Condotte riparatorie (estinzione del reato per)

30 Agosto 2017

Trattasi di un istituto di recentissima creazione, inserito dal Legislatore – a mezzo della l. 23 giugno 2017, n. 103 – all'interno del Titolo VI del Libro I del codice, che ospita la regolamentazione della cause di estinzione del reato e della pena; più precisamente, lo si trova nel Capo I, laddove sono regolamentate le cause estintive del reato. L'estinzione del reato per condotte riparatorie è sicuramente ispirata alla ratio di massimizzare l'effetto deflattivo del sistema penale e dell'apparato sanzionatorio; tale causa di estinzione del reato può dunque generalmente operare con riferimento ad ogni fattispecie tipica che sia non solo procedibile a querela ma in relazione alla quale ...
Inquadramento

Trattasi di un istituto di recentissima creazione, inserito dal Legislatore – a mezzo della l. 23 giugno 2017, n. 103 – all'interno del Titolo VI del Libro I del codice, che ospita la regolamentazione della cause di estinzione del reato e della pena; più precisamente, lo si trova nel Capo I, laddove sono regolamentate le cause estintive del reato.

L'estinzione del reato per condotte riparatorie è sicuramente ispirata alla ratio di massimizzare l'effetto deflattivo del sistema penale e dell'apparato sanzionatorio; tale causa di estinzione del reato può dunque generalmente operare con riferimento ad ogni fattispecie tipica che sia non solo procedibile a querela, ma in relazione alla quale sia poi anche prevista la rimettibilità della stessa. Sotto il profilo dogmatico generale è poi costruita quale causa estintiva di carattere soggettivo, quindi destinata ad operare esclusivamente in relazione all'imputato adempiente rispetto alle condotte riparatorie. Le principali linee strutturali della norma sono ricalcate su quelle dell'art. 35 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, che ne costituisce l'equipollente nell'ambito del processo di competenza del giudice di pace. L'estinzione per condotte riparatorie pare in definitiva un meccanismo atto a perfezionare l'insieme degli strumenti di natura deflattiva – manifestazione dell'aspirazione del sistema al raggiungimento di un livello gestibile e indispensabile di diritto penale minimo – che è stato da poco irrobustito, attraverso l'inserimento della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, di cui agli artt. 168-bis e ss. c.p.

Non pare peraltro condivisibile – e forse è opportuno che lo si precisi immediatamente – l'opzione legislativa di vincolare l'estinzione del reato al risarcimento del danno. Una scelta che fatalmente cristallizza l'esistenza - tra le varie posizioni soggettive - di differenziazioni che andranno a fondarsi sul censo: l'accesso alla nuova causa estintiva si rivelerà infatti necessariamente più comodo (magari anche fonte di oneri scarsamente significativi, ove parametrati alle effettive capacità patrimoniali del soggetto), per gli imputati che godano di più vaste disponibilità finanziarie; risulterà al contrario concretamente impraticabile, per coloro che si trovino in una situazione economica di indigenza.

Il dettato normativo

Viene riservata al giudice la possibilità – una volta sentite sul punto le parti e la persona offesa – di dichiarare l'estinzione del reato, al ricorrere di una serie di condizioni prestabilite. Precisiamo subito come la decisione del Giudice – in presenza delle condizioni pretese dalla norma – sarà sostanzialmente priva di spazi di natura discrezionale. La lettera della legge non pare infatti prestarsi davvero a difformi lumi (testualmente: il giudice dichiara).

Per ciò che attiene alle condizioni di applicabilità, valga quanto segue. Anzitutto, bisogna che il procedimento sia stato instaurato in relazione ad una fattispecie di reato procedibile a querela ed in ordine alla quale sia prevista la rimettibilità di tale istanza punitiva; tanto già vale ad espellere dall'alveo previsionale del nuovo istituto, ad esempio, i paradigmi normativi ex artt. 609-bis, 609-ter e 609-quater c.p. Qui infatti l'art. 609-septies prevede effettivamente la procedibilità a querela ma stabilisce pure l'irrevocabilità della stessa una volta inoltrata.

