Consulenza tecnica d’ufficio

Stefano Cera
17 Ottobre 2023

La consulenza tecnica è un mezzo di prova che il giudice dispone quando il sapere tecnico giuridico non è sufficiente a risolvere questioni che richiedono un particolare sapere tecnico scientifico. Egli pertanto a norma degli artt. 61 ss. e 191 ss. c.p.c. nomina un consulente tecnico, formula i quesiti ai quali deve rispondere e fissa l'udienza nella quale il consulente deve comparire

Inquadramento

*Aggiornamento a cura di S. Cera

La consulenza tecnica è un mezzo di prova che il giudice dispone quando il sapere tecnico giuridico non è sufficiente a risolvere questioni che richiedono un particolare sapere tecnico scientifico. Egli pertanto a norma degli artt. 61 ss. e 191 ss.c.p.c. nomina un consulente tecnico, formula i quesiti ai quali deve rispondere e fissa l'udienza nella quale il consulente deve comparire.

L'attuale disciplina relativa alla nomina e alle indagini del consulente tecnico è frutto delle modifiche intervenute con la l. 18 giugno 2009 n. 69, che hanno il pregio di avere introdotto, in quello che di fatto è un sub procedimento di consulenza tecnica d'ufficio, il pieno rispetto dei principi costituzionali del diritto di difesa e del contraddittorio.

Il diritto di difesa si realizza con la nomina del consulente tecnico di parte, ma ove la parte non intenda o non possa permettersi di nominare un consulente tecnico, il proprio legale potrà partecipare alle attività peritali (cfr. art. 194 comma 2 c.p.c.).

Il principio del contraddittorio è garantito dalla nuova formulazione dell'art. 195 c.p.c., che prevede che il CTU, espletate le operazioni peritali, trasmetta ai consulenti delle parti costituite la propria relazione, le parti trasmettano al consulente le proprie osservazioni, e infine il CTU depositi in cancelleria la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse, il tutto secondo i termini fissati dal giudice.

È facoltà delle parti richiedere che il giudice disponga la consulenza tecnica, tale richiesta non obbliga però il giudice, il quale può anche disporla d'ufficio.

Una volta che la CTU sia stata disposta e che inizi quindi il sub procedimento di CTU, il processo si sposta dalla stanza del giudice a quella del consulente nominato dal giudice stesso, con un'ampia delega operativa che rischia talvolta di snaturare la natura giuridica delle operazioni peritali. In tale trasferimento dagli Uffici Giudiziari all' ufficio del consulente designato, può accadere, che nelle consulenze psicologiche si entri in un'area esclusivamente clinica e che vengano pretermessi i principi di diritto.

La relazione conclusiva delle operazioni peritali, comprensiva delle osservazioni delle parti, costituirà il fondamento delle decisioni che il giudice dovrà assumere (art. 115 comma 1 c.p.c.).

I diritti alla cui concreta tutela è finalizzato l'accertamento tecnico peritale sono quelli enunciati negli artt. 315-bis c.c., art. 337-ter ss. c.c. e art. 6 l. n. 898/1970 per quanto riguarda il figlio, nell' art. 156 c.c. per quanto riguarda il diritto del coniuge separato ad ottenere un assegno di mantenimento e nell'art. 5 l. n. 898/1970 per quanto riguarda l'assegno “divorzile”.

Il consulente del quale il giudice si avvarrà per acquisire elementi di valutazione utile alla sua decisione, dovrà anche avere una formazione giuridica, in quanto è necessario che abbia piena consapevolezza della responsabilità che si assume con il giuramento di operare per il perseguimento dei fini di giustizia. 

A tale scopo l'art. 13 disp. att. c.p.c. prevede che presso ogni tribunale sia istituito un albo dei consulenti tecnici, e che tale albo ricomprenda espressamente le categorie medico chirurgica, industriale, commerciale, agricola, bancaria, assicurativa, della neuropsichiatria infantile, della psicologia giuridica e della psicologia dell'età evolutiva. Per questa ultima particolare categoria la recente riforma Cartabia ha introdotto, con il nuovo art 15 disp. att. c.p.c. specifici requisiti che il tecnico deve possedere per ricoprire l'incarico di CTU.

