Opposizione a decreto ingiuntivo

Cristina Asprella
07 Luglio 2016

L'opposizione a decreto ingiuntivo, sotto alcuni profili, è un rimedio di tipo impugnatorio, sotto altri si presenta invece come un processo di cognizione ordinario di primo grado.
Inquadramento

L'opposizione a decreto ingiuntivo, sotto alcuni profili, è un rimedio di tipo impugnatorio, sotto altri si presenta invece come un processo di cognizione ordinario di primo grado. L'ingiunto, ricevuta la notifica, può proporre opposizione nel termine perentorio di quaranta giorni. L'opposizione si propone con atto di citazione e dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, con una formale inversione dei ruoli delle parti.

La competenza per l'opposizione spetta inderogabilmente allo stesso ufficio giudiziario adito per l'ingiunzione.

L'onere della prova è ripartito tra le parti secondo la loro posizione sostanziale ed in base alle regole generali.

Nel corso del giudizio di opposizione il creditore può ottenere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo che ne sia sprovvisto, e ciò nei casi previsti dall'art. 648 c.p.c.. L'articolo in questione disciplina l'ipotesi in cui l'esecuzione provvisoria del decreto non venga concessa a norma dell'art. 642 c.p.c. ma solo successivamente, dopo la proposizione dell'opposizione. A tal fine è necessario che l'opposizione non sia fondata su prova scritta o di pronta soluzione. Per prova scritta si intende qualsiasi documento idoneo a provare, ex artt. 2699 e ss. c.c., il fondamento dell'eccezione del debitore ingiunto e quindi l'inesistenza del diritto del creditore. Per pronta soluzione s'intende l'esistenza di mezzi di prova posti a sostegno dell'opposizione, tali però da non dare vita ad una vera e propria istruttoria (fatti notori, ammissioni del ricorrente, fatti pacifici tra le parti).

In caso di accoglimento, anche parziale, dell'opposizione, la sentenza che definisce il giudizio sostituisce in pieno il decreto ingiuntivo ma gli atti di esecuzione già compiuti conservano la loro efficacia, nei limiti della prestazione eventualmente ridotta.

Natura del giudizio di opposizione

Sia in dottrina che in giurisprudenza si controverte sulla natura giuridica dell'opposizione a decreto ingiuntivo.

Mentre ampia parte della dottrina la configura come un mezzo di impugnazione del decreto ingiuntivo la giurisprudenza, specie la più attuale, la considera una fase successiva, deputata alla verifica e all'accertamento in un procedimento azionato inaudita altera parte con cognizione sommaria (Cass. civ., 17 luglio 2008, n. 19680; Cass. civ., 28 gennaio 1995, n. 1052; per tutti Cass. civ., sez. un., 7 luglio 1993, n. 7448). Fase che, tuttavia, si configura come meramente eventuale, poiché instaurata su iniziativa dell'ingiunto. È certo, comunque, che l'opposizione in parola origini un ordinario giudizio di cognizione, che si svolge in contraddittorio, pur se differito, che riguarda la domanda «monitoria» e all'interno del quale le parti, pur se formalmente invertite, conservano la loro posizione sostanziale (Cass. civ., 10 marzo 2009, n. 5754; Cass. civ., 27 giugno 2000, n. 8718; Cass. civ., 10 gennaio 1980, n. 184). Anche nella giurisprudenza di merito il principio è pacifico: da ultimo si è detto che il giudizio in parola è un giudizio a cognizione piena caratterizzato dalle ordinarie regole processuali, soprattutto per quanto concerne il regime dell'onere probatorio. Da ciò deriva che oggetto del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non è tanto la valutazione della legittimità e della validità del decreto ingiuntivo opposto, quanto la fondatezza o meno della pretesa creditoria originariamente azionata in via monitoria, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza (Trib. Bari, 14 ottobre 2021 n. 3628). In tale giudizio, a certe condizioni, è possibile proporre domanda riconvenzionale: infatti secondo la giurisprudenza di legittimità il principio per cui nell'ordinario giudizio di cognizione introdotto dall'opposizione a decreto ingiuntivo è solo l'opponente che, nella sua sostanziale posizione di convenuto, può proporre domande riconvenzionali, ma non anche l'opposto che così incorrerebbe nel divieto della mutatio libelli, è derogato, quando, per effetto di una riconvenzionale proposta dall'opponente, la parte opposta viene a trovarsi in una posizione processuale di convenuto, al quale non può essere negato il diritto di difesa rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, il cui ingresso nel medesimo processo sia stato consentito dal giudice (Cass. civ., 9 ottobre 2000, n. 13445). Poiché l'opposizione a decreto ingiuntivo instaura un ordinario giudizio di cognizione in cui il giudice non deve limitarsi ad esaminare se l'ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere ad una autonoma valutazione di tutti gli elementi offerti sia dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria pretesa dedotta con il ricorso introduttivo, sia dall'opponente per contestarla e, a tal fine, non è necessario che la parte che ha chiesto l'ingiunzione formuli una specifica ed espressa domanda di pronuncia sul merito della pretesa creditoria, essendo sufficiente che resista all'opposizione e chieda conferma del decreto opposto (Cass. civ., 28 maggio 2019, n. 14486).

