Rogatoria internazionaleFonte: Cod. Proc. Pen. Articolo 723
11 Gennaio 2018
Inquadramento
Dal latino rogo (chiedo), la rogatoria internazionale è la domanda rivolta da uno Stato (richiedente) ad altro (richiesto), avente ad oggetto il compimento di un atto investigativo o di acquisizione probatoria. La rogatoria è attiva secondo il punto di vista della Nazione che formula l'istanza; è, invece, passiva per quella che la riceve. Lo Stato richiedente ha senz'altro interesse a che l'atto venga compiuto sul territorio del Paese richiesto, onde completare l'accertamento – investigativo o processuale – che si sta svolgendo dinanzi alla propria autorità interna. Sotto altro profilo l'attività dedotta nella domanda di assistenza non può violare i principi fondamentali dello Stato richiesto; diversamente in esso avrebbe luogo un'indagine o sarebbe acquisita una prova secondo modalità e/o per interessi contrari all'ordinamento: si verificherebbe, cioè, un non-sense tale per cui il medesimo atto non potrebbe compiersi se inserito in un procedimento di diritto interno, mentre nulla osterebbe al suo svolgimento se fosse richiesto dall'autorità straniera. Così, qualora lo Stato richiedente facesse domanda di assistenza in un procedimento per fatti che non integrano un reato secondo il diritto dello Stato richiesto, quest'ultimo mai potrebbe accogliere favorevolmente l'istanza, appunto perché si tratterebbe di collaborare alla repressione di condotte per esso penalmente irrilevanti. Anche in materia di rogatorie, allora, si ripete il medesimo principio già applicato in fatto di estradizione o esplicitato dalla normativa unionista sul mandato d'arresto europeo: affinché sia possibile l'assistenza – investigativa o giudiziaria – tra Stati, essi debbono tutti concepire come criminosi i fatti per cui il richiedente procede (principio della doppia incriminazione).
Lo Stato richiesto è sempre tenuto ad un duplice controllo: politico-amministrativo e giurisdizionale. Nel primo caso, l'aggettivo politico va inteso nel suo significato etimologico (da πόλις – comunità), in modo da riferirlo all'esigenza di uno Stato di partecipare, in qualità di cooperante, a quelle sole attività che siano rispettose dei suoi principi e dei suoi valori: in una sola parola, del suo ordine pubblico. Ne deriva che oggetto del controllo politico-amministrativo è la compatibilità dell'atto – qui, investigativo o di acquisizione probatoria – con i più elevati interessi della Nazione richiesta. Per altro verso, l'autorità deputata al controllo giurisdizionale si domanda se l'atto che forma oggetto di assistenza si compia – o, meglio, possa compiersi – secondo le norme che governano il corretto svolgimento dei procedimenti penali dinanzi ai giudici interni. Sono ovviamente comprese tra tali regole anche quelle in punto di garanzie e di diritti per le parti. Secondo quanto appena visto, si giustifica il rifiuto all'esecuzione della rogatoria nei giudizi per reati politici, stante, appunto, il peculiare connotato degli illeciti, intimamente connessi all'indirizzo di governo del solo Stato richiedente. In tali ipotesi il divieto di assistenza può essere già previsto dalla normativa pattizia (es. art. 16 del trattato di estradizione tra Italia e Paraguay, firmato ad Assunciόn nel 1907, unica sua norma ancora in vigore), ovvero è rimesso alla scelta del soggetto interessato, che può acconsentire o meno all'avvio della cooperazione (art. 3 del trattato di assistenza giudiziaria tra Italia e Brasile, firmato a Roma nel 1989). Fissate le nozioni generali, occorre scendere nel dettaglio della normativa che, per parte italiana, disciplina le rogatorie internazionali. Il codice di rito vi dedica poche norme: gli artt. 723 - 726-sexies, alle rogatorie passive, e gli artt. 727 - 729-quinquies a quelle attive; fa da sfondo l'art. 696 c.p.p. che, in virtù di una ratio di uniformità relega le regole interne – evidentemente poste unilateralmente dal legislatore nazionale – a fonti subordinate ad eventuali negozi internazionali e alla normativa unionista, frutto, invece, di precisi accordi tra i soggetti coinvolti nella collaborazione e, quindi, in grado di governare secondo le medesime disposizioni il punto di vista dello Stato richiedente, così come quello del richiesto. Le norme testé menzionate andranno considerate alla luce del d.lgs. 3 ottobre 2017, n. 149 recante modifiche al Libro XI c.p.p. Rogatorie passive ...
