Cause riconvenzionali

Francesco Bartolini
23 Marzo 2016

Il convenuto può difendersi in giudizio deducendo questioni e allegando fatti che, mentre ampliano la materia del decidere, mantengono la sua difesa nell'ambito di una richiesta di rigetto della pretesa attrice (eccezione di pagamento; eccezione di prescrizione). La sua contestazione può consistere anche nella proposizione di una propria domanda, rispetto alla quale egli potrebbe porsi come attore in un apposito processo. Questa domanda è denominata riconvenzionale perché, a sua volta, conviene in giudizio (lo stesso nel quale è formulata) l'attore in veste di convenuto. La domanda riconvenzionale è oggetto di una azione che il convenuto nella causa principale esercita contro colui che lo ha evocato in giudizio. La domanda è autonoma da quella principale, come autonome sono le cause che le avrebbero ad oggetto: la riconvenzionale deve essere esaminata e decisa anche se quella principale è inammissibile (Cass. civ., sez. lav., 26 settembre 1991, n. 10043).
Inquadramento

Il convenuto può difendersi in giudizio deducendo questioni e allegando fatti che, mentre ampliano la materia del decidere, mantengono la sua difesa nell'ambito di una richiesta di rigetto della pretesa attrice (eccezione di pagamento; eccezione di prescrizione). La sua contestazione può consistere anche nella proposizione di una propria domanda, rispetto alla quale egli potrebbe porsi come attore in un apposito processo. Questa domanda è denominata riconvenzionale perché, a sua volta, conviene in giudizio (lo stesso nel quale è formulata) l'attore in veste di convenuto. La domanda riconvenzionale è oggetto di una azione che il convenuto nella causa principale esercita contro colui che lo ha evocato in giudizio. La domanda è autonoma da quella principale, come autonome sono le cause che le avrebbero ad oggetto: la riconvenzionale deve essere esaminata e decisa anche se quella principale è inammissibile (

Cass.

civ.

,

sez. lav., 26 settembre 1991, n. 10043

).

L'art. 36 c.p.c. nell'interpretazione dottrinaria

L'

art. 3

6

c.p.c.

tratta della domanda riconvenzionale a proposito dei legami di connessione che possono venire a esistere tra più domande da proporre al giudice e, di conseguenza, tra le relative cause che possano averle ad oggetto. Questi legami giustificano la riunione delle domande in un unico processo, anche in deroga ai criteri di competenza, a determinate condizioni, la cui disciplina costituisce ratio della norma citata e delle altre, dettate dagli

artt. 3

1

ss.

c.p.c.

In particolare la dottrina attribuisce all'art. 36 c.p.c. un contenuto più ampio di quello rivolto a regolare il detto spostamento di competenza. La disposizione, si sostiene, assume la connessione per riconvenzione anche quale criterio che discrimina le domande che il convenuto può proporre contro l'attore nello stesso processo. La proposizione della domanda riconvenzionale avviene, per definizione, nel contesto di un processo già pendente. La materia del decidere ne viene estesa a questioni ulteriori rispetto a quelle poste alla cognizione del giudice adito dalla domanda attrice. La possibile conseguenza negativa dell'esercizio di una siffatta facoltà è che vengano a cumularsi nella stessa causa domande non aventi tra loro alcun elemento comune, se non quello costituito dalle stesse parti. Per assicurare ordine e razionalità al processo, il nostro codice impone in proposito delle limitazioni. A norma dell'

art. 36

c.p.c.

, è consentita soltanto l'introduzione di istanze riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione. La connessione che per tal modo viene a sussistere tra le domande giustifica, salvo per alcune limitazioni, anche lo spostamento di competenza.

