Famiglie
ilFamiliarista
05 Giugno 2015

Nel nostro ordinamento non vi è un corpo organico di norme relative ai diritti delle persone con disabilità. Vi è invece una stratificazione di norme, che sono il frutto di approcci scientifici e culturali molto diversi tra loro, e che si sono succedute in diversi periodi ed in diversi settori; norme che disciplinano la tutela di soggetti definiti in differenti modi: handicappato, invalido, non autosufficiente, inabile, soggetto privo in tutto o in parte di autonomia, ed altre definizioni ancora.Il punto di riferimento per l'interpretazione di questo eterogeneo corpus di norme è dato dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ratificata dall'Italia con legge n. 18/2009.
Inquadramento

Nel nostro ordinamento non vi è un corpo organico di norme relative ai diritti delle persone con disabilità. Vi è invece una stratificazione di norme, che sono il frutto di approcci scientifici e culturali molto diversi tra loro, e che si sono succedute in diversi periodi ed in diversi settori; norme che disciplinano la tutela di soggetti definiti in differenti modi: handicappato, invalido, non autosufficiente, inabile, soggetto privo in tutto o in parte di autonomia, ed altre definizioni ancora.

Il punto di riferimento per l'interpretazione di questo eterogeneo corpus di norme è dato dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ratificata dall'Italia con legge n. 18/2009.

L'impatto della convenzione ONU sull'ordinamento e la cultura giuridica del nostro paese è molto rilevante. La normativa italiana, così come il senso comune, è ispirata da un concetto di disabilità intesa come caratteristica della persona, che riguarda unicamente quella stessa persona e che è da trattare con logiche di tipo sanitario. La disabilità è intesa, in questa diffusa accezione quasi come sinonimo di menomazione.

L'art. 3 della legge quadro n. 104/1992 sull'handicap, definisce persona handicappata colui che «presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione».

Come si vede in questa concezione minorazione e handicap sono in rapporto diretto di causa ed effetto, mentre non vengono prese in considerazione le condizioni sociali ed ambientali che possono integrare cause di disabilità o fattori di integrazione.

Un nuovo concetto di disabilità

La convenzione ONU introduce un nuovo concetto di disabilità: un concetto dinamico e in evoluzione. Disabilità è il «risultato dell'interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri» (Convenzione ONU 2006, preambolo, lett. e)).

È facile comprendere perché la stessa convenzione indichi che questo concetto è in evoluzione. Infatti solo la menomazione è una condizione (temporanea o permanente) personale del soggetto, mentre la disabilità nasce nell'interazione della persona con menomazione e le barriere comportamentali ed ambientali. Queste ultime possono variare diminuendo o aumentando il livello di disabilità che risulta dall'interazione.

La riduzione e rimozione della disabilità è quindi compito dell'intera società e delle istituzioni.

In estrema sintesi si può dire che la portata rivoluzionaria della Convenzione consiste nell'aver proposto un approccio alla disabilità in termini di effettività dei diritti umani senza alcuna discriminazione e con pari opportunità per tutti.

Prima della Convenzione la cultura giuridica si fermava ad un approccio di tipo compensativo/assistenziale nei confronti del soggetto disabile (ma le definizioni che si rinvengono nella normativa precedente alla convenzione sono quelle di minorato o handicappato).

La norma costituzionale di riferimento non è più il solo art. 38 Cost. che prevede un'assistenza compensativa per coloro che sono inabili al lavoro, ma l'art. 3 della Costituzione, col principio di uguaglianza sostanziale e parità di opportunità per tutti rispetto al godimento dei diritti fondamentali.

