La scriminante dello stato di necessità: criticità e risvolti applicativi
06 Dicembre 2016
Abstract
Lo stato di necessità è una scriminante generale cioè una causa di esclusione della punibilità collocata come ultima nel codice penale. Stabilisce la non punibilità di chi abbia commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. L'esimente di cui all'art 54 c.p. richiede, per la sua configurabilità, che nel momento in cui l'agente agisca contra ius, al fine di evitare un danno grave alla persona, il pericolo sia imminente e, quindi, individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio. (Cass. pen. Sez. II, 25 settembre 2014, n. 43078). Occorre evidenziare che lo stato di necessità è una scriminante sul piano penale ma non esonera il soggetto agente da qualsiasi conseguenza: al danneggiato spetta un'indennità, la cui misura è rimessa all'insindacabile valutazione del giudice di merito ai sensi dell'art. 2045 c.c. Lo stato di necessità consta di due elementi: la situazione di pericolo che deve avere ad oggetto un danno grave alla persona e l'azione lesiva necessitata. Per la situazione di pericolo rilevano unicamente lesioni a diritti di natura personale quindi i danni alla vita, all'integrità fisica e i danni morali che possono incombere sulla persona, non anche danni di tipo patrimoniale. È indifferente che la situazione di pericolo sia stata causata da un atto umano, da un comportamento animale o da un fatto derivante dalle forze della natura. Se è un atto umano l'azione dell'aggredito deve essere rivolta verso un terzo diverso dall'aggressore, non deve essere un comportamento giuridicamente imposto o autorizzato. Pur essendo indifferente la fonte del pericolo, è fondamentale che il pericolo sia attuale nel senso che il danno deve essere imminente e probabile che si verifichi. La situazione di pericolo deve essere tale da lasciare un margine di potere decisionale all'agente, se manca tale margine troveranno applicazione gli artt. 45 e 46 c.p. Inoltre, lo stato di necessità non potrà essere invocato da colui che con il proprio comportamento cosciente e volontario abbia determinato l'insorgere della situazione di pericolo, essendo irrilevante la mancata previsione o la volontà del pericolo stesso. Il pericolo, quindi, non deve essere stato volontariamente causato dall'agente. Lo stato di necessità è incompatibile con situazioni di pericolo volontariamente cagionate dallo stesso soggetto attivo e richiede l'esistenza di una situazione di pericolo attuale di un danno grave alla persona non altrimenti evitabile (Cass. pen. Sez. II, 14 aprile 2015, n. 19714). Con l'azione lesiva necessitata si richiede, ai fini dell'applicazione dell'esimente, che la condotta offensiva posta in essere dall'agente rappresenti l'unica possibilità concretamente praticabile per mettere al sicuro il bene in pericolo. L'azione lesiva di chi reagisce al pericolo deve essere costretta, assolutamente necessaria per salvarsi e proporzionale al pericolo. La costrizione ricorre solo quando il soggetto si trova nell'alternativa di agire o subire un danno grave alla persona; non è ritenuta sufficiente una semplice necessità ma occorre che essa sia tale da non lasciare altra scelta che quella di ledere il diritto di un terzo. È necessario, poi, che sussista proporzione tra pericolo e fatto lesivo realizzato. Secondo il prevalente orientamento, il giudizio di proporzione deve riguardare non solo il valore dei beni confliggenti ma tutti gli elementi caratterizzanti la situazione di fatto (grado di pericolo che minaccia il bene, elemento soggettivo, modalità di realizzazione e grado di probabilità di salvarlo attraverso l'azione necessitata); tale giudizio andrà condotto con riferimento al rapporto tra valore di ciascun bene in conflitto, riconoscendo la sussistenza della scriminante solo quando il bene minacciato prevale o risulta equivalente rispetto a quello sacrificato. Ai fini dell'accertamento in sede processuale della sussistenza o meno dell'esimente nel caso specifico vige sull'imputato un onere di allegazione in merito alle indicazioni e agli elementi necessari all'accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore a differenza che nel processo civile dove l'imputato ha un vero e proprio onere probatorio (Cass. pen., Sez. II, 7 febbraio 2013, n. 20171; Cass. pen. Sez. VI, 5 luglio 2012, n. 28115). Ambito applicativo
Il comma 1 dell'art. 54 c.p. prevede che non sia punito non solo chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare un proprio diritto ma anche chi sia stato costretto dalla necessità di salvare un diritto altrui, tale circostanza è detta soccorso di necessità. Si tratta di un soccorso facoltativo cioè posto in essere quando manca l'obbligo di soccorso ex art. 593 c.p., che rileva solo nel caso in cui intercorrono particolari rapporti tra il soccorritore ed il terzo o nel caso in cui il bene da salvare sia prevalente rispetto a quello sacrificato; presuppone che la situazione di pericolo sia incombente e non passata. Il comma 2 esclude invece l'applicabilità a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo in relazione all'attività svolta o derivante dalla legge. Tale dovere incombe su chi svolge attività professionali rischiose nell'interesse della collettività o di terzi privati. In base al comma 3, lo stato di necessità si applica anche quando il pericolo deriva dall'altrui