La motivazione dei sequestri dopo la sentenza Capasso delle Sezioni unite

Alessandro Trinci
17 Marzo 2017

Recentemente, la suprema Corte, nella sua composizione più autorevole, si è occupata di stabilire se le novità introdotte dalla l. 47/2015 in materia di misure cautelari personali siano applicabili, ed entro quali limiti, ai provvedimenti di sequestro (intesi sia come misura cautelare che come mezzo di ricerca della prova). Affermando la necessità ...
Abstract

Recentemente, la suprema Corte, nella sua composizione più autorevole, si è occupata di stabilire se le novità introdotte dalla l. 47/2015 in materia di misure cautelari personali siano applicabili, ed entro quali limiti, ai provvedimenti di sequestro (intesi sia come misura cautelare che come mezzo di ricerca della prova).

Affermando la necessità – insuperabile da parte del giudice del riesame – di una motivazione originale del vincolo reale, i giudici di legittimità hanno operato un avvicinamento dei provvedimenti reali a quelli personali sotto il profilo dell'onere giustificativo, mettendo al contempo in crisi il modello – diffuso soprattutto sul terreno del sequestro probatorio – della motivazione per rinvio, magari compendiata in formulette standardizzate, che nasconde una adesione acritica dell'autorità emittente alle scelte dell'autorità richiedente.

Il presente contributo, prendendo le mosse dai contenuti e dagli scopi della riforma del 2015 e dai principi affermati dalle Sezioni unite Capasso (31 marzo 2016 – 6 maggio 2016, n. 18954), passa in rassegna il tema della motivazione dei vincoli reali cercando di coglierne gli aspetti più critici, anche nell'ottica di un possibile intervento demolitore del giudice dell'impugnazione.

I principi affermati dalle Sezioni unite Capasso in tema di motivazione dei sequestri

La maggior parte delle impugnazioni avverso i sequestri penali (sia come misure cautelari che come mezzi di ricerca della prova) riguarda il contenuto della motivazione.

Del resto, a fronte della diffusione di motivazioni “pigre” addotte dai giudici di merito e dai pubblici ministeri, si registrano pronunce della Corte di cassazione non sempre univoche in merito agli standard di giustificazione del vincolo.

Recentemente, vi è stata una importante pronuncia sul tema da parte della Corte di cassazione, a Sezioni unite (sentenza n. 18954 del31 marzo 2016, imputato Capasso), che ha affrontato il tema della motivazione dei provvedimenti di sequestro alla luce delle innovazioni apportate dalla l. 47/2015 in materia di misure cautelari.

Come noto, la novella del 2015 ha addizionato l'art. 292 c.p.p. introducendo la necessità che l'ordinanza cautelare personale debba contenere a pena di nullità, non solo l'esposizione, ma anche l'autonoma valutazione degli indizi di reato e delle esigenze cautelari.

A presidio dell'effettività della suddetta innovazione è stato previsto che il tribunale del riesame debba annullare il provvedimento cautelare che non contiene l'autonoma valutazione di cui all'art. 292 c.p.p., non potendo integrare in parte qua il provvedimento impugnato (art. 309, comma 9, c.p.p.).

Da subito si è posto il problema se il nuovo quadro normativo fosse applicabile anche alle misure cautelari reali e ai sequestri in generale.

Le Sezioni unite, con la sentenza in esame, hanno risolto positivamente il quesito, affermando che il rinvio dell'art. 324, comma 7, ai commi 9 e 9-bis dell'art. 309 c.p.p. comporta, per un verso, l'applicazione integrale della disposizione di cui al comma 9-bis e, per altro verso, l'applicazione della disposizione del comma 9 in quanto compatibile con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il tribunale del riesame deve annullare il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché degli elementi forniti dalla difesa.