L'art. 36 c.p.c. nell'interpretazione della giurisprudenza

La giurisprudenza prevalente prende spunto dall'indicazione testuale, contenuta nell'art. 36 c.p.c., di un rapporto di dipendenza, che deve intercorrere tra la domanda riconvenzionale e la causa principale, per ricondurre a questa dipendenza la connessione per garanzia (

Cass.

civ.,

sez. I, 5 giugno 2009, n. 12985

), attribuendo così scarsa o nulla rilevanza all'elemento costituito dalla comunanza del titolo vantato dall'attore o assunto a fondamento dell'eccezione. Inoltre, essa afferma che la detta relazione di dipendenza è richiesta soltanto quando la connessione comporta uno spostamento di competenza per condurre la riconvenzionale al giudice della causa principale. Quando non si pone questione di diversità di competenze, è sufficiente che tra la domanda dell'attore e quella in riconvenzione esista un legame che rende opportuna la trattazione in un unico processo. Per la giurisprudenza la proposizione della domanda riconvenzionale nello stesso processo si giustifica anche per la sola esistenza di un qualche collegamento che ne manifesti l'opportunità (

Cass. civ.,

5 giugno 2009, n. 12985

;

Cass.

civ.,

4 luglio 2006, n. 15271

). Per ammettere il convenuto a difendersi con domande in riconvenzione è sufficiente un legame che renda anche soltanto opportuno il simultaneus processus (con una valutazione del tutto discrezionale, rimessa al giudice di merito:

Cass.

civ.,

sez. I, 4 novembre 2013, n. 24684

). In questi casi l'eventuale inammissibilità della riconvenzionale non è rilevabile d'ufficio, occorrendo l'eccezione di parte (

Cass.

civ.,

sez. II, 30 aprile 2015, n. 8814

).

In evidenza

La relazione tra domanda principale e domanda riconvenzionale, ai fini dell'ammissibilità di quest'ultima, non va intesa in senso restrittivo, nel senso che entrambe debbano dipendere da un unico e identico titolo, essendo sufficiente che fra le contrapposte pretese sia ravvisabile un collegamento obiettivo, tale da rendere consigliabile e opportuna la celebrazione del simultaneus processus, ai fini di economia processuale e in applicazione del principio del giusto processo di cui all'

art. 111, comma

1

, Cost

.

(fattispecie relativa a domanda principale di rilascio per finita locazione e domanda riconvenzionale di accertamento dell'avvenuta conclusione di contratto di compravendita dell'immobile locato, in conseguenza dell'accettazione di proposta contenuta in un patto d'opzione) (

Cass.

civ.,

sez. III,

20 dicembre 2011, n. 27564

)

La relazione di dipendenza della domanda riconvenzionale «dal titolo dedotto in giudizio dall'attore», che comporta la trattazione simultanea delle cause, si configura non già come identità della causa petendi (richiedendo l'

art. 36

c.p.

c.

un rapporto di mera dipendenza), ma come comunanza della situazione o del rapporto giuridico dal quale traggono fondamento le contrapposte pretese delle parti, ovvero come comunanza della situazione, o del rapporto giuridico sul quale si fonda la riconvenzionale, con quello posto a base di un'eccezione, sì da delinearsi una connessione oggettiva qualificata della domanda riconvenzionale con l'azione o l'eccezione proposta (

Cass.

civ.,

sez. I, 19 marzo 2007, n. 6520

).

Qualora la domanda riconvenzionale non ecceda la competenza del giudice della causa principale, a fondamento di essa può dedursi anche un titolo non dipendente da quello fatto valere dall'attore a fondamento della sua domanda, purchè sussista con questo un collegamento oggettivo che giustifichi l'esercizio, da parte del giudice, della discrezionalità che può consigliare il simultaneus processus. Pur trattandosi di una valutazione discrezionale del giudice di merito, questi è tenuto a motivare il rifiuto di autorizzazione, opposto all'introduzione di una riconvenzionale non connessa, senza limitarsi a dichiararla inammissibile esclusivamente per la mancata dipendenza dal titolo dedotto in giudizio (

Cass.

civ.,

sez. III, 4 luglio 2006, n. 15271

)

Titolo dedotto in giudizio dall'attore

Per titolo dedotto in giudizio dall'attore, cui si riferisce l'

art. 36

c.p.c.

