Modello di organizzazione della governance in funzione penalistica

Dario Scarpa
11 Aprile 2017

La valutazione del modello di organizzazione della società per azioni, allo scopo di indagare le possibili ripercussioni di ordine penale sulle condotte amministrative dei componenti l'organo di amministrazione, vuole la ricostruzione della disciplina societaria in materia di obblighi informativi, transitivi e riflessivi, a carico dei soggetti agenti (ex art. 2381 c.c.).La disciplina introdotta dalla recente riforma societaria vede negli amministratori delegati i soggetti che, nel momento organizzativo della società di capitali, devono occuparsi della gestione dell'impresa; questi vengono, di conseguenza, considerati come la sorgente dei flussi informativi che ...
Abstract

La valutazione del modello di organizzazione della società per azioni, allo scopo di indagare le possibili ripercussioni di ordine penale sulle condotte amministrative dei componenti l'organo di amministrazione, vuole la ricostruzione della disciplina societaria in materia di obblighi informativi, transitivi e riflessivi, a carico dei soggetti agenti (ex art. 2381 c.c.).

Organizzazione societaria e informazione

La disciplina introdotta dalla recente riforma societaria vede negli amministratori delegati i soggetti che, nel momento organizzativo della società di capitali, devono occuparsi della gestione dell'impresa; questi vengono, di conseguenza, considerati come la sorgente dei flussi informativi che devono pervenire in consiglio d'amministrazione, riservando, all'opposto, ai consiglieri deleganti il compito di attenuazione delle asimmetrie informative endoconsiliari (v. artt. 2380, 2381 e 2391 c.c).

Volendo operare una prima distinzione è possibile scindere i doveri transitivi di informazione endosocietaria in generali o speciali sulla base dei soggetti su cui grava il dovere di trasmettere determinate informazioni al consiglio di amministrazione; risulta dunque possibile definire il dovere transitivo di informazione che grava su tutti gli amministratori come generale e quello che si colloca in capo agli organi delegati come speciale. Ancora, il dovere di informazione può essere differito: la circostanza che il dato normativo indichi che le informazioni devono essere rese in consiglio ad opera dei delegati, indica che gli stessi non sono tenuti ad un responso subitaneo, ma, al contrario, possono attendere il primo consiglio d'amministrazione successivo utile, attesa la necessaria regolarità delle adunanze del consiglio stesso e l'inesistenza di urgenza nella discussione della questione tale da suggerire la convocazione di una adunanza immediata (vedi Cass. civ., 4 novembre 2003, n. 16496).

Gli organi delegati forniscono al consiglio d'amministrazione, con cadenza periodica, un resoconto sull'attività svolta nell'esercizio delle deleghe e, in particolare, presentano apposita e puntuale informazioneall'organo collegiale sulle operazioni di incidenza rilevante rispetto alla situazione economico-patrimoniale della società che, in qualche modo, possano presentare elementi di criticità. Tale dovere transitivo di informazione cui gli organi delegati sono tenuti a rendere al consiglio di amministrazione ha carattere dispositivamente semestrale. Si rinvia all'autonomia statutaria la fissazione delle modalità di adempimento del dovere di informazione interorganica sulla base del principio della libertà delle forme di espressione del dovere di informazione, giungendo ad una maggiore frequenza di informazione periodica attraverso un congruo numero di riunioni del consiglio di amministrazione (art 150 Tuf per le società aperte).

Rischio-reato e modello di organizzazione

La ricostruzione procedurale della gestione societaria conduce il processo decisionale verso l'applicazione del principio di segregazione delle funzioni tra i delegati che svolgono fasi cruciali di un processo a rischio-reato, nel rispetto della cautela volta ad evitare la concentrazione dei poteri e l'insorgenza di conflitti di interesse, in ostacolo alla trasparenza e alla verificabilità dei processi decisionali. Si rifletta: la democraticizzazione, recte la segmentazione delle decisioni nei vari settori di attività sociale costituisce, di risulta, prodromo necessario ad una adeguata prevenzione del rischio-reato ( v. Cass. civ., 22 gennaio 2011, n. 2251 e Cass. civ., 15 novembre 2011, n. 41993).

Il modello di prevenzione del rischio-reato, inteso come dovere organizzativo della struttura della società, si sostanzia nell'obbligo di sorveglianza e di controllo normato ma, al contempo, deve prevedere regole autonormate che integrano un programma di autodisciplina finalizzato ad individuare regole cautelari orientate a ridurre il rischio-reato e, all'unisono, predisporre adeguati meccanismi di controllo sulla funzionalità del modello e sulla necessità di adeguamenti. In tale ottica, un ruolo fondamentale assume il rispetto del principio di adeguatezza societaria come momento scriminate un corretto modello di organizzazione e gestione dell'ente societario.