È poi sancita l'esistenza di un limite di matrice oggettiva, che è costituito dall'avere l'imputato già proceduto all'integrale riparazione del danno derivante dalla condotta perpetrata. Tale riparazione deve essersi verificata a mezzo delle relative restituzioni, oppure anche mediante il risarcimento del danno stesso (la disgiuntiva qui adoperata dal Legislatore convince dell'alternatività delle previsioni). Al suddetto aspetto di natura genuinamente risarcitoria o restitutoria – previsioni che, si ribadisce, si situano fra loro in relazione di alternatività – deve poi saldarsi il requisito costituito dall'avvenuta elisione, naturalmente se ancora possibile, delle conseguenze dannose o pericolose discendenti dal reato.

Pare qui – ad una prima riflessione – che alla persona offesa venga riservato un semplice diritto di interlocuzione, in ordine all'esistenza ed alla congruità del risarcimento del danno. In caso contrario, non si saprebbe in che modo intendere il testo dell'ultimo periodo del primo capoverso della disposizione normativa in esame, nel quale è espressamente previsto che il giudice possa reputare avvenuto il risarcimento del danno – effettuato per il tramite di offerta reale ex art. 1208 c.c. – anche a fronte della mancata accettazione da parte della persona offesa.

È inoltre stabilita una soglia di tipo processuale, al cui interno è possibile l'accesso a tale forma di estinzione del processo; tale sbarramento coincide con la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Trattasi di un termine pacificamente di tipo perentorio.

Laddove il soggetto possa dimostrare di non esser stato in grado di provvedere alle restituzioni o alle riparazioni – prima del vano spirare di tale termine - per una causa che a lui stesso non sia riconducibile, potrà instare per ottenere una rimessione in termini; tale riapertura del termine potrà avere una estensione temporale non superiore ai sei mesi. Il soggetto richiedente, ottenuta tale restituzione nel termine, rimarrà poi tenuto alla corresponsione del quantum debeatur a fini di risarcimento – magari anche previa rateizzazione - entro tale più esteso periodo. Allorquando poi resti accertata dal giudice la non riferibilità soggettiva all'imputato dell'inadempimento, a fronte dell'obbligo di natura risarcitoria, dovrà esser fissata una nuova udienza entro il termine stabilito (o comunque entro un termine ulteriore non eccedente i novanta giorni da tale scadenza); è poi previsto che il giudice possa imporre – ove le reputi necessarie - specifiche prescrizioni relativamente a tale periodo ulteriore. In tale lasso di tempo, il corso dei termini prescrizionali del reato resterà sospeso.

Si prevede espressamente la vigenza della confisca obbligatoria ex art. 240, comma 2, c.p.

Se infine dovesse emergere – a conclusione di tale iter procedurale - il positivo esperimento delle condotte restitutorie, il giudice dichiarerà l'estinzione del reato (naturalmente con sentenza).

Aspetti processuali

Si è sopra già fatto cenno dell'esistenza di un limite temporale e processuale – rappresentato dalla dichiarazione di apertura del dibattimento - entro il quale è possibile l'accesso alla causa estintiva in commento. Si può inoltre evidenziare l'inserimento – nella struttura dell'istituto in esame - di una norma di carattere intertemporale; norma resa peraltro necessaria dalla ovvia applicabilità del nuovo istituto – favorevole per il reo – anche ai processi già pendenti alla data di entrata in vigore della legge istitutiva. È infatti stabilito che si verifichi una restituzione nel termine utile per poter accedere al meccanismo estintivo, con riferimento appunto ai processi che – alla data di entrata in vigore della legge 103/2017 – siano già in corso. Assume quindi grande rilievo la prima udienza successiva, rispetto all'epoca di entrata in vigore della legge. Trattasi proprio dell'ultimo momento nel quale l'imputato – anche se risulti già superato il limite rappresentato dalla dichiarazione di apertura del dibattimento – sarà ancora legittimato all'accesso a tale causa estintiva. Gli è infatti riservata la facoltà di chiedere la concessione di un termine – di ampiezza non superiore ai sessanta giorni – entro il quale definire il meccanismo restitutorio e risarcitorio; entro il medesimo termine, si dovrà anche procedere all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato. Vi è poi la previsione tanto della sospensione del corso della prescrizione – durante i termini che siano stati fissati per l'adempimento delle condotte riparatorie – quanto dell'applicabilità dell'art. 240, comma 2, c.p.Il giudice pronuncerà inoltre l'estinzione del reato nell'ipotesi di adempimento – sebbene in epoca successiva, rispetto al momento della dichiarazione di apertura del dibattimento – delle condotte riparatorie, corredate dall'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose.

