Assemblee speciali

02 Febbraio 2017

Nel caso in cui la società abbia emesso azioni speciali, cioè fornite di diritti diversi da quelli previsti dalla disciplina legale e che costituiscono una categoria ai sensi dell'art. 2348 c.c., è necessario che le deliberazioni dell'assemblea generale che pregiudichino i diritti di una categoria siano approvate anche dall'assemblea speciale della categoria medesima. L'istituzione dell'organo in parola, al quale si applicano le disposizioni relative all'assemblea straordinaria, risponde all'esigenza di proteggere gli interessi degli azionisti di categoria, garantendo al contempo la libertà di movimento della maggioranza.
Inquadramento

Le assemblee speciali sono regolate dalle norme di cui all'art. 2376 c.c. Nel caso in cui la società abbia emesso azioni speciali, cioè fornite di diritti diversi da quelli previsti dalla disciplina legale e che costituiscono una categoria ai sensi dell'art. 2348 c.c., è necessario che le deliberazioni dell'assemblea generale che pregiudichino i diritti di una categoria siano approvate anche dall'assemblea speciale della categoria medesima.

L'istituzione dell'organo in parola, al quale si applicano le disposizioni relative all'assemblea straordinaria, risponde ad una doppia esigenza:

  • da una parte, quella di proteggere gli interessi degli azionisti di categoria e
  • dall'altra, quella di permettere alla maggioranza di assumere decisioni senza la necessità di rispettare le volontà dei singoli azionisti di categoria e quindi garantendole libertà di movimento.
Le categorie di azioni

Ai sensi degli artt. 2348, comma 2 e 2351, comma 2, c.c., il nostro legislatore riconosce espressamente la libertà dell'autonomia statutaria (c.d. principio di atipicità delle azioni) di determinare e articolare il contenuto dei diritti conferiti alle categorie di azioni.

La società per azioni può emettere azioni speciali, che si differenziano da quelle ordinarie in quanto munite di diritti diversi da quelli normalmente spettanti al socio in virtù del possesso dell'azione. Non è possibile creare una singola azione attributiva di diritti particolari, ma è possibile emettere una pluralità di azioni uguali tra loro; la categoria di azioni è formata da un gruppo di azioni dotate di “diritti diversi”, quale contenuto della partecipazione azionaria, rispetto a quelli delle restanti azioni in cui si suddivide il capitale sociale.

Si osservi come nel caso in cui la società emetta in diversi momenti azioni munite delle medesime caratteristiche e degli stessi diritti, queste costituiscono un'unica categoria, non rilevando – in altri termini – la diversa data di emissione.

Tra le figure tipiche di azioni speciali è possibile individuare quelle correlate (art. 2350 c.c.) e quelle senza diritto di voto, a voto limitato, a voto condizionato o a voto plurimo (art. 2351 c.c.); a queste si aggiungono quelle atipiche, create in forza della norma di cui all'art. 2348, comma 2, c.c.

La ratio sottesa all'emissione di azioni speciali è rappresentata dalla differenziazione degli strumenti finanziari offerti sul mercato al fine di raccogliere il capitale, in modo da riuscire a soddisfare la diversa articolazione degli interessi degli investitori (si pensi, ad esempio, ai soci interessati al controllo della società e a quelli interessati ai soli profitti).

I particolari diritti di cui devono essere dotate le azioni speciali possono essere di natura patrimoniale o amministrativa.

Nella prima categoria rientrano:

  • le azioni dotate di privilegi patrimoniali, quali il diritto ad un utile maggiorato o maggiormente garantito rispetto ad altri azionisti,
  • le azioni dotate di diversa incidenza nelle perdite,
  • le azioni correlate ai risultati dell'attività sociale in un determinato settore.

Nella seconda delle categorie sopra citate è invece possibile ricomprendere le azioni senza diritto di voto, a voto limitato, a voto condizionato o a voto plurimo.