Oltre alla definizione di disabilità, la convenzione propone anche quella di persona disabile: «Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri» (Convenzione ONU 2006, art. 1 comma 2)

L'accertamento della disabilità

Nonostante con la ratifica della Convenzione ONU si sia introdotto nell'ordinamento un concetto unitario ed innovativo di disabilità, non esiste ancora un'unica prassi o procedimento volto ad accertarla, ma vi è invece una serie di procedimenti, in cui si ripetono accertamenti e controlli al fine di certificare il livello oltre il quale si accede a determinati benefici, prestazioni e servizi sulla base dell'eterogeneità della legislazione di cui si è detto in apertura

I principali tipi di valutazione sono i seguenti:

  • Invalidità civile, volta ad accertare la riduzione della capacità lavorativa o, per gli infradiciottenni, la riduzione di capacità di svolgere i compiti e le funzioni della loro età.
    Questo istituto è oggi sottoposto a severa critica in relazione all'attribuzione di punteggi standard per le diverse menomazioni, senza tenere in alcun conto le condizioni ambientali che possono creare minori o maggiori barriere (generando quindi minore o maggiore disabilità), e al riferimento ad una generica capacità lavorativa, senza distinguere tra le diverse attività in relazione alle quali si possono manifestare difficoltà di diverso livello.
  • Stato di handicap,volto ad accertare l'esistenza di minorazioni che sono causa di svantaggio sociale, al fine di consentire l'accesso a vari benefici, agevolazioni e prestazioni, come in campo fiscale o di permessi di lavoro per la cura di congiunti disabili, ma soprattutto al fine di assicurare l'inclusione scolastica agli alunni con disabilità.
    Anche la definizione dello stato di handicap, contenuta nella legge quadro n. 104/1992, è oggi sottoposta a critica in quanto considera la condizione di handicap come diretta conseguenza della menomazione, senza tenere conto delle barriere create da comportamenti e condizioni ambientali.
    Nonostante ciò la legge n. 104/1992 è ritenuta avanzata a livello internazionale per l'affermazione del principio che gli studenti con disabilità devono avere garantite pari opportunità nell'accesso al sistema scolastico e rispetto al diritto allo studio.
  • Condizione di disabilità ai fini dell'inserimento lavorativo,accertamento volto a individuare coloro che hanno diritto al collocamento mirato, a partire dalla verifica e valutazione delle capacità residue.

  • Non autosufficienza,condizione richiamata dalla legge n. 328/2000, ma di cui manca nell'ordinamento una definizione unitaria. L'accertamento della non autosufficienza è finalizzato ad individuare i soggetti che accedono ad una serie di misure assistenziali quali, contributi economici, voucher, ricoveri in strutture di accoglienza.
I diritti esigibili delle persone disabili

Dalla tabella che segue, si possono ricavare informazioni sui diritti esigibili, cioè quelli riconosciuti dalle diverse fonti (indicate nella colonna a destra) ed in relazione ai quali si può richiedere al giudice la condanna della pubblica amministrazione inadempiente a rendere le prestazioni a cui è tenuta.

I diritti esigibili delle persone con disabilità

Il diritto al progetto

Art. 14 l. n. 328/2000: «Per realizzare la piena integrazione delle persone disabili di cui all'art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nell'ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell'istruzione scolastica o professionale e del lavoro, i comuni, d'intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell'interessato, un progetto individuale, secondo quanto stabilito al comma 2»

Il diritto all'inclusione scolastica

Art. 12 l. n. 104/1992 (sostegno scolastico ed assistenza)

L. n. 170/2010 (strumenti dispensativi e compensativi per alunni con disturbi specifici dell'apprendimento)

Il diritto all'inserimento lavorativo

Art.1 l. 12 marzo 1999, n. 68, indica gli aventi diritto al collocamento mirato e le competenze di accertamento.

DPCM 13 gennaio 2000, atto di indirizzo che fissa i criteri e le modalità di accertamento

Diritti conseguenti all'accertamento dell'invalidità

L. 30 marzo 1971, n. 118 (invalidi); l. 26 maggio 1970, n. 381 (sordi); l. 10 febbraio 1962, n. 66 e l. 27 maggio 1970, n. 382 (non vedenti)

Per l'accertamento delle minorazioni civili d.m. 5 febbraio 1992 che riporta anche le tabelle con le percentuali di invalidità

La tutela giurisdizionale

Avverso i provvedimenti di diniego in sede di accertamento dell'invalidità è ammesso ricorso davanti al giudice del lavoro col rito semplificato di cui all'art. 445-bis c.p.c che prevede un accertamento tecnico preventivo. Unico legittimato passivo di questi giudizi è l'INPS, nella sede territoriale del foro competente e il termine per la proposizione del ricorso è di 180 giorni da quello della comunicazione del diniego.