Le possibili problematiche in campo applicativo

È purtroppo agevole pronosticare come il testo normativo possa in futuro costituire la scaturigine di una moltitudine di questioni di tipo pratico-applicativo. Si è infatti in presenza di un istituto che – denunciando evidentemente una genesi farraginosa ed una titubante impostazione concettuale – sembra in verità alquanto vago sotto il profilo contenutistico, nonché palesemente frenato da un insieme di contraddittorietà di tenore logico e sistematico. Si proverà ora a riassumere per punti i prevedibili focolai di controversia, restando naturalmente in attesa delle prime letture dell'istituto ad opera della giurisprudenza.

a) Sfugge anzitutto la comprensione del reale spazio riservato all'operatività dell'istituto. E infatti quest'ultimo può esplicare effetti, testualmente, soltanto in relazione ai reati procedibili a querela rimettibile. Il che equivale a richiamare quei modelli legali che già soggiacciono alla possibile estinzione a mezzo appunto della remissione. In concreto, quindi, potrà forse individuarsi un solo ambito residuo utile, rappresentato da quei casi nei quali l'estinzione del reato vada a scontrarsi contro un caparbio (e forse irragionevolmente ostruzionistico) rifiuto proveniente del querelante; le ipotesi cioè – veramente non frequentissime, nella comune esperienza giudiziaria - nelle quali magari il querelante neghi la remissione della querela, anche una volta ottenuto un comportamento non solo conciliante e finalizzato alla transazione, ma anche rispondente ad uno spirito restitutorio e riparatorio. Non vi è però chi non rilevi quanto tale spazio applicativo sia verosimilmente destinato a restare limitato (si veda sul punto PULITANÒ, 1, laddove si individua nella novella «una apertura alla non punibilità nel caso di condotte riparatorie che non abbiano portato alla remissione della querela. Una casistica prevedibilmente ristretta, e caratterizzata da conflittualità fra le parti. L'ambiziosa riforma si apre occupandosi de minimis»).

b) Non è poi ben chiara la disciplina attinente ai modi in cui dovrà esser formulata l'istanza. In relazione infatti ad un istituto che presenta connotazioni strutturali quasi analoghe – in quanto costituente sempre il portato di una filosofia deflattiva – quale è la sospensione con messa alla prova, si prevede all'art. 464-bis,comma 3, c.p.p.che la volontà dell'imputato debba essere espressa «personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall'articolo 583 comma 3»; nulla è invece specificato in ordine alla causa estintiva in argomento. La quale postula esclusivamente l'esistenza di una richiesta promanante dall'imputato (richiesta che è peraltro prevista in relazione alla sola istanza di ampliamento del termine, in caso di inadempimento non imputabile al soggetto). Non sono dettate formalità ulteriore. Volendo allora fare professione di fede nel fatto che il Legislatore non sia incorso in una svista, una norma così conformata si presta forse ad una sola interpretazione, idonea a salvarne la coerenza con i principi generali. Non può infatti che desumersi, dal testo normativo, la volontà di far rientrare la possibilità di inoltrare tale richiesta nel vasto alveo delle ordinarie facoltà spettanti al difensore. Il che equivale a stabilire un parallelismo – magari addirittura di esorbitante portata – fra tale richiesta e tutte le altre facoltà di carattere processuale riservate al difensore. Quindi porre sullo stesso piano la formulazione di un'istanza comunque atta ad aprire l'accesso ad una causa estintiva del reato (in grado - per il tramite degli adempimenti restitutori e riparatori - di risultare anche notevolmente invasiva della sfera patrimoniale del singolo) e tutte le ulteriori ed ordinarie attività, che sono invece intrinsecamente connesse al mandato difensivo e che da questa sono immediatamente derivanti. Basterà qui richiamare il dettato dell'art. 99 c.p.p., laddove è riservato al difensore un vastissimo spazio operativo – sostanzialmente sovrapponibile rispetto a quello spettante all'assistito – con il solo sbarramento dei diritti riservati espressamente a quest'ultimo.

