Presunzione di paternità

Alberto Figone
16 Luglio 2015

L'unificazione dello stato di figlio, prevista dall'art. 315 c.c., nel testo introdotto dalla l. n. 219/2012, non riguarda il momento costitutivo dello stato stesso e, quindi, l'instaurazione del rapporto giuridico di filiazione. Permane inalterata la situazione antecedente alla riforma: per il figlio, nato da donna coniugata, opera, di regola, la presunzione di paternità in capo al marito della madre, a fronte dell'ulteriore presunzione di concepimento in costanza di matrimonio;
Inquadramento

L'unificazione dello stato di figlio, prevista dall'art. 315 c.c., nel testo introdotto dalla l. n. 219/2012, non riguarda il momento costitutivo dello stato stesso e, quindi, l'instaurazione del rapporto giuridico di filiazione. Permane inalterata la situazione antecedente alla riforma: per il figlio, nato da donna coniugata, opera, di regola, la presunzione di paternità in capo al marito della madre, a fronte dell'ulteriore presunzione di concepimento in costanza di matrimonio; per quello, nato al di fuori del matrimonio, si rende invece necessario il riconoscimento, da parte di (uno o di) entrambi i genitori (ovvero, in alternativa, la dichiarazione giudiziale della filiazione).

La presunzione di paternità opera solo quando sia formato un atto di nascita di figlio nato da donna coniugata. Nulla esclude peraltro che la madre eserciti il diritto di non essere nominata nell'atto di nascita, ma pure che la stessa riconosca il figlio come concepito fuori del matrimonio con persona diversa dal marito: ciò in conformità a quanto dispone l'art. 250 c.c., che, già dal 1975, ha abrogato il divieto (per entrambi i genitori) di riconoscimento dei figli c.d. “adulterini”. In entrambi i casi, il marito che volesse far constatare la propria genitorialità, dovrà necessariamente procedere al riconoscimento, ove del caso, previo esito vittorioso dell'impugnazione del riconoscimento, che altro uomo avesse effettuato.

Il codice civile, nella formulazione antecedente la riforma della filiazione, attuata con l. n. 219/2012 e d.lgs. n. 154/2013, dedicava la sezione I del titolo VII, capo I, del primo libro del codice civile allo stato di figlio legittimo; in oggi, i relativi articoli (artt. 231 ss. c.c.) sono in buona parte rimasti, ancorché con le necessarie modifiche al nuovo sistema, in cui si fa riferimento al solo stato di figlio. Quanto alla filiazione all'interno del matrimonio (l'ex “filiazione legittima”), i presupposti dello stato sono rappresentati da: a) l'esistenza di un matrimonio tra i genitori; b) il parto della moglie; c) il concepimento, ma in oggi pure la nascita, in costanza di matrimonio; d) la paternità del marito.

Presunzione di paternità e di concepimento in costanza di matrimonio

La data del concepimento e la paternità del marito, circostanze di per sé incerte, vengono determinate attraverso le complementari previsioni di cui agli artt. 231 e 232 c.c., oggetto di parziale riforma ad opera del d.lgs. n. 154/2013. Il nuovo art. 231 c.c. dispone infatti che il marito sia padre del figlio non solo concepito, ma pure di quello “nato” durante il matrimonio. A sua volta, l'art. 232 comma 1 c.c. ribadisce la regola per cui si presume concepito in costanza di matrimonio il figlio, quando non sono ancora trascorsi 300 giorni dalla data dell'annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio. Il sistema normativo riconosce dunque all'istituto del matrimonio la funzione di indice per la determinazione della paternità, ma non più della legittimità dei figli. È scomparsa la tradizionale regola, simmetrica alla prima, in base alla quale la presunzione di concepimento presupponeva pure che la nascita fosse avvenuta, decorsi almeno centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio. Nel contempo è stato abrogato l'art. 233 c.c., in forza del quale si reputava comunque legittimo il figlio nato prima del decorso dei suddetti 180 giorni, se uno dei coniugi, ovvero il figlio medesimo non ne avessero disconosciuto la paternità. L'intento della riforma è stato quello di un'evidente semplificazione; in precedenza, l'ordinamento estendeva infatti tout court, con una fictio, la presunzione di concepimento durante le nozze a chi fosse nato da genitori coniugati, sulla scorta di un giudizio di verosimiglianza, circa la paternità dell'uomo che avesse accettato di unirsi in matrimonio con una donna già in stato di gravidanza (in presenza, quindi, di un c.d. matrimonio riparatore).

