Divorzio internazionale: legge applicabile

18 Marzo 2024

Il problema dell'individuazione della legge regolatrice della separazione e del divorzio si pone con riferimento alle controversie aventi ad oggetto lo scioglimento dei matrimoni caratterizzati da elementi di internazionalità..

Inquadramento

La legge applicabile al divorzio e alla separazione personale è individuata dal Reg. (UE) n. 1259/2010 (c.d. Roma III) adottato nelle forme della cooperazione rafforzata ai sensi degli artt. 326-334 TFUE, al fine di istituire un quadro chiaro e completo di tale materia, tendenzialmente in armonia con l’ambito di applicazione del Reg. Bruxelles II-ter. La Corte di Giustizia UE ne ha pertanto dichiarato la intertestualità, ovvero la necessità di garantire una interpretazione coerente dei due testi normativi, a tutto beneficio della certezza del diritto in un settore della normativa sovranazionale il quale – pretendendo di intervenire nella materia familiare – richiede una stabilità, che faccia da contrappeso alla notevole mobilità delle coppie transfrontaliere.

Il regolamento, peraltro, non si prefigge l’obiettivo di armonizzare il diritto sostanziale né di obbligare gli Stati membri partecipanti a riconoscere un’unione contratta come matrimonio, ed a tal fine appresta delle regole che – nello scaturire dal compromesso politico trovato tra i negoziatori – rispettano i principi di proporzionalità e sussidiarietà scolpiti nei Trattati.

In evidenza

Il regolamento Roma III si applica nei seguenti Stati membri: Austria, Belgio, Bulgaria, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna, Ungheria

Nozione di matrimonio e divorzio

Il tema della legge applicabile alla separazione personale e al divorzio è inscindibilmente connesso alla previa identificazione dei concetti di matrimonio e divorzio, di cui a livello UE non esiste alcuna definizione. Tuttavia, la giurisprudenza delle Corti europee soccorre l’interprete, nel rintracciarne alcuni tratti distintivi.

Al riguardo, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha da tempo consolidato un orientamento che garantisce agli Stati contraenti un ampio margine di apprezzamento circa la scelta di politica legislativa di riconoscere o meno alle coppie dello stesso sesso il diritto a sposarsi, tollerandone il divieto a patto che alle stesse sia garantito un quadro legale alternativo e non restino del tutto sfornite di tutela (di tale orientamento vi è chiara evidenza, tra le tante, nelle sentenze Oliari ed altri c. Italia, n.18766/11 e Vallianatos, n.29381/09).

Dal canto suo la Corte di Giustizia dell’UE, dopo un primo approccio restrittivo (di cui è traccia nella causa D. e Svezia c. Consiglio, C-122/99, ove aveva affermato come l’istituto fosse riservato ai coniugi di sesso diverso) ha analizzato il concetto di coniuge attraverso il prisma della normativa europea in materia di libertà di movimento e di ricongiungimento familiare, giungendo a riconoscere – ai soli fini di cui alla legislazione in tale materia – che detto concetto possa essere esteso al coniuge dello stesso sesso (Coman, C-673/16).

Quanto, invece, alla nozione di divorzio, la stessa Corte ha avuto modo (nella nota sentenza Sahyouni, C-372/16) di chiarire che per ricadere nell’ambito di applicazione dei regolamenti Bruxelles II-bis e Roma III esso deve essere stato pronunciato da un’autorità giurisdizionale, o da un’autorità pubblica, o con il suo controllo. Non sono pertanto compresi in tale nozione i c.d. divorzi privati, ovvero quelli risultanti da una dichiarazione unilaterale di uno dei coniugi dinanzi a un tribunale religioso.

Alla luce della giurisprudenza sopra citata – che riconosce un ampio margine di apprezzamento agli Stati in una materia ove non si registra un condiviso livello di accettazione del matrimonio same-sex – e considerato, infine, che né il Reg. Bruxelles II-ter, né il Reg. Roma III contengono alcuna espressa limitazione dei rispettivi campi di applicazione con riguardo al genere degli sposi, deve ritenersi che entrambi gli atti normativi si applichino anche al matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma nei soli Stati membri che a tale tipo di coniugio attribuiscono effetti giuridici.

