Deliberazioni consiliari: invalidità e impugnazioneFonte: Cod. Civ. Articolo 2388
18 Luglio 2018
Inquadramento
Il tema delle invalidità delle deliberazioni del consiglio d'amministrazione delle società di capitali sottende una attenta disamina della natura, della portata e degli effetti della decisione adottata in sede consiliare. La prescrizione della norma indica che, per la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione (artt. 2380-bis, 2381, 2405 c.c.) è necessaria la presenza della maggioranza degli amministratori in carica, salvo che lo statuto non richiede un maggior numero di presenti. Circa le modalità di rinuione collegiale, la società , a livello statutario può prevedere che la presenza alle riunioni del consiglio avvenga anche mediante mezzi di telecomunicazione. Con rigiardo alle decisioni da adottarsi, le deliberazioni del consiglio di amministrazione sono prese a maggioranza assoluta dei presenti, salvo diversa disposizione dello statuto; il voto non può essere dato per rappresentanza. In termini di invalidità e conseguente impugnativa delle deliberazioni consiliari, le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate solo dal collegio sindacale e dagli amministratori assenti o dissenzienti entro novanta giorni dalla data della deliberazione. Possono essere altresì impugnate dai soci le deliberazioni lesive dei loro diritti; si applicano in tal caso, in quanto compatibili, gli artt. 2377 e 2378 c.c.. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione delle deliberazioni. Potremmo affermare che le regole che sovraintendono la regolarizzazione delle deliberazioni asembleari trovano, qui, estensione applicativa in funzione di tutelare sia la società (per il tramite dei sindaci e degli stessi amministratori) che i soci, lesi dall'azione consiliare. Il riferimento normativo
La disciplina positiva indica che la legittimazione all'impugnativa è riconosciuta, in via generale, unicamente al collegio sindacale e a ciascuno degli amministratori assenti o dissenzienti (singolarmente intesi). Invece, ai soci è attribuita una legittimazione attiva molto circoscritta; pertanto, dall'analisi della norma risulta evidente che deve essere esclusa la legittimazione ad impugnare da parte di altri soggetti e che l'elencazione dei legittimati deve essere letta restrittivamente. Sotto il profilo oggettivo, va evidenziato come la norma, anche per i casi più gravi di difformità dalla legge o dallo statuto, preveda la possibilità di impugnare la delibera consiliare esclusivamente entro il termine di novanta giorni dalla data di adozione della stessa: decorso tale termine, le deliberazioni consiliari risultano inattaccabili, con conseguente stabilizzazione dei loro effetti giuridici. Con riguardo alla legittimazione del socio, appare utile rimarcare che il singolo socio, i cui diritti individuali siano stati lesi da una delibera del consiglio di amministrazione non conforme alla legge o allo statuto sociale, può impugnare la delibera e, inoltre, esercitare l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (ex art. 2395 c.c.), per ottenere il risarcimento del danno da lui direttamente subito. In tema, il danno patito dal socio deve essere diretto al proprio patrimonio (compresa la quota di partecipazione al capitale sociale). Tale legittimazione del socio (come singolo) prescinde totalmente, pertanto, da una determinata aliquota di rappresentanza del capitale, dovendosi riconoscere al socio il diritto di impugnativa all'esito della dimostrazione di un interesse patrimoniale sotteso e del danno patito.
La disciplina in tema di impugnabilità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione dettata per le società azionarie dall'art. 2388, comma 4, c.c. si applica in via analogica anche ai consigli delle società a responsabilità limitata ed alle loro decisioni, a fronte della evidente lacuna della disciplina legale quanto alla complessiva regolamentazione, in tali società di capitali, dell'eventuale organo amministrativo collegiale.
La previsione legale non distingue tra le ipotesi di invalidità delle delibere consiliari, caratterizzate ognuna da uno specifico sistema di impugnazione; al contrario, individua una sola ampia categoria di invalidità, vale a dire la non conformità alla legge o allo statuto. Tuttavia, si ritiene correttamente applicabile alle delibere consiliari la disciplina di cui agli artt. 2377 e 2378 c.c., in tema di invalidità delle deliberazioni assembleari, con la categorizzazione della nullità e dell'annullabilità, espressamente previste in materia di società per azioni.
In tema di legittimazione ad impugnare le delibere, la stessa legittimazione dell'amministratore assente o dissenziente ad impugnare le deliberazioni consiliari permane nel caso di cessazione dalla carica nel corso del giudizio, anche quando non vi è un interesse personale dell'amministratore all'azione. È legittimato a impugnare la delibera del consiglio di amministrazione il consigliere che pur avendo votato formalmente a suo favore abbia manifestato una volontà contraria alla sua adozione. A ben riflettere, sul diritto di impugnativa, inoltre, si deve indicare che la deliberazione illecita del consiglio di amministrazione di una società per azioni che incida solo sul patrimonio della società non può ritenersi direttamente lesiva dei diritti dei soci, ai quali, pertanto, è preclusa la possibilità di impugnarla. Pertanto, come prima indicato, il diritto e la legittimazione del singolo socio a impugnare la delibera consiliare nascono a seguito della evidenza di un interesse diretto leso dall'agire scorretto dell'organo di amministrazione, con un danno patrimoniale diretto al socio.