In questo giudizio ordinario il giudice non deve stabilire se il decreto ingiuntivo fu legittimamente emesso, ma deve accertare il fondamento della pretesa azionata con il ricorso per decreto ingiuntivo e, laddove la domanda risulti fondata, deve accoglierla indipendentemente dalla regolarità e validità delle prove che condussero all'emanazione del decreto ingiuntivo. In sostanza, poiché l'opposizione non è una impugnazione del decreto ingiuntivo diretta a farne valere vizi ovvero originarie ragioni di invalidità, ma origina un ordinario giudizio di cognizione di merito, finalizzato all'accertamento dell'esistenza del diritto di credito fatto valere dal creditore con il ricorso introduttivo, la sentenza che decide il giudizio deve accogliere la domanda del creditore, rigettando di conseguenza, l'opposizione, quando riscontri che i fatti costitutivi del diritto fatto valere in sede monitoria, pur se non esistenti al momento della proposizione del ricorso, sussistono in quello successivo della decisione (Cass. civ., 15 dicembre 2021, n 40110; Cass. civ., 9 novembre 2021 n. 32792; Cass. civ., 16 luglio 2020 n. 15224; Cass. civ., 22 aprile 2003 n. 6421). Segnala la giurisprudenza che sono da considerarsi irrilevanti, ai fini di questo accertamento, eventuali vizi del procedimento monitorio che non si traducano nell'inesistenza del diritto azionato con il ricorso per ingiunzione e che possano assumere rilievo solo sul piano del regolamento delle spese della prima fase, quella monitoria (ex multis in giurisprudenza Cass. civ., 12 marzo 2019, n. 7020; Cass. civ., 17 febbraio 2004, n. 2997; Cass. civ., 29 gennaio 2004, n. 1657). Più precisamente, qualora l'opponente risulti vittorioso rispetto all'illegittimità del decreto ingiuntivo, ma soccombente nel merito, potrà essere condannato alle spese del giudizio di opposizione, salvo quelle della fase monitoria (Cass. civ., 5 gennaio 2010, n. 28; Cass. civ., 10 settembre 2009, n. 19560). Di recente la giurisprudenza di legittimiàt ha precisato, con riferimento alla condanna alle spese del giudizio di opposizione, che la valutazione della soccombenza va sempre rapportata all'esito finale della lite, anche nell'ipotesi, appunto, di giudizio ex art. 645 c.p.c., sicché non può considerarsi soccombente il creditore opposto che veda conclusivamente riconosciuto, anche in parte minima, il proprio credito rispetto alla domanda monitoria, legittimamente subendo la revoca integrale del decreto ingiuntivo e la condanna alla restituzione di quanto, eccedente rispetto al dovuto, abbia percepito in dipendenza della provvisoria esecutività (Cass. civ., 27 agosto 2020 n. 17854; Cass. civ., 21 luglio 2017 n. 18125).

La competenza dell'ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo è funzionale ed inderogabile; pertanto, non è modificabile in alcun modo, nemmeno quando il giudizio di opposizione sia in rapporto di litispendenza, continenza o connessione con un altro giudizio (Cass. civ., 2 febbraio 2004, n. 1812); sicché, se l'ufficio giudiziario che ha emesso il decreto, funzionalmente e inderogabilmente competente a controllarlo in sede di opposizione, è incompetente per la causa connessa, introdotta dal debitore, non può rimettere anche il giudizio di opposizione ma deve sospenderlo, ex art. 295 c.p.c., se ne ricorrono i presupposti (Cass. civ., 16 novembre 2017, n. 27234).

La sentenza con cui il giudice, in sede di opposizione, dichiara l'incompetenza territoriale non comporta la declinatoria della competenza funzionale a decidere sull'opposizione ma contiene necessariamente, pur se implicitamente, la declaratoria di invalidità e revoca del decreto stesso con la conseguenza che il giudizio che trasmigra davanti al giudice ad quem non è più una causa di opposizione al decreto ingiuntivo ormai caducato ma, piuttosto, un ordinario giudizio di cognizione relativo all'accertamento del credito dedotto nel ricorso per decreto ingiuntivo (Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2016, n. 1372; v. anche Cass. civ., sez. II, 9 novembre 2004, n. 21297).

Competenza per il giudizio di opposizione

La competenza a conoscere dell'opposizione spetta all'ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto. Questa competenza funzionale del giudice che ha emesso il provvedimento è inderogabile e immodificabile, anche per ragioni di connessione, né per litispendenza, continenza (Cass. civ., 8 agosto 2017, n. 19738; Cass. civ., 5 agosto 2015, n. 16454; ma si confronti Cass. civ., 22 aprile 2008, n. 10384 secondo cui il principio della inderogabilità e immodificabilità, anche per ragioni di litispendenza, continenza o connessione della competenza funzionale in questione, non è applicabile nel caso in cui nel giudizio di opposizione sia proposta dall'opponente domanda riconvenzionale relativa ad un rapporto giuridico diverso da quello cui si riferisce il procedimento monitorio e sia eccepita la litispendenza in relazione a tale domanda). Di recente nella giurisprudenza di merito si è però detto che l'eccezione di incompetenza territoriale accolta dalle parti ai sensi dell'art. 38, comma 2, c.p.c., comporta la revoca del decreto ingiuntivo perché nullo in quanto emesso da giudice incompetente; sicché questi non può che prendere atto di questo accordo e disporre la cancellazione della causa dal ruolo rimettendo le parti innanzi al giudice competente, e dichiarando la nullità del decreto opposto (Trib. Reggio Emilia, 21 ottobre 2020). Ne deriva che il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo, in caso sia proposta domanda riconvenzionale di competenza della sezione specializzata delle imprese di altro tribunale, è tenuto a separare le due cause, rimettendo quella relativa a quest'ultima domanda davanti al tribunale competente, ferma restando nel prosieguo l'eventuale applicazione delle disposizioni sulla sospensione (Cass. civ., 8 agosto 2017, n. 19738).

