Impugnazione di delibere assembleari

Alessandra Dal Moro
02 Luglio 2015

Il tema del procedimento di impugnazione delle delibere assembleari pone questioni interpretative a volte complesse se non altro per la varietà delle letture e delle opzioni interpretative che si registrano in dottrina ed in giurisprudenza. I tempi rilevanti sotto il profilo del procedimento di impugnazione sono: legittimazione ad agire - interesse ad agire - legittimazione all'intervento - conseguenze sulla legittimazione della perdita dello status di socio a legittimazione e del trasferimento della partecipazione; termine di esercizio dell'azione e decadenza.
Inquadramento

Il tema del procedimento di impugnazione delle delibere assembleari pone questioni interpretative a volte complesse se non altro per la varietà delle letture e delle opzioni interpretative che si registrano in dottrina ed in giurisprudenza.

Infatti in materia di invalidità delle delibere assembleari i principi, tipicamente negoziali, dettati con riferimento all'invalidità dei contratti, devono fare i conti con il valore organizzativo che hanno quegli speciali atti che sono le decisioni dell'assemblea. Di tale valenza organizzativa il legislatore del 2003 ha tenuto conto quando, nel conflitto tra esigenze dell'impresa come organizzazione ed esigenze di tutela dei singoli o delle minoranze, ha privilegiato le prime, favorendo, con una riduzione del ricorso alla tutela reale, la stabilità dell'azione dell'ente.

Nell'approccio al tema si deve, quindi, tener conto della prospettiva imprenditoriale per cui la delibera assembleare, al di là della sua natura di atto giuridico negoziale, è un fatto interno all'organizzazione societaria, presupposto di successivi atti organizzativi e negoziali che investono non solo la sfera endosocietaria ma anche quella dei terzi.

In un contesto di tale complessità, è passaggio imprescindibile di ogni valutazione l'identificazione degli interessi tutelati dall'ordinamento societario, la gerarchia in cui sono posti nel sistema, la compatibilità di questa gerarchia con l'ordinamento in generale e con quello costituzionale in particolare.

I tempi rilevanti sotto il profilo del procedimento di impugnazione sono: la legittimazione ad agire e l'interesse ad agire; la legittimazione all'intervento e le conseguenze sulla legittimazione della perdita dello status di socio a legittimazione e del trasferimento della partecipazione; il termine di esercizio dell'azione e decadenza.

Legittimazione ad agire

La riforma del diritto societario ha sancito la trasformazione del diritto di impugnare le delibere assembleari da diritto del singolo socio in diritto di una minoranza qualificata, in funzione del rafforzamento del principio di “stabilità” dell'azione sociale.

La legittimazione ad impugnare una delibera assembleare è oggi, dunque, diversa a seconda della pronuncia che si intenda conseguire e del tipo di società cui la delibera pertiene.

In caso di vizi suscettibili di produrre l'annullabilità della delibera:

nelle s.r.l. è legittimato ad agire:

- ogni socio assente, dissenziente o astenuto;

- ciascun amministratore;

- l'organo consiliare (ex art. 2479-ter, comma 1, c.c.).

Nelle s.p.a. la legittimazione ad agire è attribuita, anzitutto:

- ai soci assenti, dissenzienti, astenuti che possiedano tante azioni aventi diritto di voto relativamente a quella determinata delibera che rappresentino, anche congiuntamente:

  • 1/1000 capitale (nelle società che fanno ricorso al mercato di rischio: quotate o diffuse)
  • 5% capitale (tutte le altre).

Lo statuto può ridurre o escludere questo requisito.

I soci che possiedono percentuali inferiori di azioni possono ricorrere solo alla tutela risarcitoria.

In evidenza

La norma di cui all'art. 2377, comma 3, c.c. specifica che le azioni possedute devono rappresentare la soglia di legittimazione “anche congiuntamente .

Alla luce del comma 2 dello stesso art. 2378 c.c., secondo il quale il socio o i soci “opponenti” devono “dimostrarsi possessori” delle azioni che legittimano l'iniziativa processuale “al tempo dell'impugnazione”, sembra preferibile ritenere che ciò consenta a soci che possiedono percentuali inferiori di agire congiuntamente, e non di riunire iniziative processuali distinte ed, in sé, infondate per carenza di una delle condizioni dell'azione (legittimazione ad agire).

Perciò la norma di cui all'art. 2378, comma 5, c.c. che impone la riunione di procedimenti riguardanti l'impugnazione della stessa delibera risponde solo ad esigenze di semplificazione e, soprattutto, di evitare decisioni contrastanti.

Il numero di azioni previsto dalla legge dovrà persistere sino alla pronuncia, che, diversamente, non potrà riguardare l'invalidità della delibera bensì il “risarcimento dell'eventuale danno, ove richiesto.” (art. 2378, comma 2, c.c.).

