Inammissibile la domanda per il riconoscimento di adozione straniera in favore di una coppia omossessuale
30 Settembre 2016
Massima
Il provvedimento estero in materia di adozione, se pronunciato in favore di persona in allora priva di cittadinanza italiana e relativo a minore straniero, è sottoposto a riconoscimento automatico in Italia mediante trascrizione a cura dell'ufficiale di stato civile negli appositi registri. Il caso
Con il decreto in commento si conclude, almeno di fronte alla giustizia minorile, una travagliata (e nota alle cronache) vicenda iniziata nel 2014, quando E.M.B., cittadina americana e italiana, presentava al Tribunale per i Minorenni di Bologna un ricorso affinché venisse riconosciuta nel nostro Paese una sentenza, resa dal Tribunale di Prima Istanza dello Stato dell'Oregon (USA), pronunciata nel 2004, con la quale era stata disposta l'adozione della minore S.E.B.J. in favore della ricorrente e con mantenimento della responsabilità genitoriale congiunta alla madre biologica della minore, E.A.J. E.M.B., con il suo ricorso, evidenziava che la piccola S.E.B.J. era nata nell'ambito di un progetto di coppia e di crescita comune concordato con la sua compagna E.A.J.; che non rilevava la circostanza che lei e E.A.J. fossero omosessuali; che in assenza di un pregiudizio per la minore e, anzi, visto il contesto positivo e stimolante in cui era inserita la piccola S.E.B.J., era interesse di quest'ultima che la sentenza di adozione pronunciata negli USA venisse riconosciuta anche in Italia, dove nel frattempo tutta la famiglia si era trasferita per ragioni di lavoro. Il Tribunale per i Minorenni, all'esito del percorso istruttorio e dopo aver acquisito il prescritto parere del pubblico ministero, riteneva di sollevare – con ordinanza n. 4701 del 6-10 novembre 2014 – questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 l. n. 184/1983 nella parte in cui non consentono al giudice di valutare se risponda all'interesse del minore adottato all'estero il riconoscimento in Italia della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore, a prescindere dal fatto che il matrimonio stesso abbia prodotto effetti in Italia (come nel caso di specie, essendo E.M.B. parte di un matrimonio omosessuale contratto all'estero). Com'è noto, la Corte cost., sent. 7 aprile 2016, n. 76 ha dichiarato la questione di costituzionalità inammissibile. La motivazione dei giudici delle leggi prende le mosse dall'art. 41 l. n. 218/1995: - il comma 1 specifica che i provvedimenti stranieri in materia di adozione sono riconosciuti automaticamente nel nostro ordinamento, grazie ad un rinvio ai successivi artt. 64, 65 e 66 l. n. 218/1995 (relativi rispettivamente alle sentenze straniere, ai provvedimenti stranieri e ai provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione); - il comma 2, nel ritenere ferme le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione, opera quindi un rinvio agli artt. 35 e 36 l. 184/1983, che sono situate nel capo dedicato all'adozione internazionale di minori stranieri. Specifica infine la Corte che l'applicazione della lex specialis in materia di riconoscimento della sentenza di adozione internazionale di minori (ossia dell'art. 41, comma 2, l. n. 218/1995, che opera il rinvio implicito agli artt. 35 e 36 l. n. 184/1983) esclude comunque il contemporaneo rinvio alle disposizioni ordinarie sul riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri ai sensi dell'art. 41, comma 1, l. n. 218/1995. La questione
Il Tribunale per i Minorenni di Bologna, all'esito dell'incidente di costituzionalità, è chiamato quindi a decidere sull'applicabilità del primo o, alternativamente, del secondo comma dell'art. 41 l. n. 218/1995. In altre parole, deve stabilire se il riconoscimento della sentenza di adozione della minore S.E.B.J. da parte della ricorrente E.M.B. può avvenire in modo automatico, oppure se è necessario un preventivo vaglio giurisdizionale. Le soluzioni giuridiche