Occorre premettere che, in tema di sequestro probatorio, le Sezioni unite si erano già pronunciate nel 2004 con la sentenza n. 5876 (imputato Bevilacqua), affermando che il giudice del riesame non è legittimato a disegnare, di propria iniziativa, il perimetro delle specifiche finalità del sequestro, così integrando il provvedimento di sequestro mediante un'arbitraria opera di supplenza delle scelte discrezionali che, pur doverose da parte dell'organo dell'accusa, siano state da questo radicalmente e illegittimamente pretermesse. Ne consegue che, qualora il pubblico ministero non abbia indicato, nel decreto di sequestro a fini di prova, le ragioni che, in funzione dell'accertamento dei fatti storici enunciati, siano idonee a giustificare in concreto l'applicazione della misura e abbia persistito nell'inerzia pure nel contraddittorio del procedimento di riesame, il giudice di quest'ultimo non potrà che annullare il provvedimento di sequestro.

Nella sentenza Bevilacqua, per altro, si affermava anche che la motivazione del decreto di sequestro probatorio non doveva essere apparente o espressa con formule di stile.

Con la l. 47/2015, osserva la sentenza Capasso, la nullità viene ora estesa anche al caso in cui manchi l'autonoma valutazione dei presupposti fondanti il sequestro probatorio, perché la riforma del 2015 ha inteso disincentivare, sanzionandola, qualsiasi prassi di automatico recepimento, ad opera del pubblico ministero, delle richieste della polizia giudiziaria, così da rendere effettivo il doveroso controllo giurisdizionale preteso sia dalla Costituzione che dalla legge ordinaria. Allo stesso modo, nel sequestro preventivo, il giudice non potrà appiattirsi acriticamente sulle tesi sostenute dal pubblico ministero richiedente.

Naturalmente, l'applicazione ai sequestri delle nuove disposizioni normative richiede un'opera di adattamento, perché l'art. 309, comma 9, c.p.p. utilizza concetti, come esigenze cautelari, indizi ed elementi forniti dalla difesa, pensati per le misure cautelari personali.

Quanto alla gravità indiziaria, anche il provvedimento di sequestro dovrà motivare in ordine al fumus commissi delicti, elemento di particolare rilevanza – come vedremo meglio oltre – nel sequestro probatorio ai fini di dimostrare l'esistenza di un nesso di pertinenzialità fra il bene sequestrato e la fattispecie di reato per la quale si procede.

Seguendo le linee evolutive tracciate dalle Sezioni unite, deve concludersi che il percorso motivazionale che caratterizza i sequestri non è dissimile da quello seguito in tema di misure cautelari personali.

È pur vero che i sequestri possono essere adottati anche nei confronti di terzi estranei al reato e che ciò dispensa il giudicante dal motivare sul punto della responsabilità dell'indagato ma in ogni caso dovrà essere condotta una rigorosa verifica sulla compatibilità e congruità degli elementi addotti dall'Accusa (e dalla parte privata ove esistenti) con la fattispecie penale oggetto di contestazione.

Tale verifica non è più concepibile in termini solo astratti, come ritiene la costante giurisprudenza di legittimità, sia pure con la più recente apertura alla verifica dell'elemento soggettivo, purché ictu oculi.

Dunque, il panorama giurisprudenziale in tema di fumus ha subito una evoluzione, essendosi passati dall'astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato alla concreta compatibilità e congruità degli elementi addotti dall'Accusa con la fattispecie penale oggetto di contestazione.

Tale più rigoroso onere motivazionale si lega con la verifica demandata al tribunale del riesame, al quale spetta l'analisi della esposizione e della autonoma valutazione degli elementi concretizzanti il fumus nell'ottica della possibile declaratoria di nullità del provvedimento che ne sia sprovvisto.

Anche in merito alle esigenze cautelari le sezioni unite ritengono che il tribunale del riesame possa dichiarare la nullità del sequestro quando le finalità perseguite non siano state oggetto di necessaria esposizione ed autonoma valutazione da parte della autorità giudiziaria che ha dispone il vincolo.

