/2015(in motivazione)

Considerato che ormai nei due settori dell'infortunistica di maggior rilievo economico, e forse anche statistico, l'infortunistica stradale ed i danni da malpractice medica, la legge impone liquidazioni su basi tabellari, si deve ritenere che, in presenza di microlesioni di diversa origine, per individuare un parametro uniforme di liquidazione in difetto di specifica normativa, sia preferibile ricorrere alla analogia legis che all'esercizio di un potere di liquidazione meramente equitativo, anche se supportato da tabelle che, tuttavia, non hanno altro fondamento che la prassi giudiziaria.

Trib. Pistoia, sent. n. 288/2011

In una fattispecie di responsabilità per danni cagionati da animali, il Tribunale sostiene che «nel caso di specie essendo state riportate dal danneggiato lesioni di lieve entità, perché inferiori al 10 %, si ritiene di dover applicare in analogia la disciplina per l'infortunistica stradale di cui all'art. 5 l. n. 57/2001, con conseguente liquidazione secondo il criterio tabellare relativo, con riferimento sia alla legge che ai parametri attuali di cui al Codice delle Assicurazioni (art. 139 cod. ass., con l'ultimo aggiornamento i vigore di cui al D.M. 27.5.10). Non si vede perché infatti dover differenziare i trattamenti risarcitori nel caso di lesioni di lieve entità a seconda che la causa sia un infortunio stradale o altra condotta illecita colposa, come è il caso in esame».

La liquidazione del danno biologico temporaneo nell'art. 139 cod.ass.

L'art. 139 comma 1 cod. ass.., dopo aver disegnato la curva della tabella di liquidazione del danno biologico permanente (lett. a), indica l'entità del danno biologico temporaneo nei seguenti termini:

«b) a titolo di danno biologico temporaneo, è liquidato un importo di quarantasei euro e ottantotto centesimi per ogni giorno di inabilità assoluta; in caso di inabilità temporanea inferiore al 100 per cento, la liquidazione avviene in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno» (importo così aggiornato, a decorrere dal mese di aprile 2017, con D.M. Sviluppo economico 17 luglio 2017 in G.U., 23 agosto 2017, n. 196) (per l'esame della discrasia tra questo D.M. ed il tenore letterale dell''art. 139 novellato, si rinvia SPERA D., L'art. 139 Codice delle Assicurazioni sostituito dalla Legge Concorrenza: il gran pasticcio dei valori monetari in Ridare.it).

L'art. 139 cit., oltre a prevedere il suddetto importo standard correlato al grado di invalidità e rispondente al criterio della «uniformità pecuniaria di base», prevede altresì un criterio di «elasticità e flessibilità, per adeguare la liquidazione del caso di specie all'effettiva incidenza dell'accertata menomazione sulle attività della vita quotidiana» (in adesione a quanto statuito nella nota sentenza della Corte cost. n. 184/1986).

Il danno biologico, infatti, è costituito dalla compromissione del bene salute nelle manifestazioni o espressioni quotidiane che riguardano sia l'attività lavorativa che quelle extra lavorative le quali pongono il soggetto in condizioni non solo di produrre utilità ma anche di riceverne e che postula, quindi, una valutazione necessariamente differenziata caso per caso.

Il danno biologico personalizzato attiene dunque alla lesione del bene giuridico salute, e cioè della complessiva e personalizzata perdita della pregressa integrità psico-fisica; infatti, sarebbe certamente incostituzionale una legge che impedisse al giudice la personalizzazione del danno biologico.

Per il danno biologico conseguente a lesioni di lieve entità (1-9%), l'art. 139 comma 3 cod. ass. ribadiva (anche nel tenore letterale) il criterio adottato dall'art. 23 della l. n. 273/2002, secondo cui l'ammontare del danno biologico temporaneo (e permanente) «può essere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato».

Alla luce della Legge Concorrenza, il novellato comma 3 conferma la percentuale massima di personalizzazione nella misura del 20%, ma introduce notevoli modifiche, almeno nel tenore letterale: «Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati ovvero causi o abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità, l'ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella di cui al comma 4, può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 20 per cento. L'ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi del presente articolo è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche».

