La remissione della querela nel delitto di atti persecutori

16 Giugno 2017

Malgrado la previsione normativa del quarto comma dell'art. 612-bis c.p. preveda espressamente che nel delitto di atti persecutori la remissione della querela possa essere soltanto processuale, in questi anni le manifestazioni della volontà positiva delle vittime di non voler persistere nella querela, sono state di frequente espresse fuori dal processo.
Abstract

Malgrado la previsione normativa del quarto comma dell'art. 612-bis c.p. preveda espressamente che nel delitto di atti persecutori la remissione della querela possa essere soltanto processuale, in questi anni le manifestazioni della volontà positiva delle vittime di non voler persistere nella querela, sono state di frequente espresse fuori dal processo.

L'autrice riflette su tali modalità di remissione e sulla possibilità che possano essere frutto di condizionamenti e pressioni psicologiche da parte dell'autore degli atti persecutori considerato che, nella maggior parte dei casi, quest'ultimo è stato legato alla vittima da precedenti rapporti personali e che ha dunque già sperimentato forme prevaricazione idonee ad indurla a desistere da qualsiasi iniziativa contro di lui.

Premessa

L'art. 7 del decreto legge del 23 febbraio 2009, n. 11 convertito nella legge 23 aprile 2009, n. 38 ha inserito tra i delitti contro la persona, ricomprendendolo nella sezione di quelli contro la morale (Sezione III del Titolo XII) gli atti persecutori (art. 612-bis c.p.).

Le condotte che realizzano la suddetta ipotesi delittuosa – così come i maltrattamenti (ed anche la violenza sessuale) - segnano il perimetro entro il quale si consumano le violenze di genere.

E mentre il delitto di maltrattamenti riguarda atti commessi soprattutto all'interno delle mura domestiche, il delitto di stalking si consuma assai spesso quando una relazione si interrompe per decisione unilaterale di uno dei due soggetti, non accettata dall'altro.

Se si volesse tentare di individuare, tra le tante condotte di violenza contro le donne, quale possa considerarsi quella che precede un omicidio, può affermarsi che l'ossessivo stillicidio persecutorio messo in atto continuativamente nei confronti di una donna che decide di chiudere una relazione e di iniziare una nuova vita, sia proprio una di quelle.

Per questo motivo, ove la vittima del delitto di atti persecutori abbia trovato il coraggio di denunciare le vessazioni subite, è necessario predisporre ogni tutela non solo per evitare un'evoluzione drammatica o anche solo più violenta delle condotte ma anche per escludere che la stessa subisca pressioni esterne che possano determinare la rinuncia ad agire contro il colpevole.

È proprio nei casi in cui sia intervenuta la remissione della querela e poi – normalmente dopo un episodio gravissimo – sia stata di nuovo presentata un'altra querela poi ancora rimessa, che si sono verificati i casi più gravi di femminicidio.

L'evoluzione normativa in tema di remissione della querela nel delitto di atti persecutori

Fatte queste premesse, prima di analizzare le modalità della remissione della querela da parte della vittima di atti persecutori, deve rammentarsi che il Legislatore fin dal d.l. 11/2009 convertito con modifiche nella l. 38/2009 ha previsto che il delitto di cui all'art. 612-bis c.p. fosse punibile a querela della persona offesa ad eccezione delle ipotesi in cui detta persona offesa fosse un minore o una persona con disabilità di cui all'art. 3 l. 104/1992, ovvero ove il delitto fosse connesso ad altro delitto per il quale deve precedersi d'ufficio. In tali ipotesi il delitto è comunque procedibile d'ufficio.

È stato previsto altresì che il termine per la presentazione della querela sia di sei mesi, così come avviene per il delitto di violenza sessuale (art. 609-septies c.p); tuttavia, a differenza del delitto di violenza sessuale, il Legislatore non ha previsto che la querela, una volta proposta, sia irrevocabile.

La scelta aveva suscitato un vivo dibattito connesso alla preoccupazione che la mancata previsione della irrevocabilità della querela potesse esporre la persona offesa al rischio di possibili pressioni finalizzate alla remissione della stessa.

E così nell'originaria formulazione del decreto 14 agosto 2013, n. 93, (art. 1, comma 3, lett. b)), era stato opportunamente previsto che, una volta presentata, la querela fosse irrevocabile.

Le motivazioni della scelta, intuitivamente collegate alla natura dei rapporti tra vittima e stalker, intendevano svincolare il procedimento dalla volontà della vittima che, da un lato può essere ancora sensibile alle ingerenze esterne capaci di limitarne la volontà di autodeterminazione e dall'altro, una volta superata la fase buia dell'oppressione, assume meccanismi di giustificazione della condotta o di riduzione della gravità della stessa, sì da rimettere la querela.

La stessa normativa sovranazionale, che in più occasioni ha mostrato un crescente interesse nei confronti delle vittime di violenze di genere, ha inteso affermare il principio secondo cui il procedimento non può essere collegato alla decisione della vittima di rimettere la querela.

