Valore della causaFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 10
13 Gennaio 2020
Inquadramento
Il valore della causa si determina secondo i criteri dettati dagli artt. 10 e ss. c.p.c. Il criterio base è sancito dall'art. 10, comma 1, c.p.c. ove è stabilito che il valore della causa «si determina dalla domanda», con, a seguire, la precisazione: «a norma delle disposizioni seguenti», le quali, sino all'art. 18, dettano criteri di stima diversi a seconda della materia. Tutti i criteri in questione hanno la finalità di consentire l'individuazione del giudice competente per valore. I criteri di cui agli artt. 11 e ss. possono essere ricondotti a tre paradigmi: il valore della domanda viene determinato normativamente, avendo riguardo a determinate circostanze, oppure viene rimesso ad una valutazione del giudice oppure viene rimesso alla volontà delle parti.
Regola fondamentale: determinazione del valore della causa in base alla domanda come proposta
La disposizione di cui all'art. 10 pone, al 1° comma, la regola (fondamentale) secondo cui il valore della causa si determina in base alla domanda come proposta, vale a dire in base a quanto in concreto richiesto (petitum) dall'attore e non all'oggetto dell'accertamento che il giudice deve compiere quale antecedente logico per decidere del fondamento della domanda (Cass. civ., sez. lav., 14 maggio 2004, n. 9251 e Cass. civ., sez. I, 21 gennaio 2005, n. 1338, entrambe relative alla determinazione della competenza per valore in cause per pagamento di somme di denaro; Cass. civ., sez. VI, ord. 28 agosto 2018, n. 21227, relativa alla determinazione della competenza per valore in controversia avente ad oggetto il riparto di una spesa approvata da assemblea condominiale), senza che rilevino le contestazioni del convenuto (Cass. civ., sez. VI, ord. 23 maggio 2012, n. 8189; Cass. civ., sez. VI, ord. 26 marzo 2014, n. 7182). Ai fini in questione nessun effetto spiega l'indicazione del valore della causa riportata in calce all'atto introduttivo della lite per la determinazione del contributo unificato, che ha finalità esclusivamente fiscale (da ultimo, Cass. civ., sez. VI, ord. 10 aprile 2017, n. 9195). Alla regola secondo cui la competenza si determina dalla domanda, viene riconosciuta valenza di principio generale, venendo ritenuta applicabile anche in riferimento agli altri tipi di competenza, sia per territorio (Cass. civ., sez. lav., ord. 17 maggio 2007, n. 11415) che per materia (Cass. civ., sez. III, ord. 12 luglio 2005, n. 14572; Cass. civ., sez. II, ord. 18 gennaio 2007, n. 1122), nonché ad ulteriori fini, quali, ad es., la determinazione del compenso all'avvocato o al CTU (Cass. civ., sez. II, 4 novembre 2011, n. 22959) od agli arbitri. In tema di determinazione della competenza per territorio è stato, tuttavia, precisato che l'applicazione della regola trova un limite di applicazione laddove la prospettazione dei fatti da parte dell'attore sia prima facie artificiosa e finalizzata soltanto a sottrarre la cognizione della controversia al giudice precostituito per legge (Cass. civ., sez. lav., ord. 17 maggio 2007, n. 11415). È stato anche precisato che, laddove la richiesta attorea sia relativa ad una somma esattamente specificata ed a tale richiesta venga aggiunta, come sovente avviene, la formula «o quell'altra maggiore o minore somma che risulterà in corso di causa» od altra equipollente, a tale formula deve essere attribuito valore di clausola di stile, inidonea ad influire sulla determinazione della competenza per valore, che deve restare delimitata dalla somma specificata, non potendo la controversia essere considerata di valore indeterminabile (Cass. civ., sez. III, 30 marzo 2011, n. 7255; Cass. civ., sez. II, 26 luglio 2011, n. 16318; si veda anche Cass. civ., sez. VI, ord. 12 febbraio 2018, n. 3290, secondo cui, nel caso in esame, la causa deve ritenersi, in difetto di contestazione ex art. 14, di valore indeterminato, ancorandosi la competenza per valore al limite massimo della competenza del giudice adito).