La Cassazione ha recentemente chiarito che «costituisce pregiudizio “peculiare” quella limitazione del “facere” areddittuale, che risulti connessa ad un interesse od attività che trasmodi dal compimento degli atti di vita quotidiana o dalle attività comunemente riferibili ad un soggetto in buone condizioni di salute e di quella stessa età, per assumere un rilievo del tutto assorbente nella vita dinamica e relazionale del soggetto» (Cass. civ., sent. n. 24155/2018).

È rilevante evidenziare (anche per le ragioni che emergeranno infra) che il legislatore sembra auspicare proprio che l'eventuale personalizzazione si effettui mediante una maggiore liquidazione congiunta degli aspetti dinamico-relazionali (sfera esteriore) e di quelli sofferenziali (sfera interiore), nel limite massimo del 20%.

Non dovrebbe esserci molto spazio, invece, per l'applicazione autonoma dell'inciso relativo alla “sofferenza psico-fisica di particolare intensità” e cioè per la liquidazione della sofferenza intesa come pregiudizio non patrimoniale diverso dalla incidenza negativa “sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato”, per l'ovvia ragione che la compromissione di queste ultime determina sicuramente sofferenza riconducibile alla “sofferenza del non poter più fare”, già oggetto del risarcimento personalizzato (v. D. SPERA, Liquidazione danno non patrimoniale per lesioni micropermanenti, in Ridare.it).

L'inciso potrebbe invece applicarsi nell'ipotesi di “sofferenza psico-fisica di particolare intensità”, che, pur non degenerando in danno biologico-psichico - per l'accertamento del quale è necessario l'ausilio del CTU psichiatra forense (o psicologo giuridico, secondo una tesi ancora controversa tra i giudici di merito) - attenga esclusivamente alla sfera interiore: un disagio psicologico che non compromette il “funzionamento dell'Io” nelle sue funzioni di adattamento e di organizzazione e controllo e non si traduce, quindi, nella compromissione di attività quotidiane e di interazioni dinamico relazionali, ma comporta comunque intense reazioni emotive e comportamentali del soggetto, e rilevanti strategie di adattamento (ad esempio: una cicatrice che cagioni un danno estetico valutato dal CTU medico legale con i consueti barème, ma che determina particolare sofferenza della vittima, che, pur continuando a compiere le sue quotidiane attività come prima, viva con malinconia o tristezza ovvero modifichi sensibilmente il proprio stile di abbigliamento per nascondere la menomazione).

Questo danno potrà essere di regola provato mediante CTU con un medico legale che sia coadiuvato da un esperto in psicologia giuridica o anche uno psichiatra forense; in taluni casi, peraltro, potrebbe anche non essere necessaria la consulenza tecnica d'ufficio, qualora la sofferenza interiore risulti dimostrata mediante prove orali e/o documentali che consentano di accertare le circostanze di fatto da cui poter desumere, in via presuntiva, la particolare intensità del dolore interiore della vittima, superiore a quella del danneggiato che abbia subito analoghe compromissioni biologiche (ad esempio: dai documenti risulti un repentino calo del rendimento scolastico dopo l'evento che ha cagionato la menomazione fisica).

La revisione della Tabella Milanese alla luce della giurisprudenza di San Martino

Come già accennato in precedenza, in ossequio ai principi di diritto scolpiti dalla c.d. “sentenza Amatucci”, laddove non sia cogente l'applicazione della disciplina normativa di cui all'art. 139 cod. ass. i giudici di merito sono tenuti ad applicare la Tabella Milanese.

Ai fini che qui interessano è opportuno rammentare che, nell'anno 2009, l'Osservatorio Milanese procedette ad una profonda “revisione” delle Tabelle in considerazione delle sentenze di San Martino (per approfondimenti circa le ragioni dell'evoluzione negli anni, le corrette modalità di applicazione e le criticità delle Tabelle milanesi, v. D. SPERA, op. cit.).

Risultò subito evidente che, alla luce dei principi di diritto delle Sezioni Unite, non fosse più possibile continuare ad applicare la precedente Tabella Milanese di liquidazione del danno non patrimoniale, atteso che la stessa prevedeva la separata liquidazione del danno morale, nella misura da un quarto alla metà dell'importo liquidato per il danno biologico.

