Le notifiche al latitante detenuto all'estero ed il processo in absentia

Piero Indinnimeo
Naike Petrosino
13 Luglio 2016

La Corte di cassazione a Sezioni unite, con sentenza 27 marzo 2014 n. 18822, ha riproposto un importante questione più volte emersa e diversamente risolta dalla stessa giurisprudenza di legittimità, concernente l'individuazione dell'esatto discrimine tra la situazione giuridica del latitante e quella dell'irreperibile. Distinguo giuridicamente rilevante, in vista della possibile applicazione analogica dell'art. 169, comma 4, c.p.p. al soggetto che volontariamente si sottragga all'esecuzione di un provvedimento privativo della libertà personale.
Abstract

La Corte di cassazione a Sezioni unite, con sentenza 27 marzo 2014 n. 18822, ha riproposto un importante questione più volte emersa e diversamente risolta dalla stessa giurisprudenza di legittimità, concernente l'individuazione dell'esatto discrimine tra la situazione giuridica del latitante e quella dell'irreperibile. Distinguo giuridicamente rilevante, in vista della possibile applicazione analogica dell'art. 169, comma 4, c.p.p. al soggetto che volontariamente si sottragga all'esecuzione di un provvedimento privativo della libertà personale.

Nella citata pronuncia i giudici di legittimità hanno chiarito, in primo luogo, che le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 295 c.p.p. non devono necessariamente comprendere quelle dei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza, anche le ricerche all'estero, quando ricorrano le condizioni previste dall'art. 169, comma 4,c.p.p.. In secondo luogo, la cessazione dello stato di latitanza, a seguito di arresto avvenuto all'estero in relazione ad altro procedimento penale, non implica l'illegittimità delle successive notificazioni eseguite nelle forme previste per l'imputato latitante dall'art. 165 c.p.p. qualora, tale situazione, non sia stata portata a conoscenza del giudice procedente.

È peraltro compito della polizia giudiziaria, cui spetta l'esecuzione delle ricerche della persona in stato di latitanza, di procedere alla costante verifica di tutte le informazioni desumibili, fra l'altro, dai sistemi informativi nazionali ed internazionali e di comunicare prontamente alla autorità giudiziaria procedente l'eventuale arresto avvenuto all'estero della persona ricercata.

La legge 28 aprile 2014 n 67: brevi cenni sul procedimento in absentia

La legge 67/2014 rappresenta, indubbiamente, la riprova della rilevanza che oggi assume il diritto europeo in generale e le pronunce della Corte europea in particolare tra le fonti del diritto processuale penale.

In effetti, benché la Convenzione europea dei diritti dell'uomo sia allo stato priva di efficacia self-executing, come ha chiarito la stessa Corte costituzionale con le "sentenze gemelle" 348-349 del 2007, il giudice italiano è tenuto a ricercare una interpretazione conforme delle norme nazionali con i principi fissati dalla Cedu e dalla Corte Europea.

Ove tale operazione ermeneutica non sia di fatto possibile, il giudice dovrà investire della questione la Corte costituzionale, che a sua volta provvederà ad espungere la norma nazionale sempreché la norma Cedu sia compatibile con i precetti costituzionali. In effetti, il sistema precedente all'entrata in vigore della succitata novella, basato sull'istituto della contumacia, aveva comportato innumerevoli condanne della Corte di Strasburgo giacché in aperta violazione con i principi del procès équitable (art. 6 Cedu). È utile rammentare che secondo il sistema previgente l'imputato era dichiarato contumace ove non vi era una prova effettiva di un legittimo impedimento a comparire e le notifiche erano di fatto regolari.

