Consulente tecnico d'ufficio

Vito Amendolagine
17 Febbraio 2016

Il consulente tecnico d'ufficio - in seguito indicato con l'acronimo di CTU - svolge la funzione di ausiliario del giudice lavorando sulla base di un rapporto fiduciario nel rispetto delle prerogative definite dal codice di rito al fine di rispondere ai quesiti - che lo stesso giudice che ha provveduto alla nomina formula nella stessa udienza di conferimento od accettazione dell'incarico - le cui conclusioni sono esposte nell'elaborato peritale che prende il nome di Consulenza Tecnica d'Ufficio.Il CTU, in qualità di tecnico ausiliario del giudice, se accetta l'incarico, deve prestare il giuramento di rito, di adempiere bene e fedelmente alle funzioni assegnategli, al solo scopo di fare conoscere al giudice la verità, tutelando il contraddittorio, consentendo alle Parti e/o rispettivi rappresentanti nel processo civile di partecipare alle operazioni peritali, rispondendo alla domanda del singolo quesito posto dal giudicante, senza esorbitare e motivando dal punto di vista squisitamente tecnico le relative conclusioni dopo essersi confrontato con i rispettivi consulenti di parte.
Inquadramento

Il consulente tecnico d'ufficio - in seguito indicato con l'acronimo di CTU - svolge la funzione di ausiliario del giudice lavorando sulla base di un rapporto fiduciario nel rispetto delle prerogative definite dal codice di rito al fine di rispondere ai quesiti - che lo stesso giudice che ha provveduto alla nomina formula nella stessa udienza di conferimento od accettazione dell'incarico - le cui conclusioni sono esposte nell'elaborato peritale che prende il nome di

Consulenza Tecnica d'Ufficio

.

Il CTU, in qualità di tecnico ausiliario del giudice, se accetta l'incarico, deve prestare il giuramento di rito, di adempiere bene e fedelmente alle funzioni assegnategli, al solo scopo di fare conoscere al giudice la verità, tutelando il contraddittorio, consentendo alle Parti e/o rispettivi rappresentanti nel processo civile di partecipare alle operazioni peritali, rispondendo alla domanda del singolo quesito posto dal giudicante, senza esorbitare e motivando dal punto di vista squisitamente tecnico le relative conclusioni dopo essersi confrontato con i rispettivi consulenti di parte.

La responsabilità civile per fatto illecito del CTU è disciplinata dall'

art. 64 c.p.c.

, secondo cui è il predetto ausiliare del

giudice

che deve risarcire i danni che ha cagionato alle parti con la sua condotta colposa mentre il Ministero della Giustizia non può rispondere di tale condotta né è garante delle obbligazioni risarcitorie di questi.

Ed invero il CTU svolge, nell'ambito del processo, una pubblica funzione quale ausiliare del

giudice

, nell'interesse generale e superiore della giustizia, con responsabilità civile, penale e disciplinare. Ciò premesso, la responsabilità civile del CTU comporta per lo stesso l'obbligo di risarcire il danno che abbia cagionato in violazione dei doveri connessi all'ufficio (

Cass. civ., sez. I, 21 ottobre 1992, n. 11474; Cass. civ., sez. II, 25 maggio 1973, n. 1545), atteso che lo stesso CTU non esercita funzioni giudiziarie in senso tipico (Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2015, n.18313; Cass. civ., sez. III, 5 agosto 2010, n. 18170; Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2008, n. 11229

).

Il giudice può disporre indagini tecniche suppletive od integrative, sentire a chiarimenti il

consulente

tecnico

d'ufficio sulla relazione già depositata o rinnovare, in parte o integralmente le indagini, sostituendo il CTU. Il provvedimento con cui il

giudice

dispone la rinnovazione delle indagini non priva di efficacia l'attività espletata dal

consulente

sostituito.

Il CTU nello svolgimento della propria attività deve scindere i fatti dalle opinioni, e già all'atto del conferimento dell'incarico può chiedere al giudice di essere autorizzato ad avvalersi di un coadiutore per il compimento delle relative attività d'indagine, ferma restando la propria esclusiva ed integrale responsabilità per le conclusioni rassegnate nell'elaborato peritale.