Giurisprudenza

Il Tribunale di Milano (sent. 28 giugno 2012 in giurisprudenzadelleimprese.it) ha escluso che le azioni intestate a società fiduciaria potessero essere considerate fondanti la legittimazione del fiduciante a proporre l'azione di annullamento di una delibera assunta con voto favorevole della società fiduciaria stessa, poiché il dissenso, l'assenza o l'astensione sono presupposti di legittimazione del socio che, in vista dell'annullamento, devono concorrere con il requisito del possesso della soglia di capitale previsto dalla legge, anche laddove si voglia aderire all'orientamento per il quale “non entrando i titoli azionari a far parte del patrimonio della società fiduciaria (tanto da non essere aggredibili da parte dei creditori della stessa), la loro proprietà non può che appartenere effettivamente al fiduciante, spettando, alla società fiduciaria soltanto la legittimazione ad esercitare i diritti connessi alla partecipazione societaria”.

Il Tribunale di Vallo della Lucania (in Giur. Comm. fasc. 1, 2013, 67) ha respinto la domanda di sospensione dell'efficacia di una delibera di nomina dei membri del CdA proposta dal socio di una società cooperativa il cui statuto prevede il voto segreto, per carenza di legittimazione, affermando che esiste uno specifico onere a carico del socio che intenda impugnare la delibera assembleare di esternare e far formalizzare il proprio dissenso rispetto alla votazione già nell'immediatezza delle operazioni di voto anche solo “facendo risultare a verbale la propria riserva di impugnazione”, come affermato da Cass. n. 21816/2006.

Nelle s.p.a. sono legittimati a far valere l'annullabilità delle delibere anche:

  • gli amministratori, il consiglio di sorveglianza e il collegio sindacale.

Anche se la formulazione della norma si presta a diverse interpretazioni (poiché la stessa parla di “amministratori” e non di “Consiglio di Amministrazione”, ovvero dell'organo, cui, invece, la norma stessa fa espressamente riferimento per la legittimazione dei sindaci e dei consiglieri di sorveglianza) dottrina maggioritaria e giurisprudenza convergono nel senso che il disposto normativo attribuisca la legittimazione all'organo anche in caso di iniziativa degli amministratori, in quanto la legittimazione del singolo amministratore o del singolo sindacoè ravvisabile solo per le delibere che riguardano interessi personali (es. delibera di revoca irregolarmente assunta).

Giurisprudenza

Il Tribunale di Milano (sent. 21 ottobre 2005 in Giur. It. n. 6/2006, 1208) ha negato la legittimazione ad agire dell'amministratore decaduto per effetto di una clausola simul stabunt simul cadent (di cui riteneva abusiva l'attivazione) all'impugnazione della delibera dell'assemblea avente ad oggetto la nomina del nuovo CdA ritenuta viziata per irregolarità della convocazione, avvenuta - a dire dell'attore - ad opera di un soggetto non legittimato: secondo il Tribunale, dolendosi di un esercizio abusivo della clausola statutaria, l'amministratore avrebbe potuto solo agire per ottenere il risarcimento del danno subito per essere stato, di fatto, revocato senza giusta causa (revoca abusiva desumibile dal concorso dell'effetto della clausola statutaria e della rinnovata nomina di tutti gli amministratori decaduti salvo l'attore) mentre non aveva alcun interesse a far valere l'invalidità della delibera successiva di nomina del CdA, non avendo alcun diritto ad essere rinominato.

Orientamento confermato anche in seguito.

Nelle s.p.a. sono, poi, legittimate ad impugnare le delibere assembleari annullabili anche:

  • la Consob, ex art. 157 comma 2 TUF, in ragione della funzione istituzionale di tutela della corretta informazione del mercato propria della Consob medesima (la quale è altresì legittimata ad impugnare la delibera di approvazione del bilancio delle società quotate);
  • l'Isvap per le delibere assembleari di società assicurative, rispetto alle quali ha compiti istituzionali di vigilanza, in casi particolari previsti dalla legge;
  • la Banca d'Italia per le delibere di enti creditizi assunte con voto determinante di chi ha acquistato determinate percentuali di capitale o il controllo dell'ente senza previa autorizzazione all'acquisto della BI stessa.

Giurisprudenza

Il Tribunale di Milano (sent. 10 dicembre 2007 in Le società, 1, 2009,112) ha dichiarato il difetto di legittimazione di Consob con riguardo all'azione di impugnazione della delibera di approvazione del bilancio di una società la cui quotazione in borsa sussistente al momento dell'impugnazione – era venuta meno nel corso del processo, rilevando d'ufficio la sopravvenuta carenza di legittimazione, ed affermando che: “a fronte della pretesa declaratoria di nullità di una delibera assembleare la legittimazione ad agire intesa come titolarità di una situazione giuridicamente tutelata coincide con l'interesse ad agire, inteso come attuale e concreto interesse alla pronuncia giurisdizionale come strumento di tutela di quella situazione”.

In caso di vizi suscettibili di produrre la nullità del deliberato è legittimato ad agire, tanto nelle s.p.a. quanto nelle s.r.l., chiunque vi abbia interesse, interesse da intendersi nel duplice senso:

sostanziale, quale titolarità di posizione giuridica qualificata rispetto al rapporto discendente dalla delibera nulla;

e processuale, quale interesse all'esercizio dell'azione, cioè ad eliminare una situazione di pregiudizio arrecata dalla delibera alla posizione giuridica del soggetto agente.

