Licenziamenti collettivi

06 Marzo 2024

Le regole, nel caso di licenziamento individuale plurimo, sono quelle contenute nella legge 15 luglio 1966, n.604, qualora ci si trovi di fronte ad un licenziamento collettivo, invece, le regole sono quelle della legge 23 luglio 1991, n.223.

Abstract

Per la risoluzione dei rapporti di lavoro determinata da motivi economici, le procedure da seguire non sono sempre analoghe per tutti i datori di lavoro.

Infatti, nonostante le cause che determinano l'esubero dei lavoratori siano analoghe, ovvero licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (es. per chiusura di un'unità produttiva), non sempre si applicano le stesse regole.

In particolare, la disciplina regolatoria e soprattutto le procedure da seguire risultano profondamente differenti a seconda che ci si trovi di fronte ad un licenziamento individuale di più lavoratori (cd. licenziamento plurimo), ovvero nel caso di licenziamento collettivo.

Determinante ai fini dell'individuazione delle regole applicabili risulta l'organico in forza presso il datore di lavoro ed il numero dei lavoratori interessati dal recesso per giustificato motivo oggettivo.

Le regole, nel caso di licenziamento individuale plurimo, sono quelle contenute nella L. 15 luglio 1966, n.604, qualora ci si trovi di fronte ad un licenziamento collettivo, invece, le regole sono quelle della L. 23 luglio 1991, n.223.

Tra le novità intervenute negli ultimi anni, da segnalare le nuove tutele previste per dal D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, c.d. contratto a tutele crescenti per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, che estende i suoi effetti anche relativamente ai licenziamenti collettivi, successivamente modificato dal D.L. 12 luglio 2018, n. 87, convertito dalla L. 9 agosto 2018, n. 96 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 194/2018.

La disciplina del licenziamento economico

Parlare di licenziamento collettivo significa evidentemente parlare della risoluzione di più rapporti di lavoro per motivi di natura economica.

Tuttavia, non sempre un licenziamento determinato da motivi economici significa in senso tecnico licenziamento collettivo.

Infatti, per licenziamenti collettivi si intendono quelli che ricadono nell'ambito dell'art. 4 e 24, L. n. 223/1991.

Si tratta di quelli che riguardano datori di lavoro che occupano più di 15 lavoratori, computando anche i dirigenti, i quali intendano avviare licenziamenti di almeno 5 dipendenti.

La disciplina dei licenziamenti collettivi prevede l'applicazione di specifiche regole prima di poter procedere alla risoluzione dei contratti di lavoro per motivi economici, che impongono precise procedure da seguire nella fase di avvio, della gestione dell'esubero ed infine, quale extrema ratio, della risoluzione dei rapporti di lavoro.

Considerando le ricadute sul piano occupazionale, è previsto il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali e degli organi amministrativi.

Licenziamenti economici

Preliminarmente va evidenziato che il licenziamento per motivi economici è quello definito all'art. 3, L. n. 604/1966, ovvero la risoluzione del rapporto di lavoro determinata da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

Ai sensi del successivo art. 5, l'onere probatorio circa la fondatezza delle ragioni che hanno portato alla decisione, incombe sul datore di lavoro.

Va peraltro ricordato che, dopo la L. 28 giugno 2012, n. 92, sono stati introdotti due importanti novità rispetto alla disciplina previgente:

1) nella comunicazione al lavoratore con la quale il datore di lavoro assume la decisione, vanno sempre indicate le ragioni. Fino al 17 luglio 2012, data di entrata in vigore della legge Fornero, le specifiche ragioni potevano non essere presenti nella lettera ma dovevano essere puntualizzate solo laddove fossero state richieste dal lavoratore;

2) laddove la risoluzione riguarda datori di lavoro che ricadono nel regime di tutela reale (in genere datori di lavoro che occupano più di 15 lavoratori), salvo i casi di lavoratori ai quali si applica la disciplina di cui al D.Lgs. n. 23/2015, la comunicazione del recesso va preceduta da una comunicazione all'Ispettorato Territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore. A seguito di tale comunicazione, si attiva una procedura che prevede un incontro tra le parti finalizzata a verificare la possibilità di scongiurare il licenziamento ovvero a giungere ad un accordo consensuale per la risoluzione del rapporto di lavoro. In caso contrario, comunque il rapporto di lavoro cessa con effetto dalla data di avvio della procedura.