Segue. Domande modificate e nuove
La domanda originaria può essere modificata, con ampliamento del petitum, nel corso del giudizio di primo grado. Al «quesito» se, ai fini della determinazione del valore della causa, si debba, in tali casi, avere riferimento unicamente alla domanda originaria oppure alla domanda risultante dall'ampliamento del petitum sono state date risposte differenti. Secondo un orientamento, dominante in dottrina e prevalente in giurisprudenza, l'individuazione del giudice competente deve avvenire con riguardo alla pretesa espressa al momento in cui la domanda viene proposta, restando prive di rilevanza le successive modifiche apportate dall'attore [Cass. civ., sez. II, 28 giugno 1986, n. 4319; Cass. civ., sez. I, 3 marzo 2006, n. 4716; Cass. civ., sez. I, 18 settembre 2006, n. 20118; Cass. civ., sez. II, 8 marzo 2010, n. 5573 - va precisato che entrambi i suddetti principi sono stati affermati dalle tre ultime sentenze citate con riguardo a giudizi innanzi al giudice di pace, al fine di stabilire se la domanda dovesse o meno ritenersi essere stata decisa secondo equità o secondo diritto (art. 113, comma 2, c.p.c.) e, all'ulteriore fine di stabilire il mezzo di impugnazione della pronuncia (appello, se da ritenere decisa secondo diritto, oppure ricorso per cassazione, se da ritenere decisa secondo equità)]. Secondo un altro orientamento, si deve, invece, avere riguardo non solo all'atto introduttivo del giudizio, ma all'intero ambito della controversia e, quindi, alle ulteriori domande introdotte ritualmente dall'attore (Cass. civ., sez. II, 10 giugno 1972, n. 1835; Cass. civ., sez. II, 19 giugno 1984, n. 3631; Cass. civ., Sez. Un., 15 novembre 2002, n. 16162); con la precisazione che, ove, in forza di tali domande, risultasse superato il limite di competenza del giudice adito, quest'ultimo dovrà dichiararsi incompetente (Cass. civ., sez. II, 19 giugno 1984, n. 3631; Cass. civ., sez. II, 4 aprile 1987, n. 3274); con l'ulteriore precisazione che, ove le modifiche e riduzioni della domanda nel corso del giudizio dovessero ricondurre la controversia nell'ambito della competenza del giudice adito, nessuna declinatoria di competenza sarebbe, invece, necessitata (Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1993, n. 5779). Tale ultima tesi è, peraltro, espressione di un orientamento minoritario, essendo nettamente prevalente l'opinione secondo cui la riduzione (o la parziale rinuncia oppure la specificazione che tutte le domande originariamente formulate in maniera indeterminata debbano intendersi complessivamente contenute nei limiti della competenza del giudice adito) della domanda, in corso di causa, da parte dell'attore, non può ricondurre nell'ambito della competenza del giudice adito una domanda che originariamente eccedeva la sua competenza per valore (Cass. civ., sez. III, 1° dicembre 1993, n. 11891; Cass. civ., sez. II, 11 dicembre 1992, n. 13110; Cass. civ., sez. III, ord. 22 gennaio 2003, n. 968; Cass. civ., sez. II, 20 aprile 2006, n. 9250). Laddove la riduzione della domanda comporti la determinazione del valore della stessa al di sotto dei limiti della competenza minima del giudice adito, è stata espressa opinione che il giudice, in virtù di un'esigenza processuale, non sia tenuto a rimettere la causa al giudice inferiore(Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1993, n. 5779; contra, Cass. civ., sez. III, 1° dicembre 1993, n. 11891). Segue. Cumulo di domande
i) Il 2° comma dell'art. 10 dispone che «le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro». ii) È consolidato sia in dottrina che in giurisprudenza il pensiero secondo cui tale disposto si riferisce ai casi di cumulo oggettivo (art. 104, che fa richiamo al disposto testè ricordato). Affinché il criterio del cumulo, ai fini della competenza per valore, sia operativo, è necessario che le domande proposte siano cumulativamente proposte nello stesso processo, fin dall'origine (Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2005, n. 26089), e contro il medesimo soggetto, altrimenti il cumulo non opera ed ai fini della competenza si ha riguardo alla domanda di maggior valore (Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2005, n. 7239). La regola si applica anche nei casi di dichiarazione di contenimento della domanda (in ordine a cui si veda, appresso, lo specifico paragrafo). Il valore di ciascuna domanda da cumulare andrà determinato in base ai criteri ad essa propri (si veda, per un'applicazione – cumulo di una domanda di natura personale con una domanda di natura reale immobiliare - Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1995). La somma dei valori delle domande cumulativamente proposte prescinde dall'identità del titolo su cui esse si fondano, poiché l'art. 10, comma 2, non distingue, a tal fine, tra domande dipendenti dallo stesso titolo e domande dipendenti da titoli distinti. Nel caso in cui, unitamente ad una