Universalità e unicità della legge applicabile

La particolare struttura delle norme di diritto internazionale privato – caratterizzate dai c.d. criteri di collegamento – può condurre, laddove sussista un “aggancio” alla normativa europea, a individuare una legge straniera da applicarsi nel caso concreto, per risolvere una controversia dalle implicazioni transnazionali. Non è tuttavia pacifico che la legge così individuata produca degli effetti accettabili per il nostro ordinamento: per tale ragione il diritto internazionale privato contempla dei limiti, preventivi o successivi, all’applicazione della legge straniera.

Ciò è tanto più vero se si considera che le norme in tema di legge applicabile contenute nei regolamenti europei in materia di famiglia si caratterizzano per il principio dell’universalità, in base al quale la legge designata dalle parti o applicabile in virtù del regolamento si applica anche se è quella di uno Stato terzo (cfr. art.4). Detto Stato, come sovente accade nel caso degli ordinamenti giuridici ispirati da concezioni religiose come quelle islamiche, potrebbe infatti essere portatore di visioni diametralmente opposte rispetto a temi quali i diritti delle donne all’interno della famiglia, o l’attribuzione della potestà genitoriale, o i diritti di successione.

Altro elemento distintivo delle regole sovranazionali in tema di legge applicabile, è quello della sua unicità: la legge scelta dalle parti o individuata dal regolamento si applica a tutti gli aspetti del caso di specie, senza che sia possibile limitarne l’ambito a solo alcune tematiche. Questa caratteristica si rinviene, con gli opportuni adattamenti in ragione delle materie trattate, anche in altri regolamenti UE come quello sulle successioni (Reg. UE n.650/2012) e quelli sui regimi patrimoniali dei matrimoni e delle unioni registrate (Regg. UE n.1103/2016 e 1104/2016).

I limiti all’applicazione della legge straniera

Si ritiene tradizionalmente che i limiti all’applicazione della legge straniera siano di due tipi: preventivi, come nel caso delle norme di applicazione necessaria, e successivi, come la clausola di ordine pubblico. Le prime agiscono anticipatamente per preservare l’armonia dell’ordinamento giuridico interno, imponendosi in un dato caso – al posto della norma straniera che invece dovrebbe operare secondo le regole di diritto internazionale privato – mentre il secondo funge da limite successivo per arginare gli effetti indesiderati dell’applicazione della norma straniera.

Gli elementi principali del regolamento

La caratteristica più innovativa del Reg. Roma III è senz’altro la possibilità di una (sia pur limitata) scelta della legge applicabile da parte dei coniugi (cfr. art.5): si tratta, infatti, di una chiara apertura all’autonomia delle parti su un punto fondamentale della loro vicenda personale, ovvero l’individuazione delle norme sulla cui base sarà decisa la domanda di separazione o divorzio.

La scelta della legge è peraltro sottoposta ad una serie di condizioni. Innanzitutto, i coniugi possono scegliere solo una tra le seguenti leggi: a) la legge dello Stato della residenza abituale dei coniugi al momento della conclusione dell’accordo; o b) la legge dello Stato dell’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora al momento della conclusione dell’accordo; o c) la legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza al momento della conclusione dell’accordo; o d) la legge del foro. Inoltre, lo stesso art.5 prevede che l’accordo che designa la legge applicabile può essere concluso e modificato in qualsiasi momento, ma al più tardi nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale; tuttavia, ove previsto dalla legge del foro, i coniugi possono del pari designare la legge applicabile nel corso del procedimento dinanzi all’autorità giurisdizionale (in tal caso, come specifica il comma 3 dell’art.5, il giudice mette agli atti tale designazione in conformità della legge del foro).

L’accordo di scelta deve inoltre integrare dei requisiti di validità formale e sostanziale. Dal punto di vista sostanziale, l’art.6 del regolamento prevede che l’esistenza e la validità di un accordo sulla scelta della legge o di una sua disposizione si stabiliscono in base alla legge che sarebbe applicabile in virtù del presente regolamento se l’accordo o la disposizione fossero validi. È tuttavia previsto che un coniuge, al fine di dimostrare che non ha dato il suo consenso, possa riferirsi alla legge del paese in cui ha la residenza abituale nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale, se dalle circostanze risulta che non sarebbe ragionevole stabilire l’effetto del suo comportamento secondo la legge prevista nel paragrafo 1.