Inoltre, prima dell'entrata in vigore del d.l. 21 febbraio 2005 n. 17, gravava sull'imputato dichiarato contumace, la prova della ignoranza incolpevole del processo, giacché la regolarità del procedimento notificatorio innescava automaticamente la presunzione legale di conoscenza del processo. Tale sistema, saldamente legato ad un mero formalismo legale, venne subitaneamente censurato dai giudici di Strasburgo con la celebre sentenza 19 dicembre 1989 (Brozicek c. Italia) mediante la quale la Corte Edu chiaramente escluse che l'irreperibilità o la latitanza potessero essere ex se equiparate ad una rinuncia a comparire in udienza (nello stesso senso la successiva sentenza 28 agosto 1991 F.B.C. c. Italia). A tal proposito è doveroso un accenno alle più recenti sentenze 18 maggio 2004 Somogyi c. Italia, 10 novembre 2004 Sedjdovic c. Italia e 8 febbraio 2007 Kollcaku c. Italia e Pititto c. Italia nelle quali la Corte europea ha puntualmente ribadito che avvisare qualcuno delle azioni intentate contro di lui costituisce un atto giuridico di tale importanza che deve rispondere a condizioni di forma e di merito proprie a garantire l'esercizio effettivo dei diritti dell'accusato e che una conoscenza vaga e non ufficiale non può essere sufficiente. In estrema sintesi, la Corte ha nuovamente posto l'accento sull'importanza che assume il sistema notificatorio per la corretta istaurazione del contraddittorio ed il connesso esercizio consapevole del diritto di difesa dell'imputato. Da ciò, deriva che il processo in absentia può ritenersi legittimamente istaurato solo ove lo Stato possa concretamente dimostrare l'effettiva sussistenza di una volontaria e non equivoca rinuncia a comparire dell'imputato, desumibile, peraltro, anche da fatti concreti. Tali indicazioni, sono state recepite dal Legislatore prima e successivamente dalla stessa Corte costituzionale. In effetti il d.l. 21 febbraio 2005 n. 17 ha abolito la censurata probatio diabolica invertendo l'onere della prova, giacché il riformulato art. 175, comma 2, c.p.p. prevede ora che : L'imputato condannato con decreto penale, che non ha avuto tempestivamente effettiva conoscenza del provvedimento, è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre opposizione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato. In buona sostanza, per evitare la concessione della remissione in termini, l'Autorità giudiziaria procedente dovrà dimostrare la conoscenza del procedimento o del provvedimento, ove manchi un'esplicita rinuncia a comparire o a proporre gravame. D'altro canto la Corte costituzionale ha palesato una vera e propria apertura ai principi europei con la sentenza 4 dicembre 2009 n. 317 che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art.175, comma 2, c.p.p. nella parte in cui non consente la restituzione dell'imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato. A valle di questo lungo percorso legislativo e giurisprudenziale si situa la recente legge 67/2014 che, pur lasciando intatto il sistema di notifiche previste dal codice di procedura penale, ha scisso la contumacia in due distinti percorsi rappresentati dal procedimento in absentia e dal c.d. rito dell'irreperibile.

In sintesi, il giudice all'inizio dell'udienza preliminare (ed anche di quella dibattimentale stante il richiamo operato dall'art. 484 c.p.p.) deve controllare la regolare costituzione delle parti, ordinando la rinnovazione degli avvisi, delle citazioni, delle comunicazioni e delle notificazioni di cui dichiara la nullità (art. 420 c.p.p).

Ove la notifica sia regolare e l'imputato non compaia, il giudice dovrà fissare una nuova udienza ed ordinare la rinnovazione dell'avviso, quando risulta o appaia probabile che l'assenza dell'imputato sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento (art. 420-ter c.p.p.). Viceversa, il giudizio potrà regolarmente proseguire in absentia (art. 420-bis c.p.p.) e l'imputato sarà rappresentato dal difensore quando l'imputato è stato destinatario di una notifica valida e non ricorrono i presupposti di cui all'art. 420-ter c.p.p. (giacché ove la notifica non sia regolare il giudice è tenuto a rinnovare la vocatio in iudicium, mentre nell'ipotesi di legittimo impedimento l'udienza è rinviata) oppure quando l'imputato, libero o detenuto, anche se impedito, ha espressamente o implicitamente rinunciato a comparire e vi sia pertanto una certezza assoluta di conoscenza del processo.