L'art. 11, L. n.604/1966 prevede espressamente che tali regole non si applicano alla materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale.

La disciplina del licenziamento collettivo

Le regole dei licenziamenti collettivi sono state disciplinate dal legislatore con la L. n. 223/1991 che ha recepito nel nostro Paese la direttiva comunitaria n. 75/129 del 17 febbraio 1975.

In particolare, sono gli artt. 4 e 24 a rappresentare il punto di riferimento; tali norme si occupano nel primo caso delle imprese ammesse al trattamento straordinario di integrazione salariale, nel secondo caso delle altre imprese che comunque occupano più di 15 dipendenti.

In particolare, l'art. 4 prevede che l'impresa ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale, qualora nel corso di attuazione del programma relativo alla richiesta ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative, ha facoltà di avviare la procedura di licenziamento collettivo.

L'art. 24, prevede che le disposizioni di cui all'art. 4, cc. da 2 a 12 e 15-bis, e all'art. 5, cc. da 1 a 5, si applicano alle imprese che occupano più di 15 dipendenti, compresi i dirigenti, e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendono effettuare almeno 5 licenziamenti, nell'arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell'ambito del territorio di una stessa provincia. Le suddette disposizioni si applicano per tutti i licenziamenti che, nello stesso arco di tempo e nello stesso ambito, siano comunque riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione.

Dunque due requisiti devono ricorrere congiuntamente:

1) soglia dimensionale dell'impresa. Essa deve occupare più di 15 dipendenti. Il limite va individuato sulla base del principio più volte ribadito dalla corte di cassazione della "normale occupazione" con riguardo al periodo di tempo antecedente al licenziamento e non anche a quello successivo di preavviso senza dare rilevanza alle contingenti e occasionali contrazioni o anche espansioni del livello occupazionale aziendale. Tale criterio, inoltre, deve essere riferito ai lavoratori dipendenti e non semplicemente agli addetti o agli occupati, non potendosi considerare dipendenti tutti coloro che prestino la propria attività per l'azienda, ma solo quelli ad essa legati da rapporto di subordinazione (ex plurimis Cass. n. 13274/2003 n. 2460/2014). Quindi non va tenuto conto del momento nel quale la procedura viene avviata ma del numero dei lavoratori normalmente occupati.

In caso di variabilità del livello occupazionale strutturale al carattere dell'attività produttiva trova conferma il criterio medio statistico della normale occupazione e, per l'individuazione dell'arco di tempo in cui calcolare tale media, il periodo temporale utilizzabile più appropriato è quello riferito all'anno (cfr. Cass. Sent. n. 2546/2004, Cass. n. 4394/1974).

Il Ministero del Lavoro con la circolare n. 3 del 16 gennaio 2013 si è soffermato su tale aspetto ricordando che, generalmente, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto applicabile la media dei lavoratori occupati negli ultimi sei mesi, anche se nelle aziende ove, per motivi di mercato o di attività svolta in periodi predeterminati, l'occupazione è “fluttuante”, la giurisprudenza oscilla tra un concetto di “media” (Cass. Sent. n. 2546/2004) ed uno di “normalità” della forza lavoro riferita all'organico necessario in quello specifico momento dell'anno (Cass. sent. n. 2241/1987; Cass. sent. n. 2371/1986).

2) numero di licenziamenti. Almeno 5 nell'arco temporale di 120 giorni. Tale periodo potrebbe anche risultare più lungo nel caso in cui ciò derivi dalla procedura di confronto sindacale.

In presenza di tali condizioni, conseguentemente, tutti i licenziamenti di natura economica relativi alla medesima riduzione o trasformazione vengono ricondotti ad un'unica procedura. Non si tiene conto delle cessazioni dei contratti di lavoro a tempo determinato per scadenza del termine.

Dal 25 novembre 2014, a seguito dell'entrata in vigore della L. 30 ottobre 2014, n. 161, nel computo dei dipendenti occorre considerare anche i dirigenti.
Tale scelta è stata determinata dalla necessità di dar seguito alla decisione della Corte di Giustizia europea che aveva censurato la disciplina italiana nella misura in cui aveva escluso i lavoratori con qualifica di dirigente (causa C-596/2012 che, ha dichiarato l'illegittimità della normativa italiana in materia di licenziamenti collettivi nella parte in cui esclude dalla procedura e dal conseguente trattamento di mobilità la categoria dei dirigenti).