I giudici di legittimità indicano alcune eccezioni all'obbligo di motivazione delle esigenze cautelari: i sequestri probatori, taluni casi di sequestro per equivalente a carico dello stesso indagato, altre forme di sequestro finalizzate alla confisca obbligatoria come il sequestro preventivo ex art. 321, comma 2, c.p.p., il sequestro preventivo di beni a norma dell'art. 12-sexies d.l. 306/1992 (conv. dalla l. 356/1992), con riferimento al quale il periculum in mora viene fatto coincidere, dalla costante giurisprudenza di legittimità, coi requisiti della confiscabilità del bene – a stretto rigore ontologicamente diversi dalle esigenze cautelari – e cioè la sproporzione del valore di questo rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto nonché la mancata giustificazione della lecita provenienza del bene stessi.

Negli altri casi la regola è che la motivazione sulle dette esigenze è doverosa e, a seguito della novella, non più integrabile dal tribunale del riesame, neppure quando, pur esistente, non riveli però i necessari caratteri di originalità.

Le ricadute in tema di motivazione dei sequestri probatori

L'insanabilità da parte del tribunale del riesame della nullità generata dalla mancanza di una motivazione o di una motivazione autonoma sembra destinata a provocare effetti dirompenti soprattutto sul terreno dei sequestri probatori, dove prevalgono motivazioni stereotipate, spesso compendiate in moduli standard.

La motivazione del decreto di sequestro probatorio dovrebbe invece riguardare, sia pure con una esposizione sintetica, purché completa:

  1. la fattispecie concreta nei suoi estremi essenziali di luogo, tempo e azione, con l'indicazione della norma che si ritiene violata;
  2. le ragioni per le quali la cosa sequestrata sia configurabile come corpo di reato o cosa pertinente al reato;
  3. la concreta finalità probatoria perseguita con l'apposizione del vincolo reale.

Si tratta di tre aspetti intimamente interconnessi. Infatti, la descrizione anche sommaria del fatto per il quale si procede consente di definire la relazione qualificata tra la res sequestrata e il reato oggetto di indagine (e quindi di qualificare quel bene come corpo di quel reato o cosa pertinente a quel reato) e di stimare l'esistenza dell'indicata esigenza probatoria connessa all'immediata apprensione di quel bene.

Per quanto riguarda, in particolare, la finalità probatoria, occorre ricordare che anche per le cose che costituiscono corpo di reato il decreto di sequestro a fini di prova deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l'accertamento dei fatti.

Va riconosciuto che tale orientamento non è stato sempre seguito dalla Corte di cassazione, poiché anche di recente si è affermato che l'esigenza probatoria del corpo del reato è in re ipsa trattandosi di beni destinati ad essere confiscati, con conseguente obbligatorietà del sequestro (cfr. Cass. pen., Sez. II, 9 febbraio 2016, n. 6149).

Si tratta di una opinione che si inserisce nel contesto di un annoso contrasto giurisprudenziale, che neppure l'intervento chiarificatore delle Sezioni unite (che con la sentenza n. 5876/2004 adottarono la soluzione più rigorosa) è riuscito a sedare.

Tuttavia, in adesione ai principi enunciati sopra va ritenuta illegittima la motivazione di un decreto di sequestro probatorio sintetizzata con espressioni di stile che si limitino ad indicare che quanto è stato oggetto di sequestro è corpo di reato trattandosi di cose sulle quali il reato è stato commesso.

Del resto, come sostenuto nella sentenza Bevilacqua, un sequestro che prescinda da una comprovata finalità di indagine da tutelare si risolverebbe sempre (quindi anche in caso di corpus delicti) in una inaccettabile lesione dell'art. 42 Cost. e all'art. 1 primo protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Il tema assume peculiare rilevanza in tema di sequestro di somme di denaro, ritenute provento del reato, in assenza di qualunque indicazione sulla finalità probatoria avuta di mira mediante l'apposizione del vincolo. Va osservato infatti che il denaro, anche nelle ipotesi in cui integri il corpo del reato, è privo di connotazioni identificative e dimostrative, salvo che proprio quelle banconote o monete, ad esempio perché contrassegnate o sospettate di falsità, occorrano al processo come elemento di tipo probatorio.