In evidenza

Cass. pen., Sez. unite. n. 12603/2015, nell'escludere che il difensore – di fiducia o di ufficio – che sia privo di procura speciale, possa esprimere una rinuncia parziale all'impugnazione, precisa come gli atti che svolgano in generale una funzione abdicativa di diritti e facoltà processuali già acquisiti non rientrino nell'alveo della discrezionalità tecnica ordinariamente connessa all'espletamento della difesa.

Cass. pen., Sez. unite, n. 47923/2009 ha stabilito la legittimità – a norma dell'art. 99, comma primo, c.p.p. - della proposizione di domanda di oblazione ad opera del difensore non munito di specifica procura, ritenendo trattarsi di atto di mero impulso processuale.

Anche sul punto specifico – nell'attendere le prime interpretazioni dell'istituto di nuovo conio – sia consentito esprimere qualche seria perplessità.

c) Spicca poi un ulteriore connotato di significazione francamente anodina e generica, laddove si statuisce la dipendenza dell'operatività di tale causa estintiva dalla integrale riparazione del danno. Viene in tal modo richiamata una nozione estremamente indefinita, che magari avrebbe meritato una più certosina demarcazione. Ciò è a dirsi in quanto:

  • laddove il richiamo testuale ad una riparazione integrale dovesse intendersi come comprensivo del danno riguardato nelle angolazioni anche di tipo civilistico, allora la accessibilità all'istituto ne verrebbe ad essere radicalmente compromessa; appare infatti realisticamente poco pensabile che il giudice penale sia in grado di andarsi ad impantanare in una valutazione onnicomprensiva, in ordine ad ogni tipologia di danno anche solo potenzialmente azionabile dinanzi al giudice civile (la conclusione risulterebbe così quasi necessitata: l'attitudine della causa estintiva in commento alla veloce deflazione del carico di pendenze giudiziarie si rivelerebbe – nella concreta applicazione statistica – del tutto nulla o quasi);
  • se al contrario si immaginasse di optare per una soluzione per così dire minimalista (e lo scrivente ritiene che tale sia la soluzione non solo più opportuna, ma anche più coerente con l'ispirazione che rappresenta la spina dorsale della novella) e così circoscrivere tale danno a quello intimamente connesso alla condotta costituente reato, si sarebbe comunque forse dovuto stabilire qualche freno, rispetto alla successiva deducibilità degli aspetti ulteriori in sede civilistica.

In evidenza
Si rammenta come addirittura la condanna generica al risarcimento dei danni, pronunciata in uno alla sentenza penale – sebbene postuli l'accertamento circa il relativo diritto in capo alla parte civile – non implichi però alcun approfondimento circa la concreta esistenza di un danno effettivamente risarcibile (postulando invece solo che sia restata acclarata la pur potenziale attitudine lesiva del fatto dannoso, nonché l'esistenza – evincibile anche in via presuntiva, secondo canoni meramente probabilistici – di un legame eziologico tra quest'ultimo ed il pregiudizio lamentato); è infatti pur sempre riservato al giudice civile l'accertamento circa la liquidazione e la quantificazione del danno, oltre che in ordine all'eventuale esclusione del nesso causale fra fatto illecito e danno prodottosi (Cass. pen., Sez. III, n. 36350/2015).