Relativamente all'impugnazione del diniego di accertamento dello stato di handicap ai sensi dell'art. 3 l. n. 104/1992 vi è un conflitto giurisprudenziale tra due posizioni: per la prima il ricorso è ammissibile in quanto ha ad oggetto un diritto esigibile (tra le tante pronunce cfr. Trib. Roma 27 settembre 2010, n. 1405), per la seconda, minoritaria, si tratta di un mero accertamento di una situazione di fatto senza individuazione di uno specifico bene della vita che l'interessato vorrebbe ottenere, difettando pertanto l'interesse ad agire in giudizio (Trib. Palermo, sent., 25 luglio 2006, n. 1536).

Secondo quest'ultimo orientamento dunque, colui che si vedesse negato lo stato di handicap grave dovrebbe agire in giudizio contro le singole amministrazioni tenute ad erogare servizi e prestazioni di cui assume di avere diritto. Il primo indirizzo, peraltro maggioritario, valorizza invece la portata dell'art. 3, comma 2, della l. n. 104/1992 nella parte in cui fa discendere dalla condizione di handicap una serie vantaggi, benefici ed agevolazioni erogabili direttamente dalle amministrazioni competenti (per esempio benefici fiscali o i permessi di lavoro per i congiunti) senza che sia necessario alcun ulteriore provvedimento.

In relazione alla tutela giurisdizionale del diritto al sostegno si deve segnalare la recente Cass., S.U., 25 novembre 2014, n. 25011 che ha affermato la giurisdizione esclusiva del giudice ordinario nelle relative controversie. Le Sezioni unite non hanno però realmente definito il contrasto: infatti il TAR Sicilia 18 dicembre 2014, n. 3392, TAR Toscana 11 dicembre 2014, TAR Calabria 14 gennaio 2015, n. 51 e TAR Lombardia 16 gennaio 2015 hanno tutti, con pronunce successive, ribadito la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, col risultato di disorientare i cittadini che chiedono la tutela del diritto all'inclusione scolastica.

La tutela antidiscriminazione

Il principio di non discriminazione, anche con riferimento alle condizioni di disabilità, è sancito sia nella Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo (art. 14), sia nella Carta dei Diritti Fondamentale dell'Unione Europea (art. 47).

La legge n. 67 del 2006 ha introdotto nell'ordinamento «misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni».

All'art. 2 si richiama la distinzione, di matrice sovranazionale, tra discriminazione diretta ed indiretta e si effettua, quanto agli aspetti processuali, il richiamo al TU sull'immigrazione (art. 44 l. n. 296/1998) che prevede un rito snello nella forma camerale davanti al tribunale in composizione monocratica, con secondo grado davanti al collegio.

Il diritto antidiscriminatorio è stato valorizzato in diverse pronunce dell'autorità giudiziaria in tema di sostegno scolastico, si veda da ultimo la già citata pronuncia delle sezioni unite della Cassazione n. 25011/2014, che hanno condannato l'amministrazione scolastica anche con riferimento alla discriminazione indiretta subita dall'alunno con disabilità.

Le nuove categorie della capacità di agire. L'amministrazione di sostegno

Il percorso scientifico e culturale che si è svolto, dalla concezione dell'handicap come condizione personale, oggettiva e stabile di fronte a cui arrestarsi, fino a quella che ispira la convenzione ONU, in base alla quale chiunque può, in determinate circostanze ambientali, sperimentare una disabilità, ha inevitabilmente influito sulla regolazione giuridica della capacità di agire nei casi di disabilità psichica.

L'ordinamento italiano prevede l'acquisto della capacità di agire al diciottesimo anno di età (art. 2 c.c.). Il codice civile del 1942 prevedeva poi, per i casi di infermità psichica, l'incapacitazione totale attraverso l'interdizione, ed una forma più attenuata attraverso l'inabilitazione.

