La Costituzione non vieta alle coppie dello stesso sesso di generare figli
01 Dicembre 2016
Massima
Il giudice italiano, chiamato a valutare la compatibilità con l'ordine pubblico dell'atto di stato civile straniero (nella specie, dell'atto di nascita), i cui effetti si chiede di riconoscere in Italia, a norma degli artt. 16, 64 e 65 l. n. 218/1995 e 18 d.P.R. n. 396/2000, deve verificare non già se l'atto straniero applichi una disciplina della materia conforme o difforme rispetto ad una o più norme interne (seppure imperative o inderogabili), ma se esso contrasti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, desumibili dalla Carta costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Il riconoscimento e la trascrizione nei registri dello stato civile in Italia di un atto straniero, validamente formato in Spagna, nel quale risulti la nascita di un figlio di due donne – in particolare, da una donna italiana (indicata come madre B), che ha donato l'ovulo ad una donna spagnola (indicata come madre A) che l'ha partorito, nell'ambito di un progetto genitoriale realizzato dalla coppia, coniugata in quel paese, non contrastano con l'ordine pubblico per il solo fatto che il legislatore nazionale non preveda o vieti il verificarsi di una simile fattispecie sul territorio italiano, dovendosi avere riguardo al principio, di rilevanza costituzionale primaria, dell'interesse superiore del minore, che si sostanzia nel suo diritto alla continuità dello status filiationis, validamente acquisito all'estero (nella specie, in un altro paese dell'UE).
L'atto di nascita straniero (valido, nella specie, sulla base di una legge in vigore in un altro paese della UE) da cui risulti la nascita di un figlio da due madri (per avere l'una donato l'ovulo e l'altra partorito), non contrasta, di per sé, con l'ordine pubblico per il fatto che la tecnica procreativa utilizzata non sia riconosciuta nell'ordinamento italiano dalla l. n. 40/2004, la quale rappresenta una delle possibili modalità di attuazione del potere regolatorio attribuito al legislatore ordinario su una materia, pur eticamente sensibile e di rilevanza costituzionale, sulla quale le scelte legislative non sono costituzionalmente obbligate.
In tema di PMA, la fattispecie nella quale una donna doni l'ovulo alla propria partner (con la quale, nella specie, è coniugata in Spagna) la quale partorisca, utilizzando un gamete maschile donato da un terzo ignoto, non costituisce una ipotesi di maternità surrogata o di surrogazione di maternità, ma un'ipotesi di genitorialità realizzata all'interno della coppia, assimilabile alla fecondazione eterologa, dalla quale si distingue per essere il feto legato biologicamente ad entrambe le donne registrate come madri in Spagna (per averlo l'una partorito e per avere l'altra trasmesso il patrimonio genetico).
La regola secondo cui è madre colei che ha partorito, a norma dell'art. 269,comma 3, c.c., non costituisce un principio fondamentale di rango costituzionale, sicchè è riconoscibile in Italia l'atto di nascita straniero dal quale risulti che un bambino, nato da un progetto genitoriale di coppia, è figlio di due madri (una che l'ha partorito e l'altra che ha donato l'ovulo), non essendo opponibile un principio di ordine pubblico desumibile da suddetta regola. Il caso
R.V.M, cittadina spagnola e L.I.M.B., cittadina italiana, sposate in Spagna, avevano un figlio, partorito da una delle due (madre A), concepito mediante la tecnica della procreazione medicalmente assistita, utilizzando gli ovuli di una delle due (madre B) e il seme di un donatore. Il minore è cittadino spagnolo e porta i cognomi di entrambe le donne. Il giudizio inizia a seguito della richiesta di trascrizione in Italia dell'atto di nascita, formato in Spagna e valido per il diritto spagnolo, che veniva negata dall'Ufficiale dello Stato civile per ragioni di ordine pubblico. Nel frattempo, le due donne divorziavano, mediante un accordo che prevedeva l'affidamento congiunto del minore ad entrambe, con condivisione della responsabilità genitoriale. Avverso il diniego dell'Ufficiale di stato civile veniva presentato ricorso, rigettato dal Tribunale di Torino, e successivamente reclamato innanzi alla Corte di appello, che con decreto ordinava all'Ufficiale di stato civile di trascrivere l'atto di nascita del minore. Il decreto veniva impugnato per cassazione dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Torino, sulla base di un complesso motivo, ed il Ministero dell'Interno sulla base di due motivi. Secondo il P.G. della Corte territoriale, la Corte di merito aveva erroneamente escluso la contrarietà all'ordine pubblico di un atto di nascita nel quale risultava che le due donne erano madri dello stesso figlio. La filiazione, come discendenza da persone di sesso diverso, è un principio di ordine pubblico e diritto naturale desumibile dall'art. 269,comma 3, c.c., in base al quale può essere riconosciuta madre del bambino solo colei che lo ha partorito. La Corte di appello di Torino, con decreto del 4 dicembre 2014, in accoglimento del reclamo, ordinava all'Ufficiale di stato civile di Torino di trascrivere l'atto di nascita. Avverso il suddetto decreto proponevano ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Torino, sulla base di un complesso motivo, e il Ministero dell'interno, sulla base di due motivi. La questione
