Contratti di convivenzaFonte: L. 20 maggio 2016 n. 76
05 Luglio 2016
Inquadramento
Probabilmente non si tratta della legge che molti aspettavano e, probabilmente, non è nemmeno la migliore possibile, ma finalmente la legge (che tanti hanno ostacolato) che istituisce e regola le unioni civili e i contratti di convivenza c'è. E' la l. n. 76/2016 ed è entrata in vigore il 5 giugno 2016. Tale norma colma, con grandissimo ritardo rispetto alla maggior parte dei paesi europei, un vuoto legislativo che era mitigato solo da alcuni richiami e da alcune minime e disomogenee forme di tutela del rapporto di convivenza di fatto, contenute in alcune specifiche leggi o in principi sanciti, nel tempo, dalla giurisprudenza di merito o di legittimità. E', altresì, evidente come, fino a oggi, il problema più significativo, solo parzialmente aggirabile mediante l'autoregolamentazione e il ricorso alla normativa ordinaria, riguardasse le coppie omosessuali attesa l'impossibilità, per due persone dello stesso sesso, di contrarre matrimonio. E così, l'unione civile, istituto in parte sovrapponibile a quello del matrimonio, è destinato alle sole coppie omosessuali. Ossia a quegli individui per i quali non esisteva alcuna possibilità per formalizzare la loro unione e, conseguentemente, alcuna forma di tutela. Diversamente, il contratto di convivenza è sottoscrivibile da persone sia eterosessuali, sia omosessuali, purché legate da rapporto affettivo.
La convivenza di fatto
Prima dell'entrata in vigore della legge cd. Cirinnà, le coppie di fatto potevano autoregolamentare il loro rapporto affettivo, ricorrendo alla ordinaria disciplina dei contratti, al fine di dare rilevanza giuridica ad alcuni specifici aspetti della vita in comune, come la scarsissima giurisprudenza sul punto aveva avuto modo di confermare (Trib. Savona, 29 giugno 2002; Trib. Savona, 24 giugno 2008; Cass. Civ. 8 giugno 1993, n. 6381; Trib. Cassino, 16 ottobre 1996). E ciò, in assenza di alcun contratto tipico che potesse disciplinare la materia, nel rispetto del dettato dell'art. 1322 c.c. e con il limite alla libertà di autodisciplina delle parti previsto dall'art. 1321 c.c., che circoscriveva il campo di intervento dei conviventi ai soli aspetti economici della vita insieme, precisando che «il contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale». La l. n. 76/2016 ha, invece, superato questo limite, prescrivendo che i conviventi di fatto (ossia «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile») siano oggi sostanzialmente e giuridicamente equiparate, in molte situazioni, ai coniugi, attribuendo loro i medesimi diritti. E così, in particolare:
Inoltre, il convivente di fatto ha diritto, in caso di morte dell'altro, di continuare ad abitare nella casa in cui si è svolta la convivenza per altri due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due, e comunque non oltre cinque anni (art. 42). Inoltre, qualora il decesso sia avvenuto per fatto illecito altrui, il convivente superstite ha diritto di ottenere il risarcimento del danno (art. 1 comma 49). Soggetti che possono stipulare un contratto di convivenza
La l. n. 76/2016 stabilisce la facoltà per i conviventi di fatto di disciplinare i rapporti patrimoniali della loro vita in comune, mediante la sottoscrizione di un contratto di convivenza. Il contratto può essere stipulato solo da coloro che, indipendentemente dall'orientamento sessuale, possono definirsi conviventi di fatto ai sensi del comma 36, cioè coloro che non solo convivano ma che siano legati da legame affettivo di coppia (requisito positivo) e non siano vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio a da un'unione civile (requisito negativo). Ci si è chiesti se il requisito negativo riguardasse i rapporti interni, impedendosi la qualificazione di conviventi a chi è sposato o ha contratto un'unione civile, oppure anche i rapporti esterni, escludendosi dunque, dal novero di cui al comma 36 coloro che siano legati da matrimonio o unione civile con altri soggetti. La dottrina, in questa prima fase di applicazione, propende per la seconda soluzione (L. Logli, Diritti e doveri dei conviventi, in IlFamiliarista.it; G. Dosi, Convivenze di fatto, in Lessico del Diritto di famiglia) ancorché limitativa dell'accesso al nuovo istituto, escludendosi dunque coloro che sono separati o in attesa di divorzio. Se tale esclusione può essere dubbia per i semplici conviventi di fatto, è invece certa per i conviventi di fatto che vogliano regolamentare i loro rapporti con il contratto di convivenza. Il comma 57, infatti, ha una formulazione diversa dal comma 36 e prevede la nullità del contratto stipulato «in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza». Tale esclusione, discriminatoria se riferita alla generica definizione di conviventi