, la dottrina intende la causa petendi della domanda attrice. Esso è costituito dal diritto soggettivo, di natura sostanziale, fatto valere dall'attore e che costituisce la ragione giuridica della tutela che di esso viene chiesta al giudice. Per fare un esempio, può dirsi che l'azione per mancata manutenzione dell'immobile contro il locatore e la riconvenzione per il pagamento dei canoni contro l'attore-conduttore hanno nella locazione il medesimo titolo; l'azione per il pagamento di un debito e quella per il risarcimento del danno per un illecito extracontrattuale non hanno lo stesso titolo.

Titolo che appartiene alla causa come mezzo di eccezione

Il titolo che appartiene alla causa come mezzo di eccezione è la ragione giuridica sulla quale si fonda l'allegazione di fatti impeditivi, estintivi, modificativi della pretesa attrice. Costituisce esempio di domanda riconvenzionale fondata sull'eccezione già proposta nel giudizio l'eccezione di compensazione dell'asserito debito con un credito di ammontare superiore a quello azionato dall'attore, accompagnato dalla richiesta di pagamento della differenza. Questa richiesta integra una domanda riconvenzionale.

Eccezione riconvenzionale

Tradizionalmente si fa distinzione tra domanda riconvenzionale ed eccezione riconvenzionale. L'eccezione, a differenza dalla domanda, non costituisce esercizio di una azione. Con essa si intende paralizzare la pretesa attrice opponendo fatti che di essa impediscono l'accoglimento. Dalla semplice eccezione quella riconvenzionale si diversifica in quanto con la sua proposizione il convenuto chiede un accertamento (anche costitutivo) di sussistenza di un rapporto più ampio; ma ciò effettua al solo scopo di paralizzare l'azione intrapresa da controparte. Si suole dire che una simile eccezione realizza la funzione processuale dell'eccezione vera e propria ed ha la struttura logica della domanda riconvenzionale (

Cass.

civ., 2

4 luglio 2007, n. 16314

). La detta distinzione è accolta dalla giurisprudenza, la quale peraltro riconduce l'eccezione riconvenzionale all'ambito di disciplina delle eccezioni, in genere, così, di fatto, sminuendone l'importanza pratica. Parte autorevole della dottrina osserva che, finchè la contestazione del convenuto è rivolta a paralizzare la pretesa dell'attore, si resta nel novero delle eccezioni e che in tal senso in queste situazioni non v'è nulla di riconvenzionale; soltanto per ottenere un accertamento ulteriore e diverso occorre una specifica domanda e soltanto in questo caso si entra nell'ambito della domanda riconvenzionale

In evidenza

Ricorre l'ipotesi dell'eccezione riconvenzionale allorquando «il fatto dedotto dal convenuto sia diretto a provocare il mero rigetto della domanda avversaria; integra invece vera e propria domanda riconvenzionale (preclusa in sede di gravame) l'istanza con la quale venga chiesto, oltre al rigetto dell'altrui pretesa, l'ulteriore declaratoria di tutte le conseguenze giuridiche connesse all'invocato mutamento della situazione precedente» (

Cass.

civ.,

sez. 17 maggio 2013, n. 12062

)

Mentre con la domanda riconvenzionale il convenuto, traendo occasione dalla domanda contro di lui proposta, oppone una controdomanda e chiede un provvedimento positivo, sfavorevole all'attore, che va oltre il mero rigetto della domanda attrice, mediante l'eccezione riconvenzionale egli, pur deducendo fatti modificativi, estintivi o impeditivi, che potrebbero costituire oggetto di un'autonoma domanda in un giudizio separato, si limita a chiedere la reiezione della pretesa avversaria, totalmente o anche parzialmente, al fine di beneficiare di una condanna più ridotta (

Cass.

civ.,

sez. III, 16 marzo 2012, n. 4233

).

