Adeguatezza e responsabilità in funzione della corporate social responsability
05 Aprile 2017
Abstract
Da una lettura acritica del dato del dato normativo emerge come, nelle organizzazioni aziendali suscettive di continui cambiamenti strutturali, l'incertezza circa la realizzazione del risultato programmato risulta essere endogena al fenomeno stesso dell'adeguatezza, quale principio fondante il sistema societario: le imprese societarie, occorre evidenziare, tendono, ormai sempre in modo più massiccio, a compiere investimenti specifici che, nell'organizzazione societaria, significano maggiore cooperazione, attraverso la creazione di forme di aggregazione reticolare e di controllo, sia nel senso dell'applicazione della normativa in tema di direzione e coordinamento delle società sia nel senso di estrinsecazione del controllo societario ai sensi del disposto di cui all'art. 2359 c.c. L'intervento normativo deve, di guisa, predisporre modelli di adeguamento societario che gli operatori possono adottare, permettendo di internalizzare gli interessi diversi, definendo disegni organizzativi che incentivino l'adeguamento e permettano la sostenibilità della struttura societaria rispetto alle esigenze dell'ente. Clausole generali della organizzazione societaria
L'adeguatezza va considerata alla stregua di una clausola generale dell'organizzazione d'impresa e, di guisa, un criterio, di natura inderogabile, della gestione a carico degli amministratori. Volendo associare il principio di adeguatezza al principio di precauzione, quale prodromo della nuova analisi della responsabilità d'impresa, l'adeguatezza che occorre analizzare risulta essere quella c.d. tecnica, vale a dire, l'adeguatezza che riguarda non solo il complesso dei luoghi in cui si svolge la produzione industriale o si somministra il servizio o si svolge l'attività commerciale propriamente detta ma anche il complesso dei materiali, macchinari e attrezzature che servono a produrre i beni e a somministrare il servizio, nonché gli uffici direttamente collegati all'attività d'impresa o alla particolare natura dell'attività svolta, come possono essere l'ufficio studi o l'ufficio ricerca, che certi tipi di imprese societarie non possono non avere. L'introduzione del principio di adeguatezza nel nostro ordinamento costituisce spia della tendenza a tradurre in norme giuridiche importanti principi della scienza aziendalistica. Attesa la definizione del principio di adeguatezza, si evidenzia come emerga l'evoluzione della nozione di perizia come diligenza tecnica nell'esercizio dell'attività d'impresa e, parallelamente, il ruolo dell'organizzazione della stessa attività si realizza attraverso la consapevolezza dello stato delle conoscenze tecniche e scientifiche e dei rischi dell'esercizio dell'attività d'impresa. Occorre valutare in termini concreti se nell'organizzazione e nello svolgimento dell'attività d'impresa siano rispettati i valori, dalla cui osservanza dipende il giudizio di meritevolezza sul comportamento effettivo dell'imprenditore e, successivamente, confrontarli con i vincoli di comportamento posti dal canone di precauzione. Il principio di adeguatezza coincide, in senso lato, con un atteggiamento di prudenza che ha come finalità primaria quella di salvaguardare la compagine societaria da ipotetici rischi derivanti da un'adozione incontrollata di decisioni i cui effetti non sono ancora sicuri senza, però, per questo bloccare il normale iter gestorio dell'organo amministrativo, in omaggio al c.d. business judgement rule. Così inteso, il principio di adeguatezza è uno strumento societario di regolamentazione, indispensabile per creare le condizioni di accettabilità sociale del rischio, aprendo le decisioni di maggior impatto societario al dibattito assembleare ed esigendo una trasparenza nella comunicazione endosocietaria. Tale argomentare rimanda al rapporto tra i vantaggi dello sviluppo societario nell'azione individuale dei singoli amministratori ed il rischio di danno e di perdita che potrebbero derivare da tale azione, rapporto che è stato ampiamente affrontato da studiosi. In conclusione si può affermare che il principio di adeguatezza coincide, in senso lato, con un atteggiamento di progressismo che ha come finalità primaria quella di salvaguardare la società da ipotetici rischi derivanti o da una stasi delle strutture in uso o da un'adozione incontrollata di scelte