domanda di valore determinato ed inferiore al limite della competenza del giudice adìto, venga proposta contro lo stesso convenuto una domanda di valore indeterminato, trova applicazione la disciplina del cumulo, con conseguente spostamento della competenza al giudice superiore, salvo che l'attore abbia dichiarato, in modo inequivoco, di voler contenere il valore della seconda domanda entro detto limite (Cass. civ., sez. VI, ord. 20 giugno 2019, n. 16635). iii) Stanti le considerazioni sin qui svolte, la regola non si applica nei casi seguenti: a) Ipotesi in cui la medesima domanda o più domande, anche non altrimenti connesse, siano proposte nei confronti dell'unico convenuto da più attori (da ultimo, Cass. civ., sez. VI, ord. 6 febbraio 2017, n. 3107; Cass. civ., sez. VI, ord. 21 giugno 2018, n. 16424) oppure ipotesi in cui più domande siano proposte da uno stesso attore contro più convenuti. Non danno, quindi, luogo a cumulo, ai fini che in questa sede interessano, né l'ipotesi di litisconsorzio facoltativo attivo, né quella di litisconsorzio facoltativo passivo, disciplinate dall'art. 103 (che non richiama l'art. 10, comma 2), conseguendone che la competenza si determina in tali casi in base al valore di ogni singola domanda (da ultimo, Cass. civ., sez. VI, ord. 6 febbraio 2017, n. 3107). Va ricordato, per completezza, che secondo uno orientamento dottrinario, il criterio del cumulo sarebbe applicabile nei casi di rapporti litisconsortili attivi, considerato che in questo caso si è in presenza di più domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona, non essendo imposto che le domande contro la stessa parte siano proposte da una stessa persona. b) La regola è ritenuta inapplicabile anche nel caso di domande che siano proposte in giudizi separati poi riuniti ai sensi artt. 273 e 274. In tal caso, ciascuno dei procedimenti mantiene la propria individualità e la competenza per valore va stabilita verificando il valore di ciascuna domanda (Cass. civ., sez. V, 1° aprile 2003, n. 4960). c) Del pari, il criterio del cumulo non è applicabile alle voci di un unico petitum che configurino elementi e specificazioni della medesima domanda e, in particolare, alle varie componenti di una pretesa risarcitoria, quali, ad es., danno biologico, danno morale, danno da riduzione della capacità lavorativa specifica, danno da lucro cessante, nonché i relativi interessi e rivalutazione; quindi, in tal caso, non si può ritenere superata la competenza per valore del giudice adito (Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 1999, n. 1425). d) Laddove venga proposta una pluralità di domande che siano fra loro subordinate o proposte in via alternativa si deve avere riguardo alla domanda di maggior valore (Cass. civ., sez. III, 16 luglio 2005, n. 11150; Cass. civ., sez. II, 25 settembre 2018, n. 22711). e) Il principio del cumulo non si applica per le domande che, per quanto distintamente proposte, siano prive di una propria autonomia, costituendo presupposto o mero sviluppo di altra domanda, come nel caso in cui l'accertamento dell'illegittimità o irregolarità di una costruzione sia richiesto in funzione strumentale alla domanda di demolizione (Cass. civ., sez. II, 3 marzo 1994, n. 2106; Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 1997, n. 9779). f) Se una o più delle domande appartenga alla competenza per materia del giudice adito, tali domande devono restare escluse dalla somma dei valori delle altre (Cass. civ., sez. II, 6 giugno 2006, n. 13228; Cass. civ., sez. VI, ord., 6 novembre 2015, n. 22782). Analogamente, qualora siano proposte più domande, anche solo soggettivamente connesse, una od alcune delle quali devolute alla competenza per materia del giudice superiore ed altre rientranti nella competenza per valore del giudice inferiore, l'organo giudiziario superiore è competente a conoscere dell'intera controversia (Cass. civ., sez. VI, ord., 13 luglio 2010, n. 16355; Cass. civ., sez. VI, ord., 8 agosto 2014, n. 17843). g) Nel caso di domanda di risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ex art. 96, è stato escluso che il suo valore possa formare oggetto di cumulo con il valore della domanda principale, perché essa rientra, sia per l'an che per il quantum, nella competenza funzionale del giudice competente a conoscere della domanda principale (Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2004, n. 1322). È stato precisato che la suddetta norma non pone una regola di competenza (Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2007, n. 9297), che attiene esclusivamente al profilo del regolamento delle spese processuali senza incidere sul valore della causa (Cass. civ., Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726). h) Il cumulo resta escluso tra la domanda riconvenzionale e quella principale, per le quali il valore ai fini della competenza si misura su ciascuna delle due domande separatamente, giacché la regola