La Suprema Corte affronta la questione se sia possibile riconoscere il rapporto di filiazione tra due madri ed il minore nato con la tecnica della procreazione medicalmente assistita, quando geneticamente e biologicamente riconducibile a due individui dello stesso sesso. E, inoltre, se la trascrizione in Italia dell'atto di nascita, formato in Spagna e valido per il diritto spagnolo, di un bambino che risulti figlio di due donne coniugate in quel paese, una spagnola che l'ha partorito ed l'altra italiana che ha donato l'ovulo, sia consentita, oppure contrasti con l'ordine pubblico, a norma degli artt. 18 d.P.R. n. 396/2000 e art. 65 l. n. 218/1995. Le soluzioni giuridiche
Secondo la Corte di Cassazione se l'unione tra persone dello stesso sesso è una formazione sociale ove la persona svolge la sua personalità e se quella dei componenti della coppia di diventare genitori e di formare una famiglia costituisce «espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi» della persone, ricondotta dalla Corte costituzionale agli artt. 2, 3 e 31 Cost. (e non all'art. 29 Cost.), allora deve escludersi che esista, a livello costituzionale, un divieto per le coppie dello stesso sesso di accogliere e di generare figli. Con la conseguenza che al riconoscimento di un atto di nascita straniero, da cui risulti che il nato è figlio di due donne (avendolo l'una partorito e l'altra contribuito alla nascita, donando l'ovulo, nell'ambito di un progetto genitoriale realizzato da una coppia coniugata in Spagna), non è opponibile un principio di ordine pubblico. I giudici di legittimità, in sostanza, condividono le soluzioni prospettate dalla Corte di merito secondo cui, poichè il bambino di cui si chiede il riconoscimento è figlio, in Spagna, di entrambe le donne e cittadino spagnolo, perché nato da cittadina di quel Paese, egli è anche cittadino italiano, perché figlio di una cittadina italiana, in base ad un atto valido secondo il diritto spagnolo e quindi trascrivibile in Italia, a norma dell'art. 17 d.P.R. n. 396/2000. L'assunto presuppone necessariamente che sia affermato il principio secondo il quale in Italia venga riconosciuto un rapporto di filiazione valido e quindi che lo stesso non sia contrario all'ordine pubblico. La Corte di Cassazione, dopo avere fatto un confronto tra l'ordine pubblico interno e l'ordine pubblico internazionale, afferma che i principi di ordine pubblico devono essere ricercati esclusivamente nei principi supremi e/o fondamentali della Carte costituzionale, vale a dire in quelli che non potrebbero essere sovvertiti dal legislatore ordinario, integrati con quelli espressi dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Questa valutazione impone la tutela dell'interesse superiore del minore, anche sotto il profilo della sua identità personale e sociale, e in generale del diritto delle persone di autodeterminarsi e di formare una famiglia, valori questi già presenti nella Carta costituzionale (artt. 2, 3, 31 e 32 Cost.) e la cui tutela è rafforzata dalle fonti sovranazionali che concorrono alla formazione dei principi di ordine pubblico internazionale. Viene, quindi, in rilievo anche la constatazione che l'interesse del minore «trascende le implicazioni meramente biologiche del rapporto con la madre e reclama una tutela efficace di tutte le esigenze connesse a un compiuto e armonico sviluppo della personalità» (Corte cost. n. 205/2015). Secondo i giudici di legittimità «il mancato riconoscimento in Italia del rapporto di filiazione, legalmente e pacificamente esistente in Spagna, determinerebbe un'incertezza giuridica» che violerebbe il diritto all' identità personale del minore, in considerazione delle conseguenze pregiudizievoli concernenti la possibilità, non solo di acquisire la cittadinanza italiana e i diritti ereditari, ma anche di circolare liberamente nel territorio italiano e di essere rappresentato dal genitore nei rapporti con le istituzioni italiane. Né «si può ricorrere alla nozione di ordine pubblico per giustificare discriminazioni nei confronti dei minori» e conseguenze negative per comportamenti imputabili ad altri, di cui non può rispondere il bambino, il quale ha uno status legittimamente acquisito all'estero. Il ragionamento diventa più tortuoso al momento della valutazione della compatibilità con la l. n. 40/2004, in tema di procreazione medicalmente assistita e con riferimento all'art. 269, comma 3, c.c., che stabilisce il principio generale, fino ad ora rimasto indiscusso, che è madre colei che ha partorito. Le argomentazioni utilizzate provano troppo, ma centrano l'obiettivo. Si sostiene che la difformità della legge spagnola rispetto a quella italiana non è causa, di per sé sola, di violazione dell'ordine pubblico, a meno che non si dimostri che la l. n. 40/2004 contenga principi fondamentali e costituzionalmente obbligati, ma per la Corte questa evenienza è da escludere. Si ritiene, inoltre, che la fattispecie in esame non è assimilabile alla surrogazione di maternità, in