Inoltre, nella relazione, il CTU deve sempre fare riferimento a dati certi ritualmente prodotti in atti dalle parti del processo o che siano comunque consultabili e conoscibili pubblicamente.

Quanto alla liquidazione di onorari a vacazione, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che per attività ultimate dopo la scadenza del termine, il

giudice

di merito, nell'impossibilità di sceverare quale parte dell'incarico - che implica studio e predisposizione di appunti, bozze, schemi preparatori, e non solo la redazione della copia finale presentata - sia stata svolta prima del termine e quale dopo, può ritenere di ricorrere ad un criterio riduttivo mutuato dall'ultima parte dell'

art. 52 del d.P.R. n.115/2002

, ossia la riduzione di un terzo.

La norma che esclude il compenso per il periodo successivo alla scadenza del termine opera infatti nel senso di impedire che siano attribuite vacazioni computabili oltre il numero massimo calcolabile per i giorni compresi nel termine concesso, ma non consente di acquisire senza compenso la prestazione. Se per la prestazione è previsto il compenso a vacazioni, detto compenso è limitato da una soglia massima, costituita dalle vacazioni possibili nell'arco di tempo stabilito dal

giudice

per la consegna tempestiva, secondo il limite giornaliero di vacazioni (

Cass. civ., sez. I, 18 settembre 2015, n.18331

).

Poteri e limiti

In tema di consulenza tecnica

d'ufficio

, rientra nel potere del

consulente

tecnico

d'ufficio

attingere aliunde notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli, e che dette indagini possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice purchè ne siano indicate le fonti, in modo che le parti siano messe in grado di effettuarne il controllo, a tutela del principio del contraddittorio (

Cass. civ., sez. I, 28 gennaio 2010, n.1901; Cass. civ., sez. I, 23 maggio 2008, n.13428; Cass. civ., sez.III, 6 novembre 2001, n. 13686

).

Al riguardo va precisato che la mera anticipazione del parere sulla base dei primi riscontri effettuati dal CTU, sebbene costituisca un'irregolarità, non dà luogo, in sè considerata, a nullità della consulenza, neppure nel caso in cui il

consulente

concluda poi in senso difforme dal parere originariamente espresso (Cass. civ., sez. III, 16 dicembre 1971, n. 3691).

E tuttavia occorre chiarire entro quali limiti è legittimo l'esercizio di tale facoltà da parte del

consulente

e quali siano i dati, le notizie, i documenti che egli può acquisire aliunde.

Il criterio guida è che si tratta di un potere funzionale al corretto espletamento dell'incarico affidato, che non comporta alcun potere di supplenza, da parte del

consulente

, rispetto al mancato espletamento da parte dei contendenti al rispettivo onere probatorio.

Esso viene legittimamente esercitato in tutti i casi in cui al

consulente

sia necessario, per portare a termine l'indagine richiesta, acquisire documenti in genere pubblici non prodotti dalle parti e che tuttavia siano necessari per portare a termine l'indagine e per verificare sul piano

tecnico

se le affermazioni delle parti siano o meno corrette e nel contraddittorio delle parti, acquisire documenti non prodotti e che possano essere nella disponibilità di una delle parti o anche di un terzo qualora ne emerga l'indispensabilità all'accertamento di una situazione di comune interesse.

Il CTU può anche acquisire dati tecnici di riscontro alle affermazioni e produzioni documentali delle parti, indicando la fonte di acquisizione dei dati per consentire loro di verificarne l'esatto e pertinente prelievo (

Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2015, n.12921

).

Inoltre, se è vero che la consulenza tecnica non può supplire alla deficienza delle allegazioni o prove offerte dalla parte, è pur vero che, ai sensi dell'

art. 194 c.p.c., comma 1

, il CTU può assumere informazioni da terzi e procedere all'accertamento dei fatti costituenti presupposti necessari per rispondere ai quesiti postigli, semprechè si tratti di fatti accessori rientranti nell'ambito strettamente

tecnico

dell'incarico affidatogli e non di fatti e situazioni posti direttamente a fondamento delle domande o delle eccezioni delle parti. A mente dell'

art. 198 c.p.c., comma 2

il CTU può anche, previo consenso di tutte le parti, esaminare documenti e registri non prodotti in causa (

Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2013, n.2251

), ma non ha il potere di accertare i fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni, il cui onere probatorio incombe sulle parti, atteso che se sconfina dai limiti intrinseci al mandato conferitogli dal giudice, tali accertamenti sono nulli per violazione del principio del contraddittorio, e, perciò, privi di qualsiasi valore probatorio, sia pure indiziario (

Cass. civ., sez. II, 27 agosto 2012, n.14655

).