Oltre a quelle citate, come anticipato, alla società è concessa l'emissione di azioni speciali atipiche, ritenendosi che il divieto di patto leonino e il necessario rispetto dell'equilibrio tra rischio e potere (nella misura in cui il sistema ancora lo pretenda) rappresentino gli unici limiti inderogabili.

Le assemblee speciali: nozione e disciplina

Il nostro ordinamento prevede, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2376 c.c., l'applicazione della disciplina dettata in tema di assemblee speciali in presenza di un doppio ordine di presupposti: (i) sotto un primo profilo, le assemblee in parola si formano nelle ipotesi in cui esistano diverse categorie di azioni o strumenti finanziari partecipativi, mentre (ii) sotto un secondo profilo, le medesime si pronunciano nelle fattispecie in cui le deliberazioni dell'assemblea generale pregiudichino i diritti di una determinata categoria di azioni o di strumenti finanziari partecipativi.

La ratio della norma sulle assemblee speciali è stata individuata, dalla dottrina – ma anche dalla giurisprudenza – prevalente, nell'intenzione del legislatore di prevedere (a) uno strumento di agevolazione della libertà di movimento della società. È necessario domandarsi in cosa consisterebbe tale agevolazione. A ben vedere, muovendo dal presupposto per cui i diritti di categoria sono disponibili solo con il consenso di ciascun titolare dei medesimi, il meccanismo dell'assemblea speciale permetterebbe l'approvazione di una delibera pregiudizievole con la sola maggioranza degli azionisti di categoria. Il principio dell'unanimità cederebbe dunque il passo a quello maggioritario.

Secondo una diversa impostazione, (b) la norma di cui all'art. 2376 c.c. sarebbe dettata a tutela degli azionisti, poiché la medesima – prevedendo una “«procedimentalizzazione» della formazione della volontà sociale” – costituirebbe un limite al potere dell'assemblea generale .

A queste tesi se ne aggiunge un'altra, più recente, (c) per cui il fine ultimo del meccanismo della duplice assemblea sarebbe quello di tutelare l'interesse della società, in quanto la sintesi tra le due pronunce assembleari rappresenterebbe una garanzia di legalità e correttezza.

L'istituto dell'assemblea speciale si contrappone, non soltanto sul piano terminologico, a quello dell'assemblea generale: alla seconda intervengono coloro ai quali spetta il diritto di voto (ex art. 2370, comma 1 c.c.), mentre alla prima partecipano esclusivamente i titolari delle azioni della categoria interessata o degli strumenti finanziari partecipativi.

La disciplina delle assemblee speciali contenuta nel codice è esigua, poiché il legislatore si è limitato a prevedere, da un lato, l'applicazione delle norme dettate per le assemblee straordinarie e, dall'altro, il rinvio alle leggi speciali in tema di legittimazione all'intervento e al voto per il caso in cui le azioni o gli strumenti finanziari siano ammessi al sistema di gestione accentrata. Pertanto, ad eccezione del diverso diritto di partecipazione, all'assemblea speciale si applica la disciplina prevista per la costituzione e il funzionamento dell'assemblea generale, con particolare riferimento a quella straordinaria.

Si discute, in dottrina, se il rinvio in esame riguardi (i) la disciplina normativa dettata dal legislatore in tema di assemblea straordinaria ovvero (ii) la disciplina statutariamente prevista per la società alla quale appartiene l'assemblea speciale: com'è evidente, il riflesso dell'accoglimento dell'una o dell'altra tesi concerne l'estensione applicativa delle disposizioni statutarie dettate per le assemblee generali straordinarie alle assemblee speciali. La prima soluzione pare preferibile, poiché risulta più rispettosa della lettera della norma e della volontà dei soci.

Si osservi come, in ogni caso, lo statuto della società potrà prevedere delle deroghe all'applicazione della disciplina in parola alle assemblee speciali.