La procedura: criteri di scelta, comunicazioni, esclusioni

Quando un datore di lavoro deve procedere alla riduzione di personale e ricade nell'ambito delle citate regole che riconducono le ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro nella disciplina dei licenziamenti collettivi, deve preventivamente effettuare una comunicazione per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali costituite ai sensi dell'art. 19, L.20 maggio 1970, n. 300, nonché alle rispettive associazioni di categoria. Nel caso nel luogo di lavoro non risultino rappresentanze sindacali la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione alle associazioni di categoria può essere effettuata per il tramite dell'associazione dei datori di lavoro alla quale l'impresa aderisce o conferisce mandato.
L'avvio della procedura va destinata anche all'organo amministrativo competente da individuarsi in relazione alle regole specifiche del territorio considerando che la materia è di competenza regionale che potranno aver delegato le singole province.

Fra comunicazione del recesso del lavoratore e comunicazione alle organizzazioni sindacali e dei competenti uffici del lavoro dell'elenco dei lavoratori licenziati e delle modalità di applicazione dei criteri di scelta, deve sussistere il requisito della contestualità, richiesta a pena d'inefficacia del licenziamento e intesa quale indispensabile contemporaneità delle due comunicazioni.

Tale mancanza può non determinare l'inefficacia del recesso solo se sostenuta da giustificati motivi di natura oggettiva della cui prova è onerato il datore di lavoro.

La comunicazione deve contenere:

  • motivi che determinano la situazione di eccedenza;
  • motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, il licenziamento collettivo;
  • numero, collocazione aziendale e profili professionali del personale eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato;
  • tempi di attuazione del programma di riduzione del personale (qualora il progetto imprenditoriale sia diretto a ridimensionare l'organico dell'intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro attraverso il criterio dell'anzianità contributiva, in tema di verifica della sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva, l'imprenditore può limitarsi all'indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, senza che occorra l'indicazione degli uffici o dei reparti con eccedenza);
  • eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma medesimo del metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva.

La comunicazione, per assolvere alla funzione a cui è normativamente preordinata, non può essere parcellizzata in tante comunicazioni, ognuna cioè ai singoli lavoratori coinvolti, ma deve essere unica e tale da esprimere l'assetto definitivo sull'elenco dei lavoratori da licenziare e sulle modalità di applicazione dei criteri di scelta.

La fase della comunicazione iniziale è fondamentale in quanto, come ricordato dalla recente giurisprudenza (Cass. sent. n. 2943 del 31 gennaio 2019), che ha richiamato quanto affermato dalla “ Corte di Giustizia, la quale ha avuto modo di rimarcare il ruolo fondamentale che riveste il diritto all'informazione ed alla consultazione di cui sono destinatari i rappresentanti sindacali - i quali esclusivamente lo possono esercitare - nel contesto delle procedure di licenziamento collettivo, sottolineando in particolare (vedi sentenza 16/7/09 C-12/08) che l'art. 2 della direttiva 98/59 deve essere interpretato nel senso di impedire ad una normativa nazionale di ridurre gli obblighi del datore di lavoro che intenda procedere al licenziamento collettivo rispetto a quanto statuito dallo stesso art.2 della direttiva (punto 3 del dispositivo della suddetta sentenza); principi confermati successivamente dalla sentenza 13/2/14 C-596/12 secondo cui, armonizzando le norme applicabili ai licenziamenti collettivi, il legislatore comunitario ha inteso, nel medesimo tempo, garantire una protezione di livello comparabile dei diritti dei lavoratori nei vari Stati membri e uniformare gli oneri che tali norme di tutela comportano per le imprese della Comunità (v. sentenze dell'8 giugno 1994, Commissione/Regno Unito, C-383/92, Racc. pag. 1-2479, punto 16, e del 12 ottobre 2004, Commissione/Portogallo, C-55/02, Racc. pag. 1-9387, punto 48).

La articolata procedura che scandisce i licenziamenti collettivi assicura, quindi, una tutela a tutti i lavoratori nella fase di risoluzione del rapporto, che risulta garantita dalla completezza del sistema informativo, e da tutti gli ulteriori adempimenti prescritti, assumendo l'obbligo di consultazione sindacale, valenza di elemento identificativo della procedura di licenziamento collettivo. In siffatto contesto normativo, l'omessa indicazione dei criteri di scelta del personale in eccedenza da parte datoriale nella fase di consultazione, si è tradotto in evidente vulnus agli obblighi su tale parte gravanti, riverberando i propri riflessi sulla legittimità del provvedimento espulsivo irrogato.”.