Le ricadute sulla motivazione per relationem: aspetti generali

Nei provvedimenti di sequestro è frequente il richiamo agli atti investigativi in funzione motivazionale.

Il consolidato orientamento della suprema Corte (cfr. da ultimo Cass. pen., Sez. VI, 4 novembre 2014, n. 53420) riconosce pacificamente la legittimità della motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale quando:

  1. faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione;
  2. fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione;
  3. l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione.

Occorre inoltre che l'atto richiamato non sia divenuto invalido per motivi di merito, mentre l'obbligo motivazione è da ritenersi soddisfatto se l'atto richiamato è divenuto inefficace solo per vizi di forma. In quest'ultimo caso, infatti, il provvedimento mantiene validità nei suoi contenuti sostanziali, i quali sono fatti propri dal giudice che procede e idonei a rendere edotto l'interessato dell'iter logico seguito per pervenire alla decisione adottata.

(Segue). La motivazione per relationem del sequestro probatorio

Le osservazioni svolte sul dovere del pubblico ministero di giustificare il sequestro probatorio con una motivazione autonoma dovrebbero portare a ritenere non più legittima la tecnica di redazione del decreto di convalida basata sul richiamo integrale al verbale di sequestro probatorio operato d'urgenza dalla polizia giudiziaria, sia pure dichiarando di averlo esaminato e di condividerne il contenuto.

Se tale richiamo è senz'altro possibile quanto alla ricostruzione del fatto, il pubblico ministero non può comunque sottrarsi ad un'autonoma valutazione giuridica circa la sussistenza del fumus, la qualificazione del bene quale corpo di reato o cosa pertinente al reato e l'indicazione delle finalità probatorie perseguite.

Dunque, le modifiche apportate dalla l. 47/2015 impongono di ritenere che non sia più possibile aderire acriticamente alle scelte della polizia giudiziaria richiamando la relativa informativa di reato.

(Segue). La motivazione per relationem del sequestro preventivo

Per quanto riguarda il sequestro preventivo, la suprema Corte ritiene legittimo il decreto del giudice che, richiamando per relationem la richiesta del pubblico ministero, con riferimento alla ricostruzione dei fatti, contenga, sia pure in forma sintetica, un'autonoma e personalizzata valutazione delle posizioni di ciascun imputato con riferimento ad ogni fattispecie delittuosa contestata (cfr. Cass. pen., Sez. II, 11 novembre 2015, n. 8951).

Più in dettaglio, il giudice non può limitarsi ad una trasfusione massiva del compendio investigativo sul presupposto che esso sia sufficiente a dimostrate la sussistenza dei presupposti applicativi del vincolo reale ma su tale materiale deve operare un'autonoma valutazione con la specifica indicazione degli elementi dai quali trarre il fumus delicti e il periculum in mora. Occorre quindi che il giudice passi in rassegna il contenuto degli elementi indiziari raccolti dagli investigatori e ne valuti la gravità in relazione a ciascuna posizione e ai fatti specificamente addebitati. Solo in tal modo viene offerto un percorso motivazionale che consente alla persona sottoposta alle indagini di approntare un'adeguata difesa e ai giudici delle impugnazioni di valutarne la sufficienza argomentativa e la coerenza logica, senza che i medesimi siano obbligati ad una soggettiva ricostruzione degli elementi proposti.