Pertanto, nei mesi successivi l'Osservatorio ritenne necessario adeguare la Tabella Milanese ai dicta delle Sez. Unite.

Dopo numerose riunioni e confronti (anche con “delegati” di altri distretti giudiziari), in data 25 giugno 2009, furono approvate le nuove “Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione alla integrità psico-fisica e dalla perdita - grave lesione del rapporto parentale - Edizione 2009”.

Si afferma nei “Criteri orientativi” di queste Tabelle che, per effetto del nuovo indirizzo giurisprudenziale di cui alle citate sentenze di San Martino, l'Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano ha rilevato l'esigenza di una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale biologico e di ogni altro danno non patrimoniale connesso alla lesione della salute e ha constatato l'inadeguatezza dei valori monetari finora utilizzati nella liquidazione del c.d. danno biologico a risarcire gli altri profili di danno non patrimoniale. Si proponeva, quindi, per il risarcimento del danno biologico permanente (ma analogo criterio valeva anche per quello temporaneo):

«la liquidazione congiunta:

- del danno non patrimoniale conseguente a "lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale", sia nei suoi risvolti anatomo-funzionali e relazionali medi ovvero peculiari,

- e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di "dolore", "sofferenza soggettiva", in via di presunzione in riferimento ad un dato tipo di lesione,

vale a dire la liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di:

  • c.d. danno biologico “standard”,
  • c.d. personalizzazione - per particolari condizioni soggettive - del danno biologico,
  • c.d. danno morale.

Per individuare i valori monetari di tale liquidazione congiunta, si è poi fatto riferimento all'andamento dei precedenti degli Uffici giudiziari di Milano, e si è quindi pensato:

- a una tabella di valori monetari “medi”, corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini "standardizzabili" in quanto frequentemente ricorrenti (sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali, sia quanto agli aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva);

- a una percentuale di aumento di tali valori “medi” da utilizzarsi -onde consentire un'adeguata "personalizzazione" complessiva della liquidazione- laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato, in particolare:

  • sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali e relazionali (ad es. lavoratore soggetto a maggior sforzo fisico senza conseguenze patrimoniali; lesione al "dito del pianista dilettante"),
  • sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva (ad es. dolore al trigemino; specifica penosità delle modalità del fatto lesivo),

ferma restando, ovviamente, la possibilità che il giudice moduli la liquidazione oltre i valori minimi e massimi, in relazione a fattispecie del tutto eccezionali rispetto alla casistica comune degli illeciti».

Non vi sono ragioni per ritenere che le Sezioni Unite abbiano inteso negare l'esistenza e la risarcibilità delle sofferenze fisiche e morali in presenza di danno biologico.

Le Sezioni Unite hanno censurato solamente liquidazioni con errati automatismi tabellari. In effetti spesso i giudici non si avvedono che, quando c'è lesione biologica, i pregiudizi conseguenti alla menomazione psicofisica - «il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare» e quello ravvisato nella pena e nel dolore conseguenti e cioè «nella sofferenza morale determinata dal non poter fare» - sono, in definitiva, due facce della stessa medaglia, essendo la sofferenza morale «componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale».

I giudici devono, quindi, con congrua motivazione, «procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico», valutando congiuntamente i pregiudizi anatomo-funzionali e le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso (così D. SPERA, “Ratio, criteri applicativi e lacune della nuova tabella milanese del danno non patrimoniale 2009”, in “Danno e Responsabilità”, Speciale n. 1/2009, pag. 42 e ss.).

La Tabella Milanese - Edizione 2018

Per il danno non patrimoniale conseguente alla inabilità temporanea si è proceduto alla rivalutazione all'1 gennaio 2009 (secondo gli indici ISTAT) del valore base di liquidazione del danno biologico, pari ad € 70,56 pro die.