Ricevuta la comunicazione, le rappresentanze sindacali dei lavoratori possono richiedere entro sette giorni un esame congiunto allo scopo di valutare le cause che costituiscono la cause che determina l'eccedenza e le possibilità di evitate i licenziamenti attraverso una ricollocazione dei lavoratori o comunque una utilizzazione diversa, anche col ricorso ai contratti di solidarietà o a forme di flessibilità per la gestione del lavoro. Tale procedura deve concludersi entro quarantacinque giorni dalla data del ricevimento della comunicazione dell'impresa.

Le consultazioni si possono protrarre per un periodo massimo di 45 giorni salvo la riduzione a 30 giorni nei casi previsti dall'art. 3, comma 3, della L. n. 223/1991 in caso di procedure concorsuali.

I termini sono in ogni caso dimezzati ai sensi dell'art. 4, comma 8, qualora il numero dei lavoratori interessati alla procedura di mobilità sia inferiore a 10.

Esaurita la fase di consultazione sindacale, a prescindere dall'esito, il datore di lavoro ha l'obbligo di comunicare l'esito delle consultazioni alla Regione o alla Provincia competente delegata dalla Regione.

L'ufficio competente, nel caso di mancato accordo convoca le parti al fine di tentare l'intesa tra le parti.

Tale fase può durare al massimo 30 giorni (anche in questo caso opera la riduzione a metà nel caso i lavoratori interessati siamo meno di dieci) che decorrono dalla data di ricevimento della comunicazione da parte dell'ufficio. Conclusa la procedura l'impresa ha facoltà di procedere alla risoluzione dei rapporti di lavoro intimando il licenziamento individualmente ai singoli lavoratori.

I criteri di scelta

Molto importante nell'ambito dei licenziamenti da intimare risulta la scelta dei lavoratori interessati dalla procedura di riduzione del personale.

Le regole sono fissate dall'art. 5, L. n. 223/1991.

È previsto che l'individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti in sede di accordo sindacale ovvero in caso di mancato accordo sulla base di quanto previsto dai CCNL, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro:

a) carichi di famiglia;

b) anzianità;

c) esigenze tecnico-produttive ed organizzative.

La violazione di tali criteri comporta l'inefficacia del licenziamento.

Fra i criteri di scelta dei licenziamenti collettivi nelle procedure di riduzione del personale la giurisprudenza ha ritenuto legittimo basarsi sulla prossimità alla pensione dei lavoratori. Ciò consente a ridurre al minimo l'impatto sociale della riorganizzazione, salvaguardando inoltre il lavoratore che, in caso di licenziamento collettivo, non potrebbe beneficiare della protezione sociale garantita dal prepensionamento (Cass. n. 24755/2018).

L'adozione del criterio della maggiore vicinanza alla pensione risulta quindi coerente con la finalità del “minor impatto sociale” in quanto “astrattamente oggettivo e in concreto verificabile” (Cass. n. 7710/2018) e quindi rispondente alle necessarie caratteristiche di obiettività e razionalità.

La comunicazione finale

Una volta intimati i licenziamenti, entro sette giorni il datore di lavoro deve effettuare una comunicazione alla Commissione regionale per l'impiego e alle associazioni di categoria interessate dalla procedura iniziale, contenente l'elenco dei lavoratori licenziati, con l'indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell'età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta.

Quello delle comunicazioni, sia iniziale che finale, rappresenta un onere molto importante sanzionato con l'inefficacia del licenziamento (Cass. n. 22825/2009).

Per quanto concerne quello iniziale, invero il comma 45 dell'art. 1, L. n. 92/2012 ha previsto che gli eventuali vizi della comunicazione iniziale possono essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell'ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.

Diverso invece il caso che la procedura si sia conclusa con un accordo sindacale se il vizio riguarda invece la comunicazione finale.

La recente sentenza della Cassazione del 15 luglio 2014, n.16134, ha ribadito che il licenziamento collettivo può essere dichiarato inefficace dal giudice del lavoro per un vizio di forma (nel caso, la mancata comunicazione agli uffici del lavoro e alle organizzazioni sindacali delle modalità di applicazione dei criteri di scelta) che non è stato invocato in maniera specifica dal lavoratore nel ricorso introduttivo, qualora nel ricorso fosse comunque contenuta una qualche doglianza in merito alla violazione delle procedure previste dalla legge.