Il

consulente

di ufficio può avvalersi dell'opera di uno specialista senza che sia, all'uopo, necessaria la preventiva autorizzazione o la successiva ratifica del

giudice

procedente, sempre che lo stesso

consulente

assuma in proprio la responsabilità morale e scientifica dell'accertamento e delle conclusioni raggiunte dallo specialista (

Cass. civ., sez. III, 17 aprile 2013, n.9245; Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2006, n.7243

).

Compenso

Il principio della solidarietà nei rapporti fra il consulente tecnico d'ufficio e le parti del giudizio ordinario, in relazione all'obbligazione inerente al compenso dovuto al primo per l'attività svolta, si fonda sulla natura della prestazione, effettuata in funzione di un interesse comune delle parti del giudizio nel quale è stata resa, che assorbe e trascende quello proprio e particolare delle singole parti (

Cass. civ., sez. I, 21 marzo 2014, n. 6736

).

A ciò aggiungasi che in tema di compenso per gli ausiliari del giudice, dal disposto della

l. n. 319/1980, art. 11

e

l. n. 794/1942, art. 29

si deduce che il provvedimento di liquidazione ha carattere giudiziale, suscettibile di acquistare valore di giudicato in caso di mancata opposizione nel termine di legge da parte di tutti coloro che possono averne interesse (

Cass. civ., sez. III, 30 dicembre 2014, n. 27515

).

Decreto di liquidazione

Il decreto di liquidazione di cui alla

l. n. 319/1980, art. 11

ha e conserva efficacia esecutiva nei confronti della parte in esso indicata come obbligata e - finché la controversia non sia risolta con sentenza passata in giudicato, che provveda definitivamente anche in ordine alle spese - ha l'effetto di obbligare il CTU a proporre preventivamente la sua domanda nei confronti della parte ivi indicata come provvisoriamente obbligata al pagamento e solo nel caso di sua inadempienza può agire nei confronti dell'altra, in forza della responsabilità solidale che, in linea di principio, grava su tutte le parti del processo per il pagamento delle spese di CTU e che perdura anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del processo, anche indipendentemente dalla definitiva ripartizione fra le parti dell'onere delle spese (

Cass. civ., sez. VI, 8 novembre 2013, n. 25179; Cass. civ., sez. I, 7 dicembre 2004, n. 22962; Cass. civ., sez. I, 8 luglio 1996, n. 6199

).

Il CTU può agire per il pagamento in via ordinaria non solo nei casi in cui sia mancato un provvedimento giudiziale di liquidazione, ma anche quando il decreto emesso a carico di una parte sia rimasto inadempiuto (

Cass. civ., sez. II, 15 settembre 2008, n. 23586

).

La provvisorietà del decreto di liquidazione in esame comporta che la sua efficacia esecutiva concerne la parte nello stesso indicata come obbligata e nella misura stabilita dal detto provvedimento, nel senso che l'ausiliario, fino a quando la controversia non sia decisa con una sentenza che statuisca pure sulle spese di lite, è tenuto a proporre prima la sua domanda nei confronti del soggetto ivi menzionato nella misura indicata in decreto e, solo ove questi resti inadempiente, può agire nei confronti degli altri.

Una volta che la controversia sia stata risolta con sentenza che pronunci sulle spese, il perito dell'ufficio può fare valere le sue ragioni, invece, direttamente nei confronti di ogni parte in virtù della loro responsabilità solidale, indipendentemente dalla definitiva ripartizione dell'onere delle spese stabilita dal giudice, atteso che diversa è la funzione del decreto di liquidazione e della statuizione delle spese di consulenza contenute in sentenza (

Cass. civ., sez. II, 12 novembre 2015, n. 23133

).

