Compensazione (eccezione di)

14 Ottobre 2016

La compensazione è un modo di estinzione delle obbligazioni diverse dall'adempimento e consiste nella elisione di due reciproche obbligazioni fino al limite della loro concorrenza.
Inquadramento

La compensazione è un modo di estinzione delle obbligazioni diverse dall'adempimento e consiste nella elisione di due reciproche obbligazioni fino al limite della loro concorrenza. Si realizza quando due soggetti sono obbligati, l'uno verso l'altro, in virtù di contrapposte ragioni di credito aventi ad oggetto somme di denaro o cose fungibili dello stesso genere (art.1241 c.c.). L'art.35 c.p.c si occupa della compensazione sotto il profilo della modificazione della competenza nel caso in cui il controcredito opposto superi i limiti di competenza del giudice adìto.

Il nostro ordinamento prevede tre tipi di compensazione che si differenziano quanto a presupposti e modalità operative:

  • compensazione legale
  • compensazione giudiziale
  • composizione volontaria

Compensazione legale, giudiziale e volontaria

La compensazione legale è la compensazione che ha luogo di diritto, ope legis, quando si tratta di debiti omogenei, liquidi, esigibili e certi (art 1243, comma 1, c.c.): in questo caso il meccanismo estintivo opera in virtù e per il semplice fatto oggettivo della coesistenza dei due debiti reciproci (compensatio necessaria est). È, tuttavia, precluso al giudice rilevarla d'ufficio, essendo all'uopo necessaria un'apposita eccezione della parte (art. 1241 c.c.) che manifesti l'intento di avvalersi della compensazione stessa. La compensazione legale, a differenza di quella giudiziale, opera di diritto per effetto della sola coesistenza dei debiti, sicché la sentenza che la accerti è meramente dichiarativa di un effetto estintivo già verificatosi. Detto automatismo non resta escluso dal fatto che la compensazione debba essere oggetto di specifica eccezione, poiché tale disciplina comporta unicamente che il suddetto effetto sia nella disponibilità del debitore che se ne avvale, senza che -tuttavia- sia richiesta una autorizzazione alla compensazione dalla controparte (Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2014 n. 22324).

La sentenza che la accerta ha, pertanto, natura meramente dichiarativa, poichè con essa il giudice si limita a rilevare un fatto già verificatosi, ed opera ex tunc sin dal giorno della coesistenza dei due debiti per le quantità corrispondenti. Essa ricorre in presenza di prestazioni omogenee, ugualmente liquide ed esigibili, se i rapporti cui i crediti e debiti si riferiscono sono autonomi e fondati su distinti rapporti giuridici.

Nel caso, infatti, in cui i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto intercorso tra le parti, non si applica la disciplina della compensazione, risolvendosi in tal caso la valutazione delle reciproche pretese in un semplice accertamento contabile di dare e avere che il giudice può compiere indipendentemente dalla proposizione di apposita domanda riconvenzionale o di formale eccezione di compensazione. Infatti, in caso di crediti originati da un unico rapporto, è configurabile la cd. compensazione “atecnica” o impropria cui sono inapplicabili le norme processuali che pongono preclusioni o decadenze alla proponibilità delle relative (Cass. civ., 19 aprile 2011 n. 8971) poiché in tal caso la valutazione delle reciproche pretese importa soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere, al quale il giudice può procedere anche in assenza di apposita domanda riconvenzionale od eccezione di compensazione, implicanti, queste ultime, invece, l'autonomia dei rapporti ai quali i crediti si riferiscono (Cass. civ., sez. III, 13 agosto 2015 n. 16800; Cass. civ., sez. lav., 29 agosto 2012 n. 14688). Si pensi ad esempio al credito vantato dal locatore-attore, avente ad oggetto il risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale per violazione della clausola di non rimozione delle addizioni effettuate dal conduttore, con quello vantato dal convenuto-locatario ed inerente l'indennità per l'eseguita addizione.