Il Legislatore regola dapprima i presupposti delle rogatorie passive – cioè i controlli politico-amministrativo (art. 723 c.p.p.) e giurisdizionale (art. 724 c.p.p.) – per trattare, poi, l'esecuzione dell'atto richiesto (art. 725 c.p.p.) e le forme speciali di assistenza per le quali si rende necessaria la deviazione dallo schema ordinario in ragione degli adempimenti che ne formano oggetto (artt. 726 - 726-sexies c.p.p.). Il controllo politco-amministrativo è rimesso al Ministro della giustizia (art. 723, comma 1, c.p.p.); questi, ricevuta la rogatoria dall'autorità straniera, entro trenta giorni la invia a quella, nostrana, competente per l'esecuzione. Tale regola soffre di una duplice eccezione: a) se la domanda proviene da un Paese dell'Unione europea e, nel caso di specie, il diritto unionista prevede l'intervento del Ministro, questi respinge l'istanza di assistenza nelle sole ipotesi previste dalle norme europee (art. 723, comma 2, c.p.p.); b) negli altri casi la richiesta è rifiutata se pone in pericolo la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato (art. 723, comma 3, c.p.p.). Il d.lgs. 149 del 2017 ha adeguato la disciplina codicistica sui rapporti con autorità straniere all'evoluzione del diritto eurounitario. La maggior parte degli strumenti di cooperazione europea saltano il controllo politico-amministrativo, consentendo il contatto diretto tra autorità giudiziarie. Ciò accade poiché si presume che gli Stati dell'Unione condividano i medesimi valori e gli stessi interessi – in una sola battuta: un'unica concezione di ordine pubblico –, sicché non è necessario il vaglio ministeriale di compatibilità dell'atto richiesto rispetto agli interessi essenziali dello Stato. Questo è il motivo per cui il nuovo art. 723, comma 2, c.p.p. si riferisce ai soli casi – invero residuali – in cui «le convenzioni in vigore tra gli Stati membri dell'Unione europea, ovvero gli atti adottati dal Consiglio e dal Parlamento dell'Unione europea, prevedono un intervento del Ministro». In queste situazioni, prevalendo il diritto unionista sul nazionale (v. art. 696, comma 1, c.p.p. come novellato dal d.lgs. 149 del 2017), il Ministro rifiuta la cooperazione nei soli casi previsti dalle regole europee. L'art. 723, commi 5 e 6, c.p.p. indicano ipotesi in cui il Ministro della giustizia non dà corso alla rogatoria. Il comma 5 tratta del caso in cui «isulta evidente che gli atti richiesti sono espressamente vietati dalla legge o sono contrari ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano o ancora quando vi sono fondate ragioni per ritenere che considerazioni relative alla razza, alla religione, al sesso, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche o alle condizioni personali o sociali possano influire negativamente sullo svolgimento o sull'esito del processo e non risulta che l'imputato abbia liberamente espresso il suo consenso alla rogatoria». La norma ricalca l'art. 723, comma 2, c.p.p. ante d.lgs. 149 del 2017. Considerato il tenore del disposto – e richiamate le considerazioni poco più sopra svolte circa l'identità di interessi fondamentali tra gli Stati dell'Unione e, quindi, la medesima accezione di ordine pubblico in territorio europeo – è ragionevole ritenere che esso verrà perlopiù applicato nei rapporti con i Paesi esterni all'Unione. Il comma 6 si occupa, poi, del caso in cui la rogatoria abbia ad oggetto la citazione di un testimone, di un perito o di un consulente tecnico dinanzi all'autorità giudiziaria estera: lo Stato straniero deve assicurare l'immunità della persona invitata a deporre; in assenza di idonea garanzia, il Ministro rigetta la domanda di assistenza. L'ultimo