d) Risulta a prima lettura oscuro, inoltre, il concetto della non addebitabilità all'imputato dell'inadempimento risarcitorio. E infatti. Se la riparazione del danno scaturente da reato deve avvenire – in via alternativa – attraverso l'adozione di condotte di tipo restitutorio ovvero risarcitorio, rimane per la verità piuttosto arduo immaginare quali possano essere i casi di inadempimento incolpevole rispetto all'obbligo risarcitorio. Sarebbe a dire che non si comprende quale elemento – che non sia direttamente ricollegabile ad una volontaria omissione dell'imputato – possa inibire il risarcimento del danno. Volendo salvare la tenuta logica della norma, si potrebbe forse riconnettere tale previsione all'esistenza di una gravosa e magari complicata liquidazione del danno stesso. Altra evenienza definibile come inadempimento non riconducibile all'imputato, francamente, non sappiamo concepire.

e) Ben poco comprensibile è la predisposizione di un così rigoroso limite di carattere processuale, coincidente con la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (tale momento costituirà un vero e proprio sbarramento, allorquando l'istituto sarà andato a regime, ossia con la consequenziale dismissione del meccanismo di diritto intertemporale sopra descritto). L'ordinamento conosce infatti alcune fattispecie che sono procedibili a querela rimettibile, ma che pure prevedono la celebrazione dell'udienza preliminare (si pensi alle forme rimettibili di atti persecutori ex art. 612 bisc.p.; si pensi al fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona, di cui all'art. 642 c.p.; si pensi alla diffamazione commessa con il mezzo della stampa e mediante attribuzione di fatto determinato, di cui agli artt. 13 l. 8 febbraio 1948, n. 47 e 595 c.p.). Bisognerà dunque riflettere sulla formulazione letterale della norma e sulla coerenza sistematica dell'istituto; si riuscirà così forse a capire se si sia trattato di un semplice difetto di coordinamento (agevolmente emendabile dal Legislatore con successive modifiche), oppure se tale opzione sia stata il frutto di una precisa volontà del Legislatore. Ma si tratta comunque di una scelta normativa che allo stato permette improvvidamente - soltanto ad alcune categorie di imputati - di superare il momento-limite costituito dall'udienza preliminare (il che equivale sostanzialmente a dire: di assicurarsi già una prima valutazione giurisdizionale del materiale posto a fondamento dell'accusa); di preservare però intatta la facoltà di fruire della possibilità di accesso a tale causa estintiva (limitandosi ad attendere la dichiarazione di apertura del dibattimento). Diversamente, soggetti imputati di altri reati – i quali per avventura si siano resi protagonisti di fatti di minore caratura delinquenziale – saranno tenuti ad optare subito per tale modalità estintiva, già al tempo del primo contatto con un giudice. Solo questi ultimi quindi – già in un momento antecedente, rispetto alla loro prima comparizione dinanzi ad un giudice – dovranno adempiere con urgenza agli obblighi restitutori o risarcitori. In assenza, questa volta, di qualsivoglia preventivo controllo giurisdizionale.

f) Ai primi esegeti non è poi sfuggita una ulteriore improprietà della novella, laddove essa stabilisce il suddetto termine perentorio (si ripete, rappresentato dalla dichiarazione di apertura del dibattimento), ma non detta la disciplina inerente al caso in cui si proceda mediante l'emissione di decreto penale di condanna; ciò ha portato ad affermare come la norma stabilisca lo sbarramento, «lasciando aperta la possibilità di ricorrere all'istituto della riparazione estintiva con l'atto di opposizione (e in tal caso andrebbe integrata la disciplina degli avvisi di cui all'art. 460 lett. e) c.p.p.)» (MURRO, 3).

In evidenza

Con riferimento alla disciplina degli avvisi spettanti al destinatario del decreto penale di condanna, si ricorda che Corte cost. n. 201/2016 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 460, comma 1, lett. e) c.p.p., nella parte in cui non indica – tra gli avvisi da inserire nel decreto penale di condanna – anche quello inerente alla facoltà riservata all'imputato opponente di accedere alla sospensione del procedimento con messa alla prova.