In caso di nullità della delibera, quindi, è legittimato colui che alleghi un interesse che giustifica la richiesta di rimuovere l'atto (ad es., in astratto, è legittimato anche il socio che ha votato a favore della delibera nulla se portatore di un interesse attuale e concreto alla declaratoria della sua inefficacia e, quindi, alla sua rimozione dall'organizzazione e dall'attività sociale).

Tuttavia la legittimazione ad impugnare si restringe con riguardo alle delibere di approvazione del bilancio, nulle per illiceità dell'oggetto, redatto in contrasto con norme imperative:

  • legittimati ad impugnare delibere che hanno approvato il bilancio cui il revisore non ha effettuato rilievi sono solo i soci che possiedono il 5% (art. 2434-bis, comma 2, c.c. richiamato dall'art. 2479-ter, comma 4, c.c. per le s.r.l.);
  • non si possono, comunque, impugnare le delibere di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l'approvazione del bilancio dell'esercizio successivo.

Giurisprudenza

La Corte d'appello di Milano (App. Milano Sez. I, 13 marzo 2012, in Società, 2012, 6, 717), confermando la sentenza resa dal Tribunale, ha affermato:

(1) che la legittimazione ad impugnare per nullità la delibera di approvazione del bilancio cui il revisore non ha mosso rilievi, non spetta soloai soci possessori del 5% (come sostenuto in causa) ma anche ai creditori, e a chiunque dimostri di avervi interesse, poiché la norma ha inteso solo selezionare l'“interesse” - e quindi il diritto - alla declaratoria di nullità del bilancio di quei soci che costituiscano una minoranza qualificata dal possesso del 5% del capitale, senza negare (come, del resto, non avrebbe potuto fare ex art. 24 Cost.) la legittimazione del creditore o di chi vanti, in modo attuale e concreto, un interesse a che la delibera sia rimossa e il bilancio fornisca in modo veritiero, corretto e chiaro l'intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte (nella fattispecie il creditore, il cui credito era stato iscritto nei bilanci precedenti, impugnava il bilancio di esercizio successivo della società debitrice assumendo che la posta corrispondente al proprio credito era stata soppressa nonostante la persistenza del rapporto obbligatorio);

(2) che la disciplina in parola può essere applicata solo alle “deliberazioni di approvazione del bilancio” e non a quelle di approvazione di situazioni patrimoniali di periodo (nel caso di specie si trattava dell'impugnazione di una delibera di riduzione del capitale sociale previa approvazione di una situazione patrimoniale di periodo).

La nullità di una delibera, inoltre, può essere rilevata d'ufficio.

Per le s.p.a. l'art. 2379, comma 2, c.c. prevede che “nei casi e nei termini previsti dal precedente comma l'invalidità può essere rilevata d'ufficio dal giudice” (il termine di decadenza previsto per l'esercizio dell'azione vale anche per il potere di rilievo d'ufficio da parte del giudice).

Questa possibilità deve essere va considerata alla luce dell'art. 1421 c.c. e dell'evolversi della giurisprudenza sui limiti alla rilevabilità d'ufficio della nullità in materia negoziale:

il rilievo d'ufficio è senz'altro ammesso quando la validità di un atto deliberativo rappresenta un elemento costitutivo della domanda o dell'eccezione (ad es. si controverta dell'esecuzione o dell'applicazione di quell'atto); un caso frequente e problematico è quello del vaglio della validità della delibera assunta in “sanatoria” ex art. 2377, comma 8, c.c.;

il rilievo d'ufficio è ammesso anche quando la validità dell'atto è l'oggetto stesso della controversia;

inoltre può essere rilevata una ragione di nullità a fronte dell'allegazione di una ragione di annullabilità (o una ragione di nullità diversa da quella dedotta) purché risultante da “fatti allegati e provati, o comunque emergenti "ex actis", nel rispetto del principio dispositivo che informa il processo civile.

Benché nelle s.r.l. non sia (espressamente) prevista la rilevabilità d'ufficio della nullità della delibera si reputa - tanto in dottrina che in giurisprudenza - che si tratti di un'omissione non significativa, essendo il potere di rilevare d'ufficio la nullità di un atto o di un negozio un principio generale ex art. 112 c.p.c.: “il giudice deve pronunciare sulla domanda … e non può pronunciare d'ufficio (solo) su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti”; il che comporta – come si evince dalle considerazioni di cui sopra - che il giudice deve rilevare quanto è necessario per pronunciare sulla fondatezza della domanda che non sia rimesso all'eccezione di parte.

Casi particolari di legittimazione ad agire

Azioni “speciali” (art. 2376 c.c.): le delibere che pregiudicano diritti di una categoria di azioni devono essere approvate anche dall'assemblea speciale degli appartenenti alla categoria interessata, cui spetta la legittimazione ad impugnarne le relative delibere.