organizzative capaci di non sopportare dimensionalmente la crescita produttiva dell'azienda (vedi art. 2381 c.c.). Ne risulta che il principio di adeguatezza va a costituire la base di un'analisi e gestione dei rischi d'impresa effettuata in modo scientifico; pertanto, uno dei rischi cui andrebbe incontro il principio di adeguatezza sarebbe quello che il dubbio sull'analisi prognostica potrebbe venir riempito da affermazioni arbitrarie che consentirebbero ad alcuni la razionalizzazione dei loro interessi di parte, in aperto contrasto con gli interessi della società, o dei soci, diventando in tal modo una mera forma di precauzione gestoria da parte di chi teme di assumersi delle responsabilità. Si deve, pur tuttavia, contestare la tendenza di chi crede che l'adeguatezza, per la sua stessa enunciazione, non sarebbe neppure un principio in quanto esso sarebbe formulato in modo ambiguo, visto che può essere invocato sia per intraprendere un'azione che la sua opposta; inoltre, sempre seguendo tale impostazione, esso sarebbe volto alla ricerca di qualcosa che di fatto non può esserci: la certezza delle scoperte scientifiche. Se si adopera un ragionamento metodologico, con contestuale rigida analisi di sistema, va detto, a dimostrazione della natura e qualificazione dell'adeguatezza, che il principio di adeguatezza è un concetto, essenziale al buon funzionamento della società per azioni, che può essere applicato ad ogni problema tecnico-scientifico ed è strettissimo parente del coefficiente di sicurezza che costituisce la base della formazione tecnica: bisogna, quindi, riportare il principio nel suo giusto ambito evitando una generalizzazione acritica e distorta. Si rifletta: il principio di adeguatezza prende atto che l'incertezza gestionale è inevitabile ma proprio da questa incertezza trae la richiesta di un diritto, quello di poter prendere misure adeguate per proteggere la società nella sua evoluzione dimensionale (si legga Cass. civ., 12 dicembre 2005, n. 27387; Cass. civ., 21 marzo 2000, n. 3312,). La risoluzione del problema richiama necessariamente, allora, l'individuazione del c.d. rischio plausibile per la cui identificazione sono principalmente due le strade percorribili: la prima riguarda l'identificazione di criteri epistemici e pratici per riconoscere la plausibilità dei rischi e l'adeguatezza delle misure proposte, la seconda riguarda la definizione di metodologie pratiche per portare avanti il processo decisionale vero e proprio. L'accento, quindi, si pone in ordine alla valutazione e gestione del rischio stesso, attività tradizionalmente separate e attribuite, rispettivamente, alla scienza economica e alla scienza giuridica, che deve conciliare due libertà fondamentali costituzionalmente garantite: da un lato, quella di una azienda di prendere misure adeguate, se lo ritiene opportuno, al fine di proteggere se stessa, il proprio asset e la propria compagine societaria e, dall'altro, la libertà gestionale del singolo, vale a dire l'espressione ed estrinsecazione del c.d. business judgement rule (artt. 2381 c.c. in combinato disposto con artt. 2395 e ss. c.c.). Va proposta, al fine di giungere alla maggiore specificazione della responsabilità in funzione dell'applicazione del principio di adeguatezza, una gerarchia di strumenti atti a valutare le decisioni sul piano dei costi-benefici. Al riguardo i criteri sono quello di immediatezza (a parità di condizioni, i rischi più vicini nel tempo devono avere la precedenza rispetto ai rischi più lontani), il criterio dell'incertezza (rischi che sono più certi devono avere la precedenza su rischi meno certi se i rispettivi effetti sono equivalenti in termini di costi netti), il criterio dell'adattabilità (se sono disponibili tecnologie sufficienti a ridurre o invertire le conseguenze negative di un evento, allora il rischio deve essere scontato) e il criterio dell'irreversibilità (le conseguenze che probabilmente saranno irreversibili, o comunque caratterizzate da un'alta persistenza, devono avere un peso maggiore). La fenomenologia dei rischi in ambito lavoristico unitamente alla eterogenesi della tutela del singolo lavoratore secondo forme e modalità scelte dalla prassi concreta e normate dal diritto vogliono, a modo di conseguenza giuridica necessaria, lo studio del prodromico nucleo di concetto da cui deriva l'estrinsecazione del grado di tutela del lavoro, recte, la