g) Si è anche sottolineata l'esistenza di un chiaro difetto di coordinamento fra la norma di recente introduzione ed i già esistenti istituti di carattere premiale (qui il riferimento è alla non punibilità per tenuità del fatto e, alla sospensione del procedimento per messa alla prova; si pensi inoltre alle già vigenti ipotesi di oblazione e infine ai riti alternativi, tutti comunque ispirati ad una finalità premiale e deflattiva (si legga ancora, per una esaustiva disamina, MURRO, 4: «Nell'evitare il pericolo di impunità, un coordinamento tra le diverse ipotesi sarebbe stato auspicabile, anche in considerazione del fatto che si può ricorrere al beneficio dell'estinzione del reato per riparazione illimitatamente»).

h) Non è tutto. Si è accennato alla previsione inserita nel terzo comma dell'art. 1 l. 103/2017, laddove è stabilito che si possa accedere alla causa estintiva in esame – con riferimento ai processi che risultino già pendenti al tempo dell'entrata in vigore della relativa legge istitutiva – attraverso la presentazione di istanza nel corso della prima udienza successiva. Da tale disciplina sono espressamente esclusi i processi che si trovino già in Cassazione. E dunque. Certamente tale scelta scaturisce dall'ovvia considerazione della mancanza di poteri di accertamento nel merito, in capo ai Giudici di legittimità; caratteristica che naturalmente finirebbe per rendere ben ardua la ponderazione in ordine alla congruità della prestazione risarcitoria. Eppure, rimanendo all'interno della struttura ordinamentale e dei principi sistematici, lo spazio di manovra è comunque sempre amplissimo. Nulla avrebbe quindi impedito di immaginare una qualsivoglia modalità di restituzione in termini (oppure un meccanismo processuale di altro genere, ma in grado di assicurare il medesimo risultato pratico); ciò perché la disciplina cristallizzata nella novella pare purtroppo premonitrice – su tale aspetto specifico - di una profonda e palese disparità di trattamento. Rimarrà infatti fuori dalla facoltà di accedere al beneficio dell'estinzione del processo per condotte riparatorie, proprio quella affollata categoria di imputati che – in dipendenza semplicemente dell'inesistenza dell'istituto, al tempo in cui furono sottoposti al doppio grado di giudizio nel merito – non ebbero la possibilità di fruirne. Ma si tratta di persone che al contrario – appunto in quanto già condannati in duplice processo – avrebbero presumibilmente avuto ottime motivazioni per voler beneficiare della causa estintiva, laddove fosse già stata vigente la disposizione normativa ora introdotta.

i) Ancora. La sospensione del procedimento in caso di inadempimento non addebitabile, ampliando il termine utile per il compimento delle condotte riparatorie, rappresenta evidentemente un beneficio per l'imputato; sarebbe a dire che essa costituisce sia una sorta di apertura di credito (visto che l'ordinamento si affida ad un maturato ravvedimento e quindi alla sussistenza di una seria volontà di adempiere), sia un meccanismo finalizzato a incoraggiare il ricorso alla causa estintiva in esame (quindi a facilitare il superamento di ostacoli di varia congerie). Il contraltare rispetto a tale beneficio è naturalmente rappresentato dalla sospensione del termine prescrizionale; una previsione del tutto inevitabile, resa necessaria dall'esigenza di allontanare la possibile ricorrenza di istanze mosse da intenti meramente dilatorie, ispirate cioè dalla sola volontà di far trascorrere vanamente tale lasso di tempo e così magari avvicinare il tempo utile per poter lucrare tale altra forma di estinzione del reato. Però rimane misteriosa la ragione che possa aver indotto il Legislatore a non prevedere anche – proprio nel medesimo caso – la sospensione del termine di durata delle misure cautelari, eventualmente in esecuzione nei confronti di colui che formuli istanza di accesso all'estinzione per condotte riparatorie. L'unica interpretazione fondatamente spendibile porta allora a rifugiarsi sotto l'egida normativa, di portata generale, dell'art. 304 comma 1 lett. a) e b) e 5 c.p.p. (laddove è sancita la sospensione del corso dei termini di durata delle misure cautelari ex art. 303 c.p.p. – in sede di dibattimento e di giudizio abbreviato – in presenza di una sospensione originata da richiesta proveniente dall'imputato o dal difensore).