La lettura della disciplina delle invalidità delle delibere consiliari porta alla disamina dell'interesse dell'amministratore, come causa di invalidità delle delibere stesse. Difatti, l'omessa comunicazione di un conflitto di interessi trova la propria prescrizione nei disposti di cui agli artt. 2381, 2391 (per le s.p.a.) e 2475 ter c.c. (per le s.r.l.). Ebbene, la mancata comunicazione di un conflitto va contro, nelle società per azioni, alla disciplina positiva che, al contrario, impone una segnata procedura a carico dell'amministratore che abbia un interesse a latere. Difatti, la disciplina degli interessi degli amministratori nelle società per azioni, contenuta nell'art. 2391 c.c., prevede in modo chiaro e preciso come l'amministratore debba dare notizia agli altri amministratori (se presente un C.d.A.) ed all'organo di controllo di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, lo stesso abbia in una determinata operazione sociale. La norma chiarisce, altresì, il contenuto di tale informativa, consentendo in tal modo alla società di valutare correttamente quell'interesse (se in conflitto o meno). Infatti, si prevede che l'amministratore debba precisare la natura, i termini, l'origine e la portata dell'interesse che vanta nell'operazione. Omettere la comunicazione di un interesse, in conflitto potenziale, significa non rispettare un obbligo legale a carico del singolo amministratore. In sostanza, nonostante sia possibile che l'interesse non risulti dannoso per la società, la comunicazione dell'interesse in una determinata operazione costituisce un dovere (legale) per gli amministratori, i quali sono pertanto obbligati a resocontare la società circa gli elementi che caratterizzano quel dato interesse a latere rispetto a quello sociale.
In termini di rilevazione dell'invalidità della delibera consiliare, a seguito dell'esistenza di un interesse a latere dell'amministratore, mentre nelle s.p.a. la omessa comunicazione del conflitto di interesse viene disciplinata già dal momento della genesi, al contrario, nella s.r.l. la norma vuole direttamente sanzionare la condotta scorretta del soggetto prevedendo l'annullabilità del contratto concluso in conflitto. La previsione normativa, contenuta nell'art. 2475 ter c.c., non contiene il medesimo obbligo di informazione a carico dell'amministratore, disponendo direttamente che il contratto concluso dall'amministratore, che ha la rappresentanza della società in conflitto di interessi, per contro proprio o di terzi, può essere annullato, in presenza della conoscenza o conoscibilità del conflitto da parte del terzo. L'omessa comunicazione, nelle s.r.l., porta direttamente all'accertamento del vizio contrattuale che affligge l'operazione.
Procedimento di impugnazione
L'art. 2388 c.c. prevede che le delibere dell'organo amministrativo possano essere impugnate dal collegio sindacale e dagli amministratori assenti o dissenzienti, nonché dai soci nel caso in cui siano stati lesi i loro diritti. Rispetto alla legittimazione degli amministratori si noti che, ai fini dell'impugnazione, non è necessario che l'amministratore mantenga tale carica per tutta la durata del procedimento. Dato fondamentale al fine di poter attivare l'impugnazione è la permanenza dell'interesse ad agire in capo all'amministratore, che potrà facilmente riconoscersi nell'intento di evitare un'azione di responsabilità sociale. Il procedimento di impugnazione delle delibere consiliari invalide, ex art. 2388 c.c., è regolato in maniera sostanzialmente analoga al procedimento applicabile in materia di impugnazione delle delibere assembleari.
Di conseguenza, l'impugnazione viene proposta, con atto di citazione, davanti al tribunale del luogo presso cui la società ha la sua sede; in ipotesi di pluralità di impugnazioni, queste vanno riunite e decise con un'unica sentenza; infine, con ricorso depositato contestualmente alla citazione, può essere richiesta la sospensione dell'esecuzione della delibera, che sarà concessa dal presidente del tribunale solo in caso di eccezionale e motivata urgenza. L'art. 2388 c.c. stabilisce anche il menzionato termine di novanta giorni entro cui l'impugnazione può essere esercitata, individuando il dies a quo dello stesso nella data in cui la deliberazione viene adottata. Se ben si ragione, in ordine sistematico, si deduce che, correttamente, la mancata attesa della data di verbalizzazione muove dalla piena conoscenza e conoscibilità dei soggetti interessati a far valere eventuale invalidità della delibera consiliare. Dalla dichiarazione di invalidità di una deliberazione dell'organo amministrativo discende l'obbligo degli amministratori di prendere i provvedimenti conseguenti (c.d. effetto ripristinatorio); inoltre, deriva la salvezza dei diritti acquisiti dai terzi in buona fede, in base ad atti compiuti in esecuzione di una delibera consiliare impugnata e dichiarata invalida o di una delibera impugnata e poi sostituita prima della dichiarazione giudiziale di non conformità. È, inoltre, applicabile il disposto dell'art. 2377, comma 8, c.c., per l'annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto. La sostituzione, rilevante ai fini dell'improcedibilità dell'impugnazione e dell'estinzione del relativo procedimento, è individuabile nella nuova delibera che determina la cessazione di tutti gli effetti giuridici di quella precedentemente delibera consiliare. Riferimenti
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Giurisprudenza:
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