Soggetti obbligati al pagamento del compenso

La consulenza tecnica

d'ufficio

rappresenta non un mezzo di prova in senso proprio, ma un ausilio per il giudice e, quindi, un atto necessario del processo che l'ausiliare pone in essere nell'interesse generale della giustizia e comune delle parti in virtù di un mandato neutrale, donde, il regime del pagamento delle spettanze del medesimo CTU prescinde dalla ripartizione dell'onere delle spese tra le parti contenuto in sentenza, che avviene sulla base del principio della soccombenza e, concernendo unicamente il rapporto fra dette parti, non è opponibile all'ausiliario (

Cass. civ., sez. II, 15 settembre 2008, n. 23586

).

Da ciò consegue che le parti sono solidalmente responsabili del pagamento delle relative competenze anche dopo che la controversia, durante la quale il

consulente

ha espletato il suo incarico, sia stata decisa con sentenza, sia definitiva sia non ancora passata in giudicato, a prescindere dalla ripartizione di dette spese stabilita nella stessa sentenza e, quindi, altresì, ove tale ripartizione sia difforme da quella in precedenza adottata con il decreto di liquidazione emesso dal giudice. L'unica eccezione a tale principio si rinviene nella emissione di un provvedimento incidentale di revoca o modifica del decreto di liquidazione prima della emissione della sentenza a regolazione definitiva delle competenze dell'ausiliario (

Cass. civ., sez. VI, 5 novembre 2014, n. 23522; Cass. civ., sez. VI, 8 novembre 2013, n. 25179

), atteso che, in tal caso, rimane intatto il diritto del

consulente

, ai sensi del

d.P.R. n. 115/2002, art. 170

,

di proporre opposizione a tale modifica, facoltà che invece non sussiste una volta emessa la decisione definitiva, rispetto alla quale detto ausiliare perde qualunque legittimazione processuale ad interloquire sul quantum e sul quomodo di realizzazione del proprio credito.

Tale impostazione comporta che se la parte incisa dall'azione esecutiva del

consulente

proponga opposizione all'esecuzione facendo valere la nel frattempo intervenuta, sentenza di merito che vada ad incidere oggettivamente o relativamente ai soggetti onerati, sulla precedente liquidazione esecutiva ex lege, detta pronuncia non si pone come fatto incidente sul diritto di credito già sorto come neppure sulla identificazione dei soggetti onerati (

Cass. civ., sez. II, 12 novembre 2015, n. 23133

).

Pertanto il giudice può ripartire le spese della consulenza tecnica d'ufficio in quote uguali tra la parte soccombente e la parte totalmente vittoriosa, senza violare, in tal modo, il divieto di condanna di quest'ultima alle spese di lite, atteso che la compensazione non implica condanna, ma solo esclusione del rimborso considerato che la consulenza tecnica d'ufficio, quale ausilio fornito al giudice da un collaboratore esterno, anzichè mezzo di prova in senso proprio, è un atto compiuto nell'interesse generale della giustizia e, dunque, nell'interesse comune delle parti (

Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2013, n. 1023; Cass. civ., sez. I, 8 settembre 2005, n. 17953

).

Il consulente tecnico d'ufficio nell'arbitrato

Il rapporto che connota la presenza del consulente tecnico d'ufficio nel giudizio arbitrale nasce esclusivamente - salva l'ipotesi di intervento, in concreto, di specifici accordi con le parti, anche in merito all'entità del compenso - da un incarico conferito dagli arbitri, a loro volta legati alle parti da un negozio giuridico di natura privatistica (

Cass. civ., sez. I, 21 marzo 2014, n.6736).

Ai sensi dell'

art. 1719 c.c.

, da tale rapporto di mandato scaturisce l'obbligo del mandante di somministrare al mandatario i mezzi necessari per l'esecuzione del mandato e per l'adempimento delle obbligazioni che a tal fine il mandatario ha contratte in proprio nome. Tale disposizione, pertinente al rapporto in esame ove si consideri che, secondo l'orientamento prevalente, gli arbitri non necessitano del consenso delle parti al fine di disporre la consulenza tecnica d'ufficio, e, quindi, di certo non agiscono in loro nome, trova piena rispondenza nella disciplina del rapporto arbitrale. Infatti l'

art. 814 c.p.c.