Il giudice può ugualmente disporre di procedere in assenza dell'imputato in presenza di alcuni fatti sintomatici della conoscenza del procedimento, elencati in maniera esemplificativa dall'art 420-bis c.p.p. (l'imputato nel corso del procedimento ha dichiarato o eletto domicilio ovvero arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare, ovvero ha nominato un difensore di fiducia e, nell'ipotesi in cui risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento, o, si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo)

Tale ordinanza è revocata anche d'ufficio se, prima della decisione, l'imputato compare. Se l'imputato fornisce la prova che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, nonché ad un legittimo impedimento (art. 420-ter c.p.p.), il giudice rinvia l'udienza e l'imputato può chiedere l'acquisizione di atti e documenti ai sensi dell'articolo 421, comma 3, del codice di rito. Nel corso del giudizio di primo grado, l'imputato ha diritto di formulare richiesta di prove, presentare istanza per la rinnovazione di quelle già assunte, rendere dichiarazioni spontanee ed eventualmente il rito abbreviato o il patteggiamento.

Per ciò che concerne il c.d. rito dell'irreperibile l'art. 420-quater del codice di rito disciplina la sospensione del processo per assenza dell'imputato. Tale norma prevede che, ove non ricorrano i presupposti di cui agli artt. 420-bis e 420-ter c.p.p. e la notifica sia formalmente regolare, il giudice dichiari con ordinanza la sospensione del processo.

Ed invero, in tali ipotesi, il giudice ove non debba pronunciare sentenza ex art. 129 c.p.p., rinvia l'udienza e dispone che l'avviso sia notificato all'imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria. Durante la sospensione del processo, il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili e dispone, nell'ipotesi di procedimenti cumulativi, la separazione ai sensi dell'art. 18, comma 1, lett. b) c.p.p. con sospensione dei termini di prescrizione nel procedimento sospeso.

Allo scadere di ogni anno dalla pronuncia dell'ordinanza, il giudice deve disporre nuove ricerche dell'imputato al fine di consentire la regolare prosecuzione del processo.

In effetti, l'art 420-quinquies del codice di rito prevede che l'ordinanza può essere revocata soltanto nell'ipotesi in cui sia stata raggiunta la prova dell'effettiva conoscenza del procedimento (se le ricerche hanno avuto esito positivo; se l'imputato ha nel frattempo nominato un difensore di fiducia; in ogni altro caso in cui vi sia la prova certa che l'imputato è a conoscenza del procedimento avviato nei suoi confronti, ovvero deve essere pronunciata sentenza a norma dell'articolo 129 del codice di rito).

Le notificazioni all'imputato in caso di irreperibilità

Com'è noto il sistema notificatorio, previsto e disciplinato nel libro secondo Titolo V del c.p.p., rappresenta uno strumento essenziale alla funzione giurisdizionale, in quanto presupposto indefettibile per la corretta istaurazione del contradditorio. Il codice di procedura penale, più volte emendato, ha cercato di realizzare un contemperamento tra opposti interessi: la celerità dei procedimenti formali e la necessità di assicurare una conoscenza effettiva dell'atto da parte del suo destinatario. In tale contesto si inscrive il rito dell'irreperibile che consente, ove non sia possibile espletare le formalità previste dall'art 157 c.p.p. (prima notificazione all'imputato non detenuto), la naturale prosecuzione del procedimento, evitando la paralisi processuale. Ed invero, l'art. 159 c.p.p. prevede che, ove l'imputato risulti irreperibile, l'autorità giudiziaria procedente possa emettere un decreto di irreperibilità, nominando all'uopo un difensore che sostituirà a tutti gli effetti l'imputato e diverrà il naturale destinatario delle notifiche. Tuttavia, come ha da tempo specificato la giurisprudenza di legittimità, tale procedura ha carattere eccezionale e deve essere previamente preceduta da accurate ricerche che attestino l'impossibilità effettiva di rintraccio del destinatario certificata accuratamente dalla polizia giudiziaria (indicando i luoghi in cui le ricerche sono state svolte, gli ufficiali e gli agenti che le hanno eseguite, i nomi dei familiari dell'imputato reperiti e le notizie dagli stessi fornite circa il luogo in cui il loro congiunto si trova ai sensi dell'art 61 disp. att. c.p.p.).