La riforma prevede infatti che, in relazione ai criteri di iscrizione all'albo dei CTU, sia previsto che il consulente dimostri: 1) una comprovata esperienza professionale in materia di violenza domestica e nei confronti di minori; 2) possesso di adeguati titoli di specializzazione o approfondimento post universitari in psichiatria, psicoterapia, psicologia dell'età evolutiva o psicologia giuridica forense, oltre ad una iscrizione superiore a cinque anni all'albo professionale di riferimento; 3) aver svolto per almeno cinque anni attività clinica con minori presso strutture pubbliche o private.

La particolare delicatezza dei temi trattati ha portato il legislatore a richiedere un surplus di competenze al consulente tecnico che si approccia ad una valutazione peritale in ambito familiare; quanto previsto nelle disposizioni di attuazione appare necessario per supportare i nuovi ambiti di intervento previsti per il CTU nel nuovo processo familiare come vedremo in seguito.   

Quando viene disposta la CTU

Quando l'attività demandata al consulente tecnico consta nell'accertamento di fatti, si tratta di una consulenza percipiente, quando invece consiste nella valutazione di fatti si tratta di una consulenza deducente: la distinzione delimita il suo ambito di applicazione.

È infatti onere della parte dedurre i fatti che pone a fondamento del proprio diritto, tuttavia ove ricorrono questioni in fatto che presuppongono cognizioni di ordine tecnico e non solo giuridico (come ad esempio la divisione in due porzioni della casa familiare) il giudice non potrà che ammettere la CTU.

Per comprendere meglio la differenza tra le due modalità di azione si può analizzare la giurisprudenza di legittimità espressasi sul punto. Secondo Cass. civ. 13 settembre 2022, n. 26854 «la consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Il giudice può affidare al consulente non solo l'incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche».

Interessante al riguardo anche Trib Latina 2 agosto 2021 che precisa come «in tema di consulenza tecnica d'ufficio, la finalità di suddetto istituto è quella di aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, il suddetto mezzo di indagine non può essere disposto al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è, quindi, legittimamente negato dal giudice qualora la stessa tenda, con esso, a supplire alla lacuna delle proprie allegazioni o offerta di prove ovvero a compiere un'indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati, ma non può mai e in nessun caso, salvo che nell'ipotesi di C.T.U. percipiente supplire all'osservanza dell'onere probatorio gravante sulle parti».

Nelle vicende familiari la consulenza tecnica viene disposta quando vi è contesa in ordine all'affidamento dei figli minori, all'assegnazione della casa familiare e alla sua divisione, e alla determinazione degli obblighi economici a favore dei figli o di uno dei coniugi: in tali vicende le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza non sono sufficienti a tutelare i diritti in gioco ed è quindi necessario che il giudice disponga di elementi specifici relativi a quella data situazione che è al suo esame. La famiglia, infatti, a seguito del venire meno di un modello familiare codificato, gestisce un ampio margine di autoregolamentazione, pur non venendo meno il controllo statale sulla vita privata dei cittadini e parallelamente a tale fenomeno si è sviluppata una maggiore sensibilità verso il disagio dei minori di età coinvolti nelle vicende giudiziarie della disgregazione della famiglia. In siffatta realtà la CTU ha quindi la funzione di offrire al giudice gli elementi concreti per la tutela di quel minore, per il cui affidamento i genitori sono in conflitto, attraverso la verifica della responsabilità genitoriale e di come ciascuno di essi sia in grado di attuare i suoi diritti (cfr. art. 315-bis c.c.).

Oltre allo psicologo, le altre professionalità che intervengono ad arricchire gli elementi di valutazione di cui il giudice deve disporre sono quelle del commercialista, per la ricostruzione della capacità economico-patrimoniale ai fini della corretta quantificazione dell'assegno di mantenimento e dell'architetto/ingegnere/geometra, ove venga assunta la divisibilità della casa familiare, con la finalità di accertare che la divisione sia effettivamente realizzabile con la creazione di due distinte unità abitative del tutto indipendenti ed idonee a salvaguardare ai figli l'habitat domestico goduto in costanza di convivenza matrimonio dei loro genitori (v. Cass. n. 23631/2011; Cass. n. 21334/2013).

