Omissione di atti d'ufficio: quale rilevanza può attribuirsi al formarsi del silenzio-rifiuto in presenza di una richiesta di accesso agli atti?
04 Febbraio 2016
Abstract
La legge 26 aprile 1990, n. 86 ha introdotto nel nostro ordinamento la formulazione dell'art. 328 c.p. che al comma secondo punisce la mera omissione del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo. La questione che si pone è quella di individuare quale sia la rilevanza da attribuirsi al formarsi del silenzio-rifiuto entro la scadenza del termine di trenta giorni dalla richiesta del privato. Il quadro normarmativo
La legge 7 agosto 1990 n. 241 all'art. 25 ha introdotto il diritto di accesso ai documenti amministrativi che si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla presente legge. La richiesta di accesso ai documenti, prosegue la norma, deve essere motivata e deve essere rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente. Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso sono ammessi nei casi e nei limiti stabiliti dall'art. 24 e debbono essere motivati. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. La rilevanza penale del silenzio-rifiuto in presenza di una richiesta di accesso agli atti
Il reato di omissione di atti d'ufficio non si perfeziona con la semplice omissione del provvedimento di cui si sollecita la tempestiva adozione, necessitando, invero, del concorso delle tre seguenti condotte:
Per quanto concerne il contegno omissivo della mancata adozione dell'atto entro il termine di trenta giorni dalla richiesta scritta da parte dell'interessato, si pone il problema della configurabilità del reato di omissione di atti di ufficio in presenza di una richiesta di accesso ai documenti amministrativi presentata dal privato ai sensi della l. 7 agosto 1990, n. 241, art. 25, e al conseguente formarsi del silenzio-rifiuto entro la scadenza del termine di trenta giorni dalla richiesta del privato. Si è affermato in giurisprudenza che nel caso di richiesta di accesso ai documenti amministrativi, disciplinato dall'art. 25, l. n. 241/1990, coincidendo il termine di trenta giorni dalla richiesta dell'interessato, formulata ex art. 328, comma 2, c.p., con il termine stabilito per il maturarsi del silenzio-rifiuto, deve escludersi la configurabilità del reato di omissione di atti di ufficio dal momento che con il silenzio-rifiuto verrebbe a determinarsi una situazione concettualmente incompatibile con l'inerzia della pubblica amministrazione (Cass. pen. Sez. VI, n. 12977/1998). Un diverso indirizzo giurisprudenziale, sicuramente prevalente, non esclude in tali casi la configurabilità del reato in esame dal momento che con la esperibilità di rimedi giurisdizionali avverso il silenzio-rifiuto non si soddisfano integralmente le esigenze di tutela nei confronti della pubblica amministrazione. In altre parole il silenzio-rifiuto non equivalendo ad un provvedimento negativo andrebbe considerato come un mero inadempimento e quindi come una condotta omissiva richiesta per la configurazione della fattispecie incriminatrice (Cass., Sez VI, n. 45629/2013; Cass. pen. Sez. VI, n. 7348/2009; Cass. pen. Sez. VI, n. 5691/2000). In conclusione
Nessun dubbio sembra sussistere in merito alla configurabilità del reato di omissione di atti di ufficio in presenza di una richiesta di accesso agli atti ai sensi dell'art. 25 della l. 241/1990 e al conseguente formarsi del silenzio-rifiuto nel termine di trenta giorni dalla richiesta del privato. Appare evidente come alla luce delle considerazioni svolte dalla giurisprudenza di legittimità il silenzio-rifiuto non possa essere in alcun modo equiparato, sia pure per presunzione, al compimento dell'atto, dovendo invece ritenersi che lo stesso sia a tutti gli effetti un inadempimento e, dunque, un contegno omissivo idoneo ad integrare la fattispecie delittuosa in esame. A nulla valgono, infatti, i rimedi giurisdizionali apprestati dall'ordinamento giudiziario al privato avverso il silenzio-rifiuto, posto che risulterebbe in ogni caso compromessa l'esigenza di tutela nei confronti della pubblica amministrazione. Occorre tuttavia rilevare che l'ampliamento delle ipotesi di silenzio-assenso, determinato dalle modifiche intervenute alla legge 241/1990 sul procedimento amministrativo, ad opera delle leggi 15/2005 e 80/2005 sul diritto di accesso ai documenti amministrativi, rende difficilmente configurabile l'ipotesi delittuosa di cui al comma secondo dell'art. 328 c.p., dal momento che l'ottenimento automatico della pretesa amministrativa esonera il privato dall'attivazione di qualsivoglia meccanismo di diffida. |