Natura e caratteri della presunzione

Si discute se sia corretto riferirsi ad una presunzione di paternità del marito. Parte della dottrina, lo esclude, posto che l'art. 231 c.c. dispone che «il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio» e non già che il marito si presume padre (Cattaneo C., Della filiazione legittima in Scialoja, Branca (a cura di), Commentario al codice civile, Bologna- Roma, 1988, 29; Mantovani M., La filiazione legittima e naturale in Zatti P. (a cura di), Trattato di diritto di famiglia, II, Giuffrè, 2002, 72). L'utilizzo di quella formulazione evidenzierebbe così l'attribuzione dello status paterno al marito di colei che ha partorito e, dunque, il rapporto di filiazione matrimoniale (già legittima) sorgerebbe in virtù del parto da donna coniugatanei limiti temporali, indicati dall'art. 232 c.c.. In tale contesto, non solo dovrebbe essere escluso l'ingresso nel sistema della c.d. presunzione di paternità, ma la stessa paternità (biologica) del marito della madre non potrebbe essere considerata quale elemento costitutivo dello status di figlio nato nel matrimonio, perché non parteciperebbe al perfezionamento della fattispecie costitutiva del rapporto di filiazione matrimoniale. A conferma dell'inesistenza di una presunzione di paternità, si fa rilevare come non potrebbe parlarsi, nella specie, di presunzione, nei termini di cui all'art. 2727 c.c. (ossia una conseguenza che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato); ciò in quanto il fatto noto, su cui essa si fonderebbe, sarebbe rappresentato dal periodo di concepimento, a sua volta oggetto della presunzione di cui all'art. 232 c.c.. In altri termini una presunzione muoverebbe non già da un fatto noto, ma da altro fatto, solamente presunto.

Un altro orientamento contesta detta ricostruzione, nel presupposto che, pur mancando una norma che preveda espressamente la presunzione di paternità, essa sarebbe immanente nel sistema e ricavabile in via interpretativa. Si ribadisce così che elemento costitutivo della filiazione matrimoniale è la paternità biologica del marito e non il parto da donna coniugata, altrimenti sarebbe arduo attribuire lo status di figlio matrimoniale a colui che sia stato partorito dopo i 300 giorni dalla separazione legale, pur essendo stato concepito dal marito della partoriente (Delitatala C., Il figlio concepito da donna legalmente separata dal marito in Studi in onore di Grassetti, Giuffrè, 1988, 491). Per cercare di conciliare le due diverse impostazioni, si è allora precisato che l'art. 231 c.c. riguarda la paternità legittima (ora paternità matrimoniale), intesa come qualità giuridica, che in quanto tale non può essere oggetto di presunzione, mentre la presunzione di paternità atterrebbe alla paternità biologica (del marito della madre). Essa muove non solo dal dato certo della data del parto, ma pure dal fatto che la partoriente è coniugata, e come tale tenuta all'osservanza dell'obbligo di fedeltà che l'art. 147 c.c. riconduce al matrimonio. Tuttavia, l'esclusività del rapporti sessuali è legata non tanto al vincolo di coniugio in sé e per sé considerato, bensì al rapporto matrimoniale in senso sociale ed affettivo, ossia come convivenza, e più in generale, come comunione materiale. Si spiega così l'eccezione prevista dall'art. 232 c.c. che esclude la presunzione di concepimento quando il figlio sia nato 300 giorni dopo la separazione o l'autorizzazione presidenziale a vivere separati nelle more del procedimento (cfr. al riguardo Dogliotti M., Figone A., Le azioni di stato, Giuffrè, 2015, 56 ss.).

Datazione del concepimento

Di fronte all'impossibilità, ovvero all'estrema difficoltà di individuare con certezza il momento del concepimento, al fine dell'attribuzione del concepimento stesso nel matrimonio, e all'attribuzione della paternità al marito, il legislatore continua ad affidarsi ai dati dell'esperienza comune, che consentono di fissare in circa 9 mesi la durata massima di una normale gravidanza, espunta ogni rilevanza alla durata minima, precedentemente prevista in 6 mesi.

La regula juris è stata mantenuta con la riforma della filiazione quanto alla durata massima della gravidanza; il legislatore quindi ha inteso confermare un principio normativo consolidato. Ciò non più però nell'ottica di un favor verso la legittimità (a seguito dell'unificazione dello status filiationis), bensì nei confronti dello status medesimo. L'art. 234 c.c. ammette peraltro la prova del concepimento, durante il matrimonio del figlio, nato dopo 300 giorni successivi alla cessazione del vincolo, con conseguente attribuzione della paternità al marito. Si tratta di un'ipotesi eccezionale, non suscettibile di interpretazione analogica; essa per di più ha lo scopo di “recuperare” il nato allo status di figlio matrimoniale. Non è ammissibile invece l'operazione inversa, che avrebbe la conseguenza di privare il figlio di quello status. In altri termini, se il figlio è nato nel periodo legale del concepimento, poco importa se sia stato effettivamente concepito durante il matrimonio, posto che la relativa prova è dalla legge esclusa; se mai, se non fosse stato concepito da parte del presunto padre, sarà possibile agire con l'azione di disconoscimento.