di fatto, non lo è nella delimitazione dei soggetti legittimati alla conclusione di un contratto di convivenza, giacché, con tale previsione si è voluto, ad esempio, evitare l'esistenza di due contemporanei regimi di comunione dei beni in capo allo stesso soggetto, sposato e non ancora separato e convivente di fatto con un soggetto terzo. Altro problema che si è posto è quello della “registrazione” della convivenza, giacchè alcuni interventi iniziali da parte degli Enti Locali (cfr. ad esempio il Comune di Milano) fatti sulla scorta di un'interpretazione peraltro non univoca delle disposizioni del Ministero degli Interni (Circ. Min. Int. n. 7/2016), richiedono, ai fini della registrazione del contratto di convivenza (e, dunque, della sua opponibilità ai terzi) che i contraenti siano registrati come “conviventi” davanti all'Ufficio dell'Anagrafe; tale ricostruzione non sembra essere pienamente condivisibile sia perché l'organo amministrativo aggiunge, ai fini dell'efficacia del contratto di convivenza, un requisito che la legge non richiede, sia per il potenziale effetto di “esclusione” dalle tutele previste dalla l. n. 76/2016 che, nei suoi propositi avrebbe voluto e dovuto avere un effetto “inclusivo”. Contenuto
Con riferimento al contenuto, secondo l'art. 1, comma 53, l. n. 76/2016, il contratto, che non può essere sottoposto a termine e/o a condizioni, può contenere:
La formulazione della norma ha già posto alcuni quesiti in merito al contenuto; in particolare ci si deve chiedere se quello previsto dal Legislatore sia uno schema blindato, nel senso che potrà contenere, anche per la particolare forma richiesta, solo quanto previsto dal comma 53, oppure se i conviventi, con il limite delle norme imperativa e dell'ordine pubblico potranno inserire nel contratto di convivenza (che, una volta registrato, è opponibile ai terzi) anche aspetti non specificatamente rientranti nel novero delle materie incluse ai sensi di legge. La soluzione pare dover essere positiva non ostandovi alcuna ragione per cui, per effetto della nuova legge, sia oggi esclusa una regolamentazione pattizia in precedenza prevista (vedi sopra); così come non può essere ostativo all'allargamento del contenuto, la previsione di una forma specifica ad substantiam (quello dell'atto pubblico o scrittura privata autenticata da notaio o avvocato), non essendo neppure ipotizzabile obbligare i conviventi a stipulare un contratto di convivenza, valido nei confronti dei terzi, e un contratto tra conviventi, valido solo nei rapporti interni. Tale facoltà- perché di facoltà deve trattarsi- deve essere lasciata alla libera determinazione delle parti che potranno dunque scegliere se: a) stipulare un contratto di convivenza “classico” sulla base del modello di cui al comma 53; b) stipulare un contratto di convivenza a spettro “allargato” inserendovi anche norme pattizie che esulano dall'oggetto specificio; c) stipulare, anche per ragioni di riservatezza, un contratto di convivenza e un contratto tra conviventi. Sempre con riferimento all'oggetto v'è da notare che il legislatore – a differenza di quanto previsto per il matrimonio o per le unioni civili - ha previsto, come regime patrimoniale, la scelta secca tra il regime di comunione legale dei beni e il regime di “separazione ordinaria”. I conviventi dunque non potranno accedere – quantomeno con riferimento ai rapporti con i terzi - al fondo patrimoniale, alle convenzioni matrimoniali o al regime di separazione dei beni tra coniugi, essendo questi regimi destinati, ex lege, solo ed esclusivamente ai coniugi e, dopo la l. n. 76/2016, agli uniti civili. Non troveranno dunque applicazione, nel caso di mancata opzione per la comunione legale, le norme di cui agli artt. 216 e ss. c.c., rimanendo invece regolati i rapporti tra conviventi dalle altre norme del codice civile, come se coloro che sono legati da vincolo affettivo ma non hanno optato per la comunione legale, siano perfetti sconosciuti.
Materie escluse
Il contratto di convivenza, sia che lo si consideri “unitario” sia che lo si voglia spacchettare tra contratto di convivenza e contratti tra conviventi (cfr. Dosi G., cit.) non potrà mai contenere:
Inoltre, per quanto si tratti di un tema attinente alla sfera patrimoniale, ciò che non potrà essere inserito nel contratto di convivenza è qualsivoglia previsione previdenziale, così come di natura successoria, nel rispetto della previsione di cui all'art. 458 c.c., in base al quale «[…] è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. E' del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi». In tal caso, l'unica tutela reciproca possibile, sarà la redazione di un testamento contenente specifiche previsioni a favore dell'altro, nel rispetto, ovviamente, di quanto spettante agli eventuali legittimari.