Chi è il consulente tecnico

Il consulente tecnico d'ufficio (CTU) è un professionista iscritto nell'apposito albo dei consulenti tecnici (art. 13 ss. disp. att. c.p.c.); tale previsione non è tuttavia vincolante, egli è nominato dal giudice in quanto tecnicamente esperto in merito ad una questione controversa tra le parti del processo, tuttavia non può sostituirsi all'onere di allegazione e di prova che incombe alle parti.

Il CTU, infatti, per la formazione dell'elaborato, non potrà avvalersi di documenti non prodotti dalle parti nei termini processuali previsti, diversamente le sue conclusioni saranno inutilizzabili se fondate sui detti documenti acquisiti in violazione delle regole di riparto dell'onere probatorio (v. App. Reggio Calabria 6 ottobre 2020,  in DeJure).

Il CTU deve possedere una speciale competenza, ovvero deve spiegare in termini chiari e comprensibili quanto ha potuto osservare, deve sapere spiegare nozioni scientifiche e motivare il proprio iter argomentativo.

Il requisito della speciale competenza tecnica dovrebbe anche estendersi alla formazione giuridica. Infatti, nelle vicende giudiziarie familiari, il diritto e la psicologia hanno il medesimo oggetto di studio, ovvero il comportamento umano, mentre le prospettive di indagine sono nette nella loro diversità.

Nomina dei consulenti del giudice e delle parti

La nomina del consulente tecnico spetta esclusivamente al giudice e può avvenire con ordinanza ai sensi dell'art. 183 comma 7 c.p.c. o con altra successiva ordinanza, anche collegiale; le parti possono, fino all' udienza di precisazione delle conclusioni, farne richiesta: non si tratta di una vera e propria istanza istruttoria in senso tecnico, ma di una sollecitazione affinché il giudice, nell'ambito del suo potere discrezionale, che include anche le proprie conoscenze scientifiche, vi provveda.

L'astensione e la ricusazione del consulente tecnico sono disciplinate nell'art. 192 comma 2 c.p.c.

La ricusazione del CTU dev'essere presentata con apposito ricorso depositato in cancelleria almeno tre giorni prima dell'udienza di comparizione; la decadenza di detto termine preclude definitivamente la possibilità di far valere successivamente la situazione di incompatibilità e la consulenza tecnica diverrà dunque legittimamente redatta ed acquisita. Secondo la giurisprudenza di legittimità tale principio è inderogabile (v. Cass civ. 13 marzo 2023, n. 7280).

In evidenza

La scelta del consulente tecnico d'ufficio è riservata all'apprezzamento discrezionale del giudice che la dispone e non è sindacabile in sede di legittimità, neanche in ordine alla categoria professionale di appartenenza del consulente e alla sua competenza a svolgere le indagini richieste, attesa la natura e le finalità esclusivamente direttive degli artt. 61 c.p.c., 13 e 22 disp. att. c.p.c. (Cass. civ.sez. I, 10 maggio 2023, n.12499)

In evidenza

La nomina dei consulenti di parte presuppone ovviamente che il giudice abbia nominato un consulente d'ufficio, e può avvenire entro il termine assegnato dal giudice. Si è molto dibattuto in dottrina e in giurisprudenza se al mancato rispetto del termine, indubbiamente ordinatorio, per la nomina del CTP, conseguano o meno le preclusioni per i  termini perentori.

Si segnala che secondo Cass. civ. 25662/2014 «Il termine per la nomina del consulente tecnico di parte ex art. 201 c.p.c. ha natura ordinatoria e può essere prorogato dal giudice non solo a seguito di istanza di parte depositata prima della sua scadenza, ma anche laddove tale istanza sia stata depositata dopo la sua scadenza, sempre che, secondo la previsione dell'art. 154 c.p.c., ricorrano motivi particolarmente gravi e il provvedimento sia motivato».