In ogni caso è inammissibile il regolamento di competenza con cui si deduca che il giudice, nel dichiarare la propria incompetenza, abbia omesso di revocare il decreto ingiuntivo opposto, sia perché la pronuncia di incompetenza contiene necessariamente, ancorché implicita, la declaratoria di invalidità e di revoca del decreto, con conseguente carenza di interesse alla formulazione di tale doglianza, sia perché non rientra nelle previsioni dell'art. 42 c.p.c. (Cass. civ., 1 luglio 2020, n. 13426; Cass. civ., 17 ottobre 2016, n. 20935). In ogni caso, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, il provvedimento che rechi la dichiarazione di incompetenza del giudice che ha emanato il decreto monitorio non è una decisione soltanto sulla competenza, ma presenta un duplice contenuto, di accoglimento in rito dell'opposizione e di caducazione, per nullità, del decreto, con la conseguenza che ad esso non si applica la previsione della forma conclusiva dell'ordinanza (Cass. civ., 10 giugno 2019, n. 15579).

Contenuto e funzione dell'atto di opposizione

La struttura dell'atto di opposizione è, come è noto, quella prescritta dall'art. 163 c.p.c. per la citazione introduttiva di un giudizio ordinario di cognizione. Essendo, tuttavia, la prima difesa dell'opponente, l'opposizione ha il contenuto sostanziale della comparsa di risposta. Ne consegue che esso deve contenere, a pena di decadenza, le eccezioni di rito e di merito non rilevabili d'ufficio; l'eccezione di difetto di giurisdizione internazionale, ai sensi dell'art. 11 l. 218/1995 o art. 24 Regolamento n. 44 del 2001, il disconoscimento della scrittura privata, nonché la proposizione di eventuali domande riconvenzionali.

Poiché nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si ha una inversione della posizione processuale delle parti (attore è il debitore intimato, convenuto il creditore intimante), ma non una inversione sostanziale della loro posizione (Cass. civ., 13 luglio 2009, n. 16340), è soltanto l'opponente, avendo la posizione sostanziale di convenuto, che può proporre domande riconvenzionali. L'opposto, infatti, pur rivestendo la posizione formale di convenuto, ha, in realtà, quella sostanziale di attore e dunque non può proporre domande nuove e diverse da quelle azionate nella procedura monitoria. Ove la proponesse, incorrerebbe nel divieto di formulazione di domande nuove, la cui violazione è rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità (Cass. civ., 5 giugno 2007, n. 13086; Cass. civ., 18 giugno 2004, n. 11415). Ovviamente va fatto salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale proposta dall'opponente, la parte opposta venga a trovarsi, a sua volta, nella posizione processuale di convenuta; in questo caso, infatti, ella legittimamente potrebbe utilizzare lo strumento processuale della reconventio reconventionis (oltre alle sentenze citate supra, v. Cass. civ., 8 gennaio 2010, n. 75; Cass. civ., 29 settembre 2009, n. 20822; Trib. Salerno, 21 marzo 2005; App. Torino 19 novembre 1994).

Qualora l'opponente proponga una domanda riconvenzionale che eccede la competenza per valore del giudice adito per l'opposizione, questi non può rimettere tutta la causa al giudice superiore ma soltanto la domanda riconvenzionale, salvo disporre la sospensione del giudizio di opposizione, ex art. 295 c.p.c. (Cass. civ., 20 aprile 2001, n. 5911; Cass. civ., 1 marzo 2000, n. 2251).

Si è precisato che qualora il decreto ingiuntivo sia notificato oltre i termini di legge, l'opposizione proposta al fine di eccepirne l'inefficacia non esime il giudice dal decidere non solo sulla relativa eccezione ma anche sulla fondatezza della pretesa creditoria azionata in via monitoria (così Cass. civ., sez. III, 29 febbraio 2016, n. 3908; v. anche Cass. civ., sez. I, 13 giugno 2013, n. 14910).

Il comma 2 dell'art 645 c.p.c. prevedeva che i termini di comparizione di cui all'art. 163-bis c.p.c. sono ridotti della metà; stando al dato letterale, parte della dottrina aveva ritenuto che il termine dimezzato si sostituisse ipso iure a quello intero. Secondo l'opinione prevalente invece, la riduzione dei termini era meramente facoltativa perché l'opponente sarebbe pienamente libero di avvalersi del termine abbreviato o di quello ordinario. La questione era stata oggetto di un revirement da parte delle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 9 settembre 2010, n. 19246), che avevano affermato che, in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, sia i termini di comparizione che i termini di costituzione in giudizio dovevano sempre automaticamente dirsi dimezzati. Conseguentemente l'opponente doveva provvedere, per evitare l'improcedibilità dell'opposizione, ad iscrivere a ruolo sempre nel termine perentorio di 5 giorni dall'avvenuta notificazione della citazione. La questione è ormai risolta, perché gli artt. 1 e 2 della l. n. 218/2011 hanno stabilito, da un lato, l'abrogazione della norma nella parte in cui prevedeva la riduzione della metà dei termini di comparizione e, dall'altro lato, hanno previsto che «nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, l'art. 165, comma 1, c.p.c., si interpreta nel senso che la riduzione dei termini di costituzione dell'attore ivi prevista si applica, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, solo se l'opponente abbia assegnato all'opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all'art. 163-bis, comma 1, del medesimo codice». In relazione a tale novellazione la giurisprudenza di legittimità ha di recente affermato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma dato che la portata retroattiva ed innovativa della stessa non contrasta con i principi del giusto processo ed è ragionevole la correlazione tra la dimidiazione del termine di costituzione dell'opponente e la scelta acceleratoria da lui compiuta attraverso l'assegnazione all'opposto di un termine di comparizione ridotto (Cass. civ., 31 gennaio 2017, n. 2483).