L'eccezione riconvenzionale consiste in una prospettazione difensiva che, pur ampliando il tema della controversia, è finalizzata, a differenza della domanda riconvenzionale, esclusivamente alla reiezione della domanda attrice, attraverso l'opposizione al diritto fatto valere dall'attore di un altro diritto idoneo a paralizzarlo. Ne consegue che l'inammissibilità della domanda riconvenzionale volta ad ottenere la dichiarazione di nullità di un contratto di comodato e il riconoscimento dell'esistenza di un contratto di affittanza agraria non travolge l'eccezione riconvenzionale relativa all'onerosità del rapporto, essendo quest'ultima necessariamente e logicamente insita nella linea difensiva del convenuto, ben potendo coesistere una domanda e una eccezione, basate sulla stessa situazione e che si pongono l'una come progressione difensiva dell'altra (

Cass.

civ.,

sez. III, 15 aprile 2010, n. 9044

).

Domanda riconvenzionale e competenza

L'

art. 36

c.p.c.

detta le condizioni alle quali è subordinato lo spostamento di competenza che consente di proporre la domanda riconvenzionale allo stesso giudice della domanda principale quando per esso sono competenti giudici diversi. Esso stabilisce che il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali, quando ricorre il legame di connessione da esso descritto, purchè non eccedano la sua competenza per materia o per valore. Si desume, dalla disposizione, che può essere derogata la competenza per territorio, salvo sia stabilita ai sensi dell'

art. 28

c.p.c.

, mentre restano criteri non derogabili quelli che stabiliscono la competenza per materia o limitano ad un importo pecuniario massimo la competenza per valore.

Costituiscono limite allo spostamento di competenza anche:

Le alternative, nell'impossibilità del simultaneus processus

L'

art. 36

c.p.c.

dispone che, quando non sussistono le condizioni che consentono al giudice della causa principale di conoscere anche della causa di garanzia, si applicano le disposizioni dei due articoli precedenti.

Le norme richiamate prevedono un'alternativa, per il giudice adito:

  • la rimessione dell'intera causa al giudice della causa principale, con assegnazione di un termine perentorio per la riassunzione;
  • la rimessione a tale giudice della sola domanda riconvenzionale, eccedente la propria competenza per materia o per valore.

La scelta in questo secondo senso è subordinata, nel testo della norma, al fatto che la domanda principale sia fondata su un titolo non controverso o facilmente accertabile, e la ratio di tale indicazione è da ravvisare nel fatto che queste situazioni consentono al giudicante di decidere senza dover attendere la pronuncia sulla riconvenzionale. In proposito la giurisprudenza segue un orientamento più ampio, per il quale il giudice ha il potere discrezionale di rimettere tutta la causa o di riservarsi la decisione di quella principale, salvo che tra esse esista un rapporto di pregiudizialità. Il provvedimento che scioglie l'alternativa ha natura di provvedimento sulla competenza (

Cass.

civ.,

sez. VI-3, 9 luglio 2015

,

n. 14369

).

In evidenza

In base al combinato disposto dell'

art. 34

c.p.c.

con gli

artt. 35

e

36

c.p.c.

, quando la domanda riconvenzionale eccede la competenza per materia e per valore del giudice adito con la domanda principale, la remissione dell'intera causa al giudice competente per la riconvenzionale si impone solo ove quest'ultima implichi la soluzione di una questione pregiudiziale da risolvere con efficacia di giudicato, mentre in tutti gli altri casi il giudice adito ha il potere di scegliere tra la separazione delle due cause, rimettendo al giudice superiore solo quella relativa alla riconvenzionale, e la rimessione di entrambe al giudice competente per la riconvenzionale, secondo un apprezzamento discrezionale il cui esercizio si estrinseca in una pronuncia di contenuto ordinatorio (

Cass.

civ.,

sez. III,

ord

. 11 ottobre 2002, n. 14560

;

Cass.

civ.,

sez. II, 13 aprile 1999, n. 3619

, la quale negava, però, all'ordinanza natura di provvedimento sulla competenza).