Comproprietà (art. 2347, 2468 c.c.): i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune; si discute se la previsione della legittimazione del rappresentante comune sia esclusiva, e se valga anche per il diritto di impugnazione ovvero spetti, a determinate condizioni, anche al singolo comproprietario: nel primo senso si sono espressi la Corte di legittimità (Cass. 18 luglio 2007 n. 15962: “l'impugnazione di una deliberazione assembleare può essere proposta esclusivamente dal rappresentante comune indicato nell'art. 2347 c.c. e non dal singolo comproprietario, carente del potere d'impugnare così come di quello di esercitare il diritto d'intervento e di voto in assemblea”) e il Tribunale di Milano (28 settembre 2005 in Giur.It, novembre 2008, 2635) che ha ritenuto che la legittimazione esclusiva del rappresentante comune derivi “dalla caratteristica fondamentale di indivisibilità delle azioni o quote”, e che l'art. 2347 c.c., regolando la comproprietà di quel particolare bene complesso costituito dall'azione di società (e della quota di s.r.l.) "costituisce norma speciale derogatrice (in quanto "lex specialis") rispetto alla disciplina generale della comunione" con "funzione di proteggere l'esigenza della società di semplificazione e di certezza nei rapporti con i comproprietari".

Presenza di vincoli sulle azioni; in caso di pegno, usufrutto, sequestro il diritto di voto spettaal creditore pignoratizio e all'usufruttuario, ed è esercitato dal custode.

La norma nulla dice quanto al diritto di impugnazione:

  • in caso di sequestro, poiché l'impugnazione della delibera invalida equivale ad uno strumento di conservazione/amministrazione della partecipazione soggetta a vincolo - con cui il legittimato mira ad evitare che prevalga l'altrui progetto di delibera irregolarmente approvata - dottrina e giurisprudenza convergono sul fatto che la legittimazione spetta al custode, salvo diversa previsione del provvedimento di sequestro, fonte della legittimazione;

Giurisprudenza

Il Tribunale di Milano (sent. 27 ottobre 2014 n. 12562) ha escluso la legittimazione all'impugnazione da parte del socio titolare delle quote in relazione alle quali il custode giudiziario nominato si era pronunciato a favore dell'accoglimento della delibera, osservando anche che le doglianze prospettate “attenevano a tipici profili di eventuale annullabilità della delibera e non già di nullità”

  • in caso di pegno ed usufrutto si registrano opinioni divergenti: minoritaria è l'opinione di chi reputa che la legittimazione ad impugnare spetti solo al beneficiario del vincolo, escluso il socio (che avrebbe altri strumenti, anche cautelari, per opporsi all'amministrazione del bene del creditore, o dell'usufruttuario, che reputi pregiudizievole); prevalente è l'opinione che valorizza l'art. 2352, comma 6, c.c., per cui “i diritti amministrativi” diversi dal diritto di voto e di opzione spettano sia al socio che al creditore pignoratizio o all' usufruttuario ( mentre “in caso di sequestro sono esercitati dal custode”).

Se per le delibere nulle la legittimazione concorrente di socio e creditore pignoratizio o usufruttuario non pone alcun problema (è legittimato chiunque dimostri interesse ad agire), per le delibere annullabili si potranno creare invece situazioni complesse: ad esempio in caso di contrasto tra creditore pignoratizio che voti a favore della delibera e socio che la impugni: in tali casi dovrà negarsi la legittimazione del socio ex art. 2377, ovvero valutarsi l'attuale e concreto interesse ad agire dell'attore sulla base dell'allegazione di uno specifico pregiudizio.

Interesse ad agire

“L'interesse ad agire si configura quando vi sia bisogno di tutela di un diritto soggettivo e l'intervento richiesto al giudice si presenti necessario per rendere concreta ed effettiva la protezione accordata dall'ordinamento all'interesse sostanziale leso o minacciato. Non basta quindi un interesse di mero fatto o un interesse generico all'attuazione della legge o ad una astratta affermazione di principio o che si ricolleghi a fatti eventuali o ipotetici, ma deve trattarsi di un interesse concreto e determinato di carattere giuridico, che si ricolleghi cioè alla prospettazione di una situazione di fatto che leda o minacci di ledere un diritto soggettivo o un interesse legittimo … mirando, attraverso il provvedimento giurisdizionale richiesto, ad impedire che la lesione si verifichi …ovvero a rimuoverla o a porvi rimedio se già realizzata” (Cass. 13 aprile 1989 n. 1788).

L'interesse ad agire assume particolare rilievo quando i soggetti legittimati ad una determinata azione debbano essere individuati di volta in volta, proprio attraverso l'interesse ad agire, come nel caso dell'azione di nullità, ove, appunto, legittimato è chiunque vi ha interesse.

Nell'azione di nullità, infatti, la giurisprudenza richiede l'allegazione dell'interesse ad agire perché esso è la fonte di quella legittimazione che il legislatore non ha pre-selezionato (come avvenuto nel caso dell'azione di annullamento): è legittimato, quindi, chiunque alleghi e dimostri di avere uno specifico interesse, attuale e concreto alla declaratoria di nullità (da intendersi in senso sostanziale e processuale come ben spiegato dalla pronuncia di legittimità citata).