Pur non potendosi applicare l'istituto della compensazione nel caso in cui non sussista la predetta autonomia di rapporti per avere origine i rispettivi crediti nell'ambito di un'unica relazione negoziale (ancorché complessa), è tuttavia possibile la valutazione, nell'ambito del medesimo giudizio, delle reciproche ragioni di credito e del consequenziale accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite di dare-avere derivanti da un unico rapporto, cui il giudice deve anzi procedere anche d'ufficio (Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2015 n. 16994)

La compensazione è, invece, giudiziale quando uno dei debiti (o entrambi), pur essendo omogeneo (rispetto a quello azionato) ed altresì esigibile, difetti del carattere della liquidità, ma sia tuttavia di facile e pronta liquidazione: in questo caso la compensazione non avviene di diritto, ma è l' effetto della sentenza del giudice che può dichiarala, sempre su eccezione della parte interessata, questa volta con effetto ex nunc, per la parte del debito che riconosce esistente.

La compensazione presuppone che, in ogni caso, ricorrano, i requisiti di cui all'art. 1243 c.c., cioè che si tratti di crediti certi, liquidi ed esigibili (o di facile e pronta liquidazione). Ne consegue che un credito contestato in un separato giudizio non è suscettibile di compensazione legale, attesa la sua illiquidità, né di compensazione giudiziale, poiché potrà essere liquidato soltanto in quel giudizio, salvo che, nel corso del giudizio di cui si tratta, la parte interessata alleghi ritualmente che il credito contestato è stato definitivamente accertato nell'altro giudizio con l'efficacia di giudicato, né, comunque, alla cosiddetta "compensazione atecnica", perché essa non può essere utilizzata per dare ingresso ad una sorta di "compensazione di fatto", sganciata da ogni limite previsto dalla disciplina codicistica . La compensazione presuppone che, in ogni caso, ricorrano, i requisiti di cui all'art. 1243 c.c., cioè che si tratti di crediti certi, liquidi ed esigibili (o di facile e pronta liquidazione). Ne consegue che un credito contestato in un separato giudizio non è suscettibile di compensazione legale, attesa la sua illiquidità, né di compensazione giudiziale, poiché potrà essere liquidato soltanto in quel giudizio, salvo che, nel corso del giudizio di cui si tratta, la parte interessata alleghi ritualmente che il credito contestato è stato definitivamente accertato nell'altro giudizio con l'efficacia di giudicato, né, comunque, alla cosiddetta "compensazione atecnica", perché essa non può essere utilizzata per dare ingresso ad una sorta di "compensazione di fatto", sganciata da ogni limite previsto dalla disciplina codicistica. (cfr. Cass. civ., sez. lav., 29 gennaio 2015 n. 1695).

La compensazione si definisce infine volontaria o negoziale quando si realizza per accordo delle parti, laddove non ricorrano i requisiti necessari per l'operare delle altre due forme di compensazione (art 1252 c.c.). In tale evenienza l'elisione dei reciproci debiti sarà, dunque, il prodotto della stipula di un contratto.

Disciplina processuale dell'eccezione di compensazione

La compensazione legale estingue "ope legis" i debiti contrapposti in virtù del solo fatto oggettivo della loro contemporanea sussistenza, sicché la pronuncia del giudice si risolve in un accertamento dell'avvenuta estinzione dei reciproci crediti delle parti dal momento in cui sono venuti a coesistenza; tuttavia, sul piano processuale la compensazione , in quanto esercizio di un diritto potestativo, non può essere rilevata d'ufficio e deve essere oggetto di una eccezione in senso stretto (art. 112 c.p.c) di chi intende avvalersene (art. 1242 c.c.), senza necessità che la relativa manifestazione di volontà sia espressa mediante l'uso di formule sacramentali, essendo sufficiente che dal comportamento della parte risulti univocamente la volontà di ottenere la dichiarazione dell'estinzione del debito (Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2014 n. 10335) .