La particolarità del tema oggetto del provvedimento in esame riguarda, in buona sostanza, l'interpretazione della sent. n. 76/2016 con la quale la questione sollevata dal Tribunale per i Minorenni di Bologna è stata dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale. Di per sé, solo formalmente l'esito del giudizio davanti al giudice minorile era necessitato: difatti, la Corte costituzionale, limitandosi a evidenziare l'errata qualificazione giuridica della vicenda da parte del giudice a quo (errata qualificazione che ha condotto, come si è visto, a una dichiarazione di inammissibilità), e con un approccio a tratti salomonico, si è limitata a chiarire che in caso di applicazione dell'art. 41, comma 1, l. n. 218/1995 la domanda di E.M.B. è inammissibile, e che in caso di applicazione dell'art. 41, comma 2, l. n. 218/1995 il giudice di merito deve invece motivare in ordine al fatto che la legge citata gli consente di svolgere un giudizio ai fini del riconoscimento della sentenza di adozione pronunciata all'estero. Il Tribunale per i Minorenni di Bologna, «in virtù dei rilievi svolti dalla Consulta – ai quali, per autorevolezza, questo giudice intende dar seguito», ritiene quindi di escludere che, nel caso alla sua attenzione, la questione del riconoscimento della sentenza straniera debba essere sottoposta a un preventivo vaglio giurisdizionale. Difatti, ragionano ancora i giudici bolognesi, la fattispecie attenzionata non è riconducibile allo schema tratteggiato dall'art. 36, comma 4, l. n. 184/1983: al momento dell'adozione pronunciata negli USA la ricorrente E.M.B. era, infatti, solo cittadina americana (non avendo ancora ottenuto la cittadinanza italiana) e il procedimento di adozione aveva interessato una cittadina solo americana, ossia la piccola S.E.B.J.; di tal ché, versandosi in una ipotesi di provvedimento straniero, reso tra cittadini stranieri, ai sensi dell'art. 41 comma 1 l. n. 218/1995, il riconoscimento della sentenza deve essere automatico e la competenza va quindi individuata in capo all'ufficiale di stato civile il quale potrà provvedere alla trascrizione del provvedimento negli appositi registri. In ogni caso, conclude il Tribunale, v'è una questione ancora non risolta: la Consulta ha infatti omesso di considerare un dato assai significativo, ossia il fatto che la ricorrente E.M.B., al momento dell'instaurazione del giudizio in Italia, era a tutti gli effetti una cittadina italiana; in ogni caso, su questo elemento «non si intende fornire ulteriori spunti motivazionali». Osservazioni
Si è detto che il decreto in commento fissa un punto fermo nella vicenda delle “mamme bolognesi” (come sono state definite dalla stampa). Tuttavia, le questioni di (fatto e di) diritto sottese alla pronuncia paiono non essere ancora definitivamente chiarite. Si ritiene opportuno focalizzare l'attenzione su almeno tre aspetti: 1) se da una parte è vero, come ha sottolineato il Tribunale per i Minorenni di Bologna, che la Consulta non ha considerato che la ricorrente E.M.B. è cittadina italiana, è però doveroso chiarire che l'art. 36, comma 4, l. n. 184/1983 è situato nel titolo della legge dedicato all'adozione internazionale (ossia alla procedura grazie alla quale due soggetti maggiorenni, in presenza dei requisiti di cui all'art 6 l. n. 184/1983, possono richiedere al competente Tribunale il rilascio di un decreto di idoneità, presupposto indispensabile per adottare un bambino all'estero). In altre parole, anche ammesso che si fosse tenuta in debita considerazione la circostanza che la ricorrente E.M.B. era, ed è, anche cittadina italiana, assai difficilmente si sarebbe potuto ritenere applicabile, ai fatti di causa, il citato art. 36, comma 4, l. n. 184/1983, inserito in un titolo