Legittimazione all'opposizione

Legittimato a proporre l'opposizione è soltanto il soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, nei cui confronti è stato chiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo. Poiché legittimato passivo è soltanto il beneficiario dell'ingiunzione, ove la citazione in opposizione venga proposta e notificata nei confronti di un soggetto diverso da quello a favore del quale il decreto ingiuntivo sia stato pronunciato, si determina la nullità della stessa, salvo che non trovi applicazione ratione temporis l'art. 164, comma 3, c.p.c., per cui il ricorrente in sede monitoria si costituisca in giudizio sanando ex tunc il vizio di nullità e, con essa, la correlata inammissibilità dell'opposizione per decorrenza dei relativi termini di proposizione (Cass. civ., 13 giugno 2019, n. 15946). Se la parte muore dopo la pronuncia del decreto, sono legittimati gli eredi.

L'opponente ha la posizione processuale del convenuto; pertanto l'amministratore di condominio che proceda a tale opposizione non ha la necessità di essere autorizzato dall'assemblea condominiale, ai sensi dell'art. 1131, comma 2, c.c. (Cass. civ., 24 maggio 2010, n. 12622; v. anche Cass. civ., sez. un., 6 agosto 2010, n. 18331).

Secondo la giurisprudenza (Cass. civ., 19 aprile 2010, n. 9260) l'imprenditore, pur senza specificare la sua qualità, è legittimato ad opporsi ad un decreto ingiuntivo emesso nei confronti della relativa ditta, non avendo quest'ultima soggettività giuridica distinta ed identificandosi essa con il suo titolare sotto l'aspetto sia sostanziale che processuale. Poiché nel giudizio d'opposizione al decreto ingiuntivo le parti possono essere soltanto colui il quale ha proposto la domanda di ingiunzione e colui contro il quale la domanda è diretta; il soggetto indicato come rappresentante di una società nel decreto ingiuntivo emesso contro questa, e che contesta di rivestire tale qualità, non può proporre opposizione iure proprio (Cass. civ., 8 settembre 1997, n. 8731). Egli può, tuttavia, indipendentemente dalla impugnazione del decreto ingiuntivo, proporre, qualora vi abbia interesse, domanda di accertamento negativo circa l'asserita qualità attribuitagli (Cass. civ., 19 luglio 1996, n. 6498).

L'opposto che, dopo la costituzione nel primo grado del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo abbia omesso di restituire il proprio fascicolo contenente i documenti comprovanti l'esistenza del credito riconosciuto nell'ingiunzione, può legittimamente ripresentare in appello i medesimi documenti a sostegno della richiesta di rigetto dell'opposizione, accolta nella sentenza di prime cure, prescindendo dall'esame dei menzionati documenti (Cass. civ., 4 maggio 2009, n. 10227; Cass. civ. 15 marzo 2006, n. 5681). In ogni caso nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è ammesso il deposito dei documenti allegati al ricorso monitorio anche dopo lo spirare dei termini assegnati dal giudice per le produzioni documentali, dato che tali documenti, ex art. 638, comma 3, c.p.c., restano a disposizione dell'ingiunto almeno fino alla scadenza del termine per proporre opposizione, sicché essendo già esposti al contraddittorio delle parti, non possono essere qualificati come nuovi nei successivi sviluppi del processo (Cass. civ., 31 luglio 2019, n. 20584; Cass. civ., 4 aprile 2017, n. 8693; Cass. civ., 18 luglio 2013, n. 17603).

Va segnalato il contrasto di giurisprudenza sorto sulla questione della improcedibilità dell'opposizione per omessa produzione di copia autentica del decreto ingiuntivo (Cass. civ., 11 maggio 1979, n. 2629; contra Cass. civ., 7 settembre 1979, n. 4733) risolto da una ormai risalente decisione delle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 16 gennaio 1985, n. 84) nel senso dell'ammissibilità della produzione in grado di appello della copia autentica del decreto. Nello stesso senso più di recente la giurisprudenza di legittimità ha precisato che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la mancata produzione da parte dell'opponente della copia notificata del decreto non è causa di improcedibilità, né l'opposizione stessa può essere dichiarata inammissibile, qualora la prova dell'osservanza del termine di decadenza previsto dall'art. 641 c.p.c. possa essere desunta da documenti prodotti dalla controparte, o comunque acquisiti al processo (Cass. civ., 26 giugno 2008, n. 17495 ; Cass. civ., 28 dicembre 2004, n. 24048).

Termini di comparizione e costituzione

Ai sensi dell'art. 645, comma 2 c.p.c., il giudizio di opposizione si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito ma i termini di comparizione sono ridotti della metà e, sulla base di una recentissima pronuncia delle Sezioni Unite (su cui oltre, in questo par.), anche i termini di costituzione in giudizio sarebbero ridotti automaticamente della metà. Sulla base del dato testuale della norma, la dottrina ha ritenuto che il termine dimidiato si sostituisca ipso iure a quello intero. In questo senso una giurisprudenza di merito (Trib. Bari 4 ottobre 2007, n. 2254) ha ritenuto che la dimidiazione dei termini di costituzione dell'opponente a decreto ingiuntivo consegua automaticamente, a pena di improcedibilità, al fatto oggettivo della concessione all'opposto, anche per errore, di un termine a comparire inferiore a quello ordinario. Secondo l'opinione prevalente, tuttavia, la riduzione dei termini è facoltativa, nel senso che l'opponente è libero di avvalersi del termine abbreviato ovvero di quello ordinario (per gli opportuni riferimenti in dottrina Ronco, 405). La giurisprudenza si era già orientata nel senso che la riduzione dei termini di comparizione comportasse la dimidiazione anche dei termini di costituzione (ad es. Cass. civ., 15 marzo 2001, n. 3752).