del cumulo delle domande riguarda solo quelle proposte contro la stessa parte (da ultimo, Cass. civ., sez. II, 14 luglio 2015, n. 14691). Ai fini della determinazione della competenza per valore, al capitale devono sommarsi gli interessi scaduti, le spese e i danni, anteriori alla proposizione della domanda. Sono computabili unicamente gli accessori maturati anteriormente alla proposizione della domanda (da far coincidere con il momento della notificazione dell'atto introduttivo), non anche quelli posteriori, che sono l'effetto dell'accertamento del diritto contenuto nella sentenza. Per ciò che attiene agli interessi, vanno sommati al capitale quelli di mora già maturati anteriormente al giudizio ed autonomamente richiesti, ma non quelli moratori scaduti che non formino oggetto di apposita istanza, né quelli genericamente (cioè senza ulteriore specificazione) richiesti, perciò da intendersi come interessi successivi alla data di notifica dell'atto giudiziale introduttivo che, di per sé, vale altrimenti a costituire in mora il debitore (Cass. civ., sez. VI, ord. 19 luglio 2017, n. 17860). Quanto alle spese anteriori alla proposizione della domanda, cumulabili a questa, ai fini della determinazione del relativo valore, si ritiene che il riferimento sia fatto agli esborsi effettuati prima dell'inizio della controversia, sia in sede stragiudiziale (Cass. civ., sez. III, 20 dicembre 1972, n. 3657, relativa a spesa per consulenza tecnica di parte eseguita ante litem), sia a quelli effettuati per procedimenti autonomi dal processo introdotto con la domanda stessa (ad es., procedimenti di istruzione preventiva – v. Cass. civ., sez. VI, 4 novembre 2013, n. 24726), non anche quelle (per dattilografia, copie fotostatiche, studio, consultazioni e simili) sostenute prima di tale processo e ai fini della sua instaurazione (Cass. civ., sez. II, 17 dicembre 2009, n. 26592; Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2012, n. 10626, secondo cui nella determinazione del valore della causa di opposizione a decreto ingiuntivo non rilevano le spese processuali liquidate dal giudice che ha pronunciato il decreto oggetto di opposizione). Fra i danni vanno inclusi anche quelli da svalutazione monetaria che sia intervenuta nell'intervallo fra l'evento dannoso e la proposizione della domanda (Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 2008, n. 4994). Va ricordato che, in tema di determinazione del valore della controversia, è stato ritenuto l'art. 10, comma 2, intende riferirsi, con elencazione esemplificativa e non tassativa, a tutti quegli elementi - siano essi accessori o meno della domanda - che hanno in comune la capacità di accrescersi durante il processo, sicché la richiesta del riconoscimento e della liquidazione del relativo diritto fino al soddisfo non incide sul valore della controversia (Cass. civ., sez. II, 27 giugno 2003, n. 10249). Segue. Eccezioni e contestazioni del convenuto
Le questioni di competenza devono essere verificate in limine litis, alla stregua della domanda e dei fatti costitutivi in essa allegati, senza che rilevino le contestazioni del convenuto (Cass. civ., sez. VI, ord. 6 dicembre 2017, n. 29266), a meno che non si traducano in domande di accertamento incidentale, ex art. 34 (Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2002, n. 4638), o in domande riconvenzionali, ex art. 36 (Cass. civ., sez. II, ord., 11 maggio 2010, n. 11415; Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2013, n. 1848). Segue. La clausola di contenimento
Con riguardo al caso in cui sia proposta una pluralità di domande nello stesso processo contro la medesima persona, per clausola di contenimento si intende la dichiarazione, fatta in modo non equivoco dell'istante e formulata nell'atto introduttivo oppure al più tardi nel corso della prima udienza, di voler contenere l'intero petitum nel limite della competenza per valore del giudice adito (Cass. civ., sez. III, 6 luglio 2010, n. 15853; Cass. civ., sez. III, 5 settembre 2011, n. 18100; Cass. civ., 18 novembre 2015, n. 23649; Cass. civ., sez. VI, ord. 20 giugno 2019, n. 16635). Affinché detta clausola dispieghi i suoi effetti, occorre che essa sia espressamente riferita all'insieme delle domande cumulate (ex multis, Cass. civ., sez. III, 5 settembre 2011, n. 18100). Va rammentato che la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità degli artt. 10 e 14, nella parte in cui consentono che, nel caso di dichiarazione dell'attore di voler contenere il valore complessivo delle domande nei limiti della competenza del giudice adito non si produca lo spostamento della causa al giudice superiore che sarebbe competente per il valore risultante dalla somma delle domande proposte, trattandosi di ovvio corollario del principio secondo cui il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda e, più in generale, dal carattere dispositivo del processo civile (Corte cost. 8 marzo 1996, n. 69).