La validità formale dell’accordo di cui all’articolo 5 – che non sia stato raggiunto davanti all’autorità giurisdizionale – è invece condizionata al fatto che il medesimo sia redatto per iscritto, datato e firmato da entrambi i coniugi. La forma scritta, peraltro, è rispettata anche laddove sia raggiunto a mezzo di una comunicazione elettronica che permetta una registrazione durevole dell’accordo. Tuttavia, se la legge dello Stato membro partecipante in cui entrambi i coniugi hanno la residenza abituale nel momento in cui è concluso l’accordo prevede requisiti di forma supplementari per tali accordi, si applicano tali requisiti.

Da ultimo, l’art.7 prevede che se, nel momento in cui è concluso l’accordo, la residenza abituale dei coniugi si trova in Stati membri partecipanti diversi e se la legge di tali Stati prevede requisiti di forma differenti, l’accordo è valido, quanto alla forma, se soddisfa i requisiti della legge di uno dei due Stati. Se, invece, nel momento in cui è concluso l’accordo, uno solo dei coniugi ha la residenza abituale in uno Stato membro partecipante, e se tale Stato prevede requisiti di forma supplementari per questo tipo di accordo, si applicano tali requisiti.

L’art.8 del Regolamento Roma III si occupa invece della legge applicabile in mancanza di scelta delle parti. Esso prevede una serie di criteri di collegamento che – analogamente alla nostra legge di diritto internazionale privato – sono posti tra loro in concorso successivo o “a cascata” ma (diversamente da quella, nella versione precedente alla novella di cui si dirà oltre) sono dominati dal diverso, e più condiviso a livello europeo, criterio della residenza abituale dei coniugi al momento della domanda. In mancanza, risulta applicabile la legge della loro ultima residenza abituale se uno di essi ancora vi risiede e tale periodo non si sia concluso più di un anno prima dell’adizione del giudice, oppure la legge di cui entrambi i coniugi siano cittadini al momento della domanda; da ultimo, la legge del foro.

Il Regolamento si fa inoltre carico di escludere l’applicabilità della legge straniera se contrastante con l’ordine pubblico del foro: a tal proposito l’art.12 affronta il tema degli effetti della legge straniera, piuttosto che della sua intrinseca diversità rispetto a quella del foro. Sono i primi, difatti, e non la seconda, quelli che possono dare luogo ad una insanabile frattura dell’ordinamento giuridico in cui viene immesso o riconosciuto l’istituto straniero.

A tale norma si affiancano in funzione protettiva dei coniugi e nel solco del c.d. favor divortii, quelle degli artt.10 e 13, che – rispettivamente – stabiliscono quale sia la legge applicabile nei casi in cui l’ordinamento giuridico del giudice adito non preveda il divorzio (o lo preveda a condizioni discriminatorie per uno dei coniugi) oppure la possibilità di non emettere una decisione di divorzio laddove la legge del foro non preveda il divorzio o non consideri valido il matrimonio in questione.

Quanto ai rapporti tra separazione e divorzio, l’art. 9 stabilisce infine che in caso di conversione della separazione in divorzio la legge applicata alla prima si applica anche al secondo se non c’è un diverso accordo delle parti; tuttavia, se la legge che si applica alla separazione non prevede la conversione di questa in divorzio (come è il caso dell’Italia) allora si ricorrerà alla legge applicabile come individuata secondo i titoli di giurisdizione generali di cui all’art. 8, anche laddove le parti non abbiano concordemente designato un’altra legge.

Il contesto extraeuropeo

Come è noto, le norme contenute nei regolamenti europei in materia di famiglia si applicano principalmente alle fattispecie intra-europee, ma possono estendersi a controversie che vedono coinvolti Stati extra-UE.

Laddove, tuttavia, il regolamento Roma III non venga in rilievo, ogni Stato può fare ricorso – in via residuale – alle proprie norme interne di diritto internazionale privato; nel caso dell'Italia, la legge n.218/1995.

Al riguardo, va dato conto di una rilevante novità (valevole per le cause instaurate dopo il 28.02.2023) portata dal Decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 (art.29, comma 2) che ha disposto la sostituzione del previgente art. 31 l. n.218/1995 con una disposizione che fa integrale rinvio al Reg. (UE) n.1259/2010.

L'art.31 della nostra legge di riforma del diritto internazionale privato – incluso nel Capo IV dedicato ai rapporti di famiglia – prevedeva infatti che la separazione personale e lo scioglimento del matrimonio fossero regolati dalla legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda di separazione o di scioglimento del matrimonio; in mancanza, si applicava la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale risultava prevalentemente localizzata. La stessa norma aveva cura di precisare che la separazione personale e lo scioglimento del matrimonio, qualora non fossero previsti dalla legge straniera applicabile, erano regolati dalla legge italiana.