Il d.l. 69/2013 ha inoltre introdotto l'obbligo di fissare la nuova udienza di prima comparizione e trattazione a seguito della richiesta di anticipazione proposta dall'opposto ex art. 163-bis, comma 3, c.p.c., in una data non successiva a trenta giorni dalla scadenza del termine minimo a comparire.

Notificazione dell'atto di opposizione

L'atto di citazione in opposizione deve essere notificato nei luoghi di cui all'art. 638 c.p.c. e, quindi, prima di tutto presso il procuratore indicato nell'atto di ricorso che ne è il domiciliatario, oppure, ma soltanto quando il ricorso per decreto ingiuntivo sia stato proposto personalmente dal creditore (ove ciò sia possibile), nella residenza dichiarata nel ricorso o nel domicilio eletto, ove ha sede il giudice adito. Se, invece, nel ricorso manca l'indicazione del procuratore ed anche (nei casi in cui e ammessa la costituzione di persona) la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio, la notificazione può essere fatta al ricorrente presso la cancelleria del giudice che ha pronunciato il decreto (art. 638, comma 2 c.p.c.) ciò che non esclude per l'opponente, sempre (e solo) nelle ipotesi da ultimo indicate, la facoltà di notificare l'opposizione, ai sensi dell'art. 139 c.p.c., nella residenza o nel domicilio reale del creditore (Cass. civ., 18 settembre 2003, n. 13739). Si è detto che qualora la società ricorrente si estingua in seguito al deposito del ricorso ma anteriormente alla pubblicazione del decreto ingiuntivo, la notifica di questo a cura del difensore della creditrice ingiungente è da reputarsi valida in virtù della ultrattività del suo mandato (Cass. civ., 20 aprile 2020, n. 7917; nello stesso senso con riferimento al ricorrente deceduto successivamente al deposito del ricorso si veda Cass. civ., 12 giugno 2008, n. 15785; Cass. civ., 13 agosto 2004, n. 15777).

Si è poi precisato che la costituzione in giudizio dell'opponente avvenuta tramite deposito in cancelleria, oltreché della nota di iscrizione a ruolo, del proprio fascicolo contenente, tuttavia, copia dell'atto di citazione – cosiddetta velina – anziché, come previsto dall'art. 165 c.p.c., l'originale di essa, non arreca alcuna lesione sostanziale ai diritti della parte opposta e, in difetto di una specifica previsione di improcedibilità dell'opposizione, costituisce mera irregolarità che resta sanata dal successivo deposito dell'originale stesso (Cass. civ., 20 luglio 2015, n. 15130).

Procedimento di opposizione

Abbiamo già visto come il procedimento di opposizione si svolga come un ordinario giudizio di cognizione di primo grado, con tutte le regole ordinarie rispetto al sistema di preclusioni e alla facoltà di modifica della domanda. Dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere applicabili al procedimento gli artt. 183 e 184 c.p.c. (Cass. civ., 9 maggio 1987, n. 298). Nella fase della opposizione la veste di attore, con gli oneri ad essa connessi, spetta al creditore ricorrente in sede monitoria, pur se egli formalmente assume solo il ruolo di convenuto nel giudizio di opposizione. Si verifica, pertanto, una inversione della posizione processuale assunta dalle parti.

L'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione in cui il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall'opposto che assume la posizione sostanziale di attore, mentre l'opponente, che assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l'onere di contestare il diritto azionato con il ricorso, facendo valere l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l'esistenza dei fatti estintivi o modificativi di tale diritto, e può proporre domanda riconvenzionale, a fondamento della quale può anche dedurre un titolo non strettamente dipendente da quello posto a fondamento della ingiunzione, quando non si determini uno spostamento di competenza e sia pur sempre ravvisabile un collegamento obiettivo tra il titolo fatto valere con l'ingiunzione e la domanda riconvenzionale, tale da rendere opportuna la celebrazione del simultaneus processus (Cass. civ., 4 marzo 2020, n. 6091). Tuttavia, nell'ordinario giudizio di cognizione che segue alla proposizione dell'opposizione a decreto ingiuntivo, l'opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dall'opponente, egli si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto, cui non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione di una reconventio reconventionis. Quest'ultima deve dipendere dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale (Cass. civ., 25 febbraio 2019, n. 5415; Cass. civ., 22 giugno 2018, n. 16564). Tuttavia la domanda di arricchimento senza causa è inammissibile, ove proposta dall'opposto nel giudizio incardinato ex art. 645 c.p.c. contro il decreto ingiuntivo dallo stesso ottenuto per il pagamento di prestazioni professionali, non potendo in questa sede egli far valere domande nuove, rispetto a quella di adempimento contrattuale posta alla base della richiesta di provvedimento monitorio, salvo quelle conseguenti alle domande e alle eccezioni in senso stretto proposte dall'opponente, determinanti un ampliamento del thema decidendum fissato dal ricorso per decreto ingiuntivo (Cass. civ., 25 ottobre 2018, n. 27124).

Un problema si è posto quanto all'opponente che intenda chiamare un terzo in causa; ci si è domandati se egli debba farne dichiarazione nell'atto di opposizione a pena di decadenza e chiedere il contestuale spostamento della prima udienza.