periodo del comma in esame riguarda la possibilità di rifiuto alla rogatoria perché «lo Stato richiedente non dà idonee garanzie di reciprocità». Il disposto ricalca l'art. 723, comma 4, c.p.p. ante d.lgs. 149 del 2017. La ratio è chiara: i rapporti internazionali in materia penale poggiano su questa condizione, sicché l'assistenza è possibile laddove lo Stato richiedente si impegni a garantire la medesima disponibilità allo Stato richiesto qualora quest'ultimo abbisogni del suo supporto per il compimento di un atto dall'analogo contenuto. È ragionevole ritenere che – al pari di quel che appariva ictu oculi sotto la previgente formulazione – quella in parola sia la previsione di un motivo di rifiuto alla rogatoria per parte ministeriale, ulteriore a quelli già individuati dai commi 5 e 6, prima parte. Altrimenti detto, la reciprocità si atteggia a generale prerequisito di qualsivoglia rapporto tra Stati, e non è certo possibile limitarne la portata ad una specifica tipologia di atti, come forse parrebbe ad una lettura veloce, dato l'accostamento di questa clausola alla garanzia di immunità per testimoni, periti e consulenti. Sarebbe stato preferibile dedicare un comma ad hoc al tema della reciprocità, esattamente come era per il vecchio comma 4. Da ultimo, l'art. 723, comma 7, c.p.p. impone al Ministro di informare l'Autorità richiedente ogni volta in cui rigetti la rogatoria. Il legislatore non si è, però, preoccupato di definire i termini dell'informativa e le conseguenze del mancato adempimento ad un obbligo siffatto: è possibile rinviare all'art. 31 c.p.a. e alla normativa ivi contenuta sul cd. silenzio-inadempimento. Con il d.lgs. 149 del 2017 il controllo giurisdizionale acquisisce un significato parecchio diverso da quel che accadeva in precedenza. Secondo tradizione dei rapporti con autorità straniere, il vaglio sulla compatibilità tra l'atto richiesto e i principi che regolano il volgere del procedimento penale era compiuto dalla Corte d'appello (vecchio art. 724, comma 1, c.p.p.). Ad oggi la disciplina è senz'altro più articolata. Superato il vaglio politico-amministrativo, le richieste di assistenza giudiziaria per le attività di acquisizione probatoria e di sequestro di beni a fini di confisca vengono trasmesse al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove deve compiersi l'atto (art. 724, comma 1, c.p.p.). Quando la domanda di assistenza ha ad oggetto atti che devono essere eseguiti in più distretti, all'esecuzione provvede il procuratore del luogo nel quale deve compiersi il maggior numero di atti, ovvero, se di eguale numero, quello nel cui distretto deve compiersi l'atto di maggiore importanza investigativa (art. 724, comma 4, c.p.p.). In caso di contrasto tra pubblici ministeri si applicano gli artt. 54 ss. c.p.p. (art. 724, comma 5, c.p.p.). Ricevuta la rogatoria, si distinguono due ipotesi: a) la rogatoria ha per oggetto «acquisizioni probatorie da compiersi davanti al giudice, ovvero attività che, secondo la legge italiana, devono essere svolte da un giudice» (art. 724, comma 2, c.p.p.); b) la rogatoria ha per oggetto attività che il procuratore può compiere in autonomia, senza coinvolgere il giudicante. Nel caso sub a), il procuratore formula le proprie richieste al giudice per le indagini preliminari, mentre nella situazione sub b), agisce senza ritardo con decreto (art. 724, comma 3, c.p.p.). Il contenuto del controllo giurisdizionale è descritto dal comma 7. Il procuratore – o il Gip nei casi in cui è previsto il suo intervento – può negare l'esecuzione della rogatoria: a) se gli atti richiesti sono vietati dalla legge e sono contrari ai principi dell'ordinamento