Attività del consulente

Il consulente tecnico deve svolgere le attività contenute nel quesito, dal momento del conferimento dell'incarico fino al deposito in cancelleria dell'elaborato peritale egli dovrebbe esplicitare e condividere con il CTP (se nominato) la metodologia delle attività e, nella CTU psicologica, l'opportunità di somministrare testi alle parti.

Di norma il quesito è formulato in modo sufficientemente dettagliato ed indica quale prima attività che il CTU deve compiere la lettura degli atti, proprio per conoscere i fatti e le prove che le parti hanno portato a supporto delle loro domande.

Molti CTU disattendono tale metodologia sostenendo di non volere essere influenzati da quanto è stato scritto dai difensori delle parti e di preferire apprendere dalle parti direttamente quanto dedotto nel processo e anche di più, ovvero la loro storia personale.

La disciplina della CTU nel processo familiare è stata oggetto di importanti revisioni con l’introduzione del nuovo art 473-bis.25 c.p.c, contenuto nel d.lgs. 149 del 10 ottobre 2022. Precedentemente, infatti, le consulenze in questo settore erano disciplinate anch’esse dalle norme generali sulle perizie tecniche. La norma citata, invece, introduce specifiche modalità operative per le consulenze riguardanti il riformato processo della famiglia.

L’art. 473-bis.25 c.p.c., in particolare, prevede che il giudice, quando dispone la CTU, debba precisare l’oggetto dell’incarico, scegliendo i consulenti tra quelli dotati di specifica competenza secondo la previsione del già citato art. 15 disp. att. c.p.c.

Viene anche posto un limite alle valutazioni su caratteristiche e profili di personalità, ammesse solo se aventi ad oggetto aspetti tali da incidere direttamente sulle capacità genitoriali; le stesse valutazioni, inoltre, dovranno essere fondate su protocolli e metodologie esplicitamente riconosciute dalla comunità scientifica, così evitando possibili erronee valutazioni legate ad un non corretto utilizzo degli strumenti scientifici e diagnostici.

Un’ulteriore importante precisazione contenuta nella riforma attiene all’attività di svolgimento dell’indagine peritale, che dovrà compiersi in orari che siano compatibili con gli impegni scolastici del minore, così come la durata dei singoli incontri dovrà tenere conto dell’età, delle attitudini, delle necessità del bambino (o ragazzo) oggetto di consulenza, in modo da rendere meno invasiva possibile la perizia.

Nella redazione dell’elaborato, infine, la nuova disciplina indica come il CTU debba tenere separati i fatti osservati direttamente, le dichiarazioni rese dalle parti e dai terzi e le valutazioni da lui formulate. La relazione, infine, dovrà indicare quali siano state le metodologie ed i protocolli seguiti per la redazione del testo.

Tali indicazioni hanno certamente lo scopo di uniformare l’attività dei CTU in ambito familiare, oltre a rendere più trasparente possibile (sia per i CTP ma anche per i difensori e le parti) quale sia stato l’iter argomentativo seguito dall’esperto nonché quali siano state le argomentazioni tecniche e le basi scientifiche sulle quali è stata fondata la risposta al quesito.

Il consulente deve contenere il proprio ambito di osservazione entro i confini che il quesito gli indica e non può operare oltre i poteri che gli derivano dal suo ruolo.

Le informazioni che il CTU può acquisire o richiedere direttamente alle parti sono limitate a quelle strettamente necessarie per rispondere al quesito posto dal giudice. Nella prassi giudiziaria spesso si assiste ad un'indebita acquisizione di informazioni attinenti la sfera strettamente personale dei soggetti coinvolti nella CTU e del tutto avulsa ed inutile rispetto al quesito. Tale condotta si pone in violazione all'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo «Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza» qualsiasi ingerenza è legittima solo se necessaria all'ordine pubblico, alla morale o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.

L’art 473-bis.25 c.p.c. prova a rispondere a queste necessità, cercando di riportare la CTU dentro confini scientifici e processuali determinati, che evitino di trasformarla in una indagine generale sul nucleo familiare completamente avulsa dal contesto giuridico nel quale si svolge.