Inoltre, secondo l'insegnamento di dottrina e giurisprudenza, le ricerche previste dall'art. 159 c.p.p. devono risultare esaustive, poiché la stessa elencazione contenuta nella succitata norma non ha carattere tassativo. In sintesi, il giudice dovrà utilizzare notizie ed informazioni in possesso dell'autorità procedente, in assenza di indulgenti formalismi atteso il rilievo costituzionale degli interessi tutelati con l'informazione processuale in esame (cfr. Cass. pen., 13 gennaio 2010, n. 5476). La stessa giurisprudenza di legittimità, ha tuttavia evidenziato che l'irreperibilità non ha valore assoluto, giacché: rappresentativa di una situazione processuale che si verifica tutte le volte in cui, eseguite le ricerche imposte dall'art. 159 c.p.p., l'autorità giudiziaria non sia pervenuta all'individuazione della residenza, del domicilio, del luogo di temporanea dimora o di abituale attività lavorativa del soggetto. Ai fini della validità del decreto d'irreperibilità e del conseguente giudizio contumaciale, rileva soltanto la completezza delle ricerche, con riferimento agli elementi risultanti dagli atti al momento in cui vengono eseguite. Eventuali notizie successive non possono avere incidenza, ex post, sulla legittimità della procedura seguita sulla base delle risultanze conosciute e conoscibili al momento dell'adempimento delle prescritte formalità. La Corte di cassazione (cfr. Cass. pen., 7 febbraio 2012, n. 47021) ha reiterato un orientamento ormai consolidato in tema di notifica agli irreperibili, ponendo ancora una volta l'accento sulla necessaria esaustività delle ricerche da effettuare, dovendo il giudice utilizzare qualsivoglia informazione, desumibile dagli atti processuali e, in caso di materiale impossibilità dello svolgimento di ultronee ricerche, l'autorità giudiziaria è tenuta a darne atto in motivazione (nel caso di specie la Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d'appello che aveva sostanzialmente eluso le indicazioni di cui all'art 159 c.p.p., emettendo il decreto di irreperibilità all'esito dell'infruttuoso accompagnamento coattivo dell'imputato.)

L'art 160 c.p.p. disciplina l'efficacia del decreto di irreperibilità prevedendo che il decreto di irreperibilità emesso dal giudice o dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari cessa di avere efficacia con la pronuncia del provvedimento che definisce l'udienza preliminare ovvero, quando questa manchi, con la chiusura delle indagini preliminari.

Il decreto di irreperibilità emesso dal giudice per la notificazione degli atti introduttivi dell'udienza preliminare nonché il decreto di irreperibilità emesso dal giudice o dal pubblico ministero per la notificazione del provvedimento che dispone il giudizio cessano di avere efficacia con la pronuncia della sentenza di primo grado.

Il decreto di irreperibilità emesso dal giudice di secondo grado e da quello di rinvio cessa di avere efficacia con la pronuncia della sentenza.

Detta disciplina attesta una efficacia del citato decreto inscindibilmente collegata alla fase processuale in cui è emanato, per cui ogni nuovo decreto deve essere previamente proceduto da nuove ricerche per poter effettuare le notifiche ai sensi dell'art 169 c.p.p. La suprema Corte è intervenuta proprio su questo punto chiarendo che: il decreto di irreperibilità emesso dal pubblico ministero ai fini della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis cod. proc. pen. conserva efficacia ai fini della notifica del decreto di citazione a giudizio, salvo che il pubblico ministero effettui ulteriori indagini dopo la notifica del menzionato avviso di conclusione delle indagini preliminari. (Cass. pen., Sez. unite, 24 maggio 2012 n. 24527).