della legge che disciplina situazioni affatto diverse rispetto a quella di cui si è occupato il Tribunale per i Minorenni di Bologna; difatti, la ratio della disposizione di cui all'art. 36, comma 4, l. n. 184/1983 va ricercata nella necessità di impedire che cittadini italiani ottengano, all'estero, un provvedimento di adozione, eludendo però il procedimento indicato dalla l. n. 184/1983, con particolare riferimento alle indagini psico-sociali di cui all'art. 29 bis commi 4 e 5 l. n. 184/1983 e al conseguente decreto di idoneità/inidoneità pronunciato dal Tribunale per i Minorenni; 2) come chiarito dal collegio giudicante, la dichiarazione di inammissibilità della domanda non pregiudica la facoltà per E.M.B. di «sperimentare il percorso utile per conseguire il risultato sperato», ossia quello di recarsi dall'ufficiale di stato civile al quale chiedere la trascrizione della sentenza di adozione pronunciata all'estero. Sul punto, vi sono alcuni precedenti: App. Milano, 1 dicembre 2015,n. 2543 a seguito del rifiuto dell'ufficiale di stato civile di procedere autonomamente alla trascrizione di un'ordinanza di adozione resa in Spagna tra una coppia omosessuale, ha evidenziato che non vi sono ragioni per ritenere contrario all'ordine pubblico «un provvedimento straniero che abbia statuito un rapporto di adozione piena tra una persona non coniugata e il figlio riconosciuto del partner, anche dello stesso sesso, una volta valutato in concreto che il riconoscimento dell'adozione, e quindi il riconoscimento di tutti i diritti e doveri scaturenti da tale rapporto, corrispondono all'interesse superiore del minore al mantenimento della vita familiare ed educativa che con loro si sono consolidate, in forza della protratta convivenza con ambedue e del provvedimento di adozione». A medesime conclusioni, pur muovendo da presupposti diversi, era già giunta App. Torino, 29 ottobre 2014. Da ultima è intervenuta la Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 30 marzo 2016, che ha delibato una sentenza di adozione resa all'estero (in Francia) in favore di una coppia omosessuale; 3) è nota la giurisprudenza di alcuni Tribunali per i Minorenni (inaugurata da Trib. min. Roma, 30 luglio 2014, n. 299, poi confermata con App. Roma,23 dicembre 2015) i quali, invocando l'art. 44, comma 1, lett. d) l. n. 184/1983, hanno disposto la cd. stepchild adoption, ossia l'adozione del figlio del partner. La decisione di secondo grado è stata confermata recentemente dalla Cass. civ., sez. I, 22 giugno 2016, n. 12962. Orbene, a giudizio di chi scrive, nell'ambito dell'ordinamento italiano si va creando una irragionevole discriminazione tra bambini italiani che crescono nell'ambito di una coppia omosessuale italiana nei distretti di Tribunali per i Minorenni che non riconoscono l'adozione ex art. 44 lett. d) l. n. 184/1983 alle coppie omosessuali; tra bambini italiani che crescono nell'ambito di una coppia omosessuale italiana nei distretti di Tribunali per i Minorenni che riconoscono l'adozione (cd. “non legittimante”) ex art. 44 lett. d) l. n. 184/1983, e infine tra bambini, italiani o non italiani, che crescono nell'ambito di una coppia omosessuale, formata da cittadini italiani o non italiani, che hanno ottenuto all'estero un'adozione piena (cd. “legittimante”) e che viene riconosciuta in Italia ai sensi dell'art. 41 comma 1 l. n. 218/1995. Sul punto pare rendersi indispensabile un intervento del legislatore: la l. n. 76/2016 in vigore dal 5 giugno 2016, se possibile, non solo non è intervenuta a disciplinare la materia, ma ha delegato i giudici la risoluzione di tali problematiche in via esclusivamente pretoria, senza fornire linee guida chiare e lasciando che la ponderazione di interessi così delicati e la risoluzione di questioni giuridiche sì complesse sia rimessa all'esclusiva discrezionalità degli organi giudiziari. |