Al pari do ogni altra eccezione, l'onere della prova spetta alla parte deducente la compensazione quale fatto estintivo della propria obbligazione (Cass. civ., sez. lav., 12 gennaio 2016 n. 292)

Quindi può trattarsi dell'eccezione come mera difesa processuale che mira solo a paralizzare la difesa avversaria: in questo caso quando il convenuto oppone in compensazione un credito non contestato, la questione rimane circoscritta nell'ambito della eccezione in senso stretto e, come tale, non determina lo spostamento della competenza, qualunque sia il valore del controcredito opposto, poiché essa deve essere esaminata dal giudice incidenter tantum, ai soli fini della quantificazione del credito fatto valere dall'attore, senza alcuna statuizione sul controcredito e senza comportare alcuna questione suscettibile di decisione con effetto di giudicato. Oppure può trattarsi di una azione riconvenzionale con la quale il convenuto esercita la sua pretesa creditoria contro l'attore e mira ad ottenere una pronuncia di condanna nei confronti della controparte.

In quest'ultimo caso se il credito opposto in compensazione è di valore superiore a quello dedotto in giudizio dall'attore, e il convenuto chiede la condanna dell'attore al pagamento della maggior somma ad esso spettante, si verte in ipotesi di vera e propria domanda riconvenzionale soggetta, sotto il profilo processuale, alla disciplina dell'art. 36 c.p.c .

La compensazione deve essere eccepita a pena di decadenza nella comparsa di risposta tempestivamente depositata (art. 167, comma 2, c.p.c); è fatta valere dal difensore senza bisogno di una procura speciale e non richiede particolari formalità.

La contestazione dell'attore sul credito opposto in compensazione trasforma l'iniziale eccezione in una questione da decidere con efficacia di giudicato, che modifica, ampliandolo, l'oggetto della controversia, determinando la instaurazione di un giudizio di accertamento incidentale, con conseguenti implicazioni sul piano della competenza. È stato evidenziato che, affinchè si determini la necessità dell'accertamento incidentale del credito opposto in compensazione, con eventuale spostamento dell'intera causa al giudice superiore o separazione delle questioni, è necessario che la contestazione sia seria ed investa il controcredito in sé, non la ritualità dell'eccezione o i requisiti specifici di compensabilità. Non basta qualunque contestazione per rendere il credito inopponibile: occorre che la contestazione sia seria ed investa i requisisti della compensazione legale, non verta quindi su questione di mero diritto ma su fatti che debbono essere provati.

I poteri del giudice e le deroghe alla competenza

La compensazione giudiziale (art. 1243, comma 2, c.c.) è ammessa soltanto se il giudice di merito, nel suo discrezionale apprezzamento, riconosce la facile e pronta liquidità del credito opposto in compensazione: difettando tali condizioni la relativa eccezione va disattesa e il convenuto potrà far valere il credito in separata sede con autonomo giudizio. Pertanto, in difetto di una prova sicura del credito opposto, la compensazione non può essere pronunciata. La illiquidità, e dunque l'incertezza sull'ammontare del debito, preclude la compensazione. Si legge in Cass. civ., sez. lav., 29 gennaio 2015 n. 1695 che la compensazione presuppone che, in ogni caso, ricorrano, i requisiti di cui all'art. 1243 c.c., cioè che si tratti di crediti certi, liquidi ed esigibili (o di facile e pronta liquidazione). Ne consegue che un credito contestato in un separato giudizio non è suscettibile di compensazione giudiziale (nè legale, attesa la sua illiquidità), poiché potrà essere liquidato soltanto in quel giudizio, salvo che, nel corso del giudizio di cui si tratta, la parte interessata alleghi ritualmente che il credito contestato è stato definitivamente accertato nell'altro giudizio con l'efficacia di giudicato.