Pertanto anche il socio titolare di una minoranza qualificata che intenda impugnare il bilancio dovrà allegare la sussistenza di un interesse attuale e concreto ad ottenere la tutela reale richiesta nei confronti della delibera nulla, non bastando il generico interesse correlato al diritto del socio al legittimo svolgimento dell'attività sociale, bensì essendo necessario uno specifico pregiudizio, non necessariamente patrimoniale; sotto il profilo dell'interesse ad agire, quindi, la posizione del socio si differenzia da quella dei terzi essenzialmente sul piano della qualità degli interessi e della loro prova, la quale risulta più agevole e in larga misura ricavabile tramite presunzioni (Cass. 27 febbraio 1985 n. 1699; Cass.18 aprile 2002 n. 5635).

Nell'azione di annullamento, invece, non è necessaria l'allegazione di uno specifico interesse, poiché il legislatore ha già selezionato a monte i soggetti (minoranze qualificate, organi di controllo e di gestione) il cui interesse alla legalità dell'azione è meritevole di tutela reale.

Giurisprudenza

Il Tribunale di Roma (sent. 29 luglio 2013, in Le Società, 5, 2014, 538), ha escluso l'interesse attuale e concreto del socio ad impugnare la delibera di approvazione del bilancio per vizi già posti a fondamento dell'impugnazione di un precedente bilancio che era stata accolta; e ciò in considerazione del fatto che, dopo detto accertamento giudiziale, diviene attuale l'obbligo in capo agli amministratori di correggere i bilanci intermedi, in ragione di quanto prescritto dal combinato disposto dell'art. 2377, comma 7, c.c. (che impone loro di prendere i provvedimenti conseguenti alla pronuncia) e dell'art. 2434-bis, 3° comma (che impone si tenga conto, nel bilancio dell'esercizio nel corso del quale viene dichiarata l'invalidità di un precedente bilancio, delle ragioni della dichiarata invalidità); secondo il Tribunale di Roma, detto obbligo degli amministratori farebbe venir meno la necessità dell'intervento del giudice (e quindi l'interesse ad agire) per far valere con riguardo ai bilanci “intermedi” vizi già accertati, anche se non emendati; e questo perché, a fronte della violazione degli obblighi su essi gravanti, gli amministratori potrebbero essere revocati o chiamati a rispondere del loro operato.

Tuttavia vale osservare che:

- eventuali obblighi degli amministratori non valgono a privare il socio dell'interesse (e quindi del diritto) di impugnare il bilancio successivo non adeguato che non fornisce l'informazione corretta cui ha diritto;

- la necessità dell'intervento del giudice in un caso come quello in questione resta attuale perché al diritto del socio ad un'informazione completa e corretta corrisponde l'obbligo della società di renderla (tramite le delibere che approvano il bilancio); in caso di lesione di tale diritto il socio ha, si, anche il potere di agire nei confronti dell'amministratore, ma non per ottenere l'informazione corretta (che corrisponde ad un obbligo connesso all'incarico gestorio assunto verso la società) ma per ottenere il risarcimento dell'eventuale danno che l'informazione errata abbia provocato direttamente nel suo patrimonio (es. per effetto della cessione della quota ad un valore incongruo); onde nei confronti degli amministratori il socio non avrebbe alcuno strumento per pretendere l'adempimento di un obbligo connesso all'incarico;

Il Tribunale di Milano (12 marzo 2013 in Le Società 7, 2013, 791) ha affermato la sopravvenuta carenza di interesse ad agire, rispetto all'originaria impugnazione, del socio che, a fronte di delibera successiva in sanatoria, deduca la illegittimità di quest'ultima, ma non la impugni in separato giudizio o non svolga tempestiva domanda di invalidità quale domanda consequenziale nel procedimento originario, poiché la mera eccezione non può escludere la rilevanza della delibera sostitutiva, destinata a rimanere, di per sé, efficace e, come tale, a far venir meno l'interesse dell'impugnante a caducare la prima delibera impugnata

E' da sottolineare, però, che la fattispecie descritta riguardava un'ipotesi di sopravvenuta delibera “in sanatoria” a sua volta inficiata da vizi suscettibili di produrne l'annullamento (dunque efficace sino alla pronuncia relativa). Ed invero in analogo caso riguardante l'impugnativa di delibera di approvazione del bilancio proposta dal socio di una cooperativa,il Tribunale di Milano (sent. 5 marzo 2015 n. 2946 in www.giurisprudenzadelleimprese.it) ha, invece, rilevato incidentalmente la nullità della delibera successiva (come tale inefficace) che, come eccepito dall'attore, aveva ad oggetto un bilancio solo parzialmente emendato del vizio contestato, persistendo sotto diverso profilo la scorretta appostazione dei debiti della società verso i soci, già denunciata.

Legittimazione passiva

L'azione per far valere l'invalidità della deliberazione assembleare di una società deve essere proposta nei confronti della società medesima in persona del suo legale rappresentante: è la società, infatti, il soggetto nella cui sfera giuridica è destinato a produrre i propri effetti tipici il provvedimento invocato con la domanda giudiziale.