All'assemblea speciale si applicano dunque le norme dettate per le assemblee generali straordinarie in tema di intervento, svolgimento e voto. Il verbale delle delibere dell'assemblea in parola è redatto da un notaio e trascritto nel libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee di cui all'art. 2421, comma 1, n. 3, c.c.

La deliberazione dell'assemblea speciale – secondo il tenore letterale dell'art. 2376 c.c. – non è autonomamente sufficiente a produrre effetti giuridici: la norma parla espressamente di approvazione, stabilendo una necessaria correlazione tra la deliberazione in parola e quella dell'assemblea generale; nel silenzio della disciplina sul punto, si ritiene di accogliere la tesi per cui l'assemblea speciale possa riunirsi sia prima, sia dopo quella generale, anche se nella prassi le due assemblee vengono convocate dagli amministratori nello stesso giorno.

Alle assemblee speciali si applicano, secondo l'opinione pacificamente accolta, anche le disposizioni in tema d'invalidità delle delibere, di cui agli artt. 2377 ss. c.c., e di conflitto di interessi, di cui all'art. 2373 c.c. Si riconosce, pertanto, la possibilità di impugnare autonomamente la deliberazione dell'assemblea speciale, ove questa non sia stata adottata in conformità della legge o dello statuto; deve in proposito osservarsi come il comma 3 dell'art. 2377 c.c. disponga espressamente che, nel caso d'impugnazione delle delibere delle assemblee speciali, le percentuali di capitale richieste devono essere riferite a quello rappresentato dalle azioni della categoria.

In tema di legittimazione attiva, nell'ipotesi in cui la delibera sia annullabile, saranno legittimati all'impugnazione i soci di categoria assenti, dissenzienti o astenuti, gli amministratori e il collegio sindacale, mentre nell'ipotesi in cui la delibera sia nulla, la legittimazione spetterà a chiunque vi abbia interesse.

D'altra parte, in tema di legittimazione passiva, si ritiene che i legittimati siano gli amministratori della società muniti di rappresentanza processuale. Le notifiche saranno dunque effettuate alla società e il giudizio si svolgerà in contradditorio con gli amministratori.

Segue: il pregiudizio

Come già indicato, uno dei presupposti applicativi della disciplina in esame riguarda la presenza di un pregiudizio dei diritti di una categoria di azioni o di strumenti finanziari partecipativi: sull'interpretazione e sulla determinazione del concetto di pregiudizio si è incentrato un vivace dibattito in dottrina.

Prima di ripercorrere le argomentazioni a sostegno delle varie impostazioni prospettate pare però opportuno soffermarsi su alcune considerazioni.

Anzitutto è possibile distinguere due categorie di pregiudizio:

(i) quello “di mero fatto” e

(ii) quello “di diritto”.

Il pregiudizio “di mero fatto” è rappresentato dalla lesione, di natura prettamente economica, delle aspettative dei soci di categoria, derivante da atti gestori o riorganizzativi della struttura sociale; in altri termini, nessun diritto viene modificato, ma si assiste ad un mutamento che impedisce la soddisfazione di una certa aspettativa.

Ad esempio:

  • esclusione della distribuzione degli utili in un dato esercizio o imputazione degli utili a riserva in presenza di una categoria di azioni privilegiata nella distribuzione dei dividendi;
  • fusione per incorporazione in cui la società incorporante è in stato di dissesto finanziario e nell'incorporata sussiste una categoria di azioni privilegiata sull'incidenza delle perdite.

Il pregiudizio “di diritto”, invece, può essere di due specie: (a) “diretto” o (b) “indiretto”.

Quello “di diritto e diretto” si manifesta in una modifica statutaria peggiorativa dei diritti di cui è munita una categoria di azioni.

Ad esempio:

  • riduzione del privilegio dal 10% al 5%;
  • riduzione da 3 a 2 del numero di voti attribuiti dalle azioni a voto plurimo con capitale sociale rappresentato da più categorie di azioni.