Si è discusso sull'esatto significato del concetto di liquidità. Secondo un certo orientamento dottrinario è liquido il credito che si presenti non solo determinato nel suo ammontare, ma altresì incontroverso nel titolo, il che equivale a dire che il credito è liquido quando è certo, ossia definitivamente accertato con sentenza passata in giudicato, ovvero non processualmente contestato.

Anche in giurisprudenza non sono mancate opinioni difformi. L'orientamento prevalente riteneva che, che la compensazione giudiziale, di cui all'art. 1243, comma 2, c.c., presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la compensazione medesima è invocata e non può, dunque, fondarsi su un credito, la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso poiché la compensazione giudiziale presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la compensazione viene fatta valere (Cass. civ., 25 maggio 2004 n. 100554 e Cass. civ., n. 9608/2013). In tale ipotesi, sarebbe anche esclusa la possibilità di invocare la sospensione contemplata, in via generale, dagli artt. 295 o 337, comma 2, c.p.c. in considerazione della prevalenza della disciplina speciale menzionata.

Secondo un'altra impostazione, invece, la valutazione circa la ricorrenza del carattere di liquidità del credito andrebbe effettuata alla stregua di criteri puramente obiettivi avendo riguardo a quanto risulta dal titolo costitutivo. Nella pronuncia resa dalla Corte nella sentenza Cass. civ., 17 ottobre 2013 n. 23573 viene messo in dubbio il suesposto principio più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità e si afferma che la circostanza che l'accertamento di un credito risulti "sub iudice" non è di ostacolo alla possibilità che il titolare lo opponga in compensazione al credito fatto valere in un diverso giudizio dal suo debitore. In tal caso, si legge, nella decisione , se i due giudizi pendano innanzi al medesimo ufficio giudiziario, il coordinamento tra di essi deve avvenire attraverso la loro riunione, all'esito della quale il giudice potrà procedere nei modi indicati dal secondo comma dell'art. 1243 c.c. Se, invece, pendono dinanzi ad uffici diversi (e non risulti possibile la rimessione della causa, ai sensi dell'art. 40 c.p.c. in favore del giudice competente per la controversia avente ad oggetto il credito eccepito in compensazione), ovvero il giudizio relativo al credito in compensazione penda in grado di impugnazione, il coordinamento dovrà avvenire con la pronuncia, sul credito principale, di una condanna con riserva all'esito della decisione sul credito eccepito in compensazione e contestuale rimessione della causa nel ruolo per decidere in merito alla sussistenza delle condizioni per la compensazione, seguita da sospensione del giudizio - ai sensi, rispettivamente, degli artt. 295 e 337, comma 2, c.p.c. - fino alla definizione del giudizio di accertamento del controcredito.

Sul punto recentemente la Terza Sezione Civile (Cass. civ., sez. III, ord. 11 settembre 15, n.18001) rilevando il suesposto contrasto giurisprudenziale sulla delicata questione concernente l'operatività della compensazione legale qualora uno dei crediti sia ancora “sub iudice”, ovvero accertato giudizialmente, ma con sentenza non ancora passata in giudicato, l'ha rimessa al Primo Presidente della Corte, ai fini di una eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Quando il credito opposto in compensazione è contestato ed eccede la competenza per valore del giudice adìto si possono verificare le due seguenti ipotesi.

a) La separazione dei giudizi, se la domanda (principale) è fondata su un titolo non controverso (ovvero il convenuto non contesta il debito verso l'attore, per l'ammontare indicato, ma invoca il rigetto della domanda in virtù del controcredito opposto in compensazione) o facilmente accertabile, il giudice decide sulla domanda (eventualmente subordinando la esecuzione della sentenza alla prestazione di una cauzione) e rimettere le parti dinanzi al giudice competente per la sola decisione sulla eccezione di compensazione. La possibilità di separazione del giudizio sulla domanda da quello sull'eccezione rappresenta una disposizione di carattere eccezionale che consente di scongiurare il pericolo che la compensazione sia utilizzata a fini meramente dilatori. Prevale in questo caso l'esigenza di speditezza del processo. Nell'ipotesi di rimessione al giudice superiore della sola questione relativa alla eccezione di compensazione, il giudice della causa principale pronuncia sentenza con riserva, condizionata all'esito della decisione sulla esistenza del controcredito e caducata dall'esito positivo di detto accertamento. È in funzione di questa eventualità che il primo giudice può subordinare la esecuzione della sentenza di condanna alla prestazione di una cauzione. Evidentemente nel caso di palese infondatezza della domanda non avrà luogo la rimessione della eccezione al giudice superiore stante la subordinazione dell'accertamento del controcredito all'accertamento del credito inizialmente fatto valere.