Orientamenti a confronto

Necessaria autorizzazione del Giudice

Per effetto dell'opposizione non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore e l'opponente quella di convenuto, ciò che esplica i suoi effetti non solo in tema di onere della prova, ma anche in ordine ai poteri ed alle preclusioni processuali rispettivamente previsti per ciascuna delle parti. Ne consegue che il disposto dell'art. 269 c.p.c., che disciplina le modalità della chiamata di terzo in causa, non si concilia con l'opposizione al decreto, dovendo in ogni caso l'opponente citare unicamente il soggetto che ha ottenuto detto provvedimento e non potendo le parti originariamente essere altre che il soggetto istante per l'ingiunzione e il soggetto nei cui confronti la domanda è diretta, così che l'opponente deve necessariamente chiedere al giudice, con l'atto di opposizione, l'autorizzazione a chiamare in giudizio il terzo al quale ritenga comune la causa sulla base dell'esposizione dei fatti e delle considerazioni giuridiche contenute nel ricorso per decreto (Cass. civ., 1 marzo 2007, n. 4800; Cass. civ., 16 luglio 2004, n. 13272; Cass. civ., 27 gennaio 2003, n. 1185; Trib. Varese 5 febbraio 2010; Trib. Perugia 3 novembre 2009; Trib. Bari 26 marzo 2008; Trib. Mantova 14 febbraio 2005).

Non necessarie autorizzazione del giudice e differimento della prima udienza

L'opponente, attore formale, che intenda chiamare un terzo in giudizio, deve provvedervi con l'atto di opposizione, convenendolo per la prima udienza insieme all'opposto, rispettando i termini a comparire. L'attore-opponente può dunque chiamare un terzo in causa senza necessità di richiedere alcuna autorizzazione al giudice o di instare per il differimento della prima udienza a tal fine, non essendovi alcuna norma che vieti all'opponente di evocare nel giudizio, quali convenuti in senso formale, soggetti diversi ed ulteriori rispetto alla parte che ha richiesto ed ottenuto l'ingiunzione. Il convenuto-opposto potrà chiedere lo spostamento dell'udienza di prima comparizione, ai sensi dell'art. 269 comma 2 c.p.c., quando voglia chiamare altri ancora, senza peraltro necessitare — neppure lui — di autorizzazione alla chiamata, non più prevista nella disciplina novellata (Trib. Torino 26 febbraio 2008; Trib. Milano 28 settembre 2005; Trib. Catania 10 settembre 2004; Trib. Casal Monferrato 22 dicembre 2003; Trib. Torino 31 maggio 2003).

Necessario solo differimento della prima udienza

L'opponente deve chiedere solo lo spostamento della data della prima udienza per notificare al terzo l'atto di citazione rispettando i termini di legge per la comparizione ma senza necessità di chiedere alcuna autorizzazione al giudice (Trib. Nola 5 febbraio 2008; Trib. Milano 16 febbraio 2006).

Sempre in tema di procedimento si è precisato, nella giurisprudenza di legittimità, che la scelta, da parte del creditore, del rito ordinario e delle forme del procedimento monitorio per la proposizione della domanda comporta che l'eventuale opposizione debba essere proposta nella stessa forma “ordinaria”, indipendentemente dalle eccezioni proposte dall'opponente che andranno delibate soltanto ai diversi fini dell'ammissibilità e fondatezza dell'avversa domanda. L'opposizione così proposta con rito ordinario produrrà gli effetti che avrebbe prodotto se proposta con rito speciale ma soltanto se depositata in cancelleria entro il termine di 40 giorni dalla notifica del decreto (Cass. civ., sez. VI, 7 gennaio 2016, n. 60, in Dir. & Giust., 2016, 8 gen., s.m., con nota di Villani).

Con riferimento all'onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione e in particolare sulle conseguenze del mancato esperimento del tentativo in parola, si confronti lo schema sotto riportato.

Orientamento iniziale giurisprudenza di legittimità

La Cassazione nel 2015 ha precisato che l'onere di esperire il procedimento di mediazione di cui all'art. 5 del. d.lgs. 28/2010, grava sulla parte che ha interesse al processo e ad introdurre il giudizio di merito, parte che, in ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo, è individuabile nell'opponente (Cass. civ., 3 dicembre 2015, n. 24629).

Rimessione alle Sezioni Unite

Nel 2019 la sezione III ha rimesso alle Sezioni Unite la questione di massima di particolare importanza in ordine all'individuazione del soggetto onerato della proposizione del procedimento di mediazione, stante la particolarità del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo e alle sue conseguenze (Cass. civ., 12 luglio 2019, n. 18741).

Decisione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite risolvendo la questione di massima di particolare importanza ad esse sottoposta hanno enunciato il seguente principio di diritto: “Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. 28/2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue, che ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato art. 5, comma 1-bis, conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo (Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2020, n. 19596).

Va infine segnalato, con riferimento alla ingiunzione di pagamento europea, ai sensi del Reg. CE n. 1896/2006 che, qualora l'ingiunzione emessa dal giudice italiano sia opposta dal debitore ingiunto a norma dell'art. 16 del Regolamento stesso e il creditore abbia chiesto, prima dell'emissione dell'ingiunzione, che il processo, in caso di opposizione, prosegua secondo la disciplina della procedura civile ordinaria, l'individuazione di tale procedura, in relazione alla natura della situazione creditoria azionata con la domanda di ingiunzione, spetta non già al giudice ma allo stesso creditore che dovrà procedervi nel termine che il giudice dell'ingiunzione dovrà fissare all'atto della comunicazione al creditore della proposizione dell'opposizione, ai sensi dell'art. 17, par. 3 del Regolamento; l'inosservanza di tale termine determina, a norma del comma 3 dell'art. 307 c.p.c., l'estinzione del giudizio (Cass. civ., sez. un., 31 gennaio 2019, n. 2840).