Invece il pregiudizio “di diritto e indiretto” si realizza quando, nonostante i diritti della categoria rimangono inalterati a livello formale, viene modificato il rapporto tra le varie categorie di azioni esistenti, recando un pregiudizio ai diritti di una o di alcune di queste.

Ad esempio:

  • emissione di azioni privilegiate di rango successivo a quello delle azioni privilegiate esistenti, ma anteriore a quello delle ordinarie;
  • emissione di azioni a voto doppio offerta in opzione ai titolari di azioni ordinarie e di azioni a voto triplo;
  • emissione di azioni ordinarie offerta in opzione ai titolari di azioni ordinarie e di azioni privilegiate con voto per i soli casi di assemblea straordinaria.

Sotto un primo aspetto deve osservarsi come l'adozione di una delibera assembleare che rechi un pregiudizio “di mero fatto” alle ragioni – o meglio, alle aspettative – della categoria di azioni non richieda l'approvazione dell'assemblea speciale degli appartenenti alla medesima categoria. Le aspettative nutrite dalla categoria di azioni, a ben vedere, non assurgono a diritto, ma rientrano tuttalpiù nel novero degli interessi di natura patrimoniale: pertanto non si verificherebbe, nel caso di specie, la lesione dei diritti necessaria per l'attivazione della procedura di cui all'art. 2376, comma 1 c.c. (la norma parla, infatti, di “deliberazioni dell'assemblea che pregiudicano i diritti”).

Si aggiunga, al fine di individuare un limite al pregiudizio in parola, che nel caso in cui la deliberazione dell'assemblea generale rechi alla categoria di azioni un pregiudizio, pur di mero fatto, ma ingiustificato e di carattere discriminatorio, sarà possibile impugnare la medesima per abuso di potere.

Sotto un secondo aspetto, la deliberazione dell'assemblea generale che comporti una modifica avente ad oggetto un diritto incorporato in una categoria di azioni richiede, fuor di ogni dubbio, l'adozione del meccanismo della duplice assemblea.

Se l'affermazione dell'irrilevanza del pregiudizio “di mero fatto” e della rilevanza del pregiudizio “di diritto e diretto”, ai fini dell'applicazione della norma di cui all'art. 2376 c.c., è pacificamente accolta dalla dottrina, non altrettanto può dirsi in tema di pregiudizio “di diritto e indiretto”. Secondo la manualistica tradizionale, è necessario che il pregiudizio subito dai diritti di categoria sia un pregiudizio diretto.

Il rapporto tra la delibera dell'assemblea generale e la delibera dell'assemblea speciale

La natura giuridica del rapporto tra la delibera di approvazione dell'assemblea speciale e la delibera dell'assemblea generale è controversa. Sul tema è possibile individuare tre diversi orientamenti.

Secondo la tesi dominante, la mancanza di una pronuncia dell'assemblea speciale inciderebbe sull'efficacia della delibera dell'assemblea generale, in guisa che l'assenza dell'approvazione produrrebbe un caso di «inefficacia relativa». La mancanza di potere della società a disporre di “diritti altrui” condurrebbe all'inefficacia, che potrebbe essere rimossa esclusivamente a seguito dell'approvazione della delibera da parte dell'assemblea speciale.

Indi per cui, i soci che hanno subito il pregiudizio diverrebbero legittimati ad agire per domandare sia la declaratoria d'inefficacia, sia l'eventuale sospensione della delibera dell'assemblea generale; detta inefficacia, tuttavia, non sarebbe opponibile ai terzi di buona fede che abbiano acquistato diritti in forza di atti compiuti in esecuzione della delibera.

