Le Unioni civili nel diritto internazionale privato

Alberto Figone
30 Gennaio 2017

In ottemperanza alla delega prevista dalla l. n. 76/2016 è stato emanato, insieme ad altri due, il d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 7 con lo scopo di riordinare i principi di diritto internazionale privato, di cui alla l. n. 218/1995, con la nuova disciplina sulle unioni civili. Di seguito si offre una prima lettura delle nuove disposizioni introdotte nella citata l. n. 218/1995.
Una premessa

L'art. 1, comma 28, l. 20 maggio 2016, n. 76 ha delegato il Governo ad adottare, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge (ossia il 5 dicembre 2016) uno o più decreti legislativi, a completamento della nuova disciplina, nelle materie specificamente individuate alle lettere a), b), c). Tuttavia, poiché il termine per l'espressione dei pareri parlamentari di cui al comma 30, scadeva nei trenta giorni che precedono la predetta scadenza, il termine del 5 dicembre è stato prorogato di tre mesi. In particolare, si offre di seguito una prima lettura del d.lgs. n. 7/2017 attuativo della citata lettera b), quanto all'adozione di disposizioni di modifica e riordino delle norme di diritto internazionale privato in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso.

Il decreto in esame è composto di due articoli, il secondo dei quali contiene solo una clausola di invarianza finanziaria. Esso introduce quattro nuovi articoli nella legge di diritto internazionale privato n. 218/1995 (da art. 32-bis a 32-quinquies) e novella il testo dell'art. 45. La relazione illustrativa offre utili elementi per comprendere la portata dell'intervento normativo.

Effetti del matrimonio e dell'unione civile esteri tra persone dello stesso sesso

Il nuovo art. 32-bis l. n. 218/1995 dispone che il matrimonio, contratto all'estero da cittadini italiani con persona dello stesso sesso, produce gli effetti dell'unione civile regolata dalla legge italiana. Ciò in rigorosa aderenza all'ambito della delega di cui alla lett. b) dell'art. 1, comma 28, l. n. 76/2016, che si riferisce pure alle unioni civili o altri istituti analoghi, costituiti all'estero. Si rende peraltro indispensabile un doveroso chiarimento, puntualmente evidenziato dalla relazione illustrativa. L'art. 32-bis rappresenta una soluzione necessaria in relazione al matrimonio celebrato fuori dal territorio dello Stato, a prescindere dalla cittadinanza di una o di entrambe le parti (ivi compresa quella italiana), non consentendo la legge nazionale il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Le unioni civili costituite all'estero (tra italiani o stranieri) non possono essere invece necessariamente disciplinate dalla l. n. 76/2016: la contraria soluzione si porrebbe in contrasto con gli obblighi derivanti dal diritto internazionale e comunitario. Osserva al riguardo la citata relazione che la ratio del criterio direttivo contenuto nella delega è quello di evitare comportamenti elusivi della legge italiana, da parte di cittadini italiani, che si rechino all'estero, per sottrarsi alla legge nazionale, in una logica di system shopping. Si fa così l'esempio di una situazione “totalmente italiana”, deliberatamente trasformata in “transnazionale” a fini strumentali. Nel caso di unioni civili, costituite all'estero da cittadini italiani ivi residenti o da stranieri, non vi sarebbe ragione di sorta per assoggettare quell'unione (sia come atto che come rapporto) alla legge italiana. Di tanto si ha conferma proprio nell'art. 32-quinquies l. n. 218/1995, secondo cui l'unione civile (o altro istituto analogo) costituita all'estero fra cittadini italiani, abitualmente residenti in Italia, produce gli effetti della legge italiana.