, prevede che le parti sono tenute, in via solidale, al rimborso, in favore degli arbitri, delle spese, nonchè al pagamento dell'onorario per l'opera prestata, dovendosi nelle prime ricomprendere anche quelle relative alla consulenza tecnica d'ufficio e del funzionamento del collegio, compreso il compenso al segretario (

Cass. civ., sez. I, 23 giugno 2008, n. 17034; Cass. civ., sez. I, 30 dicembre 2004, n. 24260

).

Non essendo, quindi, predicabile l'azione diretta del consulente tecnico nei confronti delle parti per ottenere il proprio compenso, dovendo esso rivolgersi agli arbitri che lo hanno nominato, è evidente che la solidarietà passiva è da escludersi in apicibus, dovendo al contrario affermarsi, sulla base del chiaro tenore letterale dell'

art. 814 c.p.c.

, nei rapporti fra le parti e gli arbitri.

Orientamenti a confronto

CONSULENTE TECNICO D'UFFICIO: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

il giudice di secondo grado che abbia disposto la rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio espletata in primo grado, può accogliere le conclusioni di quest'ultima, anzichè della seconda consulenza, purchè motivi le ragioni della scelta e contesti le argomentazioni contrastanti della consulenza non accolta.

Cass. civ., sez.III, 7 ottobre 2015, n. 20125

L'affidamento di un incarico ad un consulente iscritto nell'albo di altro tribunale, o non iscritto in alcun albo, in assenza di motivazione che indichi i motivi della scelta, è valido e non è censurabile in sede di legittimità, trattandosi di valutazione rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito attesa la natura non cogente delle norme di cui agli artt. 61, comma 2, c.p.c. e 22 delle relative disposizioni di attuazione.

Cass. civ., sez.I, 28 settembre 2015, n. 19173

La nota che il consulente deve presentare al giudice deve essere specifica quanto alle spese e documentare quelle che siano documentabili.

Nessun dubbio che vi siano spese vive che non richiedono fatturazione o ricevuta fiscale, perchè insite nella presentazione dell'elaborato, quali la carta, gli inchiostri e i materiali di supporto e cancelleria indispensabili per la presentazione della relazione. Esse sono documentate in re ipsa, con il deposito della relazione, così come quasi sempre è innegabile, secondo un criterio di regolarità causale, un costo di trasporto ove lo studio professionale o la residenza del consulente non siano nelle vicinanze dell'ufficio giudiziario o degli altri luoghi in cui il consulente si debba recare a cagione dell'incarico.

Cass. civ., sez.I, 18 settembre 2015, n. 18331

In tema di consulenza tecnica d'ufficio, ai sensi dell'art. 194 c.p.c., comma 2, e dell'art. 90 disp. att. c.p.c., comma 1 alle parti va data comunicazione del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali, mentre l'obbligo di comunicazione non riguarda le indagini successive, incombendo alle parti l'onere di informarsi sul prosieguo di queste al fine di parteciparvi.

Cass. civ., sez.III, 18 marzo 2014, n. 6195

Nella determinazione degli onorari spettante al CTU va applicato il criterio delle vacazioni, anziché quello a percentuale, non solo quando manca una specifica previsione della tariffa, ma altresì quando, in relazione alla natura dell'incarico ed al tipo di accertamento richiesto dal giudice, non sia logicamente giustificata e possibile un'estensione analogica delle ipotesi tipiche di liquidazione del compenso secondo il criterio della percentuale.

Cass. civ., sez. I, 25 marzo 2015, n. 6019

Casistica

CASISTICA

Determinazione compenso c.t.u.

La motivazione riferita alla determinazione del compenso del ctu effettuata sulla scorta dell'attività concernente la stima di un veicolo reduce da sinistro stradale secondo cui detta attività non può considerarsi esaurita nella semplice effettuazione di una comparazione tra riviste specializzate di settore, giustifica il superamento di una liquidazione ristretta a due-tre vacazioni, cioè al tempo sufficiente per reperire e consultare qualche rivista specializzata sul valore degli autoveicoli, ma non rende congrua la liquidazione delle vacazioni richieste nella misura di 250 (Cass. civ., sez. VI, 2 febbraio 2015, n.1869).