L'art. 55 della Convenzione di Istanbul sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali firmata a Lanzarote il 25 ottobre 2007 e ratificata in Italia con l. 27 giugno 2013, n. 77 ha previsto espressamente che gli Stati debbano fare in modo che le violenze di genere « non dipendano interamente da una segnalazione o da una denuncia da parte della vittima» e che «il procedimento possa continuare anche se la vittima dovesse ritrattare l'accusa o ritirare la denuncia».

Ed ancora la Corte europea dei diritti dell'uomo ha riconosciuto l'obbligo dello Stato di avviare un procedimento penale anche dopo il ritiro della denuncia o contro la volontà della vittima, tenendo in considerazione la gravità della condotta e gli interessi dei figli. (v. sentenza Opuz v. Turchia del 9 settembre 2009)

Com'è noto la legge di conversione 15 ottobre 2013, n. 119 ha fatto un sostanziale passo indietro rispetto a quel progetto normativo ed ha eliminato la previsione dell'irrevocabilità della querela.

Tuttavia, seppur disponendo che la stessa è revocabile, la norma ha voluto assicurare alla stessa vittima una tutela contro eventuali richieste di remissione determinate da pressioni provenienti dall'autore degli atti persecutori, prevedendo che ove il reato sia realizzato mediante minacce reiterate nei modi di cui all'art. 612, comma 2, c.p., la querela è irrevocabile.

Le modalità di remissione della querela

Con riguardo alle modalità di remissione della querela l'art.152 c.p. prevede che essa sia processuale o extraprocessuale; quest'ultima può essere espressa o tacita laddove il querelante compia atti incompatibili con la volontà di persistere nella querela stessa.

L'art. 612-bis c.p., se da un lato non ha dunque confermato la previsione di irrevocabilità della querela contenuta nel decreto legge, ha tuttavia disposto che la «remissione della querela può essere soltanto processuale».

Orbene il significato giuridico della formula adottata nel tentativo di trovare una sintesi tra posizioni diverse, induce a ritenere che il Legislatore prevedendo solo la forma processuale della remissione, abbia voluto indicare unicamente quella che avviene di fronte all'autorità giudiziaria procedente.

Resta dunque fuori dalla previsione normativa qualsiasi forma di remissione extraprocessuale anche e soprattutto tacita.

E ciò in quanto – com'è evidente – la remissione nel processo è l'unica che consente all'autorità giudiziaria di valutare la spontaneità della decisione della vittima degli atti persecutori; di valutare, cioè, se quella remissione non sia collegata ancora a timore o soggezione nei confronti di chi per anni ha messo in atto uno stillicidio persecutorio.

Tuttavia deve sottolinearsi come accade assai raramente che sia l'autorità giudiziaria a ricevere la remissione della querela da parte della vittima, presente in aula; di norma la remissione viene proposta da parte del procuratore speciale della vittima (quando non è addirittura il difensore dell'imputato a presentarla atteso che dopo la remissione vi è anche l'accettazione della stessa da parte dell'imputato) oppure viene allegata la remissione presentata all'ufficiale di polizia giudiziaria.

A proposito della remissione da ultimo citata va ricordato che la remissione processuale è disciplinata dal combinato disposto di cui agli artt. 152 c.p. e 340 c.p.p. , quest'ultimo articolo, prevede che la remissione processuale sia fatta ed accettata «personalmente o a mezzo di procuratore speciale con dichiarazione ricevuta dall'autorità procedente o da un ufficiale di polizia giudiziaria che deve trasmetterla alla predetta autorità».

Ed infatti i giudici di legittimità (Cass. pen., 8 aprile 2016, n. 16669) hanno ritenuto che proprio in virtù degli artt. 152 c.p. e 340 c.p.p. può ritenersi idonea «ad estinguere il reato di atti persecutori anche la remissione di querela effettuata davanti a un ufficiale di polizia giudiziaria e non solo quella ricevuta dall'autorità giudiziaria». Con tale pronuncia la Suprema Corte – chiamata a pronunciarsi sul ricorso del procuratore generale contro la sentenza del giudice di primo grado che aveva dichiarato non doversi procedere per intervenuta remissione della querela presentata, in ordine al reato di cui all'art. 612-bis c.p., ad un ufficiale di P.G. - ha dichiarato inammissibile detto ricorso sostenendo che la remissione di querela di cui all'art. 340 c.p.p. non richiede che sia resa direttamente al giudice o al pubblico ministero durante lo svolgimento della fase processuale vera e propria ma unicamente che l'atto sia «prestato davanti ad un'autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria nel corso della più ampia fase procedimentale».

La decisione certamente non trascura che la evoluzione normativa avrebbe potuto «avallare l'interpretazione del P.G. ricorrente circa l'intenzione del legislatore di affidare al giudice il compito di svolgere una verifica effettiva sulla spontaneità della remissione della querela», tuttavia richiamando gli articoli 152 c.p. e 340 c.p.p., afferma che anche la remissione presentata dinanzi all'ufficiale di P.G. è una remissione processuale, evidenziando che non rientrava nei propri poteri verificare se «lo strumento cui la novella si è affidata per prevenire eventuali illeciti condizionamenti sia o meno funzionale».