A norma dell'art. 195 c.p.c il CTU redige relazione scritta delle indagini svolte che deve trasmettere alle parti costituite nel termine stabilito dal giudice nell'udienza in cui CTU presta il giuramento (art. 193 c.p.c.) di «bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di fare conoscere al giudice la verità»; è evidente che destinatario dell'invio sarà il CTP, ove nominato, ed in difetto di nomina, l'avvocato costituito.

Le parti, a loro volta ed entro il termine a loro assegnato, trasmetteranno al CTU le proprie osservazioni sulla relazione ed il consulente del giudice dovrà depositare la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione delle stesse, nell'ulteriore termine fissato dal giudice.

In evidenza

In sede di conferimento di incarico, il Giudice assegna al CTU un termine per la trasmissione della bozza di relazione alle parti ed alle parti assegna un ulteriore termine affinché possano trasmettere al CTU eventuali osservazioni relative all'elaborato. Qualora nessuna delle parti formuli rilievi o controdeduzioni, il sub-procedimento previsto dall'art. 195 c.p.c. si conclude con il deposito della relazione definitiva ad opera del consulente. Tuttavia, i termini per formulare osservazioni alla CTU non sono perentori, pertanto, la mancata prospettazione al consulente tecnico di ufficio di rilievi critici, non impedisce alla parte di esporre nel prosieguo del procedimento le proprie contestazioni difensive. (v. App. Caltanissetta 23 maggio 2023, n. 186 in DeJure).

Il ruolo che riveste il consulente di parte non è di poco conto, in quanto egli dovrà avere cura, nelle proprie osservazioni svolte alla relazione peritale di indicare in modo specifico e analitico le eventuali doglianze rispetto all'attività espletata dal CTU, stante l'irrilevanza di un semplice divergente punto di vista.

Consulente di parte

Il ruolo di consulente di parte nelle vicende familiari richiede l'assunzione di una posizione di equilibrio ed imparzialità al fine di evitare di appiattirsi sulla linea difensiva del proprio cliente, modalità che vanificherebbe la possibilità per lo stesso di utilizzare la CTU come un percorso di significazione del complesso familiare.

I professionisti iscritti nell'albo dei consulenti del giudice intervengono nelle consulenze tecniche anche in veste di CTP , con un continuo scambio di ruoli davanti allo stesso giudice che inficiano l'autonomia e l'indipendenza che il CTU dovrebbe mantenere nei confronti dell'organo giudicante.

È auspicabile che cessi la possibilità della variazione di ruolo da ctu a ctp e viceversa, in quanto, a tale variazione corrisponde sovente la variazione dei criteri di analisi , con grave pregiudizio per l'affidabilità scientifica di tale operare.

Processo verbale dell'attività peritale e valutazione della relazione

Dal momento che il CTU, nel conflitto familiare, svolge le operazioni peritali da solo (ovvero senza l'intervento del giudice istruttore), egli non redige di prassi il verbale delle attività svolte nelle singole sessioni peritali, ne' le parti sottoscrivono quanto hanno dichiarato: tutta l'attività svolta è riportata nella relazione finale.

La criticità di tale modalità operativa nello svolgimento della CTU psicologica è il difetto di dati oggettivi, che potrebbe essere facilmente garantita con l'audio-videoregistrazione, strumento che consentirebbe al giudice di risolvere oggettivamente le critiche e le doglianze mosse dalle parti verso l'operato del CTU.

In evidenza

Secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione (n. 5148/2011 e n. 23063/2009) le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del CTU

Tali principi non sono però applicabili facilmente alla consulenza psicologica che si basa principalmente su quanto le parti hanno "raccontato" al CTU, il cui reale contenuto non può che essere consacrato in un audio-videoregistrazione.