La liquidazione del compenso del c.t.u.

In tema di liquidazione del compenso al consulente tecnico d'ufficio, il principio di onnicomprensività dell'onorario sancito dal D.M. 30 maggio 2002, art. 29, riguarda senz'altro le attività complementari ed accessorie che, pur non essendo specificamente previste in sede di conferimento dell'incarico, risultano tuttavia strumentali all'accertamento tecnico (Cass. civ., sez. II, 19 dicembre 2014, n. 27126).

Come si determina il valore della controversia per il calcolo del compenso spettante al c.t.u.

Ai fini della determinazione del compenso spettante al consulente tecnico d'ufficio (nella specie, incaricato di espletare un accertamento di natura contabile in una procedura fallimentare circa gli interessi relativi ad un mutuo bancario) deve aversi riferimento non all'intero ammontare del mutuo, ma - in applicazione del principio generale, valevole anche al di fuori delle questioni di competenza, secondo cui il valore della controversia si determina in base alla domanda - in relazione agli importi oggetto di contestazione e per i quali è stata disposta la consulenza tecnica (Cass. civ., sez. II, 4 novembre 2011, n.22959).

Il compenso al c.t.u. per distinti accertamenti da compiere in occasione dello stesso incarico

Nel caso in cui il consulente tecnico d'ufficio è chiamato a svolgere distinti accertamenti, sia pure nell'ambito di un unico incarico, la possibilità di considerare l'autonomia di talune indagini può comportare l'attribuzione di un compenso unitario che derivi dalla somma di quelli relativi ai singoli accertamenti, ma, di certo, i parametri da valutare per determinare ciascuno di questi ultimi devono corrispondere ai rispettivi valori (Cass. civ., sez. I, 27 ottobre 2014, n.22779).

Il compenso spettante al CTU per una pluralità di quesiti sottoposti con lo stesso incarico

Ai fini della determinazione giudiziale del compenso dovuto al consulente tecnico di ufficio, un incarico avente ad oggetto una pluralità di quesiti deve essere considerato unico atteso che la pluralità delle valutazioni richieste deve rilevare ai fini della determinazione giudiziale del compenso. Tale rilevanza, riguardo all'accertamento richiesto dal giudice e quando si tratti di accertamento plurimo, ancorchè in base ad incarico unitario, legittima la liquidazione degli onorari sommando quelli relativi a ciascuno dei distinti accertamenti richiesti (Cass. civ., sez. II, 8 ottobre 2014, n. 21224).

La specialità della l. n. 319/1980 nella liquidazione del compenso al CTU

La l. n. 319/1980, e successive modifiche, in tema di liquidazione del compenso spettante a periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori nominati dall'autorità giudiziaria, ha carattere di specialità e pertanto può essere applicata soltanto agli ausiliari del giudice elencati nelle norme di cui alla stessa l. n. 319/1980, art. 11, e l. n. 794/1942, art. 29 (Cass. civ., sez. II, 1 settembre 2014, n.18484).

l rimedi esperibili dalla parte nei confronti del consulente “non affidabile”

L'attendibilità del consulente, sotto il profilo della sua affidabilità personale - nel senso precipuo che non è affidabile chi dice una cosa e ne scrive una diversa, indipendentemente da quale sia la versione corretta e non già in riferimento ai contenuti precipui della consulenza - può venire in rilievo soltanto come sintomo della carenza d'imparzialità dell'ausiliario, quale aspetto che, se incidente sull'attività espletata in modo particolarmente fuorviante, può essere fatto valere tramite l'istituto della ricusazione. Ad esso rinvia, infatti, l'art. 63 c.p.c., consentendone l'attivazione per i motivi indicati nell'art. 51 c.p.c., in tema di astensione e, dunque, anche per gravi ragioni di convenienza, giacchè, nel caso del citato art. 63, a differenza di quanto previsto dall'art. 52 c.p.c., che limita la ricusazione ai casi in cui è fatto obbligo al giudice di astenersi, il rinvio anzidetto è senza eccezioni (Cass. civ., sez. III, 10 aprile 2014, n. 8406).

Sommario