L'art. 1 comma 50 l. n. 76/2016 prevede, per i contratti di convivenza che abbiamo il contenuto di cui al comma 53, una forma tassativa ad substantiam. Il contratto non solo deve avere la forma scritta ma deve essere redatto tramite la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata da un Notaio o da un Avvocato che hanno il compito di attestare la conformità dell'atto alle norme imperative e all'ordine pubblico. I professionisti, una volta autenticata la sottoscrizione hanno, poi, il dovere di trasmettere, entro 10 giorni, il contratto al comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe, ai fini di renderlo opponibile ai terzi. Nulla dice la legge in merito al mancato o ritardato assolvimento dell'obbligo. Non sono previste sanzioni a carico dell'Avvocato (a differenza di quanto previsto in materia di negoziazione assistita familiare, ex art. 6 d.l. 132/2014) e, nell'incertezza della formula, si dovrebbe concludere che il mancato o ritardato invio del contratto non ne determini la nullità (anche perché tale ipotesi non è prevista nel successivo comma 57) ma semplicemente la non opponibilità ai terzi; il contratto, dunque, continuerà a produrre effetti ma solo tra i conviventi e non erga omnes. Il ministero degli Interni (Circ. Min. Int. 1 giugno 2016) ha poi chiarito gli adempimenti in capo all'Ufficiale di stato civile ricevente il contratto, il quale deve: 1) registrare nelle scheda di famiglia dei conviventi e nelle schede individuali, data e luogo di stipula nonché data ed estremi della comunicazione del professionista; 2) assicurare la conservazione agli atti della copia del contratto. Dalla circolare pare desumersi che l'Ufficiale di stato civile non sia tenuto a indicare, nelle schede dei conviventi e in quelle individuali, la sintesi del contenuto del contratto, il ché potrebbe creare non pochi problemi in merito all'opponibilità ai terzi del regime di comunione eventualmente prescelto, giacché non annotato e, dunque, non immediatamente conoscibile dai terzi. Il contratto di convivenza è nullo, ai sensi del comma 57, se è stato concluso: da persona già unita da vincolo matrimoniale, da unione civile o da altro contratto di convivenza; da persona minorenne o interdetta; tra soggetti legati da vincolo di parentela o affinità; da persona che sia stata condannata con sentenza definitiva per omicidio tentato o consumato a danno del coniuge del partner. Lo scioglimento del contratto di convivenza
Il contratto di convivenza, invece, si scioglie:
a) su accordo delle parti, con le forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata da Notaio o Avvocato che non necessariamente devono essere gli stessi che hanno stipulato il contratto di convivenza; il comma 60, disciplinante lo scioglimento del contratto di convivenza, non richiama il comma 52; purtuttavia deve concludersi che il Notaio o l'Avvocato che abbiano ricevuto la dichiarazione congiunta devono trasmettere l'atto di risoluzione (ai fini dell'opponibilità ai terzi) all'Ufficiale di stato civile competente che (Circ. Min. Int. 7/2016) registrerà l'avvenuta risoluzione nelle schede individuali e in quella di famiglia dei conviventi; qualora il regime patrimoniale scelto dai conviventi sia stato quello della comunione dei beni, la risoluzione del contratto determinerà lo scioglimento della comunione, con applicazione delle norme del codice civile, pur restando ferme le attribuzione del Notaio per i trasferimenti immobiliari. Tale norma ovviamente si applica anche al caso di scioglimento per volontà di un solo convivente;
b) per recesso unilaterale, mediante atto redatto con la medesima forma del contratto di convivenza; il professionista ricevente o autenticante l'atto, deve notificarlo all'altro convivente e, nel caso in cui la casa familiare sia nell'esclusiva disponibilità del recedente, la dichiarazione di recesso deve contenere, a pena di nullità, un termine, non inferiore a 90 giorni, concesso al convivente per allontanarsi; il recesso unilaterale deve poi essere trasmesso, entro 10 giorni all'Ufficiale di Stato civile competente per la registrazione; in assenza di una specificazione normativa, avendo la dichiarazione di recesso natura di atto recettizio, il termine dovrebbe decorrere dal momento in cui il professionista avrà contezza della conoscenza legale, da parte dell'altro convivente, della dichiarazione di recesso;
c) per matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente e altra persona. In questo caso il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all'altro e al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto, l'estratto di matrimonio o di unione civile; il Notaio o l'Avvocato non devono svolgere alcun incombente, giacché l'Ufficiale di Stato Civile riceverà direttamente la comunicazione dell'avvenuto matrimonio o contrazione di unione civile (così Circ. Min. Int. cit.); la mancata comunicazione, in ogni caso, non dovrebbe inficiare lo scioglimento della convivenza, trattandosi di un onere in capo al convivente, la cui violazione tutt'al più potrebbe determinare conseguenze di carattere risarcitorio nei confronti del convivente “non avvertito” ed essendo opponibile lo scioglimento del contratto ai terzi dal momento della registrazione ad opera dell'Ufficiale di Stato civile che, come detto, è indipendente dalla volontà delle parti;
d) per morte di uno dei contraenti. In questo caso il contraente superstite o gli eredi del contraente defunto, devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto, l'estratto dell'atto di morte affinché provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l'avvenuta risoluzione e a notificarlo all'anagrafe del comune di residenza. Nulla è previsto per il caso di mancato assolvimento degli oneri ad opera dei legittimati o del professionista.
Indipendentemente dalle forme o dai motivi, nel caso di cessazione della convivenza il Giudice, su richiesta dell'avente diritto, può stabilire a carico di un convivente l'obbligo al versamento degli alimenti in favore dell'altro qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. L'assegno in questo caso è a tempo e sarà assegnato per un periodo proporzionale alla durata della convivenza. |