Tale importo è stato aumentato del 25% determinando in € 88,00 il valore minimo di liquidazione del danno non patrimoniale da inabilità totale, comprensivo sia delle menomazioni anatomo-funzionali che delle sofferenze soggettive “standard”; quest'ultimo importo prevede un incremento di personalizzazione sino al 50% ed è quindi pari ad un massimo di € 132,00 (valore monetario espresso nella tabella 2009), poi aumentato negli anni successivi ed ora pari ad Euro 98,00.

Nella Tabella 2018 si è previsto, inoltre, un «aumento personalizzato in presenza di comprovate peculiarità fino a max 50%».

In questa versione dei “Criteri orientativi”, anziché indicare l'importo massimo di aumento personalizzato (ora pari ad Euro 147,00), si è preferito cambiare la veste grafica, evidenziando solamente l'immutata corrispondente percentuale del 50%.

Questa modifica è giustificata sia da ragioni di armonia con la tabella relativa al danno non patrimoniale da lesione permanente del bene salute (che indica non l'importo, ma solo la percentuale di personalizzazione correlata a ciascun punto di danno biologico) sia dalla necessità di richiamare l'attenzione degli avvocati e del giudice sulla circostanza che l'importo di Euro 98,00 è già compensativo dei pregiudizi medi anatomo-funzionali, relazionali e di sofferenza soggettiva che normalmente conseguono alla massima inabilità assoluta e cioè quella pari al 100%.

Detto altrimenti, con il valore minimo il giudice liquida un importo che dia ristoro alle conseguenze della lesione in termini “medi” e cioè «corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini “standardizzabili” in quanto frequentemente ricorrenti (sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali, sia quanto agli aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva» (così i citati “Criteri orientativi”).

Tutti questi pregiudizi possono ritenersi, dunque, “standardizzabili” e cioè provati, anche presuntivamente, una volta accertato il grado di menomazione psico-fisica dal medico legale.

Alcune generiche attività ed estrinsecazioni della personalità, come lavarsi, vestirsi, camminare, leggere, andare al cinema, ecc., sono proprie di ogni essere umano di una certa età e sesso e possono, quindi, ritenersi precluse o limitate, in tutto o in parte, in presenza della menomazione psicofisica, senza la necessità di uno specifico onere di prova, attraverso il ricorso alle presunzioni ed alle «nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza» (art. 115 cpv. c.p.c.).

Quanto esposto sin d'ora esplica rilevanti effetti sul compito dell'operatore e, in modo particolare, sul compito dell'avvocato.

In relazione al danno biologico temporaneo, l'avvocato dovrà allegare i pregiudizi anatomo-funzionali, interrelazionali di sofferenze soggettive subiti dalla vittima durante il periodo di inabilità temporanea.

Tuttavia, se le allegazioni rientrano in quelle “standardizzabiliil giudice liquiderà l'importo minimo pro die sulla base della prova offerta soprattutto in via presuntiva alla luce delle espletata Consulenza Tecnica d'Ufficio.

Al contrario, l'onere di allegazione e prova sarà particolarmente gravoso ove vengano dedotte specifiche “peculiarità” e cioè (in altri termini ed, ancora una volta, in simmetria con l'art. 139 cod. ass.) che “la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali”; solo dopo che la parte abbia assolto al consequenziale onere della prova (nell'ipotesi normalmente ricorrente di contestazione), il giudice potrà aumentare l'importo di Euro 98,00 fino al 50% «con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato»: ricorrono, in definitiva, gli stessi parametri di allegazione, prova e motivazione richiesti dagli artt. 138 e 139 cod. ass. (v. Cass. civ., sent. n. 9950/2017).

Potrebbero costituire presupposti idonei per la personalizzazione del danno biologico temporaneo le seguenti ipotesi:

  • il trattamento sanitario praticato e il decorso della malattia siano stati particolarmente dolorosi (e ciò perché, come si è accennato, la particolare sofferenza fisica è già valutata dal CTU nella quantificazione del danno biologico permanente, ma, di regola, non incide sulla percentuale di invalidità temporanea);
  • necessità di assistenza per ogni bisogno fisiologico durante la forzata permanenza a letto (in casa o in ospedale);
  • non aver potuto partecipare ad un particolare ed agognato evento da tempo programmato (il saggio di danza di fine corso, il torneo annuale organizzato dalla bocciofila del paese, ecc.) (in questi termini, D. SPERA, op. cit.).