Valore della causa ai fini della liquidazione dei compensi a carico del soccombente e degli onorari spettanti all'avvocato nei confronti del cliente
i) Ai sensi dell'art. 5, comma 1, del d.m. 10 marzo 2014, n. 55, nella liquidazione dei compensi a carico del soccombente, il valore della causa è determinato a norma del codice di rito, con le seguenti precisazioni: a) nei giudizi per azioni surrogatorie e revocatorie, si ha riguardo all'entità economica della ragione di credito alla cui tutela l'azione è diretta; b) nei giudizi di divisione, si ha riguardo alla quota o ai supplementi di quota o all'entità dei conguagli in contestazione e, quando la controversia interessa anche la massa da dividere, si ha riguardo a quest'ultima; c) nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, si ha riguardo «di norma» alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata; d) in ogni caso, si ha riguardo al valore effettivo della controversia, anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti, quando risulta manifestamente diverso da quello presunto «a norma del codice di rito o alla legislazione speciale». ii) Ai sensi del 2° comma della disposizione citata, nella liquidazione dei compensi a carico del cliente si ha riguardo al valore corrispondente all'entità della domanda, mentre si ha riguardo al valore effettivo della controversia quando risulta manifestamente diverso da quello presunto anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti. La soluzione data in sede normativa è condivisa dalla giurisprudenza. È stato e viene, invero, affermato che nei rapporti tra avvocato e cliente sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione rispetto a quello derivante dall'applicazione delle norme del codice di rito (Cass. civ., sez. II, 8 febbraio 2012, n. 1805; Cass. civ., sez. II, ord. 12 luglio 2018, n. 18507). iii) Ulteriori specificazioni in punto di determinazione del valore della controversia sia per le liquidazioni a carico del cliente sia per quelle a carico del soccombente si rinvengono nel 3° e nel 4° comma (rispettivamente afferenti alle «cause davanti agli organi di giustizia» ed alle cause «davanti agli organi di giustizia tributaria») della disposizione in esame, cui si fa rinvio. iv) Va rammentato che, in sede processuale, per quanto inerente alle controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti (o spese) di avvocato nei confronti del proprio cliente, per prestazioni giudiziali, non si pongono problemi di riparto delle competenze in base al valore della causa, essendo le stesse (regolate dal rito sommario di cognizione) demandate, ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, alla cognizione del competente ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l'avvocato ha prestato la propria opera, cui compete anche conoscere dell'opposizione proposta ai sensi dell'art. 645 qualora l'avvocato, come è in sua facoltà, abbia prescelto di instaurare, al suddetto fine, il procedimento previsto dagli artt. 633 e ss c.p.c. (v., sul tema, Cass. civ., Sez. Un., 23 febbraio 2018, n. 4485).