La diversità dei riti processuali

La pluralità delle forme processuali previste dal nostro codice per la trattazione delle controversie di ordinaria cognizione comporta la necessità di una norma che risolva la questione del rito da seguire, nella diversità tra quello da osservarsi per la domanda principale e quello stabilito per la riconvenzionale, quando ricorrono le condizioni per condurre l'una e l'altra di queste domande , in un unico processo, dinanzi al medesimo giudice. In proposito, detta regola l'

art. 40

c.p.c.

nei commi 3 e 4, affermando il principio generale che, quando sono proposte domande cumulativamente o quando esse sono successivamente riunite, si applica per tutte il rito ordinario di cognizione, a meno che per una di esse debba seguirsi il rito per le controversie di lavoro. Se le cause sono invece soggette a riti speciali, si applica quello in ragione del quale viene determinata la competenza o, in subordine, quello previsto per la causa di maggior valore.

Il principio, così sintetizzato, subisce deroga nel caso in cui una delle cause connesse è di competenza del Giudice di pace e l'altra è di competenza del Tribunale (art. 40, commi 6 e 7 c.p.c.): in questo caso entrambe le cause possono essere proposte direttamente al Tribunale. Se sono proposte davanti al Giudice di pace, questi, anche d'ufficio, deve pronunciare la connessione e rimettere le parti presso il Tribunale (è, questo, ad esempio, il caso in cui la riconvenzionale ha natura immobiliare:

Cass.

civ.,

sez. II,

ord

. 11 maggio 2010, n. 11415

). La regola, così posta, non si applica nei casi in cui il Giudice di pace ha, sulla causa principale, competenza funzionale (opposizione a decreto ingiuntivo:

Cass.

civ.,

sez. VI-3,

ord

. 19 febbraio 2014

,

n. 3870

) o per materia (distanze legali nelle piantagioni:

Cass.

civ.,

sez. II,

ord

. 25 novembre 2010, n. 23937

). In questi casi il Giudice di pace trattiene la causa principale e rimette la riconvenzionale al giudice per essa competente.

In evidenza

Nel procedimento davanti al Giudice di pace, qualora siano state proposte una domanda principale di valore non eccedente euro 1.100,00 e una riconvenzionale, connessa ex

art. 36

c.p.c.

, eccedente la competenza del Giudice di pace, non può il giudice medesimo separare la riconvenzionale e rimettere essa sola al giudice superiore, dovendo, viceversa, rimettere al Tribunale l'intera causa, ai sensi dell'

art. 40,

commi 6 e 7

,

c.p.c.

, in modo che la domanda principale e la riconvenzionale siano trattate in un simultaneus processus e decise entrambe con pronuncia secondo diritto, impugnabile, in tutti i capi, con l'appello (

Cass.

civ.,

sez. II, 28 gennaio 2013, n. 1848

)

In tema di competenza, ove il Giudice di pace, adito con domanda rientrante nella sua competenza per materia (nella specie, relativa al rispetto delle distanze nella piantagione di alberi), sia investito, in via riconvenzionale, di una domanda eccedente la sua competenza per valore o per materia (nella specie, di accertamento di usucapione), egli è tenuto, non operando la translatio iudicii a norma dell'

art. 36

c.p.c.

, a trattenere la causa principale, separando la causa riconvenzionale per la quale non è competente; né possono assumere rilevanza, in contrario, le disposizioni del sesto e del settimo comma dell'

art. 40

c.p.c.

, poiché esse non prevedono l'ipotesi in cui le predette domande siano proposte sin dall'inizio davanti al Giudice di pace, nel quale caso rimane ferma la competenza funzionale e inderogabile del medesimo per la causa principale (

Cass.

civ.,

sez. II,

ord

. 25 novembre 2010, n. 23937

).