Anche nei casi in cui la delibera assembleare incide sui rapporti giuridici di cui il socio è parte (es. delibere che decidono la distribuzione degli utili o escludono il diritto d'opzione, o limitino la circolazione delle quote), si esclude la necessità del litisconsorzio fra società e soci poiché l'art. 2377, comma 7, c.c. dispone che l'annullamento della deliberazione ha effetto rispetto a tutti i soci, quindi anche a coloro che non hanno partecipato al procedimento di impugnazione.

Pertanto la legittimazione passiva spetta solo alla società e non ai suoi soci.

Legittimazione ad intervenire in giudizio

La partecipazione al giudizio dei soci (o di altri soggetti interessati) non può che avvenire nelle forme e nei modi dell'intervento volontario ex art. 105 c.p.c.:

  • come intervento adesivo dipendente: si ammette l'intervento ad adiuvandum di quei soci che abbiano tratto vantaggio dalla deliberazione impugnata e che abbiano interesse a difenderla (intervento previsto a tutela non di un diritto ma di un interesse, cioè di una posizione più attenuata rispetto al diritto soggettivo perfetto, ravvisabile in quanto l'esito della lite non può incidere su un rapporto giuridico autonomo dell'interveniente, ma può certamente tradursi per questo in uno svantaggio o in un vantaggio: cfr. Cass. 1 giugno 2004, n. 10530);
  • come intervento autonomo (il terzo fa valere un proprio diritto – relativo all'oggetto o al titolo dedotto in giudizio - nei confronti di tutte le parti del giudizio stesso)
  • litisconsortile (il terzo fa valere un proprio diritto nei confronti solo di alcune parti del giudizio): l'ammissibilità di questo tipo di intervento dipende dal contenuto della delibera, dagli effetti che il suo annullamento può comportare direttamente nella sfera giuridica soggettiva del socio e dalle domande che questi svolge.

Giurisprudenza

E' stato ritenuto ammissibile l'intervento adesivo del socio che abbia partecipato con voto determinante all'adozione di una delibera impugnata da altro socio, in quanto titolare di un interesse non di mero fatto ma giuridicamente qualificato dallo status di socio titolare di diritti partecipativi che lo abilitano ad influenzare il processo decisionale dell'assemblea (Cass. 1 aprile 2003 n. 4929);

E' stato ritenuto ammissibile l'intervento dell'amministratore adesivo alla posizione della società a fronte di impugnazione di delibera che determinava il suo compenso (Cass. 10 luglio 2007 n. 15492);

Nel caso di impugnazione di delibera di approvazione del bilancio con perdite di cui era contestata da una socia la nullità, il Tribunale di Milano (Trib. Milano sent. 14 febbraio 2011 in Giur.it, dicembre 2011, 2586) ha ritenuto legittimati a chiedere il rigetto della domanda i soci costituitisi in giudizio a seguito della (erronea) chiamata in giudizio dell'attrice, ravvisando in siffatta costituzione un intervento adesivo alle difese della società; non ha invece ritenuto di poter ravvisare un legittimo intervento nel caso del socio (erroneamente) citato in un giudizio promosso per l'annullamento di una delibera e costituitosi, nella contumacia della società, per chiedere il rigetto della domanda (Trib. Milano 9 marzo 2015 n. 3092 in giurisprudenzadelleimprese.it.).

La sorte della legittimazione del socio in caso di perdita della qualità di socio

La legittimazione ad impugnare una delibera è dei soci che possiedono il richiesto numero di azioni.

Chi acquista la qualità di socio dopo l'assunzione di una delibera , il nuovo socio (tale al tempo dell'impugnazione ma non della deliberazione) ha legittimazione esclusiva ad impugnare la stessa.

Perdita della legittimazione in corso di causa

Colui che perde la qualità di socio, perde, in linea di principio, la legittimazione ad agire (ex art. 2378, comma 2, c.c.: “Fermo restando quanto disposto dall'art. 111 c.p.c., se nel corso del processo viene meno, a seguito di trasferimenti per atti tra vivi, il richiesto numero delle azioni, il giudice … non può pronunciare l'annullamento e provvede al risarcimento dell'eventuale danno ove richiesto”).

Tuttavia può succedere che colui che perde la qualità di socio resti comunque titolare di un interesse qualificato alla pronuncia: il che avviene, per esempio, quando la stessa permanenza della qualità di socio è sub iudice. In tal caso l'attore mantiene la legittimazione.

Giurisprudenza

La Corte di legittimità (cfr Cass. 7 novembre 2008 n. 26842 ) - cassando la difforme decisione della Corte di Appello di Bologna e confermando invece quella di primo grado – ha, infatti, condivisibilmente affermato che, il venir meno in corso di causa del requisito di legittimazione consistente nell'essere l'attore socio della società convenuta, impedisce al giudice di pronunciare l'eventuale annullamento della delibera impugnata (essendo venuto meno il potere dell'attore ad interloquire sul modo d'essere e di operare degli organi sociali, e quindi il suo interesse ad agire) salvo che il venir meno della qualità di socio in capo all'impugnante sia diretta conseguenza proprio della deliberazione la cui legittimità si contesta, essendo evidente in tal caso che la legittimazione dell'attore ad interferire con l'attività sociale sta o cade a seconda che la delibera risulti o meno legittima”; onde, logicamente, non può essere addotta “quale causa del difetto di legittimazione proprio il fatto che l'attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe eliminare gli effetti” circostanza, peraltro, non verificatasi nel caso oggetto della pronuncia, ove l'attrice aveva cessato di essere socia della società non in virtù della delibera impugnata, bensì per effetto della mancata sottoscrizione del capitale sociale perduto e ricostituito con una deliberazione successiva (non impugnata).