minaccia che deve produrre una coazione morale o un costringimento psichico che si verifica quando un soggetto viene costretto da un altro soggetto a tenere un comportamento antigiuridico mediante minaccia. Per invocare la scriminante occorre che la minaccia sia tale da creare nell'agente un vero e proprio stato di necessità completo di tutti i requisiti che lo caratterizzano. In sintesi, si ha costringimento psichico quando il soggetto commette un reato perché indotto dall'altrui minaccia. In questo caso risponde del reato colui che ha posto in essere la minaccia; per questo motivo, la giurisprudenza consolidata, in questo caso specifico parla di una scusante piuttosto che di una scriminante. In materia di alimentazione, cure mediche e medicinali lo stato di necessità deve consistere davvero in un'esigenza indilazionabile e cogente tale da non lasciare all'agente alternativa diversa dalla violazione della legge. Per stato di necessità putativo si intende quella situazione nella quale un soggetto, per un errore scusabile, ritenga che siano sussistenti tutti i requisiti che legittimano lo stato di necessità e invece questi requisiti o alcuni di essi, nella realtà non sussistono. Perché si possa validamente invocare l'applicazione dell'esimente putativa dello stato di necessità, l'erronea opinione della sussistenza della situazione di necessità deve basarsi non su un criterio meramente soggettivo, riferito, cioè, al solo stato d'animo dell'agente, bensì su dati di fatto concreti che, se pur non idonei a realizzare quelle condizioni di fatto che farebbero obiettivamente scattare la esimente, siano tali da giustificare l'erronea persuasione di trovarsi in una situazione di necessità. In tema di stato di necessità, anche le condizioni di attualità o inevitabilità del pericolo, che integrano i presupposti di operatività dell'esimente, possono costituire oggetto dell'errore cui è subordinata la configurabilità della scriminante stessa sotto il profilo "putativo". (Cass. pen., Sez. VI, 30 settembre 2014, n. 14037). In tema di cause di giustificazione, l'allegazione da parte dell'imputato dell'erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d'animo dell'agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare l'erroneo convincimento in capo all'imputato di trovarsi in tale stato (così Cass. pen., Sez. VI, 21 marzo 2012, n. 18711, nella specie, la suprema Corte ha reputato corretta la condanna di due coniugi, dei relativi genitori e di due parroci i quali, in concorso tra loro, avevano rifiutato di consegnare una bambina bielorussa ai responsabili dell'organizzazione che doveva curarne il rimpatrio, per evitare alla minorenne un trauma psicologico nel timore che, una volta tornata in Bielorussia, la stessa avrebbe subito violenze di cui aveva già narrato di essere restata vittima prima dell'affidamento temporaneo in Italia). Si segnala, a titolo esemplificativo, una pronuncia della Cassazione (Cass. pen., Sez. VI, 16 marzo 2010, n. 12615) dove si è ritenuto che non può essere invocata l'esimente dello stato di necessità, nemmeno nella forma putativa, da colui che abbia sottratto il proprio figlio minore, affidato all'altro genitore, per impedire che lo stesso venisse sottoposto ad una operazione chirurgica di cui teme la pericolosità e la superfluità, atteso che egli ha il potere di evitare l'esecuzione dell'intervento negando il consenso alla sua realizzazione. Rapporti con la legittima difesa
La scriminante dello stato di necessità presenta molte analogie ma anche molte differenze con la legittima difesa ex art. 52 c.p. In entrambe le situazioni il pericolo è attuale e l'agente, pur commettendo un fatto considerato reato, interviene in un determinato modo per tutelare un proprio bene in quanto non vi sono diverse alternative. In entrambe si richiede il presupposto della proporzione che nello stato di necessità si misura tra fatto offensivo e pericolo e nella legittima difesa tra aggressione e difesa. La differenza principale sta nel fatto che nella legittima difesa l'azione criminosa ha come destinatario l'aggressore mentre nello stato di necessità si indirizza nei confronti di un terzo innocente. Altre due differenze fondamentali risiedono nel fatto che nello stato di necessità il pericolo da cui il soggetto vuole salvarsi attiene ad un danno grave, non causato volontariamente e avente ad oggetto un diritto personale e non patrimoniale come può accadere invece per la legittima difesa in cui il soggetto può voler salvare anche un diritto non attinente alla personalità; inoltre, la scriminante dello stato di necessità obbliga l'agente in ambito civile, a corrispondere un equo indennizzo al soggetto leso in base all'art. 2045 c.c. Nell'art. 52 c.p. vi è sia un bilanciamento di interessi e sia un'autotutela riconosciuta al privato quando non sia nelle condizioni di essere immediatamente difeso da coloro che sono preposti a ciò; nell'art. 54 c.p., invece, vi è solo un bilanciamento di interessi in quanto non vi è alcun rapporto tra aggredito e aggressore poiché quest'ultimo non esiste e quindi non vi può essere una reazione bensì un'azione ai danni di un terzo innocente. In tema di detenzione abusiva di armi, così come prevista e punita dagli artt. 10 e 14 della l. n. 497 del 1974, non sono applicabili, né come reali né come putative, le cause di giustificazione della legittima difesa e dello stato di necessità (Cass. pen., Sez. II, 29 febbraio 2008, n. 17329). Uno dei settori “caldi”, anche in giurisprudenza, circa l'applicabilità dello stato di necessità è quello riferito all'occupazione abusiva di alloggi. L'illecita occupazione di un bene immobile é scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, che ben può consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione, sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell'illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l'assoluta necessità della condotta e l'inevitabilità del pericolo (Cass. pen., Sez. II, 16 aprile 2013, n. 19147). Ai fini dell'integrazione dell'esimente dello stato di necessità (art. 54 c.p.), pertanto, è necessario che il pericolo di un danno grave alla persona sia attuale ed imminente o, comunque, idoneo a fare sorgere nell'autore del fatto la ragionevole opinione di trovarsi in siffatto stato, non essendo all'uopo sufficiente un pericolo eventuale, futuro, meramente probabile o temuto; inoltre, si deve trattare di un pericolo non altrimenti evitabile ed al riguardo l'operatività della scriminante non può "scattare" sulla base di fatti sforniti di riscontri oggettivi e accertati in via presuntiva (Cass. pen., Sez. V, 30 aprile 2010, n. 26159) Ai fini del possibile riconoscimento dell'esimente dello stato di necessità, ex art. 54 c.p., il concetto di danno grave alla persona può essere esteso, in armonia con quanto stabilito dall'art. 2 della Costituzione, anche a quelle situazioni che minacciano solo indirettamente l'integrità fisica del soggetto, riferendosi alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, tra i quali dev'essere ricompreso il diritto all'abitazione, in quanto l'esigenza di un alloggio rientra fra i bisogni primari della persona, fermo restando, peraltro, che tale interpretazione estensiva del concetto di danno grave alla persona importa la necessità di una più attenta e penetrante indagine giudiziaria diretta a circoscrivere la sfera di azione dell'esimente ai soli casi in cui siano indiscutibili gli elementi costitutivi della stessa – necessità e inevitabilità – non potendo i diritti dei terzi essere compressi se non in condizioni eccezionali, chiaramente comprovate. (Nel caso di specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha annullato con rinvio, per difetto di motivazione, la sentenza di merito che aveva ritenuto l'imputata responsabile del reato di occupazione abusiva di un immobile di proprietà dell'Istituto autonomo case popolari senza in alcun modo prendere in esame la rappresentata esistenza di condizioni che avrebbero potuto rendere configurabile lo stato di necessità). (Cass. pen., Sez. II, 27 giugno 2007, n. 35580). In tema di illecita occupazione di un alloggio popolare, lo stato di necessità può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa, tanto più che l'edilizia popolare è destinata a risolvere le esigenze abitative dei non abbienti, attraverso procedure pubbliche e regolamentate (Cass. pen., Sez. II, 16 gennaio 2015, n. 9655). Principio ribadito anche per l'ipotesi di occupazione arbitraria di un appartamento di proprietà dello I.A.C.P. rientra nella previsione dell'art. 54 c.p. solo se ricorra il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non coincidendo la scriminante dello stato di necessità con l'esigenza dell'agente di reperire un alloggio e risolvere i propri problemi abitativi (Cass. pen., Sez. II 21 dicembre 2011, n. 4292).
In conclusione
In conclusione, per far si che sussista lo stato di necessità è essenziale che vi sia una situazione di pericolo che comporti un danno grave alla persona. Tale pericolo deve essere attuale e non deve essere volontariamente causato dall'agente; la condotta offensiva posta in essere deve rappresentare l'unica possibilità concretamente praticabile per mettere al sicuro il bene in pericolo. L'azione lesiva di chi reagisce al pericolo deve essere costretta, assolutamente necessaria per salvarsi e proporzionale al pericolo. L'azione criminosa si indirizza nei confronti di un terzo innocente e pertanto, la problematica che si pone, sta nel fatto che la salvezza dell'interesse tutelato passa attraverso la lesione di un diritto altrui, di un soggetto cioè che è totalmente estraneo alla dinamica, a differenza della legittima difesa in cui l'azione criminosa ha come destinatario l'aggressore, cioè colui che è direttamente coinvolto nell'evento. Pertanto, è doveroso sottolineare che i confini imposti dall'art. 54 c.p. sono ben delineati, definiti e anche molto sottili nel senso che non è difficile che il soggetto ritenga di aver agito "legalmente" rimanendo entro gli stessi per la tutela di un diritto. Le condizioni di attualità o inevitabilità del pericolo, che integrano i presupposti di operatività dell'esimente, possono costituire oggetto dell'errore cui è subordinata la configurabilità della scriminante stessa sotto il profilo "putativo". Non tutte le azioni a tutela sono scusabili, pertanto è opportuno procedere secondo il giudizio di proporzione che deve riguardare non solo il valore dei beni confliggenti, ma tutti gli elementi caratterizzanti la situazione di fatto; tale giudizio andrà condotto con riferimento al rapporto tra valore di ciascun bene in conflitto, riconoscendo la sussistenza della scriminante solo quando il bene minacciato prevalga o risulti equivalente rispetto a quello sacrificato. |