Separazione personale, divorzio e autorizzazione giudiziale a vivere separati

La riforma del 2012/2013 ha lasciato inalterato il comma 2 dell'art. 232 c.c., inserito nel 1975, in forza del quale la presunzione (di paternità) durante il matrimonio non opera decorsi 300 giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale o dall'omologa di separazione consensuale, ovvero dalla data di comparizione dei coniugi davanti al presidente, quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione, di annullamento, ovvero di divorzio (ci si riferisce in quest'ultimo caso alle fattispecie di divorzio immediato, ossia non preceduto dalla preventiva separazione personale). Nulla invece è stato previsto, per l'ipotesi in cui la separazione, o il divorzio, avvengano per il tramite del procedimento di negoziazione assistita. È da ritenere che la presunzione venga meno, dal momento in cui il Pubblico Ministero abbia espresso il proprio nullaosta, ovvero autorizzato l'accordo, nelle ipotesi di cui all'art. 6 d.l. n. 132/2014 convertito in l. n. 162/2014, ovvero da quando i coniugi abbiano confermato la loro volontà davanti all'ufficiale di stato civile, nella fattispecie di cui all'art. 12 d.l. n. 132/2014.

Riconciliazione e presunzione di paternità

Come è noto, la riconciliazione fa venir meno la separazione con effetto retroattivo; riprendono pertanto piena operatività le presunzioni di cui agli artt. 231 e 232 c.c.. In base all'art. 157 c.c., i coniugi possono chiedere formalmente al giudice di dare atto dell'intervenuta riconciliazione, con effetti costitutivi, ovvero tenere un comportamento incompatibile con lo stato di separazione (ed in questo caso, un'eventuale pronuncia giudiziale avrebbe natura accertativa). L'art. 69 d.P.R. n. 396/2000, alla lettera f) prevede espressamente l'annotazione negli atti di matrimonio delle dichiarazioni giudiziali di riconciliazione. Ne consegue che, dopo la suddetta annotazione, il nato acquisirà lo stato di figlio matrimoniale, a fronte di un corrispondente atto di nascita. La maggior parte delle riconciliazioni avviene tuttavia per facta concludentia e, spesso, proprio la nascita di un figlio rappresenta prova della riconciliazione stessa, ancorché non sempre sufficiente. In presenza di una concorde volontà di entrambi i coniugi riconciliatisi, l'ufficiale di stato civile dovrebbe formare un atto di nascita del neonato come figlio matrimoniale. In caso contrario, il figlio sarebbe legittimato ad esperire azione di reclamo dello stato di figlio.

Presunzione di paternità e disconoscimento

L'attribuzione della paternità al marito di colei che ebbe a partorire può essere contestata solo ed esclusivamente con l'azione di disconoscimento della paternità, disciplinata dagli artt. 243-bis ss. c.c. (Cass. 8 giugno 2012, n. 9379). Legittimati attivi sono la madre, il marito di lei ed il figlio (salva la nomina di un curatore speciale in caso di minore età di quest'ultimo, ovvero di incapacità); il d.lgs. n. 154/2013 è intervenuto in maniera rilevante sui termini di proponibilità dell'azione da parte della madre e del padre, mentre ha reso imprescrittibile la domanda per il figlio, che dunque, in oggi, potrà sempre agire per il superamento della presunzione di paternità.

Casistica

Atto di nascita

La presunzione di paternità non opera per il semplice fatto della procreazione da donna coniugata, ma solo in presenza di un atto di nascita quale figlio nato nel matrimonio, ovvero il relativo possesso di stato, potendo la madre riconoscere il figlio come nato fuori del matrimonio (Trib. Milano 25 gennaio 2012, ined.)

Scambio di embrioni

In caso di embrioni creati in vitro, con ovociti e seme di una coppia, e per errore impiantati nell'utero di donna diversa da quella cui siano geneticamente riferibili, i nati sono figli della donna che li ha partoriti ex art. 269 comma 3 c.c. e del di lei marito, ex art. 231 c.c. (Trib. Roma 8 agosto 2014, in Giur. it. 2015, 2, 319)

Disconoscimento di paternità

La presunzione legale di paternità, di cui all'art. 231 c.c., può essere vinta solo con l'azione di disconoscimento, ancorché sia intervenuta declaratoria di nullità del matrimonio (Cass. civ., sez.I, 8 giugno 2012, n. 9379);

Nell'ipotesi in cui il figlio, nato decorsi 300 giorni dalla separazione dei coniugi, venga dichiarato allo stato civile dalla madre quale figlio legittimo, il padre, che contesti di averlo generato, è tenuto ad esercitare l'azione di disconoscimento della paternità, senza che valgano limitazioni di prova. Il termine dell'anno decorre non dalla nascita del figlio, ma dalla conoscenza da parte del padre della nascita (Trib. Agrigento 3 luglio 2003, in Gius 2004, I, 109)

Sommario