ricerca e studio del principio di adeguatezza cui è tenuto, nella gestione dell'impresa (azienda), l'imprenditore. Si vuole individuare una associazione giuridica tra il principio di adeguatezza (ex art. 2381 c.c.), la responsabilità sociale dell'impresa (art. 41 Cost. e normativa europea) e la disciplina che tutela il lavoro al fine di valutare la possibilità di inquadrare, con rigore di sistema, un modello comportamentale cui il gestore dell'impresa deve attendere per garantire i lavoratori e, al contempo, andare esente dall'accertamento di qualsiasi forma di responsabilità a proprio carico. L'attuazione della responsabilità sociale dell'impresa incide sul diritto del lavoro e sui rapporti di lavoro, in particolar modo con riferimento alla tutela del lavoratore ed alla responsabilità del datore di lavoro o del responsabile dell'attività lavorativa specifica. È risultata necessaria, quindi, la previa delimitazione dei parametri concettuali nell'ambito dei quali si colloca il tema della responsabilità sociale d'impresa per, ora, rapportare la stessa ai rapporti di lavoro; posto che la libertà d'iniziativa economica privata risponde alla tutela di un interesse di primaria rilevanza ed è costituzionalmente garantita, ci si chiede se si può ipotizzare di rendere l'impresa socialmente responsabile senza snaturarne i caratteri strutturali della stessa. In questa sede, infatti, si intende affrontare l'argomento nel quadro del rapporto tra responsabilità (anche sociale), funzione dell'impresa e sistemi normativi: nello specifico, si vuole considerare i modi nei quali il principio della responsabilità sociale dovrebbe avere, ha avuto e può avere attuazione in relazione alla disciplina (giuridica) dell'impresa e del lavoro, riflettendo sul rapporto tra responsabilità sociale e diritto positivo. In termini generali, si parte dal problema di precisare il concetto stesso di impresa nella prospettiva di verificare in che modo essa concorra alla realizzazione del benessere non solo economico ma soprattutto umano, benessere inteso come fine e non come puro strumento nell'ottica della massimizzazione del profitto, passando attraverso la questione della responsabilità delle istituzioni e delle organizzazioni, la nozione stessa di responsabilità, il rilievo dell'etica, la promozione della sicurezza del lavoro, intesa nella sua dimensione valoriale di tutela e promozione dell'uomo (v. Cass. civ,. 26 giugno 2006, n. 1525). Trasversale, rispetto alle questioni di fondo che caratterizzano una definizione e una corretta interpretazione della responsabilità sociale dell'impresa, si pone il problema del senso da attribuire all'aggettivo etico, così insistentemente sottolineato dalle diverse teorie sulla responsabilità sociale. Il tema della responsabilità sociale, del resto, è intimamente correlato a quello dello sviluppo dei popoli, che appare squilibrato e caratterizzato da una esplosione del fenomeno della globalizzazione o interdipendenza economica, accompagnata dalle significative limitazioni che il nuovo contesto economico-commerciale e finanziario internazionale pone alla sovranità dei singoli Stati (cfr. Cass. civ., 15 novembre 2011, n. 41993). Il rischio nel quale si incorre, a fronte di una giuridicità delle prassi di responsabilità sociale che si fonda sul carattere volontaristico delle stesse, quindi, è quello di una tendenza all'ammorbidimento e all'arretramento delle tutele, possibili solo con la valorizzazione del principio dell'autonomia (delle imprese, specialmente multinazionali) nella produzione di regole e nell'assunzione di impegni socialmente responsabili. Se si ragione nell'ottica di coordinamento di discipline, a livello comunitario, si ricava che l'attuazione dei principi della corporate social responsabilitytende, naturaliter, ad ampliare il raggio di operazione della responsabilità degli amministratori includendo in essa anche il controllo di quei parametri richiesti dalla Commissione europea affinché l'impresa si conformi alle norme in tema di sviluppo sociale, di tutela dell'ambiente e sviluppo sostenibile. Il dibattito relativo alla c.d. etica degli affari si è rinvigorito negli tempi a seguito della estrinsecazione dell'interesse, da parte degli operatori del settore, alle problematiche sottese ad una crescente modernizzazione industriale che, attesi i moderni mezzi di comunicazione, diviene così incalzante da determinare