Onere della prova

Poiché le posizioni sostanziali delle parti restano invariate, l'onere della prova del credito continua a incombere sul creditore opposto secondo le regole ordinarie, mentre quello di provare i fatti estintivi, impeditivi o modificativi spetta all'opponente (Cass. civ., 17 novembre 2003, n. 17371 ed altre ivi citate). Si è precisato che mentre prova scritta atta a legittimare la concessione del decreto ingiuntivo è qualsiasi documento proveniente dal debitore o da un terzo che abbia intrinseca legalità, purché idoneo a dimostrare il diritto fatto valere, nel successivo giudizio di opposizione a cognizione piena il creditore può provare il suo credito indipendentemente dalla legittimità, validità ed efficacia del decreto, così come il debitore può dimostrare l'insussistenza del preteso diritto del creditore (Cass. civ., 14 marzo 1995, n. 2924). In ogni caso la cognizione piena che caratterizza il giudizio di opposizione consente la produzione e la valutazione anche di nuove prove integranti con efficacia retroattiva quelle prodotte in sede monitoria, poiché il giudice del merito non deve limitare la propria indagine al controllo sulla legittimità dell'ingiunzione con riferimento alle condizioni del relativo procedimento, ma procedere ad autonomo esame di tutti gli elementi forniti dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria pretesa e dall'opponente per contestare la pretesa stessa (Cass. civ., 28 maggio 2019, n. 14473; Cass. civ., 23 luglio 1994, n. 6879).

Provvisoria esecutività ex art. 648 c.p.c.: cenni e rinvio

A norma dell'art. 648 c.p.c., il giudice ha il potere discrezionale di concedere l'esecuzione provvisoria del d.i. opposto quando l'opposizione non sia fondata su prova scritta o di pronta soluzione. Mentre la prova scritta consiste in qualunque documento atto a provare l'insussistenza dei fatti costitutivi del diritto vantato dal ricorrente opposto o l'esistenza di fatti estintivi, impeditivi o modificativi di esso, l'espressione pronta soluzione riguarda i mezzi di prova posti a sostegno dell'opposizione, quelli cioè che non comportino un'istruzione probatoria vera e propria, come quelli che si fondino sul fatto notorio, su fatti pacifici inter partes o su ammissioni del ricorrente. Altra dottrina, ritiene che per pronta soluzione si intenda l'opposizione che non richieda una lunga trattazione o istruttoria. L'art. 9, comma 3, d.lgs. 231/2002 ha inserito un periodo al comma 1 dell'art. in questione stabilendo che il giudice concede l'esecuzione provvisoria parziale del d.i. opposto rispetto alle somme non contestate, salvo che l'opposizione sia proposta per vizi procedurali. Infine il comma 2 della norma, come reinterpretato dalla Consulta (C. Cost., 4 maggio 1984, n. 137) prevede che il giudice possa concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto se la parte che l'ha chiesta offra cauzione per l'ammontare delle eventuali restituzioni, spese e danni.

La norma dell'art. 648 c.p.c. è stata ultimamente modificata dall'art. 4, comma 1, lett. m), d.l. 59/2016, conv., con mod., in l. 30 giugno 2016 n. 119, che ha sostituito la parola «concede» con le seguenti: «deve concedere». La norma era stata oggetto di modifica ad opera dell'art. 78, comma 1, lett. b), del d.l. 69/2013 (conv., con mod., in l. 98/2013), che aveva aggiunto, prima delle parole «con ordinanza non impugnabile», «provvedendo in prima udienza».

A norma del nuovo testo dell'art. 648 c.p.c., comma 1, «Il giudice istruttore, se l'opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione, può concedere, provvedendo in prima udienza, con ordinanza non impugnabile, l'esecuzione provvisoria del decreto, qualora non sia già stata concessa a norma dell'art. 642». Il giudice deve concedere l'esecuzione provvisoria parziale del decreto ingiuntivo opposto limitatamente alle somme non contestate, salvo che l'opposizione sia proposta per vizi procedurali. Si è quindi posto rimedio alla incongruenza per cui poteva ritenersi, in parte qua, esistente un potere discrezionale del giudice, mentre in presenza di non contestazione, pur se parziale, e in presenza dei presupposti richiesti dalla norma, il giudice dell'opposizione è obbligato a concedere la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto, trattandosi di una ipotesi diversa da quella prevista dalla prima parte del primo comma della previsione nel caso di opposizione non basata su prova scritta o di pronta soluzione (per un approfondimento della questione si rinvia a C. Asprella, Focus su Esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo in pendenza di opposizione, in questo Portale).

Opposizione tardiva: cenni e rinvio

Ai sensi dell'art. 650 c.p.c., l'intimato può fare opposizione anche dopo la scadenza del termine fissato nel decreto se prova di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore. A queste ipotesi la Corte costituzionale ha aggiunto quella in cui l'ingiunto, pur avendo avuto tempestiva conoscenza del decreto, non abbia potuto proporre tempestiva opposizione per caso fortuito o forza maggiore. L'opposizione non è comunque più ammessa decorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione.

Peraltro, l'opposizione tardiva per giurisprudenza costante non può esaurirsi nella denuncia di questa irregolarità perché essa, se non accompagnata da contestazioni sulla pretesa creditoria e dunque non indirizzata all'apertura del giudizio di merito (malgrado il decorso del termine in proposito fissato), non è idonea ad alcun risultato utile per l'opponente, nemmeno con riguardo alle spese della fase monitoria (Cass. civ., 28 agosto 2009, n. 18791; Cass. civ., 24 ottobre 2008, n. 25737; Cass. civ., 9 luglio 2008, n. 18847). Secondo le Sezioni Unite della Corte, affinché sia legittima l'opposizione tardiva a d.i., non è sufficiente l'accertamento della irregolarità della notifica del d.i., essendo altresì necessaria la prova che a causa di questa irregolarità l'opponente — su cui incombe l'onere della prova — non sia stato in grado di proporre tempestivamente l'opposizione (Cass. civ., sez. un., 22 giugno 2007, n. 14572; v. anche Cass. civ., sez. un., 12 maggio 2005, n. 9938): per approfondimenti sul tema dell'opposizione tardiva si rinvia alla relativa Bussola in questo portale.