Un'altra interpretazione prospettata è quella per cui l'adozione della delibera dell'assemblea speciale costituirebbe una condizione di validità della delibera dell'assemblea generale, quest'ultima – in quanto «invalida» – sarebbe impugnabile ex art. 2377 c.c. L'orientamento in parola poggia sulla constatazione per cui la pronuncia dell'assemblea speciale costituirebbe un passaggio necessario dell'iter formativo della volontà assembleare e quindi dalla sua mancanza deriverebbe la non conformità della delibera dell'assemblea generale alla legge, cosicché detta delibera sarebbe impugnabile per invalidità: in particolare si avrebbe una delibera annullabile per vizi di procedimento, derivante dalla violazione di norme aventi fonte legale.

Infine si è proposto di guardare alla delibera dell'assemblea speciale e a quella dell'assemblea generale come ad unico atto complesso, ritenendo necessaria la presenza di entrambe per formare la volontà sociale, in altri termini, le delibere di entrambi gli organi sociali (l'assemblea generale e quella speciale) concorrerebbero su un piano di parità quali elementi di un procedimento complesso al termine del quale si manifesta la volontà sociale e in mancanza dell'approvazione la delibera dell'assemblea generale dovrebbe ritenersi «inesistente». La prima deliberazione (quella dell'assemblea generale) sarebbe, allora, priva di rilevanza giuridica finché l'assemblea speciale non si pronunci o non esprima il suo voto favorevole: la mancanza di un elemento costitutivo, avente natura essenziale, ai fini del procedimento formerebbe una fattispecie incompleta, sicché la conseguenza – sul piano giuridico – sarebbe quella dell'inesistenza.

Il rapporto tra la disciplina delle assemblee speciali e le norme sul recesso

Tra i diritti sociali di tipo patrimoniale che spettano all'azionista si ricomprende il diritto di recesso, che consiste nel potere – al ricorrere di determinate situazioni – di sciogliersi dalla società e ottenere la liquidazione della propria partecipazione.

In forza del disposto della lett. g) dell'art. 2437 c.c., i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti le modificazioni dello statuto, concernenti i diritti di voto o di partecipazione, hanno diritto di recedere. È dubbio se l'integrazione di una causa di recesso ex lett. g) sussista solo in presenza di modifiche dirette dei diritti ovvero se detta disciplina possa ricomprendere anche quelle indirette.

Muovendo dall'impostazione per cui l'esistenza del diritto di recesso permetterebbe alla maggioranza assembleare di assumere particolari decisioni senza dover acquisire il consenso di tutti i soci, può osservarsi come gli obiettivi di tutela delle discipline di cui agli artt. 2437 e ss. c.c. e di cui all'art. 2376 c.c. coincidano.

Diverso è però il presupposto applicativo dei due istituti:

(i) il primo è attivato in presenza di modifiche statutarie “generali”, che riguardano tutti i soci in maniera uniforme,

(ii) mentre il secondo concerne modifiche statutarie “speciali”, che coinvolgono la sola categoria di azioni, quindi una parte dell'azionariato.

L'osservazione appena indicata permette di distinguere le fattispecie in cui si applica l'uno o l'altro strumento, sicché non si avrebbero sovrapposizioni tra le due discipline.

Occorre però valutare il caso particolare in cui una delibera riguardi una modifica dei diritti di tutte le azioni, ma pregiudichi – allo stesso tempo – i diritti diversi di una categoria speciale. Si è proposto di distinguere le due forme di tutela in considerazione della “differente intensità” con cui si modificano i diritti dei soci: gli azionisti titolari di azioni di categoria godranno della tutela ex art. 2376 c.c., mentre tutti gli altri di quella ex art. 2437 c.c.

La forma di tutela riconosciuta dal meccanismo dell'assemblea speciale si rivela ben più incisiva di quella del diritto di recesso, poiché i soci titolari di azioni speciali potranno impedire la formazione di una delibera sociale compiuta, secondo quanto sopra richiamato.

Riferimenti

Normativi

  • art. 2376 c.c.
  • art. 2348 c.c.

Giurisprudenza

  • Trib. Milano, 22 marzo 1984
  • Trib. Milano, 26 maggio 1990
  • Trib. Roma, 20 marzo 1995

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