che si tenga conto delle mutazioni fondamentali di tipo esistenziale, quali il frequente intervento dell'autorità nella vita economico-sociale e il progresso nella tecnica di produzione e nel commercio. L'esigenza di una responsabilità sociale dell'impresa, recte, corporate social responsability, nasce proprio per dare voce a tali necessità (Commissione Europea - Comunicazione n. 681 del 2011). Essa, però, è una responsabilità dai contorni piuttosto vaghi e incerti, la cui attuazione, così come sancita all'interno del Libro Verde della Commissione europea, interessa un numero sempre maggiore di imprese europee che promuovano strategie di responsabilità sociale in risposta ad una serie di pressioni sociali, ambientali ed economiche; a tale evidenziazione di incertezza può supplire il principio di adeguatezza (v. Cass. civ. 4 novembre 2003, n 16496; Cass. civ., 22 gennaio 2011, n. 2251). In conclusione
In senso del rispetto della adeguatezza concretamente attuata, fondamentale risulta, quindi, determinare l'ambito di applicazione della corporate social responsability: essa si rivolge potenzialmente a tutte le forme di organizzazioni che svolgono attività economiche o che possono incidere sul sistema economico. Si rivolge, quindi, alle imprese ma anche alle organizzazioni senza fini di lucro ed alle istituzioni pubbliche: si può osservare che il concetto di responsabilità sociale è un concetto ampio che interessa trasversalmente il fenomeno imprenditoriale dalle grandi imprese a tutti i tipi di società, pubbliche e private, comprese le PMI e le cooperative (L. n. 221/2012). Pur tuttavia, diverso è il rilievo che la corporate social responsability assume a seconda del soggetto destinatario. Particolarmente complesso è, poi, individuare il contenuto ed il valore giuridico dei principi che ordinariamente si riconducono alla corporate social responsability: sulla base della definizione comunitaria è stata autorevolmente proposta una determinazione del concetto di corporate social responsability attraverso elementi tipologici, quali l'impegno volontario, oltre il minimo legale e regolamentare, la selezione delle scelte produttive con criteri di sostenibilità sociale ed ambientale e le politiche avanzate del lavoro e di customer satisfaction. Per proporre un esempio di coordinamento tra adeguatezza e responsabilità sociale dell'impresa, l'attuazione di una politica incentrata alla realizzazione del concetto di responsabilità sociale delle imprese significa essenzialmente che le singole imprese decidano di propria iniziativa di contribuire a migliorare la società e rendere più pulito e più salutare l'ambiente attraverso l'adozione di politiche di sviluppo sostenibile. Tale responsabilità in concreto si esprime in varie forme: nei confronti dei terzi e nei confronti dei dipendenti e, più in generale, di tutte le parti interessate all'attività dell'impresa. Sul piano internazionale numerose sono state le iniziative che hanno avviato la formulazione di standards dei sistemi di gestione per la responsabilità sociale delle imprese. L'adeguatezza declina la condotta dell'impresa in senso prima assiologico, come esaminato in precedenza e, poi, verso la praxis: infatti, il concetto di social responsiveness ha il difetto di non contenere alcuna esplicita teorica morale, e non propone alcun specifico insieme di valori per l'impresa; in conseguenza, si esprime il bisogno di un altro concetto, un concetto che, andando oltre la corporate social responsability e la corporate social responsiveness, includa nel modello di adeguatezza (ex art. 2381 c.c.) i risultati della accettazione da parte delle imprese della corporate social responsability e della adozione di una filosofia di responsiveness, recte, di una c.d. autoregolamentazione pura. Si consiglia la lettura di S. Ambrosini, L'amministrazione e i controlli nella società per azioni, in Giur. comm., 2003, I, 313; P. Aldovrandi, I “modelli di organizzazione e di gestione” nel D.lgs. 8 giugno 2001 n. 231: aspetti problematici della “ingerenza penalistica” nel governo delle società, in Dir. pen. econ., 2007, 454; C. Angelici, Responsabilità sociale dell'impresa, codici etici e autodisciplina?, in Giur. comm., 2011, 159.
In giurisprudenza: cfr. Cass., 15 novembre 2011, n. 41993; Cass. 4 novembre 2003, n 16496; Cass., 22 gennaio 2011, n. 2251.
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