Come previsto anche nei Criteri orientativi, la personalizzazione può giungere sino al superamento dei limiti massimi previsti dalla tabella in presenza di circostanze affatto peculiari, delle quali il parametro tabellare non può aver tenuto conto nella sua elaborazione; circostanze che, in quanto di eccezionale singolarità da giustificare l'abbandono del criterio equitativo tabellare, debbono essere pur sempre (e direi a maggior ragione) oggetto di allegazione e prova ad opera della parte che ne richiede la ponderazione a fini risarcitori, mentre il giudice del merito dovrà dare adeguatamente conto della loro sussistenza e di come le abbia considerate (cfr. Cass. civ., sent. n. 27562/2017; Cass. civ., sent. n. 21939/2017; Cass.civ., sent. n. 16788/2015).

Da ultimo, si segnala che nei “Criteri orientativi Edizione 2018” è ribadito che «la tabella costituisce la sintesi di un monitoraggio di sentenze aventi ad oggetto fatti illeciti che sono, di regola, penalmente irrilevanti ovvero integrano gli estremi di un reato colposo.

Laddove, invece, ricorrano tutti i presupposti per ravvisare la sussistenza di un reato doloso ovvero altri elementi eccezionali, il giudice deve aumentare o ridurre l'entità degli importi previsti in tabella, in considerazione delle peculiarità della fattispecie concreta (v. Cass., sent. n. 12408/2011).

Ciò potrebbe verificarsi, ad esempio, nella liquidazione del danno biologico (ma lo stesso vale anche per la liquidazione del danno da perdita o grave lesione del rapporto parentale) conseguente a rapina, sequestro di persona, percosse, ecc..

Infatti senza aderire alla tesi del c.d. “danno punitivo” (nettamente smentita dalla sentenza Cass. Sez. U. n. 15350/2015 e ben circoscritta dalla recente sentenza Cass. Sez. U. n. 16601/2017) è indubbio che, nelle ipotesi menzionate, sia (di regola) maggiore l'intensità delle sofferenze psicofisiche patite dalla vittima primaria o secondaria.

In definitiva, va sottolineato che, in tutte le ipotesi di liquidazione del danno non patrimoniale, il giudice non è affatto esonerato dall'obbligo di una congrua motivazione».

Nuove prospettive: il recente indirizzo della Cassazione culminato nel c.d. “decalogo” (Cass. civ. n. 7513/2018)

In conclusione del paragrafo dedicato alla liquidazione del danno biologico temporaneo, non può non darsi conto di alcuni recentissimi arresti della Corte di Cassazione in tema di separata liquidazione del danno da sofferenza interiore e del danno dinamico-relazionale (Cass. civ., sent. n. 901/2018; Cass. civ., ord. n. 7513/2018 e Cass. civ., sent. n. 13770/2018).

È rilevante osservare in questa sede che nella sentenza Cass. civ., n. 901/2018 si afferma: «Oggetto della valutazione di ogni giudice chiamato ad occuparsi della persona e dei suoi diritti fondamentali è, nel prisma multiforme del danno non patrimoniale, la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto; (…) restano così efficacemente scolpiti i due aspetti essenziali della sofferenza: il dolore interiore e/o la significativa alterazione della vita quotidiana. Danni diversi e perciò solo entrambi autonomamente risarcibili».

La Cassazione, ravvisando la conferma di questa statuizione nella pronuncia della Corte cost. n. 235/2014 predicativa della legittimità costituzionale dell'art. 139 cod. ass., ritiene che «Viene così definitivamente sconfessata, al massimo livello interpretativo, la tesi predicativa di una pretesa "unitarietà onnicomprensiva" del danno biologico. Anche all'interno del sotto-sistema delle micro-permanenti, resta ferma (né avrebbe potuto essere altrimenti, non potendo le sovrastrutture giuridiche sovrapporsi alla fenomenologia del danno alla persona) la distinzione concettuale tra sofferenza interiore e incidenza sugli aspetti relazionali della vita del soggetto». Anzi, con maggior evidenza, nei punti 8 e 9 dell'ordinanza “decalogo” (Cass. civ., n. 7513/2018), la Cassazione stigmatizza:

8) «in presenza d'un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione)»;

9) «ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass., così come modificati della L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 17, nella parte in cui, sotto l'unitaria definizione di "danno non patrimoniale", distinguono il danno dinamico relazionale causato dalle lesioni da quello "morale")».