Dopo la pronuncia Capasso, la Corte di cassazione (cfr. Cass. pen., Sez. III, 14 aprile 2016, n. 35296) si è di nuovo pronunciata sul tema della motivazione per relationem dei provvedimenti cautelari reali, osservando che la prescrizione della necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, contenuta nell'art. 292, comma 1, lett. c) c.p.p., come modificato dalla l. 16 aprile 2015, n. 47, è osservata anche quando il giudice ripercorra, motivando per relationem, gli elementi oggettivi emersi nel corso delle indagini e segnalati dalla richiesta del pubblico ministero, purché dia conto del proprio esame critico dei predetti elementi e delle ragioni per cui egli li ritenga idonei a supportare l'applicazione della misura. Dunque, la necessità di autonoma valutazione da parte del giudice rispetto alle richieste del pubblico ministero non esclude che il primo possa ricorrere legittimamente alla tecnica del richiamo per relationem non essendo tale tecnica incompatibile con un'autonoma valutazione critica del materiale indiziario da parte dello stesso giudice.

La motivazione del sequestro preventivo di beni appartenenti a terzi estranei al reato

L'appartenenza del bene ad un terzo estraneo al reato non è di per sé elemento ostativo alla legittimità del sequestro preventivo; tuttavia, tale situazione comporta un dovere specifico di motivazione sul requisito del periculum in mora, nel senso che il giudice dovrà argomentare in merito alla probabilità che tali beni, ad onta della formale intestazione a terzi, siano in realtà collegati con le attività delittuose dell'indagato.

Tale collegamento può essere fornito sulla base di elementi che appaiano indicativi della effettiva disponibilità dei beni da parte dell'indagato, come il carattere meramente fittizio della loro intestazione oppure i particolari rapporti in atto tra il terzo titolare e l'indagato (cfr. Cass. pen., Sez. II, 12 ottobre 2016, n. 47007).

La motivazione del sequestro conservativo

Per completezza espositiva, occorre fare un cenno alla motivazione dei decreti di sequestro conservativo.

Il giudice, nell'adottare un sequestro conservativo, deve verificare la sussistenza di tre requisiti, sui quali deve rendere adeguata motivazione:

a) che i beni o i crediti dell'imputato o del responsabile civile siano pignorabili a norma delle leggi civili;

b) che sussistano fondate ragioni per ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento delle somme dovute all'erario dello Stato o alla parte civile (periculum in mora);

c) che sia stata esercitata l'azione penale.

L'onere motivazionale del sequestro conservativo risulta quindi alleggerito dalla circostanza che lo strumento di tutela in esame può essere adottato in ogni stato e grado del processo di merito (con esclusione, quindi, del giudizio di cassazione), cioè soltanto dopo l'esercizio dell'azione penale, con la conseguenza che l'avvenuta formulazione dell'imputazione sostituisce il requisito del fumus boni iuris richiesto in genere per tutti i provvedimenti cautelari

Tuttavia, il giudice dovrà comunque motivare sulla configurabilità del reato qualora vi sia la sola richiesta di rinvio a giudizio, poiché quest'ultima è atto della pubblica accusa, rispetto al quale non vi è stata una valutazione del giudice sulla idoneità e sufficienza degli elementi acquisiti per sostenere l'accusa in giudizio.

Ne consegue che in sede di riesame di provvedimento che dispone il sequestro conservativo, la proponibilità della questione relativa alla sussistenza del fumus del reato è preclusa solo se sia stato disposto il rinvio a giudizio del soggetto interessato ma non anche quando vi sia la sola richiesta di rinvio a giudizio (cfr. Cass. pen., Sez. V, 2 ottobre 2014, n. 51147).

Contrasti interpretativi si registrato invece sul periculum.

Non vi sono dubbi che tale situazione ricorre in presenza di circostanze specificatamente individuate che facciano apparire fondato un futuro depauperamento del debitore (es. la cessione di alcuni beni facenti parte di un complesso più ampio).

Più controversa è invece l'ipotesi di una oggettiva condizione di inadeguatezza del patrimonio del debitore rispetto all'entità del credito.