Tale strumento è tenacemente avversato dalla maggior parte dei consulenti i quali asseriscono:

  • di prendere appunti (con ciò distogliendo l'attenzione dall' ascolto),
  • di potere riferire ai CTP quanto osservato in loro assenza, e in particolare negli incontri con i figli di età minore, negando l'assioma che chi osserva modifica la realtà, non essendo possibile scindere l'oggetto, la relazione osservata dalla struttura mentale dell' osservatore,
  • che la videocamera altererebbe il contesto osservativo, stante l'estraneità dello strumento, dimenticando quanto tali mezzi facciano parte della quotidianità.

Quindi, in difetto della possibilità di potere attingere a dati grezzi, sarebbe ben difficile attuare i principi enunciati dalla Cassazione.

D'altra parte la stessa Corte ha anche consolidato l'orientamento per cui le consulenze di parte costituiscono semplici allegazioni difensive. Ciò sta a significare che il giudice di merito non è tenuto a motivare il proprio dissenso in ordine alle osservazioni contenute nelle stesse, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni incompatibili con le stesse e conformi al parere del proprio consulente, ne' è tenuto, anche a fronte di un'esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d'ufficio, atteso che il rinnovo dell'indagine tecnica rientra tra i poteri del giudice di merito (v. Cass., 6 maggio 2002, n.6432).

Esito della CTU e valutazione del giudice della prova acquisita

La CTU in ambito familiare rappresenta certamente una delle prove principali sulle quali il giudice potrà fondare la propria valutazione e dunque la successiva decisione. Il giudice però, in quanto “peritus peritorum” potrà certamente discostarsi dalle risultanze dell'elaborato, adeguatamente motivando la propria decisione. Si consideri infatti che la diligenza nell'esecuzione delle indagini affidategli, costituendo (a norma degli artt. 64 e 193 c.p.c.) un preciso, quanto ovvio, obbligo del consulente, rappresenta soltanto il presupposto necessario affinché il parere dell'ausiliario sia meritevole della considerazione del giudice, che, pertanto, non è dispensato dal dovere di valutare l'intrinseca attendibilità del parere stesso in rapporto alle specifiche censure contro di esso formulate dalla parte interessata (v. Cass. civ., 17 luglio 2023, n. 20532).

Il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive. (v. Cass. civ. 16 gennaio 2022, n. 33742)

il principio "judex peritus peritorum" comporta non solo che il giudice di merito, per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica, non sia obbligato a nominare un consulente d'ufficio, ma anche che possa disattenderne le argomentazioni esaminando direttamente la documentazione su cui si basa la relazione del consulente tecnico ed eventualmente sostituirle con le proprie. (interessante sul punto Trib. Bari 20 dicembre 2023 in DeJure).

Anche le parti mantengono, evidentemente, un potere di critica e confutazione dell'elaborato peritale all'interno di determinati e precisi limiti. Sul punto è interessante la posizione della giurisprudenza di legittimità. Per Cass. civ. 14 giugno 2023 n. 16935 «la parte che lamenti l'adesione acritica del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio non può limitarsi a far valere genericamente mancanze di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l'operato, ma ha l'onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi manifestate».

Il deposito dell'elaborato, dunque, non deve essere considerato, come a volte accade, l'anticamera della decisione del giudice, ma resta sempre confutabile sia dal giudicante che dalle parti, che hanno la facoltà di proporre argomentazioni contrarie alla tesi del CTU, le quali dovranno poi essere oggetto di valutazione in sede di emissione della decisione finale.

Casistica

CTU esplorativa

La consulenza tecnica d'ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Trib Napoli, 30 maggio 2022);

La consulenza tecnica d'ufficio ha lo scopo di aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, ma tale mezzo di indagine non può essere disposto al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimamente negato dal giudice qualora la parte richiedente tenda con esso a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni, o offerte di prova, ovvero a compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze (Trib. Bari 04 luglio 2022 in DeJure);

In tema di consulenza tecnica d'ufficio, la richiesta di consulenza, qualora si traduca esclusivamente in un espediente meramente esplorativo, non può essere accettata perché servirebbe solamente ad esonerare la parte richiedente dall'onere di fornire la prova di quanto assume. Pertanto la consulenza tecnica d'ufficio è legittimamente negata qualora la parte la richieda per supplire alla deficienza delle proprie allegazioni od offerte di prova, o per compiere un'indagine esplorativa alla ricerca di elementi di prova. (App. Milano 21 aprile 2022 in De Iure).