Emerge con chiarezza che questi principi di diritto si pongono in netto contrasto con le sentenze di San Martino, in cui, come detto supra, si afferma la necessità di distinguere l'ipotesi in cui la sofferenza soggettiva sia in sé considerata da quella in cui la sofferenza si presenti come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale.

Le motivazioni esposte nella sentenza della Cassazione n. 901/2018 e ordinanza n. 7513/2018 non appaiono convincenti, anche alla luce delle inaccettabili ricadute che possono riverberare in relazione a ciascun parametro di liquidazione del danno da lesione del bene salute.

Nella Tabella Milanese, in relazione ai valori monetari “medi”, il danno non patrimoniale da lesione del bene salute tiene già debitamente conto della sofferenza soggettiva (morale) media e del pregiudizio dinamico relazionale (esistenziale) medio che normalmente si accompagnano ad una determinata menomazione biologica (temporanea o permanente), pregiudizi che dunque possono essere ritenuti provati in via presuntiva.

Nella percentuale di personalizzazione di tali valori medi il giudice terrà invece conto delle peculiarità del caso concreto allegate e provate dal danneggiato, sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali e dinamico relazionali sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva, qualora ritenuti di speciale intensità.

Invece, procedendo con autonome liquidazioni, si palesa fortissimo il rischio di duplicare il risarcimento del medesimo pregiudizio, tanto nelle ipotesi di personalizzazioni quanto per la liquidazione del danno “standard” conseguente alla lesione del bene salute.

Casistica

Accertamento clinico strumentale obiettivo

Cass. civ., sent. n. 1272/2018 e Cass.civ., sent. n. 22066/2018

Il comma 3-ter deve essere interpretato nel senso che «l'accertamento della sussistenza della lesione temporanea o permanente dell'integrità psico-fisica deve avvenire con rigorosi e oggettivi criteri medico legali; tuttavia l'accertamento clinico strumentale obiettivo non potrà in ogni caso ritenersi l'unico mezzo probatorio che consenta di riconoscere tale lesione a fini risarcitori, a meno che non si tratti di una patologia, difficilmente verificabile sulla base della sola visita del medico legale, che sia suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l'esame clinico strumentale».

Cass. civ., sent. n. 18773/2016

In tema di liquidazione del danno alla persona a seguito di sinistro derivante dalla circolazione stradale, l'art. 32, commi 3-ter e 3-quater, del d.l. n. 1 del 2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 27 del 2012, esplica criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina legale, conducenti a una obiettività dell'accertamento riguardante le lesioni e i relativi postumi qualora esistenti. (Nella specie, la S.C. ha annullato la decisione impugnata che aveva escluso la risarcibilità del danno biologico temporaneo nonostante il referto medico avesse diagnosticato contusioni alla spalla, al torace e alla regione cervicale, guaribili in sette giorni, che, pertanto, non potevano essere ritenute, come fatto dal giudice di merito, affezioni asintomatiche di modesta entità non suscettibili di apprezzamento obiettivo clinico)

Liquidazione separata del danno biologico temporaneo e permanente

Cass. civ., sent. n. 3121/2017

Nella liquidazione del danno biologico permanente occorre fare riferimento all'età della vittima non al momento del sinistro, ma a quello di cessazione dell'invalidità temporanea, perché solo a partire da tale momento, con il consolidamento dei postumi, quel danno può dirsi venuto ad esistenza.

Cass. civ., sent. n. 16788/2015

In tema di responsabilità civile, non è consentito né liquidare più volte il medesimo danno non patrimoniale, chiamandolo con nomi diversi, né negare il risarcimento di plurimi danni quando diversi. Ne consegue che il giudice chiamato a liquidare il danno non patrimoniale alla salute, quando sia allegata e provata l'esistenza di un'invalidità permanente e di un'inabilità temporanea, deve monetizzare tanto l'una quanto l'altra, avendo effetti e contenuti diversi, a nulla rilevando l'identità della loro natura giuridica.