quanto la tecnica fecondativa utilizzata dalle madri è simile ad una fecondazione eterologa, consentita alle coppie eterosessuali a certe condizioni. Inoltre, la previsione, nel nostro ordinamento, della sanzione amministrativa pecuniaria, prevista dall'art. 12 l. n. 40/2004 per i terzi che applichino le tecniche di fecondazione eterologa alle coppie composte da persone dello stesso sesso, non esprime un valore costituzionale ed inderogabile, idoneo ad assurgere a principio di ordine pubblico. Nel bilanciamento di interessi in conflitto, il giudice di legittimità ritiene che al superiore interesse del minore alla continuità dello status filiationis, validamente acquisito all'estero nei confronti della madre genetica donatrice di ovulo, non può validamente opporsi il principio secondo cui nell'ordinamento italiano è madre solo colei che partorisce (art. 269, comma 3, c.c.). Si esclude che tale principio trovi un diretto fondamento nella Costituzione, al punto da non consentire al legislatore ordinario di modificarla per adeguarla ai tempi e al mutato contesto sociale. Molto significativa e degna di conseguenze importantissime l'affermazione della Suprema Corte sul riconoscimento costituzionale delle unioni civili e quindi sulle relative conseguenze con riferimento alla filiazione. Osservazioni
Nel silenzio del legislatore la giurisprudenza è nuovamente chiamata a ricercare i difficili equilibri tra i molteplici valori messi in gioco dalle vicende transnazionali in materia di surrogazione di maternità (G.Giacobbe, La famiglia nell'ordinamento giuridico italiano, Torino, 2016). La Corte con la sentenza in commento, scardina i fondamenta del nostro sistema ordinamentale, superando il principio, oramai da tempo sostenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza, secondo il quale, nell'ipotesi di maternità surrogata, sia con riferimento al rapporto derivante dall'art. 30 Cost., sia in applicazione delle regole codicistiche, nonché della legislazione sullo stato civile delle persone, la maternità, in senso giuridico, non può che essere attribuita alla donna che, dopo la gravidanza, ha partorito il figlio. La naturale conseguenza di questo principio è che chi ha donato l'ovulo (madre B) non può vedere realizzato il suo diritto alla maternità, perché non può essere qualificata giuridicamente come madre, mentre, invece, secondo la Corte un rapporto di filiazione sussiste in ragione del legame biologico, trattandosi di una madre genetica. L'argomentazione decisiva utilizzata dalla decisione si basa sulla mancanza di copertura costituzionale dell'art. 269 c.c., perché solo in tal caso assurgerebbe al rango di principio di ordine pubblico, e ciò neppure con riferimento all'art. 31, comma 2, Cost. che protegge la maternità non riferendosi a quella che si manifesti con il parto. La soluzione giuridica può non convincere se si tiene conto del fatto che il legislatore italiano ha scelto di vietare la tecnica della maternità surrogata (art. 12, comma 6, l. n. 40/2004), che nella specie, in sostanza, è stata praticata. Nello stesso tempo non si può trascurare il fatto, incontestabile, che nessun patrimonio genetico viene trasmesso dalla partoriente, mentre la donatrice di ovuli è madre genetica. Inoltre, se si tiene conto della ratio del divieto nel nostro sistema della maternità surrogata, si comprende come esso costituisca un presidio contro due situazioni che confliggono palesemente con i valori dell'ordinamento italiano: accordi di maternità surrogata verso corrispettivo, committenza di filiazione a terzi senza materiale genetico della coppia con elusione della disciplina dell'adozione internazionale, situazioni che, nella specie, non ricorrono, perché il bambino è nato nella coppia e nell'ambito di un progetto genitoriale condiviso). Occorre riflettere però sull'asserita mancanza di violazione della norma, posto che, secondo la Corte, come si è già detto, la tecnica utilizzata per la procreazione non è assimilabile alla surrogazione di maternità. Invero, di fatto, dal punto di vista puramente descrittivo tale pratica presuppone, a monte, almeno di regola, la fecondazione in vivo o in vitro di un embrione da impiantare nell'utero di una donna estranea alla coppia committente che porta a termine la gravidanza. Nel caso in esame, l'unica differenza è che la coppia committente era composta anche dalla donatrice di ovulo, ma la procedura utilizzata sembrerebbe la stessa. Come è noto, a seconda che la madre surrogata si limiti ad accogliere in grembo un embrione che le è geneticamente estraneo o, viceversa, contribuisca alla procreazione dello stesso fornendo ai “committenti” i propri gameti, si distingue tra “surrogazione per sola gestazione” (affitto o donazione dell'utero) e “surrogazione per concepimento e gestazione”. Si osservi che quella per concepimento e gestazione è necessariamente una “surrogazione eterologa”, giacchè la madre portante (detta anche madre surrogata o sostituita o uterina), in questo caso, prima ancora di “prestare” il suo utero per la gravidanza, mette a disposizione i propri ovuli affinchè siano fecondati con il seme del partner maschio della coppia committente. |