La fenomenologia della prassi societaria induce ad evidenziare che i mutamenti di circostanze e situazioni aziendali, in termini dimensionali ovvero di settore, che possono verificarsi nel corso del contratto sociale di lunga durata sono di diversa natura: possono, infatti, dipendere da avvenimenti di cui è incerto o addirittura imprevedibile il verificarsi ovvero essere astrattamente prevedibili, seppure ne rimangono incerti l'entità, il momento in cui si verificheranno gli effetti, le modalità di produzione degli stessi effetti e il loro prolungarsi (ex artt. 2423 e ss. c.c.). A queste si aggiungono altre circostanze che possono turbare l'economia del contratto sociale e della struttura organizzativa dell'ente e che trovano compiuta eterogenesi negli atti e decisioni dell'organo di amministrazione ovvero in deliberazioni del consesso assembleare (v. artt. 2446, 2447, 2501 e ss. c.c.).

Adeguatezza contrattuale e condotta penalmente rilevante

Atteso che vi è la necessità di adottare un sistema ciclico di adeguamento delle strutture, latamente intese, della società per l'accadimento di circostanze imprevedibili al momento della stipula del contratto sociale, il cui verificarsi può disequilibrare sostanzialmente la divisazione della regolamentazione d'interessi dei soggetti partecipanti come contraenti alla genesi della società, si deve tendere, naturaliter, verso l'attribuzione di rilevanza a qualsiasi fatto contingente che possa pregiudicare la convenienza economica dell'esecuzione del contratto sociale (art. 1321 c.c.).

La previsione contrattuale di una clausola di adeguatezza societaria necessita, come si intende dimostrare nel prosieguo della trattazione, di una stretta collaborazione tra gli organi della società, ed è imprescindibilmente legata al rispetto del principio di leale collaborazione e di buona fede; di guisa, i soci tendono ad accettare una qualsiasi previsione che possa adeguare il principio pacta sunt servanda alle mutate esigenze aziendali, attesi i possibili benefici individuabili nel corpo del contratto in virtù dell'inserimento di una clausola che possa generare certezza di adeguamento della struttura societaria. La clausola di adeguatezza può, quindi, trovare applicazione laddove vi sia uno squilibrio di dimensionamento dei vari settori imprenditoriali di attività sociale (ex art. 2381 c.c.).

Se si riflette attentamente sul dato normativo, si deduce come la disciplina societaristica considera come causa di adeguatezzaqualsiasi forma di squilibrio organizzativo indotto dal verificarsi di avvenimenti ordinari e straordinari, il cui carattere va valutato non in astratto ma alla luce del giudizio che, ex ante, un operatore giuridico-economico avrebbe ritenuto di formulare per cautelarsi nella gestione e nel controllo di una struttura societaria.

Volendo tentare una operazione di ricostruzione sistematica dei mezzi di adeguamento dell'organizzazione societaria, si può, a ragione, sostenere che le sopravvenienze aziendali, nella accezione più lata ed omnicomprensiva del termine, determinano la possibilità di sussumere all'interno della categoria delle circostanze di adeguamento qualsiasi alterazione della iniziale regolamentazione degli interessi dei contraenti sociali.

In tema di reati societari e volendo operare una riflessione di ordine sistematico interdisciplinare, vale osservare, in materia di bancarotta, che l'agente non solo deve avere consapevolezza della natura distrattiva degli atti compiuti, ma deve essersi altresì prefigurato l'effetto dannoso che gli stessi potranno avere rispetto allo stato di salute dell'azienda, prevedendo o accettando il rischio del futuro dissesto (v. Cass. civ., 15 dicembre 2005, n. 1539).

Di guisa, sul piano del nesso causale, sono rintracciabili elementi costituitivi del fatto tipico, causalmente svincolati dalla condotta, anche nel dissesto come comportamento gestorio dell'amministratore non rispettoso del dato normativo in tema di corporate governance. Si rifletta: il nesso di condizionamento deve, in particolare, essere escluso nel caso in cui si siano verificate e vengano accertate serie causali apparentemente indipendenti, ossia fattori sopravvenuti che possano avere prodotto l'evento per causa propria; volendo traslare quanto affermato nella disciplina del diritto societario, del modello comportamentale dell'organo amministrativo nello specifico, appare possibile sostenere che il rispetto dei principi di adeguatezza ed informazione sono il segno dell'inizio di un iter criminis.