Sul tema anche Tribunale di Milano, sent. 13 dicembre 2012 in giurisprudenzadelleimprese.it; Tribunale di Milano, sent. 14 febbraio 2011 Giur.it, dicembre 2011, 2586.

Sicché:

a) il venir meno in corso di causa in capo al socio del requisito di legittimazione impedisce al giudice di pronunciare l'eventuale annullamento della delibera impugnata; salvo che il venir meno della qualità di socio in capo all'impugnante:

- sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità si contesta

- sia diretta conseguenza di delibera successiva che sia stata impugnata (anche se non sospesa)

b) l' impugnazione di precedente delibera, per effetto della quale verrebbe meno il requisito di legittimazione, (ricostituzione di capitale dopo perdite inesistenti non optata; o esclusione del socio di s.r.l. in casi non previsti da statuto) consente al socio impugnante (il cui status è sub iudice) di impugnare una delibera successiva.

Perdita della legittimazione in corso di causa per effetto del trasferimento inter vivos di azioni

Come detto secondo l'art. 2378, comma 2, c.c. “Fermo restando quanto disposto dall'art. 111 c.p.c., se nel corso del processo viene meno, a seguito di trasferimenti per atti tra vivi, il richiesto numero delle azioni, il giudice […] non può pronunciare l'annullamento e provvede al risarcimento dell'eventuale danno ove richiesto”.

L' art. 111 c.p.c. afferma il principio della perpetuatio legitimationis, e stabilisce che in caso trasferimento tra vivi “del diritto controverso” il processo prosegue tra le parti originarie (il dante causa diventa “sostituto processuale” dell'avente causa e la sentenza spiega effetto anche nei confronti di quest'ultimo).

Sicchè se con l'atto inter vivos sono trasferite tutte le azioni (con l'effetto che “il diritto (controverso) alla tutela reale”, non solo è perduto dal socio attore cedente, ma è acquistato dal socio cessionario, e quindi è trasferito) allora – fermo restando il risarcimento dell'eventuale danno subito dal dante causa - il giudice potrà comunque pronunciare sulla domanda, poiché il socio che ha trasferito le azioni, assume, ai sensi dell'art. 111 c.p.c., la veste di sostituto processuale dell'acquirente, il quale, costituendosi in causa, potrebbe determinare l'estromissione del precedente titolare.

In sintesi:

il trasferimento volontario della partecipazione ante causam (art. 2378, comma 2) fa perdere il diritto o il fondamento della legittimazione: l'ex socio non può più ottenere l'invalidazione dell'atto deliberativo; il nuovo socio ha interesse e, quindi, legittimazione in via esclusiva rispetto alla domanda di annullamento della delibera di cui è il solo a subire gli effetti;

il trasferimento volontario di parte della partecipazione legittimante in corso di causa (id est riduzione del numero delle azioni possedute al disotto della soglia legale)fa perdere il “diritto” o il presupposto legittimante ad ottenere la tutela reale: il giudice non potrà pronunciare l'annullamento;

il trasferimento volontario di tutta la partecipazione legittimante in corso di causa fa perdere il “diritto” ad ottenere l'annullamento (che si trasferisce con le azioni legittimanti) e il fondamento della legittimazione ad agire che, quale condizione dell'azione, deve permanere per tutto il corso del giudizio; tuttavia, ex art. 111 c.p.c., l'attore dante causa resta legittimato quale sostituto processuale dell'avente causa a proseguire e il processo, salvo la sua estromissione;

in caso di “trasferimento” involontario in corso di causa non si applica l'art. 111 c.p.c. (così in caso di: esclusione, possibile per s.r.l. e soc. coop.; azzeramento e ricostituzione del capitale sociale se il socio non sottoscrive; aumento del capitale se il socio non sottoscrive ); il socio, quindi, in tali casi perderà la legittimazione; salvo impugni anche la delibera da cui è derivata la perdita della legittimazione (delibera di esclusione, delibera di approvazione del bilancio o della situazione patrimoniale infra-esercizio, delibera di aumento di capitale, ad es. perché abusivamente assunte proprio per far venire lo status e la legittimazione di socio).

Giurisprudenza

Il Tribunale di Milano, sent. 21 novembre 2013, in www.giurisprudenzadelleimprese.it ha accolto l'eccezione di sopravvenuta carenza di legittimazione ad agire formulata dalla società nei confronti del socio che aveva impugnato la delibera di approvazione del bilancio, stante il sopravvenire in corso di causa di delibera di azzeramento e ricostituzione del capitale non impugnata per effetto della quale la quota di capitale detenuta dal socio attore si era ridotta al di sotto della soglia legittimante del 5%.