Personalizzazione del danno non patrimoniale oltre i limiti tabellari

Cass. civ., sent. n. 11754/2018

Il giudice, in presenza di specifiche circostanze di fatto, che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfettaria assicurata dalle previsioni tabellari, può procedere alla personalizzazione del danno entro le percentuali massime di aumento previste nelle stesse tabelle, dando adeguatamente conto nella motivazione della sussistenza di peculiari ragioni di apprezzamento meritevoli di tradursi in una differente (più ricca, e dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari. (Nella specie, in relazione ad un'ipotesi di danno iatrogeno, la S.C. ha ritenuto meritevoli di valorizzazione, ai fini della personalizzazione del danno non patrimoniale, aspetti legati alle dinamiche emotive della vita relazionale ed interiore del soggetto leso, in quanto connotati da obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento).

Cass. civ., sent. n. 21939/2017

In tema di liquidazione del danno non patrimoniale, ai fini della c.d. "personalizzazione" del danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i meccanismi tabellari cui la sentenza abbia fatto riferimento (e che devono ritenersi destinati alla riparazione delle conseguenze "ordinarie" inerenti ai pregiudizi che qualunque vittima di lesioni analoghe normalmente subirebbe), spetta al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze "ordinarie" già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari; da queste ultime distinguendosi siccome legate all'irripetibile singolarità dell'esperienza di vita individuale nella specie considerata, caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore o all'uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sé tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento (in un'ottica che, ovviamente, superi la dimensione "economicistica" dello scambio di prestazioni), meritevoli di tradursi in una differente (più ricca e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità.

Principi regolatori della liquidazione del danno alla persona

Cass. civ., ord. n. 17018/2018

In materia di danno non patrimoniale, i parametri delle "Tabelle" predisposte dal Tribunale di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del predetto danno ovvero quale criterio di riscontro e verifica della liquidazione diversa alla quale si sia pervenuti. Ne consegue l'incongruità della motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l'adozione dei parametri tratti dalle "Tabelle" di Milano consenta di pervenire. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza della Corte territoriale che aveva ritenuto congruo l'importo liquidato dal giudice di primo grado, a titolo di risarcimento del danno biologico, in forza di una non motivata applicazione di una tabella diversa da quella predisposta dal tribunale di Milano, peraltro con riferimento a parametri non aggiornati alla data della decisione).

Cass. civ., sent. n. 27562/2017

In tema di liquidazione del danno non patrimoniale, l'omessa o erronea applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano può essere fatta valere, in sede di legittimità, come violazione dell'art. 1226 c.c., costituendo le stesse parametro di conformità della valutazione equitativa alla disposizione di legge, mentre l'omesso esame di un fatto specializzante idoneo a giustificare lo scostamento da dette tabelle deve essere denunciato ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.

Separata o congiunta liquidazione del danno dinamico-relazionale e da sofferenza interiore

Cass. civ., ord. n. 7513/2018

In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del "danno biologico" e del "danno dinamico-relazionale", atteso che con quest'ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale). Non costituisce invece duplicazione la congiunta attribuzione del "danno biologico" e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). Ne deriva che, ove sia dedotta e provata l'esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione.

Cass. civ., sent. n. 11754/2018

Nella liquidazione del danno non patrimoniale, in difetto di diverse previsioni normative e salvo che ricorrano circostanze affatto peculiari, devono trovare applicazione i parametri tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano successivamente all'esito delle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008, in quanto determinano il valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente tenendo conto di tutte le componenti non patrimoniali, compresa quella già qualificata in termini di "danno morale" la quale, nei sistemi tabellari precedenti veniva invece liquidata separatamente, mentre nella versione tabellare successiva all'anno 2011 viene inclusa nel punto base, così da operare non sulla percentuale di invalidità, bensì con aumento equitativo della corrispondente quantificazione.

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