Segue. Ulteriori specificazioni
i) Qualora il valore effettivo della controversia non risulti determinabile mediante l'applicazione dei criteri sopra enunciati, la stessa si considererà di valore indeterminabile, mentre tale non potrà essere qualificata la domanda di valore indeterminato da accertarsi nel corso dell'istruttoria, il cui ammontare può essere fissato fino al momento della precisazione delle conclusioni (Cass. civ., sez. VI, ord. 22 gennaio 2018, n. 1499). ii) È stato precisato che, in tema di liquidazione degli onorari di avvocato, il principio secondo cui, ove siano state proposte più domande, alcune di valore indeterminabile ed altre di valore determinato, la controversia deve essere ritenuta, nel complesso, di valore indeterminabile opera solo laddove l'applicazione dello scaglione tariffario previsto per le cause di valore indeterminabile consenta il riconoscimento di compensi superiori rispetto a quelli che deriverebbero facendo applicazione dello scaglione applicabile in ragione del cumulo delle domande di valore determinato (Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 2017, n. 4187). iii) Il principio secondo cui il valore della causa si determina in base alle norme del c.p.c., avendo riguardo all'oggetto della domanda considerato al momento iniziale della lite, trova un limite nei casi in cui, al momento dell'instaurazione del giudizio, non sia possibile indicare il quantum, il che avviene, generalmente, nelle controversie per il risarcimento dei danni, ove è frequente la formulazione della domanda di condanna con riserva di quantificazione in corso di giudizio (Cass. civ., sez. II, 31 gennaio 2011, n. 2188). iv) Ai fini della liquidazione degli onorari professionali dovuti dal cliente in favore dell'avvocato, nel caso di transazione di una causa introdotta con domanda di valore determinato e, pertanto, non presunto in base ai criteri fissati dal c.p.c., il valore della causa si determina avendo riguardo soltanto a quanto specificato nella domanda, considerata al momento iniziale della lite, restando irrilevante la somma realizzata dal cliente a seguito della transazione (Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2017, n. 1666). v) In ipotesi di cumulo oggettivo ex art. 104, che presuppone la proposizione delle domande in un unico processo nei confronti del medesimo convenuto o di una pluralità di più convenuti, unitariamente considerata, la liquidazione deve essere fatta con riferimento al valore della controversia secondo i criteri fissati dal codice di rito, con la conseguenza che, in caso di pluralità di domande, esse si sommeranno tra di loro, mentre in ipotesi di domande tra loro subordinate o proposte in via alternativa prevarrà il principio generale per cui si deve guardare alla domanda di maggior valore (Cass. civ., sez. II, 24 ottobre 1983, n. 6236). vi) In ipotesi di litisconsorzio facoltativo ex art. 103 o di riunione di cause connesse, ex art. 274, la determinazione del valore dovrà essere effettuata tenendo presente che tali domande sono distinte ed autonome, così che il valore di ciascuna causa dovrà essere separatamente considerato, salva l'ipotesi di difesa di più parti aventi la stessa posizione processuale (Cass. civ., sez. II, 10 novembre 1988, n. 6056). vii) In tema di liquidazione degli onorari di avvocato, quando un soggetto sia convenuto per il pagamento di un importo dovuto insieme ad altri, il valore della causa si determina con riguardo a quanto dovuto dal singolo convenuto, che altrimenti sarebbe esposto per il compenso stabilito con riferimento all'importo dovuto da tutti i soggetti convenuti nello stesso giudizio per scelta del creditore (Cass. civ., sez. VI, ord. 11 luglio 2016, n. 14118). viii) Nel casoin cui nel giudizio diriferimento sia stata proposta domanda riconvenzionale, la stessa, pur non potendo cumularsi con la domanda principale dell'attore, può, peraltro, comportare, ove sia di valore eccedente quest'ultima, l'applicazione dello scaglione superiore poiché amplia il thema decidendum e, di conseguenza, dell'attività difensiva, così da giustificare l'utilizzazione del parametro correttivo del valore effettivo della controversia sulla base dei diversi interessi perseguiti dalle parti oppure del criterio suppletivo previsto per le cause di valore indeterminabile (Cass. civ., sez. II, 14 luglio 2015, n. 14691; Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2018, n. 30840). ix) L'art. 5, comma 1, quarto periodo, d.m. n. 55/2014, secondo cui, nei giudizi civili per pagamento di somme di denaro, la liquidazione degli onorari a carico del soccombente deve effettuarsi avendo riguardo alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata, si riferisce all'accoglimento, anche parziale, della domanda medesima, laddove, nell'ipotesi di rigetto di questa (cui deve assimilarsi ogni altra ipotesi di diniego della pronuncia di merito), il valore della controversia è quello corrispondente alla somma domandata dall'attore (Cass. civ., sez. VI, ord. 12 giugno 2019, n. 15857 e, nello stesso senso, Cass. civ., sez. II, 7 novembre 2018, n. 28417). x) Ove il convenuto, chiamando in causa un terzo, domandi nei suoi confronti non solo l'estensione dell'accertamento del rapporto principale, ma anche l'accertamento dell'esistenza del rapporto di garanzia (chiamata in garanzia oggettivo-soggettiva), il valore della causa, ai fini della liquidazione delle spese a carico del soccombente, deve essere determinato secondo il valore dell'oggetto del contendere tra le parti principali, atteso che in tale ipotesi unico diventa l'accertamento richiesto al giudice nei confronti di tutte le parti e, per effetto di tale estensione oggettiva e soggettiva, si viene a creare un litisconsorzio necessario (Cass. civ., sez. III, ord. 15 maggio 2018, n. 11742). Segue. Giudizi di impugnazione