In evidenza

Ricordiamo in proposito che – stando al dictum di Cass. pen., Sez. IV, n. 30294/2013, la regolamentazione della sospensione dei termini di durata delle misure cautelari, contenuta nell'art. 304 c.p.p., non riguarda i provvedimenti coercitivi di natura non custodiale (nella specie, si trattava dell'obbligo di presentazione alla P.G., misura la cui estensione cronologica è già ampliata dal disposto dell'art. 308 c.p.p.).

j) Non vi è poi chi non rilevi come non sia stato previsto un limite alla possibile reiterabilità dell'accesso alla causa estintiva in commento; sarà quindi possibile beneficiarne in un numero indefinito di casi. Questa illimitata facoltà di fruizione, però, inevitabilmente porterà ad una deriva molto pericolosa, in quanto risulterà latamente criminogena: ciascun soggetto sarà praticamente libero di delinquere quasi a piacimento, in una moltitudine indifferenziata e illimitata di occasioni; nulla potrà poi impedirgli di riparare il danno prodotto e ottenere così sempre l'estinzione del reato. Forse potrà esser considerato un pericolo per così dire strisciante e velato; eppure, riteniamo che una tale elisione dei freni inibitori - normalmente connessi all'effetto generalpreventivo della sanzione - meriterebbe di non essere sottovalutata. Verrebbe insomma a verificarsi una situazione che – collocandosi davvero a siderale distanza, rispetto alle intenzioni del legislatore ed alla ratio ispiratrice della novella – si rivelerà atta a condurre determinati soggetti, certo già proclivi alla delinquenza, a patire magari meno l'attitudine dissuasiva della norma penale. Ed a delinquere sapendo comunque di potersi sempre rintanare nel comodo usbergo dell'adempimento delle prestazioni riparatorie o restitutorie; e conseguentemente raggiungere – quale comoda scappatoia sempre aperta – il risultato dell'estinzione del reato. Stranamente però, in altre occasioni, un Legislatore forse più accorto ha avvertito i rischi sopra descritti ed ha delineato una disciplina decisamente diversa. Il pensiero qui corre immediatamente alla contravvenzione di guida sotto l'influenza di alcol, in relazione alla quale è prevista l'estinzione mediante la prestazione del lavoro di pubblica utilità ai sensi dell'art. 54 d. lvo 28 agosto 2000, n. 274; qui è infatti giustamente sancito che: «Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di una volta» (art. 186, comma 9-bis, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285).

k) Ultima riflessione. È assente qualsiasi previsione circa la possibilità di rinuncia a tale causa estintiva. Questo è probabilmente il precipitato logico di un convincimento forse formatosi nella mens legis: che l'assolvimento delle condotte riparatorie o restitutorie costituisca un atteggiamento di indubitabile valenza. E che esso – sebbene solo per facta concludentia – sia evocativo dell'esistenza di un interesse specifico del soggetto, rispetto all'accesso al meccanismo estintivo suddetto. Il tutto pare però frutto di una incongrua postulazione. E infatti. Pure in presenza di condotte di carattere riparatorio – che in verità possono essere orientate dalle più disparate intenzioni, dalla volontà solidaristica fino al puro e semplice movente utilitaristico – non è consentito escludere che possa residuare spazio per un interesse dell'imputato, diretto all'ottenimento di una pronuncia assolutoria nel merito. Solo quest'ultima, peraltro, metterebbe il reo definitivamente al riparo dall'esperimento di ulteriori pretese in sede civilistica (qui nuovamente giova ricordare come non sia stata prevista l'improponibilità di nuove e più ampie istanze, di tipo anche risarcitorio, nella sede a ciò deputata).

Guida all'approfondimento

MURRO, Riforma Orlando: condotte riparatorie per i reati a querela rimettibile, in Parola alla Difesa, 28 marzo 2017;

PULITANÒ, Sulle proposte di modifica al Codice Penale e all'Ordinamento Penitenziario, in Giurisprudenza Penale, 19 marzo 2017;

SPANGHER, Sulle proposte di modifica al Codice di Procedura Penale, in Giurisprudenza Penale, 19 marzo 2017;

FARINI - TRINCI, Compendio di Diritto Penale, (addenda 2017).

Sommario