Volendo sintetizzare le possibili tensioni normative in merito alla clausola di adeguatezza, si può, a ragione, ritenere che la previsione contrattuale determini una certa prevedibilità delle conseguenze immediate di eventuali mutamenti delle strutture societarie indotti da eventi imprevisti ovvero imprevedibili, e, di risulta, favorisca una notevole prevenzione di stalli organizzativi nella gestione della società. La clausola di adeguatezza, in definitiva, è predisposta per risolvere eventi sopravvenuti, c.d. sopravvenienze contrattuali e/o aziendali, rispetto alla conclusione del vincolo negoziale, nel caso in cui le parti abbiano, in fase di genesi del vincolo, escluso l'alea del loro verificarsi.

Riflessi in termini di compliance aziendale e reato

Il reato/decisione, enucleante una criminalità dolosa, coincide con l'assenza di cautele che devono proiettarsi verso processi aziendali in cui vi sia una pluralità di individui, riuniti in cellule funzionali. Il rischio-reato può, dunque, annidarsi, con diversa intensità, in ciascuna fase della sequenza. La società deve individuare cautele autonormate, nell'ambito, come detto, di un percorso maieutico di procedimentalizzazione. Ora, riflettendo con attenzione sulla fisiologia delle condotte criminose a livello societario ed organizzativo, ne deriva che si richiede una costante prudenza di giudizio nel valutare la compliance aziendale nel senso della verificazione della rappresentazione mentale del rischio della lacuna previsionale nella valutazione del grado di complessità tecnica ed operativa dell'illecito

La selezione dei fatti per cui l'ente risponde, anche in proprio, sul piano amministrativo, per il reato commesso da soggetto apicale, è affidata a criteri concorrenti: a) il reato deve esser stato commesso nell'interesse o vantaggio dell'ente; b) l'ente non deve essere in grado di provare di aver adottato, prima del fatto, modelli di gestione atti a prevenire il tipo di reato poi commesso.

Si individua una serie di parametri idonei a misurare, in negativo, la riprovevolezza dell'ente, prevedendo che, nel caso in cui il reato sia commesso da persona in posizione apicale, l'ente stesso non risponde qualora provi che: l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi (v. l. fall., artt. 216 e ss.); il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato ad un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo (d.lgs. 231/2001).

In tal modo appare evidente la tensione normativa verso la necessità di fondare la responsabilità dell'ente su elementi di oggettiva inadeguatezza organizzativa e gestionale, affrancando il sistema da forme di attribuzione di responsabilità a carattere automatico. Ad esempio, in materia della sicurezza del lavoro, il modello di organizzazione e gestione, per avere efficacia esimente, deve «assicurare l'adempimento di tutti gli obblighi giuridici» fondamentali attribuiti dalla legge al datore di lavoro, tra cui l'attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e di protezione conseguenti. Di guisa, appare apprezzabile una sostanziale coincidenza di ambiti, di strumenti e di scopi tra i modelli organizzativi cui il disposto normativo in esame fa riferimento, e il documento di valutazione dei rischi, entrambi convergenti nella predisposizione di un'organizzazione aziendale orientata alla sicurezza sulla base delle misure e delle procedure analiticamente indicate dal dato della legge (v. Cass. civ. 10 maggio 2000, n. 6013).

In conclusione

Una riflessione interdisciplinare tra diritto societario e diritto penale, nella prospettiva di cogliere elementi di contatto interpretativo nella ricerca delle fattispecie di reato societario, muove dalla studio della dinamiche endosocietarie nella gestione della corporate governance, in particolare tende ad evidenziare la necessaria vicinanza di principi nella ermeneutica corretta dell'individuazione del prodromo societario alla successiva consumazione del reato. Ebbene, nell'analisi dell'indicato momento, giuridicamente necessario e temporalmente antecedente la commissione del reato, endosocietario, si vuole sostenere che esiste una c.d. procedimentalizzazione del sistema decisionale che, contraddistinta da una frammentazione delle competenze e della conseguente realizzazione di diversificati centri decisionali, determina la possibilità di acquisire elementi probanti la regolarità dell'agere gestorio.

Guida all'approfondimento

Si consiglia la lettura di A. Lanzi, La responsabilità penale degli organi sociali di gestione, in Lanzi, Franceschelli, La riforma del diritto societario. Profili civili e penali, Milano, 2004; P. Aldovrandi, I “modelli di organizzazione e di gestione” nel d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231: aspetti problematici della “ingerenza penalistica” nel governo delle società, in Dir. pen. econ., 2007, 454; Mucciarelli, La bancarotta societaria impropria, in Il nuovo diritto penale delle società, a cura di Alessandri, 2002, 449.

In giurisprudenza: cfr. Cass., 4 novembre 2003, n 16496; Cass., 22 gennaio 2011, n. 2251; Cass., 15 novembre 2011, n. 41993.

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