giuridico dello Stato; attività del genere, infatti, mai potrebbe essere compiuta all'interno di un giudizio penale nostrano; b) se il fatto per cui l'autorità straniera procede non è previsto dalla legge italiana come reato; ritorna il principio della doppia incriminazione, superabile solamente nel caso in cui l'imputato dia il proprio consenso a che l'atto richiesto si compia; c) se vi sono fondate ragioni per ritenere che considerazioni relative alla razza, alla religione, al sesso, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche o alle condizioni personali o sociali possano influire sullo svolgimento o sull'esito del processo: si tratta sempre di un diritto disponibile per l'imputato che può acconsentire al decorso della rogatoria. Altro limite alla rogatoria è il pregiudizio cagionato dall'atto richiesto a procedimenti penali in corso nel Paese (art. 724, comma 8, c.p.p., che ricalca il comma 5-bis ante d.lgs. 149 del 2017). Qualora la domanda di assistenza si riferisca ai reati di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., il procuratore ne trasmette copia senza ritardo al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (comma 9).
L'esecuzione della rogatoria si compie nel rispetto delle forme richieste dall'autorità straniera, quando, beninteso, non contrastino con i principi dell'ordinamento nostrano (art. 725, comma 1, c.p.p.). Qualora, nell'eseguire l'atto richiesto, il procuratore si avveda dell'esigenza di compiere attività ulteriore, ne informa lo Stato richiedente così che proceda ad integrare la richiesta (art. 725, comma 4, c.p.p.). Da ultimo, è prevista la possibilità che assistano al compimento degli atti rappresentanti o incaricati dello Stato richiedente, quando autorizzati dall'autorità nostrana. Se la domanda di assistenza proviene da un Paese che non fa parte dell'Unione europea, l'autorizzazione è comunicata al Ministro della giustizia (art. 725, comma 3, c.p.p.).
Da ultimo, vanno considerate alcune forme semplificate di rogatoria:
Ben si comprende il motivo per cui le si è intese come forme semplificate: si tratta di procedure che, avendo ad oggetto adempimenti di scarsa complessità, prescindono dal duplice controllo – politico-amministrativo e giurisdizionale – più sopra esaminato e che, quindi, si compiono mediante forme più snelle. Le ultime novità del d.lgs. 149 del 2017 in punto di rogatorie passive riguardano:
Sulle richieste di trasferimento temporaneo di detenuti, a fini di indagine e previste da accordi internazionali, provvede il Ministro della giustizia, sentita l'autorità giudiziaria procedente ovvero il magistrato di sorveglianza quando si tratti di soggetto condannato o internato, e acquisite le informazioni relative alla situazione processuale, alle condizioni di salute e alle eventuali esigenze di sicurezza (art. 726-quater, comma 1, c.p.p.). Il trasferimento è in ogni caso rifiutato se l'interessato non vi consente e se l'operazione può prolungarne la detenzione (art. 726-quater, comma 4, c.p.p.). Le modalità del trasferimento e i termini per il rientro in Italia sono concordate tra il Ministro e l'autorità straniera (art. 726-quater, commi 2 e 3, c.p.p.). Il trasferimento temporaneo è subordinato alla condizione che la persona trasferita non sia perseguita, detenuta o sottoposta a qualsiasi altra restrizione della libertà personale nello Stato richiedente per pregressi fatti o per precedenti condanne, salvo che: a) il testimone, il perito o l'imputato, avendone avuta la possibilità, non ha lasciato il territorio dello Stato richiedente trascorsi quindici giorni dal momento in cui la sua presenza non è più richiesta dall'autorità