Esclusioni e specificità

Sono previste regole specifiche per alcune ipotesi.

Intanto le procedure dei licenziamenti collettivi non si applicano al recesso intimato da datori di lavoro non imprenditori che svolgono, senza fini di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di cultentemente, occorre riferirsi alle regole contenute nella L. n. 604/1966.
Inoltre, sono esclusi altresì i casi di fine lavoro nelle costruzioni edili, attività stagionali o saltuarie.

In caso di cessazione di rapporti di lavoro per fine appalto, invece, ai sensi dell'articolo 7, comma 4 bis, della L. 28 febbraio 2008, n.31, l'acquisizione del personale già impiegato nel medesimo appalto, a seguito del subentro di un nuovo appaltatore, non comporta l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 24, L. 23 luglio 1991, n. 223, nei confronti dei lavoratori riassunti dall'azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative o a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

Sanzioni

Il regime sanzionatorio relativo ai licenziamenti collettivi già stato rivisitato dalla citata L. n. 92/2012 risulta interessato dalla nuova disciplina in materia di contratto di lavoro a tutela crescenti.
In particolare, il D.Lgs. n. 23/2015, adottato in attuazione della legge delega 10 dicembre 2014, n.183, ha previsto un nuovo regime di tutela relativamente ai lavoratori assunti a far data dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 7 marzo 2015.

Per coloro che risultano invece già assunti precedentemente, continuano ad applicare le regole esistenti.

Nello specifico la regolamentazione delle varie ipotesi è contenuta per quanto concerne i lavoratori già in forza all'art. 1, comma 46, L. n. 92/2012.

Le ipotesi sono le seguenti:

- nel caso di licenziamento privo della forma scritta, il licenziamento è nullo e si applica il regime sanzionatorio previsto per i licenziamenti discriminatori e quindi la reintegra ed il risarcimento del danno determinato in misura pari alle retribuzioni perdute per tutto il periodo sin dalla data del licenziamento sino alla effettiva reintegra dedotte esclusivamente le somme percepite eventualmente per altre attività lavorative (cd. aliunde perceptum) con un minimo di cinque mensilità. Sono dovuti altresì i contributi previdenziali del periodo interessato. Rimane la possibilità per il lavoratore di optare, al posto della reintegra, per un'indennità pari a 15 mensilità.

- per la violazione delle procedure relative alle comunicazioni, il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro ad un'indennità risarcitoria omnicomprensiva da 12 a 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto determinata in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti. Gli eventuali vizi della comunicazione di avvio della procedura possono essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell'ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.

- se risultano vizi relativi ai criteri di scelta, si applica il regime della reintegrazione nel posto del lavoro nonché il pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (cd. aliunde perceptum), nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione (cd. aliunde percipiendum).
In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. In quest'ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d'ufficio alla gestione corrispondente all'attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro.

Per quelli che invece risultano assunti dal 7 marzo 2015, salvo il caso d'inosservanza della forma scritta per la quale è previsto il diritto del lavoratore alla reintegrazione, negli altri casi, ovvero quelli di violazione delle procedure previste dalla L. n. 223/1991 o dei criteri di scelta, il regime sanzionatorio è unicamente quello indennitario di cui all'art. 3, co. 1, D.lgs. n. 23/2015.

Tale criterio prevede una indennità crescente in relazione all'anzianità di servizio del lavoratore presso il datore di lavoro, pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di 6 mensilità ed un massimo di 36 mensilità.

Ai fini del calcolo dell'indennità, le frazioni di anno d'anzianità di servizio sono riproporzionate e le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni si computano come mese intero.

Nel caso di lavoratori occupati negli appalti, l'anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell'impresa subentrante nell'appalto medesimo, si computa tenendosi conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell'attività appaltata.

La forbice prevista nel minimo e nel massimo evidenziata in precedenza, è stata modificata dall'art. 3, co. 1, D.L. 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni della L. 9 agosto 2018, n. 96 e si applica ai licenziamenti intimati dal 14 luglio 2018, data di entrata in vigore del decreto.

Per i licenziamenti intimati fino al 13 luglio 2018, invece, continuano ad applicarsi i limiti previgenti, pari ad un minimo di 4 mensilità ed un massimo di 24 mensilità.