Le notificazioni all'imputato latitante

Per ciò che concerne il sistema di notifiche previste in caso di imputato latitante, analogamente per l'imputato irreperibile, l'art.165 c.p.p. contempla la nomina di un rappresentante processuale che assicura, come nel caso dell'irreperibile, la sola conoscenza legale degli atti a lui destinati, consentendo la naturale prosecuzione del giudizio ma al contempo, il corretto esercizio delle garanzie difensive spettanti al soggetto passivo.

Presupposto indefettibile per l'applicazione dell'art 165 c.p.p. è l'emissione del provvedimento con il quale il giudice, a seguito del verbale di vane ricerche redatto dalla P.G. ai sensi dell'art. 295 c.p.p., dichiara la latitanza, designando all'uopo un difensore d'ufficio (il giudice provvederà inoltre a depositare in cancelleria copia dell'ordinanza ineseguita ed il cui avviso di deposito sarà notificato al difensore). Pertanto, condizione necessaria, ma non sufficiente, per la relativa declaratoria, è la redazione del verbale di vane ricerche nei luoghi che risultino nella disponibilità dell'indagato, sulla base delle risultanze in atti, indicando in modo specifico le indagini svolte. La giurisprudenza di legittimità, ha a tal proposito da tempo chiarito che la P.G. non è affatto vincolata ai luoghi indicati nell'art 165 c.p.p. e che il provvedimento del giudice, pur avendo natura dichiarativa, è il risultato di una valutazione di merito in ordine al carattere sufficientemente completo ed esauriente delle ricerche svolte per cui, in mancanza di tale provvedimento, non può parlarsi di latitanza nell'accezione giuridico-processuale del termine e non possono conseguentemente verificarsi gli effetti che le norme del codice di rito a tale stato attribuiscono, ivi compreso quello delle modalità di notifica degli atti ai sensi dell'art. 165 anziché dell'art. 157 c.p.p. (Cass. pen. n. 4802/1997 e Cass. pen. n. 4114/2010). Ricordiamo infine che, ai sensi dell'art. 296, comma 4,c.p.p. la qualità del latitante (equiparato ex art. 296, comma 5, c.p.p. all'evaso) permane fino a che il provvedimento (custodia cautelare, agli arresti domiciliari, divieto di espatrio, obbligo di dimora o un ordine con cui si dispone la carcerazione) sia stato revocato, abbia perso efficacia, siano estinti il reato o la pena ovvero l'imputato venga successivamente arrestato o si costituisca spontaneamente in Italia.

La sentenza Avram

Nel corso del 2014 le Sezioni unite della Corte di cassazione sono state chiamate a risolvere una rilevante questione interpretativa, concernente il sistema notificatorio previsto per l'imputato latitante, nell'ipotesi in cui sia stato successivamente tratto in arresto all'estero, in relazione ad altro procedimento penale e tale circostanza non sia stata portata a conoscenza del giudice. Il thema decidendum era relativo alla sussistenza di un vero e proprio onere del giudice di procedere all'applicazione analogica dell'art 169, comma 4, c.p.p., prima di procedere all'emissione del decreto di latitanza e alla eventuale illegittimità delle notifiche eseguite ai sensi dell'art. 165 c.p.p. a seguito di arresto avvenuto all'estero in relazione ad altro procedimento penale, laddove tale situazione non fosse conosciuta né conoscibile all'autorità giudiziaria procedente.

Le Sezioni unite, con sentenza 27 marzo 2014 n. 18822, preso atto del contrasto sussistente in seno alla giurisprudenza di legittimità, hanno statuito, in primo luogo che la declaratoria di latitanza non deve essere preceduta necessariamente dallo svolgimento di ricerche all'estero poiché, le disposizioni codicistiche non contengono un elenco tassativo e vincolante dei luoghi, ove è possibile reperire l'imputato essendo a contrario parametrate sulle specifiche e particolari condizioni del soggetto passivo da rintracciare.