In tema di opposizione a decreto ingiuntivo dinanzi al Giudice di pace, poiché la competenza, attribuita dall'

art. 645

c.p.c.

all'ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto, ha carattere funzionale e inderogabile – stante l'assimilabilità del giudizio di opposizione a quello di impugnazione -, nel caso in cui sia proposta dall'opponente domanda riconvenzionale eccedente i limiti di valore della competenza del Giudice di pace, questi è tenuto a separare le due cause, trattenendo quella relativa all'opposizione e rimettendo l'altra al Tribunale (

Cass.

civ.,

sez. VI-3,

ord

. 19 febbraio 2014

,

n. 3870

)

La riconvenzionale dell'attore

A superamento di risalenti questioni che avevano diviso la dottrina, l'

art. 183,

comma

5

,

c.p.c.

ha organicamente disciplinato la domanda riconvenzionale proposta dall'attore nei confronti del convenuto, tradizionalmente denominata reconventio reconventionis. La disposizione consente all'attore di opporre alle contestazioni del convenuto, oltre che eccezioni, vere e proprie domande, a condizione che la necessità o l'opportunità della loro formulazione sia conseguenza delle difese del convenuto. La detta disposizione è interpretata nel senso che essa ammette, alla detta condizione consequenziale, una deroga al principio della concentrazione processuale e della esposizione della materia del decidere sin dagli atti introduttivi del processo. Nel giudizio di cognizione ordinario, proposto con la domanda attorea, l'attore non può proporre domande diverse rispetto a quelle originariamente formulate nell'atto di citazione, trovando peraltro tale principio una deroga nel caso in cui, per effetto di una domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, l'attore venga a trovarsi, a propria volta, in una posizione processuale di convenuto, così che al medesimo, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, non può essere negato il diritto di difesa mediante la reconventio reconventionis (

Cass.

civ.,

sez. I, 13 febbraio 2009, n. 3639

). Il principio vale anche quando la parte viene a trovarsi nella veste di attore sostanziale, per effetto dell'altrui opposizione a decreto ingiuntivo (

Cass.

civ.,

sez. III, 4 ottobre 2013, n. 22754

, che ne limita temporalmente la proponibilità alla formulazione nella comparsa di risposta).

La domanda riconvenzionale del terzo chiamato in causa

Una domanda riconvenzionale può essere proposta dal terzo chiamato in causa per opporsi alla domanda formulata nei suoi confronti e per esercitare nello stesso giudizio una propria pretesa contro una delle parti. In proposito la giurisprudenza ha affermato che nel caso di domanda riconvenzionale proposta dal terzo chiamato in causa dal convenuto che su di lui intende riversare gli effetti della domanda dell'attore in forza di un distinto rapporto, dipendente da un diverso titolo, la connessione richiesta dall'

art. 36

c.p.c.

non postula necessariamente che la domanda riconvenzionale tragga fondamento dalla situazione o rapporto giuridico fatto valere dall'attore, ben potendo trarre origine dal rapporto di garanzia confluito nel processo, nel quale il convenuto esercita una autonoma azione, assumendo, nei confronti del terzo, la veste di attore (

Cass.

civ.,

sez. III, 23 ottobre 2001, n. 12974

;

Cass.

civ.,

sez. II, 28 giugno 1993, n.

7131

).

Riferimenti

DINI, La domanda riconvenzionale nel diritto civile, Milano,1978;

DINI, La riconvenzione, Noviss. dig. it., XV, Torino, 1968, pag. 965 ss.;

FRANCHI, Della competenza per connessione, in Comm. del cod. proc. civ., diretto da E. Allorio, I, Milano, 1973, 350 ss.;

NAPPI, La domanda proposta in via riconvenzionale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1989, 751 ss.; TARZIA, BALBI, Riconvenzione (dir. proc. civ.), in Encicl. del dir., XL, Milano, 1989, p. 665 ss.; VULLO, La domanda riconvenzionale, Milano, 1995;

VULLO, Riconvenzione, in Dig. disc. priv. Sez. civ., XVII, Torino, 1998, 526 ss.;

ZAPPAROLI, Nota sulla reconventio reconventionis, in Riv. dir. civ., 1958, I, 191 ss.

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