Capacità e condizioni per costituire l'unione civile

L'art. 32-ter l. n. 218/1995, come introdotto dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 7, al comma 1 esprime un principio già sancito dall'art. 27 della legge stessa, per quanto riguarda il matrimonio. La capacità e le altre condizioni per costituire un'unione civile sono regolate dalla legge nazionale di ciascuna delle parti al momento della costituzione della stessa. Se la legge straniera non dovesse ammettere l'unione civile tra persone maggiorenni dello stesso sesso, troverebbe applicazione la legge italiana; ciò evidentemente per quelle unioni costituite nel territorio nazionale. Aggiunge la norma che le disposizioni di cui all'art. 1, comma 4, l. n. 76/2016 (afferenti le cause impeditive alla costituzione dell'unione civile) sono di applicazione necessaria. Esse dunque si applicano comunque, escludendo ex ante l'applicazione del diritto straniero, richiamato dalle norme di conflitto, sulla scorta del disposto dell'art. 17 l. n. 218/1995.

Il comma 2 dell'art. 32-ter l. n. 218/1995 stabilisce che, ai fini del nulla-osta di cui all'art. 116, comma 1, c.c., non rilevano gli impedimenti relativi al sesso delle parti. Come è noto, l'art. 116 c.c. subordina il matrimonio dello straniero in Italia alla presentazione all'ufficiale dello stato civile di una relazione dell'autorità competente del Paese straniero, da cui risulti che nulla osti al matrimonio in base alle leggi cui lo straniero è sottoposto. Ciò vale allorquando il cittadino straniero voglia contrarre matrimonio sia con un cittadino italiano, sia con una persona di diversa nazionalità. Nel caso dell'apolide o del rifugiato, in base all'art. 19, comma 1, l. n. 218/1995, si applica la legge dello Stato del domicilio o, in mancanza, di quello di residenza. Anche per la costituzione di un'unione civile dello straniero in Italia si rende necessario il preventivo nulla-osta del Paese d'origine, con la precisazione di cui all'art. 32-ter citato, circa l'applicazione della legge italiana, ove la competente legge straniera non preveda l'unione civile fra persone dello stesso sesso. Il mancato rilascio da parte dell'autorità straniera, basato sull'orientamento sessuale, non può dunque impedire la costituzione in Italia dell'unione civile e la conseguente registrazione. La situazione è analoga a quella dei matrimoni, nei quali il nulla-osta viene rifiutato per motivi religiosi (tipico è il caso della donna, cittadina di uno Stato a matrice islamica, alla quale non è concesso di sposare un uomo di diversa religione). In questo caso il Ministero dell'Interno, con Circolare 11 settembre 2007, n. 46, sulla scorta dell'ordinanza della Corte costituzionale 30 gennaio 2003, n. 14, aveva imposto agli ufficiali di stato civile di non tener conto del mancato nulla-osta per contrasto con l'ordine pubblico. In applicazione di detto principio, la norma ex novo introdotta dispone che il mancato nulla-osta sia sostituito da un certificato o da atto comunque idoneo ad attestare la libertà di stato, ovvero da una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ex d.P.R. n. 445/2000. Si precisa altresì che resta salva la libertà di stato, accertata o acquisita per effetto di un giudicato italiano o riconosciuto in Italia.

Forma dell'unione civile

Il comma 3 dell'art. 32-ter l. n. 218/1995, relativo alla forma dell'unione civile, corrisponde all'art. 28 della legge medesima quanto al matrimonio. L'unione civile è valida, sotto il profilo della forma, se è considerata tale dalla legge del luogo di costituzione, ovvero da quella nazionale di almeno una delle parti o dalla legge dello Stato di comune residenza, al momento della costituzione. Chiaro è il favor nei confronti della validità del vincolo.