Possono verificarsi molteplici ipotesi. Di seguito vengono indicati i casi di maggiore interesse e/o di maggiore frequenza, rilevati dalla giurisprudenza edita. i) Ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della controversia va fissato - in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell'opera professionale effettivamente prestata, quale desumibile dall'interpretazione sistematica delle disposizioni in tema di tariffe per prestazioni giudiziali - sulla base del criterio del disputatum (ossia di quanto richiesto nell'atto introduttivo del giudizio ovvero nell'atto di impugnazione parziale della sentenza); peraltro, ove il giudizio di secondo grado abbia per oggetto esclusivo la valutazione della correttezza della decisione di condanna di una parte alle spese del giudizio di primo grado, il valore della controversia, ai predetti fini, è dato dall'importo delle spese liquidate dal primo giudice, costituendo tale somma il disputatum posto all'esame del giudice di appello (Cass. civ., sez. III, 23 novembre 2017, n. 27871). ii) Ove il giudizio prosegua in un grado di impugnazione soltanto per la determinazione del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il differenziale tra la somma attribuita dalla sentenza impugnata e quella ritenuta corretta secondo l'atto di impugnazione costituisce il disputatum della controversia nel grado e sulla base di tale criterio, integrato parimenti dal criterio del decisum (e cioè del contenuto effettivo della decisione assunta dal giudice), vanno determinate le ulteriori spese di lite riferite all'attività difensiva svolta nel grado (Cass. civ., sez. VI, ord. 16 novembre 2017, n. 27274). ii) Ai fini della determinazione del valore della controversia in fase di appello, quando la sentenza di primo grado sia impugnata solo in ordine ad una questione processuale, il cui ipotetico accoglimento comporterebbe la necessità da parte del giudice del gravame di rimettere la causa al primo giudice, il valore della causa deve considerarsi indeterminabile, poiché l'esame di tale unica questione non comporta la necessità di esaminare il merito della causa (Cass. civ., sez. VI, ord. 4 settembre 2018, n. 21613).
Art. 11 c.p.c.
La norma detta i criteri per la determinazione del valore delle cause relative a quote di obbligazione tra più parti, disponendo che, ove sia chiesto da più persone o contro più persone l'adempimento per quote di un'obbligazione, il valore della causa si determina dall'intera obbligazione. Art. 12 c.p.c.
i) Il valore delle cause relative all'esistenza, alla validità o alla risoluzione di un rapporto giuridico obbligatorio si determina in base a quella parte del rapporto che è in contestazione (ad es., in caso di domanda di risoluzione di un rapporto di locazione per morosità, il valore è rappresentato dall'ammontare dei canoni del residuo periodo della locazione che la domanda dell'attore mira a far cessare anticipatamente: v. Cass. civ., sez. III, 2 marzo 2018, n. 4921; v., nello stesso senso, Cass. civ., sez. VI, ord. 19 luglio 2019, n. 19606, relativa ad un giudizio di impugnazione dell'ordinanza di rilascio, ove è stato affermato che, ai fini della liquidazione delle spese di lite, il valore della causa è costituito dal valore di quella parte del rapporto controverso tra le parti, ossia dal valore dei canoni scaduti e da scadere per tutta la rimanente durata della locazione, nonché Cass. civ., sez. VI, ord. 5 luglio 2013, n. 16898 e Cass. civ., sez. VI, ord. 28 agosto 2018, n. 21227, ove è stato affermato che, ai fini della determinazione della competenza per valore, in relazione a una controversia avente a oggetto il riparto di una spesa approvata dall'assemblea di condominio, anche se il condomino agisce per sentir dichiarare l'inesistenza del suo obbligo di pagamento sull'assunto dell'invalidità della deliberazione assembleare, bisogna fare riferimento all'importo contestato, relativamente alla sua singola obbligazione, e non all'intero ammontare risultante dal riparto approvato dall'assemblea, dovendosi avere riguardo al thema decidendum, invece che al quid disputandum). Tale regola subisce, secondo la giurisprudenza, deroga nell'ipotesi in cui il giudice sia chiamato ad esaminare, con efficacia di giudicato, le questioni relative all'esistenza o alla validità del rapporto che va, pertanto, interamente preso in considerazione ai fini della determinazione del valore della causa (Cass. civ., sez. VI, ord. 6 febbraio 2018, n. 2850). ii) Il valore delle cause per divisione si determina in base alla massa attiva da dividersi. A tale riguardo, va rammentato che, ai sensi dell'art. 5, comma 1, d.m. n. 55 del 2014, ai fini della liquidazione degli onorari di avvocato, il valore della causa di divisione non è quello della massa attiva ex art. 12, ma quello della quota in contestazione (Cass. civ., sez. II, 31 agosto 2018, n. 21495). Tuttavia, quando la controversia interessa anche la massa da dividere, si ha riguardo a quest'ultima.