b) La remissione dell'intera causa al giudice superiore, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione a norma dell'art. 34 c.p.c.: se la questione posta a fondamento della domanda non è di immediata e facile soluzione. Tale rimessione non è possibile quando l'eccezione di compensazione è sollevata dal debitore nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, stante il carattere funzionale e inderogabile della competenza del giudice che ha emesso il decreto.

Inoltre, la diversa competenza per materia o territorio inderogabile rappresenta un limite insuperabile alla trattazione simultanea della domanda originariamente proposta e della eccezione di compensazione (tale limite deve ritenersi superato, quanto al riparto verticale della competenza tra giudice di pace e tribunale , dai commi 6 e 7 dell'art. 40 c.p.c , introdotto dalla l. n. 374/1991 sicchè nel caso in cui la domanda principale appartenga alla competenza per materia del giudice di pace, nel qual caso nulla osta a che l'intera causa venga rimessa dinanzi al tribunale).

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in considerazione della competenza funzionale ed inderogabile del giudice che ha emesso il decreto, allorchè venga eccepito in compensazione un credito eccedente la competenza per valore del giudice adìto, questi non può rimettere al giudice superiore tutta la causa, ma solo la decisione relativa all'eccezione di compensazione trattenendo quella concernente l'opposizione a decreto ingiuntivo, salva l'eventuale sospensione di quest'ultima causa a norma dell'art.295 c.p.c. (Cass. civ., n. 1640/1999) .

La materia si atteggia, poi, in modo particolare allorchè una delle parti sia un soggetto “fallito”. In questo caso, quando nei confronti del predetto venga proposta una domanda di accertamento dei reciproci rapporti obbligatori e i crediti vengano dedotti non per ottenere la condanna del fallimento, ma solo al fine di giovarsene in sede di compensazione con eventuali controcrediti vantati dalla curatela, la competenza a decidere la controversia non è devoluta al tribunale fallimentare ai sensi dell'art. 24 l.fall trattandosi di azione non derivante dal fallimento e neppure utile ai fini del concorso (art. 92 l.fall.), ma diretta solo a paralizzare eventuali istanze di condanna in favore della curatela fallimentare. Diverso il caso (menzionato in Cass. civ., n. 5333/1991 ) in cui, nel giudizio promosso dal curatore del fallimento per il recupero di un credito del fallito, il convenuto, invocando opposte ragioni di credito derivanti dal medesimo rapporto obbligatorio, proponga domanda riconvenzionale diretta, non soltanto a paralizzare la domanda creditoria del fallimento, ma anche ad ottenere una pronuncia di accertamento di una pretesa obbligatoria da far valere nel concorso collettivo: ricorrendo detta fattispecie, entrambe le pretese, inscindibilmente devolute alla cognizione di un unico giudice (art. 36 c.p.c.) rientrano nella competenza funzionale ed inderogabile del tribunale fallimentare.

Riferimenti

BIANCA, Diritto Civile, IV, L'obbligazione, Giuffrè 1993;

CENDON, Commentario al codice di procedura civile, Giuffrè Ed. Milano 2012;

PICARDI, SASSANI, PANZAROLA Codice di procedura civile, VI ed. Giuffrè 2007 Tomo I;

SATTA, Commentario al codice di procedura civile vol. I, 1966.

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