Rapporti personali e patrimoniali delle parti dell'unione civile

Il comma 4 dell'art. 32-ter l. n. 218/1995 prevede che i rapporti personali e patrimoniali tra le parti dell'unione civile siano regolati dalla legge dello Stato, davanti alla cui autorità l'unione è stata costituita. Si tratta di un criterio “statico”, ben diverso da quello di cui all'art. 29 (richiamato dall'art. 30) che, in primis assoggetta detti rapporti alla legge nazionale comune e che solleva dubbi interpretativi. Se una coppia di italiani intendesse contrarre un'unione civile in una nazione che adotta quale regime patrimoniale legale la separazione dei beni, detto regime si imporrebbe, mentre altrettanto non sarebbe se quella stessa coppia del medesimo sesso contraesse matrimonio in uno degli Stati che lo ammettono. L'art. 29, comma 2, introduce un criterio mobile per i coniugi di diversa cittadinanza o di più cittadinanze comuni, disponendo l'applicazione ai rapporti personali (e a quelli patrimoniali ex art. 30) della legge del luogo di prevalente localizzazione della vita coniugale. Detto criterio viene richiamato, in via alternativa, anche dal comma 4 dal nuovo art. 32-ter l. n. 218/1995, potendo il giudice disporre l'applicazione di questa legge «a richiesta di una delle parti». La previsione non pare chiara. Non è infatti dato comprendere come debba essere regolamentato l'esercizio di questo potere discrezionale da parte del giudice. Analogamente all'art. 30, comma 1, l. citata le parti dell'unione civile, come i coniugi, possono prevedere per iscritto (senza dunque le forme solenni delle convenzioni matrimoniali) che i loro rapporti patrimoniali siano disciplinati dalla legge dello Stato di cui almeno una di esse è cittadina, o nel quale almeno una di esse risiede. Come è precisato nella relazione illustrativa, detta formulazione è coerente con quanto previsto dal Reg. 2016/1104/UE sugli effetti patrimoniali delle unioni registrate, in vigore dal 29 luglio 2016 ed applicabile a partire dal 29 gennaio 2019, espressamente richiamato nel preambolo del decreto in esame.

Non sono invece richiamati né il comma 2 dell'art. 30 l. n. 218/1996 (circa la validità dell'accordo in base alla legge convenzionalmente scelta), né il comma 3 (sull'opponibilità ai terzi).

Obbligazioni alimentari

Il comma 5 dell'art.32-ter l. n. 218/1995 dispone che alle obbligazioni alimentari trovi applicazione l'art. 45 della stessa legge, contestualmente novellato. Esso prevede che dette obbligazioni siano regolate dalla legge designata dal Reg. 2009/4/CE del Consiglio del 18 dicembre 2008 che, per quanto attiene la legge applicabile, rinvia al Protocollo dell'Aja del 23 novembre 2007. Come è noto, l'unione civile determina l'obbligo per entrambe le parti di contribuire ai bisogni comuni; in caso di scioglimento dell'unione medesima (per la quale non è prevista la separazione personale) può essere liquidato un assegno ai sensi dell'art. 5 l. n. 898/1970, mentre ai fini alimentari la posizione della parte civilmente unita è equiparata a quella del coniuge. Ed è altrettanto noto che, con la locuzione obbligazioni alimentari, la disciplina internazionale fa riferimento a quei doveri di solidarietà familiare, che prescindono dalla ricorrenza di uno stato di bisogno.

Scioglimento dell'unione: giurisdizione e legge applicabile

Il d.l.gs n. 7/2017 ha introdotto l'art. 32-quater l. n. 218/1995, rubricato «scioglimento dell'unione civile». Il comma 1 attribuisce al giudice italiano la competenza giurisdizionale a conoscere della domanda di scioglimento dell'unione, ma pure di nullità o annullamento della stessa, oltre che nei casi di cui agli artt. 3 e 9 della legge stessa, quando una delle parti sia cittadina italiana, ovvero l'unione sia stata costituita in Italia. Non trova infatti applicazione la disciplina di cui al Reg. CE 2201/2003, relativa al matrimonio. Il comma 2 rinvia al diritto internazionale privato dell'Unione europea, posto che la legge applicabile è individuata dal Reg. UE 1259/2010. Come è noto, detto Regolamento, reso nell'ambito della c.d. cooperazione rafforzata, attribuisce ai coniugi il potere di disciplinare di comune accordo la legge applicabile al divorzio (o alla separazione personale), scegliendola tra quelle indicate, in via alternativa, dall'art. 5; in mancanza di accordo, trovano operatività i criteri “a cascata”, di cui all'art. 8. Si assiste, dunque, sotto il profilo della legge applicabile, ad una totale equiparazione tra il matrimonio e l'unione civile.

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