Inoltre, è da escludere radicalmente l'applicazione analogica dell'art. 169, comma 4, c.p.p. posto che, la latitanza, non può essere definita come una forma di irreperibilità qualificata, trattandosi di situazioni profondamente diverse. Ed invero, la suprema Corte ha evidenziato le divergenze strutturali e teleologiche sussistenti tra l'irreperibile ed il latitante, accomunate esclusivamente per il ricorso alla notificazione attraverso una fictio iuris. La latitanza, infatti, produce effetti processuali ultronei rispetto al regime delle notificazioni e, le ricerche previste ai sensi dell'art. 295 c.p.p., sono funzionali all'esecuzione della misura custodiale al quale il soggetto passivo si è volontariamente sottratto. Per ciò che concerne l'ipotesi in cui lo stato di latitanza cessi, a seguito di arresto avvenuto all'estero in relazione ad altro procedimento penale e di cui il giudice non abbia effettiva contezza, le Sezioni unite citate hanno escluso che le successive notifiche, eseguite ai sensi dell'art. 165 del codice di rito, possano essere dichiarate nulle. In effetti, secondo la suprema Corte, se tale circostanza non risulti pacificamente dagli atti, il giudice potrà procedere ai sensi dell'art. 165 c.p.p.

Le Sezioni unite hanno anche precisato che è compito della polizia giudiziaria, cui spetta l'esecuzione delle ricerche della persona in stato di latitanza, di procedere alla costante verifica di tutte le informazioni desumibili, fra l'altro, dai sistemi informativi nazionali ed internazionali e di comunicare prontamente alla autorità giudiziaria procedente l'eventuale arresto avvenuto all'estero della persona ricercata.

In conclusione

La legge 28 aprile 2014 n.67 rappresenta indubbiamente una riprova dell'importanza che oggi assume il diritto internazionale in generale ed il diritto europeo in particolare, tra le fonti del diritto processuale penale. Il legislatore con tale novella, se da un lato ha limitato le ipotesi di procedimenti celebrati in absentia, dall'altro non ha apportato alcuna modifica al sistema notificatorio, oggetto come evidenzia la sentenza Avram di costante attenzione dottrinale e giurisprudenziale. La suprema Corte con la pronuncia in esame ha fissato i seguenti principi di diritto: tenuto conto delle differenze che rendono non comparabili fra loro la condizione della irreperibilità e quella della latitanza, le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 295 c.p.p. non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza, anche le ricerche all'estero quando ricorrano le condizioni previste dall'art. 169, comma 4, dello stesso codice. La polizia giudiziaria, tuttavia, deve compiere le ricerche e svolgere le relative indagini in modo tale che le stesse risultino esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare, in sede di adozione del decreto di latitanza, da un lato, l'impossibilità di procedere alla esecuzione della misura custodiale per l'assenza di ulteriori elementi che consentano di pervenire al rintraccio dell'imputato e, dall'altro, la volontarietà del ricercato di sottrarsi alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti. Con la conseguenza che, ove dalle indagini emergano concreti elementi che denotino la presenza in un determinato luogo all'estero della persona ricercata, la polizia giudiziaria sarà chiamata ad attivare gli strumenti di cooperazione internazionale, atti a consentire il rintraccio dell'imputato, in vista della eventuale instaurazione del procedimento di consegna attraverso i canali della collaborazione giudiziaria.

La cessazione dello stato di latitanza, a seguito di arresto avvenuto all'estero in relazione ad altro procedimento penale, non implica la illegittimità delle successive notificazioni eseguite nelle forme previste per l'imputato latitante dall'art. 165 c.p.p. qualora essa non sia stata portata a conoscenza del giudice procedente. È peraltro compito della polizia giudiziaria, cui spetta l'esecuzione delle ricerche della persona in stato di latitanza, di procedere alla costante verifica di tutte le informazioni desumibili, fra l'altro, dai sistemi informativi nazionali ed internazionali e di comunicare prontamente alla autorità giudiziaria procedente l'eventuale arresto avvenuto all'estero della persona ricercata.

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