Opposizione contro i decreti emessi a favore degli avvocati

Ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. 150/2011 allorché l'opposizione è proposta contro un decreto ingiuntivo emesso a favore di avvocati per ottenere prestazioni giudiziali civili, il procedimento è regolato dal rito sommario di cognizione ex art. 702-bis e ss. c.p.c. così come definito dall'art. 3 del d.lgs. 150/2011. Il sistema procedimentale è lo stesso dell'opposizione “ordinaria” a decreto ingiuntivo dato che anche in questo procedimento le parti sono “invertite” sicché l'opposto, che è attore in senso sostanziale, deve fornire la prova delle sue ragioni e, in difetto, viene accolta l'opposizione. Il procedimento si conclude con una ordinanza non appellabile e ricorribile per cassazione (Cass. civ., 17 maggio 2017, n. 12411). Poiché la disciplina di questa opposizione è regolata dal procedimento sommario di cognizione, l'atto introduttivo è il ricorso, anche se, a norma della regola generale posta dall'art. 4 del d.lgs. 150/2011, se l'opponente sbaglia atto introduttivo e utilizza l'atto di citazione invece del ricorso, non incorre in decadenze se la citazione viene notificata nel termine e non anche depositata. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la decisione adottata all'esito dell'opposizione a decreto ingiuntivo emesso per crediti derivanti da prestazioni giudiziali rese da un avvocato, non è appellabile ma ricorribile in cassazione, qualora il relativo giudizio, sebbene introdotto con atto di citazione e deciso in forma di sentenza, si sia in concreto svolto secondo quanto stabilito dall'art. 14 del d.lgs. 150/2011, per effetto del mutamento di rito da ordinario a sommario, seguito dalla trasmissione della causa al Presidente del Tribunale e dalla nomina del giudice relatore che all'esito dell'istruttoria abbia rimesso le parti innanzi al collegio (Cass. civ., sez. un., 13 gennaio 2022, n. 927; Cass. civ., 5 giugno 2020, n. 10648; Cass. civ., sez. un., 23 febbraio 2018, n. 4485). Il ricorso straordinario per cassazione deve essere proposto nel termine breve decorrente dalla notificazione dell'ordinanza e, in mancanza in quello lungo di cui all'art. 327 c.p.c. (Cass. civ., 23 giugno 2021, n. 18004).

In ogni caso, anche a seguito dell'entrata in vigore della nuova disciplina, al fine di stabilire il regime di impugnazione del provvedimento con cui si liquidano gli onorari e le altre spettanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, assume rilevanza la forma adottata dal giudice in base alla qualificazione che egli abbia dato, implicitamente o esplicitamente, all'azione esercitata in giudizio (Cass. civ., 12 febbraio 2021, n. 3687).

Il rito speciale si applica a tutte le liti in cui si controverte di compensi spettanti ad avvocati anche laddove la domanda non abbia esclusivamente una finalità liquidatoria (Cass. civ., 14 gennaio 2021, n. 496; Cass. civ., 30 novembre 2011, n. 27308).

Opposizione per i crediti di lavoro

L'opposizione a decreto ingiuntivo nelle materie del lavoro e previdenziale deve essere proposta con ricorso che deve essere depositato nella cancelleria del giudice competente che è sempre il giudice del lavoro il quale ha emesso il decreto ingiuntivo, nel termine di legge che decorre dalla notifica del decreto. Questa disciplina si applica anche alle controversie locatizie ex art. 447-bis c.p.c. Dopo un'iniziale orientamento diverso si è affermato nella giurisprudenza di legittimità che l'opposizione a decreto ingiuntivo nelle materie soggette al rito del lavoro si propone con ricorso; ma se, per errore, venga proposta con atto di citazione, essa può impedire comunque che il decreto diventi definitivo, non già se notificata alla controparte entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c. ma solo se entro tale termine venga altresì depositata in cancelleria. Ricorrendo tale ipotesi il giudice dovrà ordinare d'ufficio la conversione del rito, disponendo la notifica del proprio provveidmento all'opposto ove contumace, senza necessità che l'opponente richieda l'emanazione del decreto di fissazione dell'udienza di discussione ex art. 420 c.p.c. (Cass. civ., 15 gennaio 2013, n. 797).

Nel rito del lavoro al ricorso per ingiunzione è applicabile l'onere per il creditore procedente di indicare gli elementi essenziali dell'azione, ossia il fondamento, cioè il titolo e l'oggetto cioè il petitum della pretesa azionata in via giudiziale, essendo questo ricorso l'atto introduttivo del giudizio, salva restando, una volta che dall'opponente sia stata proposta opposizione, la possibilità per il creditore opposto di specificare o di meglio chiarire questi elementi nell'atto di costituzione ed eventualmente in quella sede, ove sussistano le condizioni di cui all'art. 420 c.p.c., di modificare, nei termini dell'emendatio e non della mutatio libelli la domanda azionata in via monitoria (Cass. civ., sez. lav., 3 marzo 2001, n. 3114).

Riferimenti
  • Asprella, L'opposizione a decreto ingiuntivo tra teoria e pratica, in Giur. merito, 2011, f. 7/8;
  • Calamandrei, Il procedimento monitorio nella legislazione italiana, Milano, 1926, ora in Opere Giuridiche, a cura di M. Cappelletti, Napoli, 1983, IX, 7 e ss.;
  • Farina M., sub art. 645 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, a cura di N. Picardi, B. Sassani, A. Panzarola, Milano, 2015;
  • Garbagnati, Il procedimento d'ingiunzione, Milano, 1991;
  • Pajardi, Il procedimento monitorio, Milano, 1991;
  • Ronco, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000.
Sommario