Art. 13 c.p.c.
La disposizione detta particolari criteri (assumendo a base gli importi dovuti per periodi predeterminati) per la determinazione del valore delle cause relative a prestazioni alimentari periodiche ed a rendite perpetue, con riguardo alle ipotesi in cui il titolo sia controverso (si veda, per un'applicazione in tema di prestazioni di assistenza sociale, cui è attribuita natura alimentare, Cass. civ., sez. lav., ord. 17 luglio 2018, n. 19020). Art. 14 c.p.c.
Per quanto inerente alle cause relative a somme di danaro ed a beni mobili, il valore si determina in base alla somma indicata o al valore dichiarato dall'attore; in mancanza di indicazione o dichiarazione (cui viene equiparata – v. Cass. civ., sez. VI, ord. 18 gennaio 2018, n. 1210 - l'ipotesi in cui la richiesta specificamente quantificata nel suo ammontare venga integrata dalla sollecitazione di determinare il dovuto «in quella somma maggiore o minore che verrà ritenuta di giustizia»), la causa si presume di competenza del giudice adito. In caso di mancata contestazione di tali valori da parte del convenuto, gli stessi restano fissati, anche agli effetti del merito, nei limiti della competenza del giudice adito. In caso di contestazione, il giudice decide, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e senza apposita istruzione. Art. 15 c.p.c.
Il valore delle cause relative a beni immobili deve essere determinato avendo riguardo al risultato della moltiplicazione del valore del reddito dominicale del terreno o della rendita catastale del fabbricato al momento della proposizione della domanda per un moltiplicatore variabile a seconda che si tratti di cause relative alla proprietà oppure all'usufrutto, all'uso, all'abitazione, alla nuda proprietà, al diritto dell'enfiteuta, oppure alle servitù. Qualora, all'atto della proposizione della domanda, non risultino il reddito dominicale o la rendita catastale, il giudice deve attenersi alle risultanze degli atti e, in mancanza di elementi concreti ed attendibili per la stima, deve ritenere la causa di valore indeterminabile (Cass. civ., sez. II, 26 maggio 2015, n. 10810). Per ciò che attiene alle cause per il regolamento di confini, il valore deve essere desunto dalla parte di proprietà controversa oppure, se questa non sia determinata o non ne risulti il reddito dominicale o la rendita catastale, secondo quanto emerge dagli atti e, ove questi non offrano elementi per la stima, la causa deve essere ritenuta di valore indeterminabile.
Artt. 15-bis e 17 c.p.c.
Con riguardo alle procedure di espropriazione forzata, il riparto di competenza viene disposto ratione materiae, ai sensi dell'art. 15-bis, cause relative all'esecuzione forzata. Il valore delle cause di opposizione all'esecuzione forzata (art. 615) si determina dal credito per cui si procede (che corrisponde a quello che risulta dal titolo esecutivo e per il quale è stato intimato precetto di pagamento – v. Cass. civ., sez. III, ord. 15 febbraio 2019, n. 4530); quello delle cause relative alle opposizioni proposte da terzi a norma dell'art. 619, dal valore dei beni controversi; quello delle cause relative a controversie sorte in sede di distribuzione (artt. 512, 598), dal valore del maggiore dei crediti contestati. Con riguardo ai giudizi di opposizione all'esecuzione riservati alla competenza delle sezioni dei tribunali specializzate in materia di impresa, è stato affermato che, ove si tratti di opposizione promossa in relazione ad un precetto contenente soltanto l'ordine di pagare una somma di denaro determinata, la competenza spetta al giudice dell'esecuzione come individuato sulla base dei criteri di cui agli artt. 17, 27 e 615, senza che venga in considerazione la particolare competenza di cui all'art. 124, comma 7, del d.lgs. n. 30/2005, la quale opera in relazione all'esecuzione delle speciali misure contenute nei commi 1, 3, 4 e 5 del medesimo articolo (Cass. civ., sez. VI, ord. 8 aprile 2016, n. 6945). Potrebbe interessarti |