La norma, peraltro, rifletteva l'analoga scelta del legislatore italiano in materia di legge applicabile ai rapporti personali tra coniugi, che – secondo quanto stabilito dall'art.29 – era appunto la legge nazionale comune (temperata dall'applicazione della legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale era stata prevalentemente localizzata, per il caso che i coniugi avessero diverse cittadinanze o più cittadinanze comuni).

Nella previgente formulazione dell'art.31 erano dunque previsti dei titoli di collegamento ordinati in senso gerarchico, e dominati dal criterio della cittadinanza, la cui sussistenza andava indagata con riferimento al momento della proposizione della domanda. Laddove, invece, avesse operato il criterio sussidiario della prevalente localizzazione della vita matrimoniale, esso avrebbe dovuto essere indagato con riguardo all'intera vita coniugale per poterne desumere in quale Stato i coniugi avessero costituito il centro principale dei loro affetti ed interessi.

Da ultimo, l'art. 31 della L. 218/1995 ante riforma prevedeva che la legge italiana si applicasse laddove la legge straniera – individuata dalle norme di conflitto – non contemplasse la separazione o il divorzio: in tal caso, in virtù del principio del favor divortii, il legislatore aveva previsto una prevalenza della nostra legge nazionale per non lasciare i coniugi in una situazione di vuoto giuridico rispetto alla loro domanda.

Va peraltro osservato che tale criterio residuale si intendeva applicabile solo nei casi in cui la legge straniera non prevedesse gli istituti sopra citati, e non nei casi in cui li prevedesse ma con caratteristiche diverse (nello stesso senso, con riguardo all'analogo art.10 del Reg. Roma III si è infatti espressa la Corte di Giustizia dell'UE nel caso J.E. contro K.F., C-249/19).

L'integrale rinvio al Reg. Roma III, operato dal legislatore del 2022, ha posto fine alla diversità di trattamento normativo ed ha consentito un totale allineamento tra le legislazioni interna e sovranazionale.

La ricerca della legge applicabile

Nei giudizi introdotti prima dell'entrata in vigore della l. n. 218/1995, in virtù dell'art. 72 (disposizioni transitorie), non si applicava il principio stabilito dall'art. 14 della medesima legge, ma gravava sulla parte che chiedeva l'applicazione di una legge straniera l'onere di indicarla e di produrre la documentazione relativa. In mancanza, se il giudice non era in grado di avere diretta conoscenza della normativa straniera sulla scorta degli elementi acquisiti

agli atti o per propria diretta conoscenza, doveva applicare le leggi italiane (così Cass. civ., 3 agosto 2017, n. 19428).

Conclusioni

Il tema dell’accertamento della legge applicabile assume una importanza particolare nelle controversie transfrontaliere, che in virtù del principio iura aliena novit curia pongono agli operatori pratici – ed in particolare al giudice – delle sfide di non poco conto; occorre infatti ricordare che l’art.14 l. n.218/1995 ha subito nel tempo una evoluzione interpretativa che ha posto in capo al giudice italiano un obbligo di accertamento d’ufficio della legge straniera attraverso tutti gli strumenti a sua disposizione (tanto quelli indicati dalle Convenzioni internazionali, quanto le informazioni acquisite tramite il Ministero della Giustizia e in ultima analisi il ricorso ad esperti o istituzioni specializzate).

L’avvento dei regolamenti europei, e la loro vocazione espansiva con riguardo al loro campo di applicazione personale, ha tuttavia facilitato l’opera di ricostruzione normativa affidata al giudice: alla collaborazione delle parti si è infatti aggiunta una disciplina specifica, utilizzabile ogniqualvolta un criterio di collegamento faccia scattare l’operatività delle norme europee.

Sebbene il Reg. Roma III avesse di fatto già soppiantato il vecchio art.31 della nostra Legge di diritto internazionale privato (non essendovi mai stato alcun dubbio circa il fatto che il primo prevalesse sulla legge interna sotto ordinata, sulla base del principio di primazia del diritto dell’UE) l’intervento normativo di cui sopra ha posto le basi per un ulteriore allineamento all’acquis europeo.

Si è trattato, peraltro, di un rinvio dinamico in quanto ha richiamato le “successive modificazioni” che presto o tardi interesseranno uno strumento di cooperazione la cui applicazione è ormai ultradecennale.

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