Limiti dei poteri del CTU

Il consulente tecnico d'ufficio può acquisire, nel rispetto del contraddittorio tra le parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, "ivi" compresi quelli dalle stesse non prodotti, a condizione che non concernano i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni (a meno che, in tale ultimo caso, non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio). (Cass civ 21 luglio 2023 n. 21903).

In materia di consulenza tecnica d'ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti - non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico -, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio. (Cass. civ. 9 novembre 2022, n.32935).

Consulenza percipiente e consulenza deducente

Laddove un fatto non sia percepibile nella sua intrinseca natura se non con cognizioni o strumentazioni tecniche che il Giudice non possiede, o comunque risulti di più agevole, efficace e funzionale accertamento, ove l'indagine sia condotta da un ausiliario dotato di specifiche cognizioni tecnico-scientifiche, la CTU può costituire una vera e propria fonte oggettiva di prova. In tali casi, ove si è detto la consulenza tecnica d'ufficio costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova in quanto diretta ad accertare fatti, si suole parlare di CTU percipiente, per distinguere la figura dalla CTU deducente, ossia dalla tradizionale forma di consulenza destinata a valutare fatti già acquisiti al processo e quindi tendenzialmente eseguita dopo l'espletamento dei mezzi di prova (Cass., sez. I, 10 settembre 2013, n. 20695)

Nullità della CTU

Ai sensi degli artt. 194 comma 2 c.p.c. e art. 90 comma 1 disp. att. c.p.c., il CTU deve dare comunicazione alle parti costitute di giorno, ora e luogo dell'inizio delle operazioni peritali, pur se non anche del prosieguo delle stesse, laddove esso sia volta a volta fissato nel verbale delle operazioni, posto che incombe sulle parti l'onere di informarsi sulla prosecuzione delle attività peritali stesse; solo invece ove il consulente rinvii le operazioni a data da destinarsi e successivamente le riprenda, vi è l'obbligo di avvertire nuovamente le parti a pena di nullità della perizia (Cass., 2 marzo 2004, n. 4271)

L'attività del consulente meramente acquisitiva di elementi emergenti da pubblici registri accessibili a chiunque, così come quella di semplice valutazione di dati in precedenza acquisiti, non integrano vere e proprie indagini tecniche, e pertanto possono essere compiuti senza preventivo avviso alle parti (Cass., n. 5762/2005).

La mancanza della comunicazione di inizio operazioni peritali, pur in assenza di apposita e specifica previsione, è unanimemente e concordemente sanzionata con la nullità, in base al generale principio di cui all'art. 156 comma 2 c.p.c., per violazione del principio del contraddittorio, con conseguente inutilizzabilità della perizia e sua mancanza di valore probatorio anche indiziario (Cass. n. 343/1994).

Tale sanzione di nullità, tuttavia, è temperata da due correttivi. Da un lato, proprio in ragione della lettera dell'art. 156 commi 2 e 3c.p.c., la nullità non può essere pronunciata se l'atto ha raggiunto il suo scopo, e quindi se si dimostra che la parte non ha subito un effettivo pregiudizio al suo diritto di difesa, avendo comunque avuto notizia dell'inizio delle attività o comunque avendovi partecipato (Cass., n. 22653/2011). Dall'altro lato, trattasi comunque di nullità relativa, come peraltro relative sono tutte le nullità riguardanti l'espletamento della CTU, con la conseguenza che, ai sensi dell'art. 157 c.p.c., ne resta precluso il rilievo, e l'invalidità rimane sanata, se l'eccezione non viene sollevata nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, ovvero, nel caso del contumace, nel suo atto di costituzione (Cass. n. 1744/2013)

Non dà luogo a nullità, non essendo la stessa sanzione espressamente prevista, ma solo ad irregolarità, la violazione dell'art. 195 comma 2 c.p.c., che impone al CTU di inserire nella relazione anche le osservazioni e le istanze delle parti (Cass. n. 5897/2011); e parimenti non vi è nullità nemmeno nel caso di omessa verbalizzazione delle operazioni, essendo sufficiente la loro descrizione nella relazione (Cass. n. 15/2003).