Nel caso di licenziamento intimato senza l'osservanza della forma scritta, oltre al reintegro, al lavoratore spetta anche un'indennità commisuarata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e, in ogni caso non inferiore a 5 mensilità, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. Al lavoratore è riconosciuto anche la facoltà (da esercitarsi entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore) di sostituire la reintegrazione con un'indennità pari a 15 mensilità, non assoggettata a contribuzione previdenziale.

Va ricordato, infine, che il lavoratore potrà contestare stragiudizialmente il licenziamento a pena di decadenza entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione.

Osservato tale termine, dovrà proporre ricorso al giudice del lavoro, a pena di inefficacia dell'impugnazione, entro i successivi 180 giorni.

La sentenza della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale, con la sentenza 8 novembre 2018, n. 194, pubblicata nella G.U. della Corte Costituzionale 14 novembre 2018, n. 45, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, co. 1, D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 limitatamente alle parole «di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio».

In particolare – si legge nella sentenza – che “nel rispetto dei limiti, minimo e massimo, dell'intervallo in cui va quantificata l'indennità spettante al lavoratore illegittimamente licenziato, il giudice terrà conto innanzi tutto dell'anzianità di servizio - criterio che è prescritto dall'art. 1, co. 7, lett. c), L. n. 183/2014 e che ispira il disegno riformatore del D.Lgs. n.23 del 2015 - nonché degli altri criteri già prima richiamati, desumibili in chiave sistematica dalla evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell'attività economica, comportamento e condizioni delle parti).”.

Di conseguenza, il Giudice partirà comunque applicando il criterio delle tutele crescenti previsto dall'art. 3, co. 1, D.Lgs. n. 23/2015 e quindi dell'anzianità di servizio ma terrà anche conto degli altri criteri contenuti nelle disposizioni in materia di tutela in caso di licenziamenti dichiarati illegittimi.

Dunque, l'art. 18, L. n. 300/1970 in caso di datori di lavoro in regime di tutela reale e l'art. 8, L. n. 604/1966 in caso di tutela obbligatoria, già trattati in precedenza.

Riferimenti

Giurisprudenza

Per i recenti orientamenti sul tema, v. 

Tribunale Firenze, sez. lav., 26 dicembre 2023, con commento di R. Maraga, Anti-delocalizzazioni: in caso di omissione della preventiva procedura al licenziamento collettivo, si profila la condotta antisindacale

Cass. Civ. sez. lav., 8 febbraio 2023, n. 3786, con commento di C. Pulvirenti,  Licenziamento collettivo: le condizioni necessarie per poter legittimamente circoscrivere il perimetro della procedura ad una sola unità produttiva

Cass. Civ. sez. lav., 20 febbraio 2023, n. 5205, con commento di T. Zappia, Licenziamento collettivo “a bacino ristretto”: ibridazione del criterio della fungibilità professionale mediante il fattore geografico ed economico

  • Cass. Civ., sentenza 15 luglio 2014, n. 16134
  • Cass. Civ., sentenza 4 febbraio 2014, n. 2460
  • Cass. Civ., sentenza 28 ottobre 2009, n. 22825
  • Corte di Giustizia CE, 13 febbraio 2014
  • Cass. Civ., sentenza 10 febbraio 2004, n. 2546
  • Cass. Civ., sentenza 10 settembre 2003, n. 13274
  • Cass. Civ., sentenza 3 marzo 1987, n. 2241
  • Cass. Civ., sentenza 5 aprile 1986, n. 2371
  • Cass. Civ., sentenza n. 4394/1974
  • Cass. Civ., sentenza n. 23616/2015
  • Cass. Civ., sentenza n. 22914/2015
  • Cass. Civ., sentenza n. 23034/2018
  • Cass. Civ., sentenza n. 2943/2019
  • Corte Cost., sentenza n. 194/2018

Normativa

  • D.L. 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018, n. 96
  • D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23
  • Legge 10 dicembre 2014, n. 183
  • Legge 30 ottobre 2014, n. 161
  • Legge 28 giugno 2012, n. 92
  • Legge 28 febbraio 2008, n. 31
  • Legge 23 luglio 1991, n. 223
  • Legge 20 maggio 1970, n. 300
  • Legge 15 luglio 1966, n. 604

Prassi

  • Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Circolare 16 gennaio 2013, n. 3

Sommario