La sospensione cautelare della delibera invalida

Si discute della possibilità di sospensione delle delibere di natura organizzativa (quali quelle di nomina e revoca degli amministratori) o c.d. self executing (quali quelle di approvazione del bilancio), e, quindi, del momento in cui gli effetti da queste prodotti possano, per l'appunto, considerarsi “irreversibili”.

La giurisprudenza tende a valorizzare la perdurante efficacia di questo tipo di delibere sull'organizzazione della società e le correlate posizioni dei soci (anche alla luce dell'appiglio testuale fornito in sede di riforma del processo societario – e non abrogato - dall'art. 35 d.lgs n. 5/2003, secondo cui gli arbitri, incaricati di decidere sull'impugnazione di una delibera assembleare possono disporre con ordinanza non reclamabile la sospensione dell' “efficacia” della delibera stessa, la quale, in quanto concetto immanente ad ogni tipo di delibera, ne implica la possibilità di sospensione a prescindere dal contenuto).

Così il Tribunale di Milano (ord. 25 ottobre 2012 in Le società, 7, 213, 844) ha affermato che l'esecuzione di qualsiasi deliberazione assembleare produttiva di effetti giuridici – siano essi di carattere temporaneo o permanenti, diretti o presupposti di altri ed ulteriori – e quindi anche di quella approvativa del bilancio di esercizio e di riduzione/ricostituzione del capitale sociale inciso da perdite è suscettibile di essere sospesa sino alla intervenuta irreversibilità degli effetti”.

Diversa questione è quella della possibilità/necessità di sospendere una delibera “nulla”, cioè di un atto giuridicamente improduttivo di effetti (quod nullum est, nullum producit effectum) che, tuttavia, nel sottosistema societario produce “effetti” anche solo ponendosi in continuità con una pluralità di atti funzionalmente collegati di cui l'approvazione del bilancio costituisce un tipico esempio.

In breve la questione si pone in questi termini:

se una delibera è nulla essa giuridicamente non produce validi effetti; onde appare discutibile si possa ravvisare, in concreto, la necessità di una sua sospensione onde evitare effetti che mai potrebbero consolidarsi in caso di impugnazione (diverso essendo ovviamente il caso in cui si discuta di annullamento, poiché, in mancanza di sospensione, una delibera annullabile è valida ed efficace).

Sul punto si registrano opinioni diverse: Tribunale di Napoli (ord. 14 maggio 2014 in Le società 8-9, 2014, 999); Tribunale di Milano (sent. 14 febbraio 2011 in Giur.it, dicembre 2011, 2586).

Termini dell'impugnazione e decadenza

Per impugnare una delibera annullabile è necessario agire nel termine di 90 giorni dalla data della delibera, della sua iscrizione o del suo deposito.

Per impugnare una delibera nulla è necessario agire entro tre anni dalla data di trascrizione nel libro delle adunanze assembleari o dalla data di iscrizione o deposito nel registro delle imprese se prescritta.

Nessun limite temporale è previsto per impugnare delibere che modificano l'oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili.

E' dettata una disciplina speciale per l'impugnazione di delibere che hanno per oggetto l'approvazione del bilancio (art. 2434-bis c.c.) e operazioni sul capitale (art. 2379-ter c.c.)

La notifica dell'atto introduttivoimpedisce la decadenza.

Proprio il fatto che il mancato rispetto del termine di impugnazione costituisca una decadenza, rende controverso il tema della incidenza sulla decorrenza dello stesso della sospensione feriale: l'opinione maggioritaria reputa applicabile la sospensione feriale anche al termine di impugnazione delle delibere, in quanto benché la legge che prevede la sospensione dei termini durante il periodo feriale degli avvocati riguardi i termini processuali - e non quelli sostanziali quali è appunto un termine di decadenza - se quest'ultimo è così breve da pregiudicare il diritto di difesa (a tutela del quale la sospensione nel periodo feriale degli avvocati è per l'appunto prevista dalla legge) deve ammettersi anche la sospensione del termine di decadenza, poiché è in linea con la ratio della norma; e, benché sia lecito dubitare che il termine di 90 gg. possa ritenersi così breve da pregiudicare il diritto di difesa, in giurisprudenza e in dottrina si valorizza il fatto che da esso dipende la possibilità di agire in giudizio a tutela dei propri diritti, e che al netto del periodo feriale, il termine potrebbe non consentirebbe adeguata difesa.

In tal senso è orientata stabilmente la giurisprudenza di legittimità (Cass. Sent. n. 3351 del 18 aprile 1997).

Riferimenti
Normativi
  • art. 2377 c.c.
  • art. 2378 c.c.
  • art. 2479-ter c.c.
Giurisprudenza
  • Tribunale di Roma, 29 luglio 2013
  • Tribunale di Milano, 28 giugno 2012, sent.
  • Tribunale di Milano, 21 ottobre 2005
  • Cass. n. 26842/2008
  • Cass. n. 21816/2006
  • Cass. n. 3351/1997
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