Merita di essere segnalata un'ancor più recente decisione delle Sezioni unite della Corte di cassazione (Sezioni unite, 23 giugno 2016, n. 31668) che - superando il diverso orientamento che si era consolidato sul tema (Cass. pen., Sezioni unite, 30 ottobre 2008, 46088, Viele) - ha affermato la possibilità che la mancata comparizione del querelante, previamente ed espressamente avvertito che la sua assenza sarebbe stata interpretata come volontà di non insistere nell'istanza di punizione, sia considerata come una remissione tacita di querela.

La decisione delle Sezioni unite deve essere richiamata in quanto – seppur non pronunciandosi in ordine agli atti persecutori – ha esaminato la disciplina della remissione processuale della querela e ha ritenuto che l'art. 340 c.p.p. nel distinguere l'ipotesi della dichiarazione ricevuta dall'autorità giudiziaria procedente da quello di dichiarazione ricevuta da un ufficiale di polizia giudiziaria, «implicitamente contempla nell'ambito della remissione espressa, sia una forma di remissione processuale sia una forma di remissione extraprocessuale».

Con la conseguenza che l'unica remissione processuale è quella proveniente dalla parte querelante che interviene nel processo direttamente o a mezzo di procuratore speciale.

Gli stessi giudici hanno sottolineato che non sono ammesse modalità di espressione della volontà di rimettere la querela in sede processuale diverse da quelle esternate attraverso una formale dichiarazione ricevuta dall'autorità procedente, atteso che la remissione processuale presuppone che vi sia un giudizio in corso e dunque non può che essere detta autorità che deve valutare ed apprezzare la volontà effettiva della vittima di rimettere la querela.

Tanto premesso alla luce dei principi affermati nella sentenza appena richiamata può dunque affermarsi che - escludendo che per gli atti persecutori possa ritenersi ammissibile qualsiasi forma di remissione tacita della querela, prevista esclusivamente per la remissione extraprocessuale - deve distinguersi nell'ambito della previsione dell'art. 340 c.p.p. una remissione processuale da un remissione extraprocessuale.

Solo la prima, quella cioè ricevuta dall'autorità giudiziaria (e non dall'ufficiale di polizia giudiziaria) assume dunque la forma di una remissione processuale di querela.

Il rinvio contenuto al secondo comma dell'art. 340 c.p.p. alle forme previste dall'art. 339 c.p.p. per la rinuncia espressa alla querela, individua due modalità di manifestazione di volontà di rimettere la querela dinanzi l'autorità procedente: direttamente o mediante il procuratore speciale.

Tuttavia l'esperienza dimostra come anche la presentazione della remissione della querela tramite il procuratore speciale ( che certamente non è consapevole di quello che è accaduto nei momenti che hanno preceduto la scelta della remissione) non consente da parte dell'autorità giudiziaria quel controllo “processuale” richiesto dall'art. 612-bis c.p.

Appare dunque preferibile che, ove la querelante abbia deciso di non voler proseguire il processo nei confronti del suo persecutore, si presenti con il suo difensore di fronte al giudice e dichiarare che ha intenzione di rimettere la querela.

Della facoltà di rimettere la querela la vittima del reato è stata peraltro informata rientrando tra gli obblighi di informazione delle suddette vittime «la possibilità che il procedimento sia definito con remissione di querela di cui all'art 152 c.p. ove possibile o attraverso la mediazione» (art.90-bis,comma 1, lett. n)c.p.p. introdotto dal decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212 di attuazione della direttiva 2012/29/Ue che ha dettato norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato).

In conclusione

Accade sovente che condotte persecutorie siano preliminari e prodromiche a tragici epiloghi.

È come se lo spazio un tempo occupato dal sentimento, una volta interrotto il legame affettivo, sia totalmente assorbito dal rancore, dall'ossessione, dal desiderio di vendetta.

La condizione di particolare vulnerabilità e debolezza, anche meramente economica, nella quale si trova una donna vittima di atti persecutori che la costringono non solo a mutare le proprie abitudini di vita ma a volte ad abbandonare il domicilio e a trovare riparo presso la casa dei genitori o presso un centro di accoglienza, impone un'attenta valutazione in ordine alla remissione della querela; una valutazione che a fronte di un'emergenza quale è quella che si registra in Italia, può essere, come nelle sentenze della Corte Edu, gender-based,- dal momento che nella realtà tali atti di violenza colpiscono prevalentemente le donne, come emerge dai dati raccolti negli ultimi anni.

In questa prospettiva la previsione dell'art. 612-bis, comma 4, c.p.p. «la remissione della querela può essere soltanto processuale» impedisce di attribuire rilievo a forme di remissione diversa da quella presentata dalla querelante di fronte all'autorità giudiziaria procedente.

Se così non fosse, sarebbe stato inutile e superfluo inserire l'aggettivo processuale al quarto comma dell'art. 612-bis c.p.

Ogni altra forma di remissione non appare in linea con il termine processuale nel significato voluto dal legislatore che ha espressamente sottolineato la sede della remissione.