Per una prima linea di tendenza, il periculum in mora va valutato, oltre che con riguardo all'entità del credito, anche con riferimento ad una situazione, almeno potenziale, desunta da elementi certi ed univoci, di depauperamento del patrimonio del debitore, da porsi in ulteriore relazione con la composizione del patrimonio stesso, con la capacità reddituale e con l'atteggiamento in concreto assunto dal debitore medesimo.

Una diversa linea interpretativa ritiene, invece, che anche quando sussista una condizione oggettiva di inadeguata consistenza del patrimonio del debitore in rapporto all'entità del credito e indipendentemente da un depauperamento allo stesso ascrivibile, è ravvisabile il periculum in mora.

Le Sezioni unite (sentenza n. 51660/2014), chiamate ad occuparsi del tema, hanno osservato come la chiara dizione normativa (manchino o si disperando le garanzie) faccia riferimento ad una situazione statica e ad una situazione dinamica. Deve quindi ritenersi presente il periculum in mora, non solo quando si disperdano ma anche quando manchino le garanzie delle obbligazioni nascenti da reato. Detto altrimenti, il periculum in mora può essere ravvisato sia in elementi oggettivi concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all'entità del credito sia in elementi soggettivi, rappresentati dal comportamento del debitore. Tutto ciò, osservano le Sezioni unite, secondo l'univoca lettera dell'art. 316 c.p.p. e la finalità di garanzia del credito posta a base dalla legge, che non può realizzarsi prescindendo anche da una situazione statica che renda impossibile, in base alla situazione di fatto esistente al momento della cautela, la realizzazione del credito all'esito del giudizio.

Può dirsi, quindi, che le garanzie mancano quando sussista la certezza, allo stato, dell'attuale inettitudine del patrimonio del debitore a far fronte interamente all'obbligazione nel suo ammontare presumibilmente accertato; si disperdono, quando l'atteggiamento assunto dal debitore è tale da far desumere l'eventualità di un depauperamento di un patrimonio attualmente sufficiente ad assicurare la garanzia a causa di un comportamento del debitore idoneo a non adempiere l'obbligazione. I due eventi, come chiaramente espresso dall'art. 316 c.p.p., con la formula disgiuntiva rilevano (o possono rilevare) autonomamente.

In conclusione

Il vincolo reale, in ragione della sua incidenza su beni di rilievo costituzionale (art. 42 Cost.) e sovranazionale (art. 1 primo protocollo addizionale Cedu), necessita di una giustificazione rigorosa e completa, a prescindere dalle finalità – probatoria o cautelare – perseguite con l'apprensione del bene. Il percorso motivazione deve seguire cadenze argomentative assimilabili a quelle pretese per le ordinanze cautelari personali, stante la comune rilevanza dei beni compressi. Ciò non significa però che il l'autore del provvedimento – sia esso il giudice o il pubblico ministero – non possa compendiare in formule sintetiche il proprio pensiero, purché quest'ultimo sia completo, logico, coerente e adeguato alle finalità dell'atto. L'esigenza di una motivazione originale e pregnante non è di ostacolo neppure ad un richiamato ad altri atti del medesimo o di altro procedimento, purché il rinvio concerna la ricostruzione dei fatti, non essendo abdicabile la funzione valutativa degli stessi.

Mandate a sistema le coordinate ermeneutiche tracciate dalle sezioni unite, dovranno essere bandite certe motivazioni stereotipate che, soprattutto in tema di sequestro probatorio, tradiscono un appiattimento dell'organo decidente sulle ragioni del richiedente. Per tale adesione acritica non vi potrà più essere un intervento salvifico da parte del giudice del riesame, il quale, constatata l'assenza o l'insufficienza della motivazione, dovrà decretare la nullità del provvedimento con conseguente restituzione del bene all'avente diritto.

Guida all'approfondimento

FARINI - TOVANI - TRINCI, Compendio di diritto processuale penale, Roma, 2016.

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