giudiziaria; b) avendolo lasciato, vi ha fatto volontariamente ritorno (art. 726-quater, comma 5, c.p.p.). Circa l'audizione a distanza – anche a mezzo videoconferenza o teleconferenza (per quest'ultima modalità, v. art. 726-sexies c.p.p.) –, essa ha luogo qualora lo consentano gli accordi internazionali e l'atto richiesto non sia ovviamente contrario ai principi dell'ordinamento nostrano (art. 726-quinquies, commi 1 e 2, c.p.p.). Le modalità dell'audizione sono concordate tra l'autorità giudiziaria nostrana e quella richiedente (art. 726-quinquies, comma 3, c.p.p.). L'atto si compie secondo il diritto dello Stato richiedente che ne conduce lo svolgimento (art. 726-quinquies, comma 6, c.p.p.); esso è preceduto dall'identificazione dell'interessato e di quanto si compie è redatto processo verbale (art. 726-quinquies, commi 5 e 6, c.p.p.). È sempre garantito il diritto all'interprete di colui che non intende, né parla la lingua in cui l'attività ha luogo (art. 726-quinquies, comma 6, c.p.p.). ... e attive
Per le rogatorie attive il legislatore regola dapprima gli aspetti procedurali (art. 727 c.p.p.), quindi approfondisce i due temi dell'immunità temporanea della persona citata (art. 728 c.p.p.) e dell'inutilizzabilità degli atti compiuti all'estero su istanza italiana (art. 729 c.p.p.). L'iniziativa della rogatoria spetta al pubblico ministero o al giudice, identificati dall'art. 727, comma 1, c.p.p. come autorità giudiziaria richiedente.
Sul piano procedurale, l'autorità richiedente trasmette la rogatoria al Ministro della giustizia che, entro trenta giorni, la inoltra allo Stato richiesto, informando della data d'invio l'istante italiano (art. 727, comma 1, c.p.p.). Il Ministro compie in ogni caso il controllo politico-giurisdizionale, rifiutando con decreto l'invio della domanda allo Stato richiesto: a) nei casi previsti dal diritto eurounitario e laddove, beninteso, sia previsto l'intervento dell'esecutivo, se si tratta di Paese dell'Unione; b) ogni volta in cui l'inoltro porrebbe in pericolo la sovranità, la sicurezza o ad altri interessi essenziali dello Stato, negli altri casi (art. 727, comma 2, c.p.p.). Se, entro trenta giorni dalla ricezione, il Ministro non comunica all'autorità richiedente l'invio dell'istanza di assistenza allo Stato richiesto o il decreto di rifiuto, è possibile attivare il contatto diretto con l'agente diplomatico o consolare italiano: questi sarà adito dal giudice o dal pubblico ministero procedente e di tanto sarà dato conto al Ministro (art. 727, comma 4, c.p.p.). Il Legislatore tratta, altresì, i casi di urgenza. In essi, l'autorità richiedente procede mediante contatto diretto con l'autorità consolare o diplomatica, ma il Ministro mantiene pieni poteri circa la possibilità di bloccare con proprio decreto l'invio della domanda di assistenza allo Stato estero, fino al momento in cui l'agente diplomatico o consolare trasmette la rogatoria al Paese richiesto (art. 727, comma 5, c.p.p.). Norme di chiusura sono quelle dell'art. 727, commi 6, 7 e 9, c.p.p., che sanciscono la preminenza delle fonti internazionali per i casi di trasmissione diretta della domanda tra autorità giudiziarie o di forme imponibili dall'Italia, quale Stato richiedente, per il compimento dell'atto: beninteso, pure in tali situazioni, se trattasi di contatti con Paesi extraunitari – o, per gli Stati dell'Unione, se lo ammette il diritto unionista – il Ministro mantiene poteri di controllo politico-amministrativo sul rapporto di cooperazione. Esattamente come per le rogatorie passive, copia delle richieste di assistenza giudiziaria formulate nell'ambito di procedimenti relativi ai delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, è trasmessa senza ritardo al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (art. 727, comma 8, c.p.p.). Accanto agli adempimenti procedurali, il legislatore approfondisce:
Il d.lgs. 149 del 2017 ha, poi, introdotto gli artt. 729-bis - 729-quinquies c.p.p., in materia di:
Si nota, insomma, la struttura simmetrica delle norme introdotte dal d.lgs. 149 del 2017, tra la parte di codice che si occupa di rogatorie attive (artt. 729-bis - 729-quinquies c.p.p.) e quella relativa alle passive (artt. 726-quater -726-sexies c.p.p.): cogliendo l'evoluzione delle forme di assistenza investigativa e giudiziaria, la normativa ha introdotto, nell'uno e nell'altro settore, regole idonee a disciplinare quei giudizi che, con sempre maggiore frequenza, coinvolgono persone ed interessi facenti capo a Stati diversi. Conclusioni minime
Il 2017 ha visto il varo della modifica del libro XI (d.lgs. 149 del 2017), del provvedimento che recepisce la Convenzione di Bruxelles del 2000 (d.lgs. 5 aprile 2017, n. 52) e di quello che introduce l'ordine europeo d'indagine (d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108). Dall'esame complessivo dei tre provvedimenti – che, invero, meriterebbe ben altro spazio – traluce la consapevolezza del legislatore nostrano circa gli effetti della cd. comunitarizzazione del terzo pilastro, che imprime una svolta unionista al settore penale, relegando definitivamente ai margini le regole di diritto interno in punto di assistenza giudiziaria ed investigativa. Circoscrivendo l'analisi al settore qui di interesse, se ne ha prova immediata leggendo il nuovo art. 696 c.p.p., che distingue i rapporti con i Paesi dell'Unione da quelli con gli Stati extraunitari: per i primi – si legge – fa fede il diritto unionista; mentre per gli altri occorre guardare se lo specifico ambito di interesse sia già regolato dal diritto internazionale generale per passare, poi e se del caso, ad applicare le norme interne. Analoghi argomenti valgono, in materia di rogatorie, per l'intervento del Ministro della giustizia. Per il diritto eurounitario, egli è – salve circoscritte eccezioni – organo di coordinamento e non di controllo: si parla all'uopo di autorità centrale. Ecco perché, tanto per le rogatorie attive, quanto per le passive, il legislatore ha curato di confermare che, nei rapporti con altri Stati dell'Unione, l'esecutivo entra in gioco solo se e nella misura in cui lo preveda il diritto europeo. Un passo in avanti, dunque, nella direzione di creare una procedura penale unionista; l'effetto che ne deriva è, però, quello di avere una serie di norme interne che figurano come vuoti contenitori, da riempire con le regole di volta in volta in esse richiamate. Si pensi – a titolo di mero esempio – all'art. 729-quinquies c.p.p. che, in punto di squadre investigative comuni, rinvia alle modalità e alle condizioni stabilite dalla legge, con evidente rimando al d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 34. La sensazione è, allora, di difficile immediata comprensione delle norme: la tecnica del rinvio pregiudica sempre il nitore del draft legislativo. Se, quindi, si apprezza la presa di coscienza della necessità di collegare il codice di rito alle disposizioni eurounitarie – come, per vero, accade in altri Paesi: si pensi alla normativa codicistica francese sul Mae –, de iure condendo è probabilmente auspicabile una riserva di codice che porti, cioè, in un'unica fonte poche e asciutte norme di coordinamento di quel mare magnum che oggi appare la legislazione attuativa degli ormai tanti strumenti di assistenza coniati dal diritto sovranazionale, ed europeo in primis. |