Con la legge del 9 gennaio 2004,n. 6, si è introdotto l'istituto dell'amministrazione di sostegno per «tutelare con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni quotidiane» (artt. 404 ss. c.c.)

La tradizionale impostazione basata sulla dicotomia capacità/incapacità è stata così superata; ciò anche alla luce della considerazione che per i diritti della personalità, titolarità ed esercizio coincidono: se un individuo non può esercitare il diritto alle scelte terapeutiche, ad esempio, è espropriato di tale diritto. Solo per i diritti relativi alla sfera patrimoniale è ipotizzabile la scissione tra il profilo statico ed il profilo dinamico della soggettività giuridica operata con i concetti di capacità giuridica e capacità di agire.

Da qui la necessità di tarare sulla situazione concreta di ciascuno il provvedimento, dosando, per così dire, il livello di incapacitazione sulla base del criterio della riduzione del danno espressa dall'art. 1 l. n. 6/2004 della legge.

L'amministrazione di sostegno è dunque il principale istituto per la protezione delle persone con disabilità che incide sulla capacità di agire; protezione che viene assicurata in modo flessibile e proporzionato alle concrete esigenze di sostegno e rispetto agli ambiti o atti per i quali si manifesta una privazione, anche parziale, di autonomia.

I figli disabili nei giudizi della crisi familiare

L'art. 337-septies c.c. dispone che ai figli in situazione di handicap grave si applichino le stesse norme previste in favore dei figli minori.

La norma, frutto della novella operata con il d.lgs. n. 154/2013, riprende senza variazioni il contenuto dell'art. 155-quinquies c.c. introdotto con la legge 54/2006.

Secondo la prevalente giurisprudenza di merito (Trib. Varese, sent., 21 aprile 2011; Trib. Torino 28 aprile 2014) e la Cassazione (n. 12977/2012) è da escludere che il richiamo alle norme sui figli minori si estenda all'affidamento. Argomentare diversamente, in effetti, avrebbe un effetto discriminatorio sulle persone con disabilità in quanto considerate automaticamente incapaci di agire, anche nel caso di disabilità fisica; mentre non solo è necessario un accertamento caso per caso, ma anche in relazione alla disabilità psichica l'istituto dell'amministrazione di sostegno ha superato la dicotomia capacità/incapacità per giungere a soluzioni che consentano la necessaria protezione con il minimo grado di incapacitazione possibile.

Trovano quindi applicazione ai figli maggiorenni in situazioni di handicap solo le norme sul mantenimento e la casa familiare ed eventualmente quelle relative a presenza cura e visite, decisioni, queste ultime, che presuppongono l'applicabilità anche delle norme relative all'ascolto (cosi in particolare Trib. Varese, sez. I, 21 aprile 2011).

Ogni questione che può sorgere sulle provvidenze economiche di cui il figlio maggiorenne con disabilità è destinatario deve essere inquadrata alla luce di quanto si è detto.

In caso vi sia un provvedimento di incapacitazione, sarà il rappresentante legale (uno dei genitori o un terzo) a gestire le somme nell'interesse del percettore.

In caso contrario al maggiorenne con disabilità spetta il potere di gestione ed impiego delle risorse economiche di cui è titolare. L'unica rilevanza che queste risorse possono assumere in un giudizio tra i genitori è legata alla regolazione del loro obbligo di mantenimento del figlio stesso.

Deve essere infine segnalata la previsione contenuta nell'art. 6 legge n. 162/2014 sulla negoziazione assistita, secondo cui in caso di figli minorenni, maggiorenni non autonomi economicamente o con grave disabilità, la procedura di negoziazione passa attraverso il più penetrante controllo del PM che sfocia nell'autorizzazione, rispetto al nulla osta previsto in caso di assenza di figli minori o non autonomi.

Allo stesso modo l'art. 12 della legge n. 162/2014 esclude la separazione, il divorzio e le relative modifiche davanti all'ufficiale dello stato civile nel casi in cui siano presenti figli con grave disabilità, anche se maggiorenni ed a prescindere dalla considerazione della loro autosufficienza economica.

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