Ausilio di collaboratori da parte del CTU

Il CTU può, anche senza l'espressa autorizzazione del Giudice, avvalersi dell'ausilio di collaboratori e specialisti per il compimento di particolari indagini o l'acquisizione di elementi di giudizio. La frequente prassi di richiedere comunque al Giudice tale autorizzazione, che si ribadisce non risulta necessaria sotto il profilo strettamente giuridico, si spiega, nel caso la collaborazione stessa comporti un aggravio di spesa, con la ragione pratica di evitare che in sede di liquidazione delle spettanze non venga riconosciuta come rimborsabile tale spesa exart. 56 d.P.R n. 115/2002. Ove vi sia l'ausilio di collaboratori, resta inteso che il CTU deve valutare la loro opera, assumendosene la responsabilità giuridica, scientifica e morale, laddove trasfonda i risultati di tali collaborazioni nella propria relazione; e comunque, l'attività del collaboratore non può essere integralmente sostitutiva di quella del CTU (Cass. n. 16471/2009)

Valore probatorio degli accertamenti e delle risposte fornite dal consulente oltre l'ambito dei

quesiti affidatigli

Si parla di argomenti di prova, ed in particolare di prova atipica, non dubitandosi della possibilità per il giudice del merito di trarre elementi di convincimento anche dalla parte della consulenza d'ufficio eccedente i limiti del mandato, ma non sostanzialmente estranea all'oggetto dell'indagine in funzione della quale è stata disposta (Cass. n. 11594/2006)

La consulenza economica – patrimoniale per la ricostruzione dei redditi complessivi della parti e delle complessive situazioni patrimoniali, ai fini della quantificazione dell'assegno di mantenimento

Nell'ipotesi di separazione personale tra coniugi (uno dei quali, il marito, molto abbiente, a differenza della moglie, proveniente da una famiglia di ricchi imprenditori, ma titolare solo di una piccola caratura immobiliare) con una figlia minore affidata ad entrambi, in cui debba essere quantificato l'assegno di mantenimento in favore della minore e l'assegno destinato a garantire al coniuge meno abbiente un tenore di vita non dissimile dal tenore goduto in costanza di convivenza, è opportuno – per l'accertamento dei redditi e dei valori immobiliari e mobiliari, e la quantificazione degli assegni – che il Giudice autorizzi il CTU, avvalendosi di un tecnico statistico e tenendo conto dell'avvenuta assegnazione della casa familiare alla madre, prevalentemente domiciliataria della minore, a stimare: il presumibile livello di spesa della famiglia prima della separazione, sulla base del reddito complessivamente desumibile, come dal CTU ricostruito, e di opportune ipotesi, formulabili a livello statistico ed aventi un'attendibilità elevata nella rappresentazione dei comportamenti, mediamente verificabili, riguardanti il rapporto tra reddito, spesa per consumi e risparmio; il conseguente tenore di vita del nucleo familiare in costanza di convivenza; il tenore di vita che risulterebbe ai due nuclei familiari originati dalla separazione qualora ciascun componente mantenesse la totale disponibilità dei propri redditi, come dal CTU accertati; un ambito entro il quale possa essere stabilita la misura del mantenimento (distinguendo tra coniuge e prole) da porsi a favore della figlia e del coniuge economicamente forte, in modo da consentire ai due nuclei familiari conseguenti alla separazione, e specificamente alla minore, la conservazione di un tenore di vita non dissimile da quello goduto in costanza di convivenza, se compatibile con il reddito attuale complessivamente disponibile, oppure il più vicino possibile a questo, ma tale da garantire ai due nuclei familiari un tenore di vita analogo tra loro; la ripartizione dell'assegno per categoria di spese, individuando, sulla base di opportune indagini statistiche, la ripartizione dell'assegno fra le voci di spesa (Trib. Firenze 12 ottobre 2007).

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