Le contestazioni a catena

17 Luglio 2015

Uno degli aspetti più complessi riguardo le modalità di computo dei termini della custodia cautelare riguarda il fenomeno delle cd. "contestazioni a catena" che si verifica quando nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto.
Abstract

Uno degli aspetti più complessi riguardo le modalità di computo dei termini della custodia cautelare riguarda il fenomeno delle cd. "contestazioni a catena" che si verifica quando nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, per quanto diversamente circostanziato o qualificato, ovvero, nel testo novellato dalla l. 332/1995, per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza in relazione ai quali vi è connessione ex art. 12, comma 1, lett. b) e c), c.p.p. limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, escludendo tuttavia quelle ordinanze che riguardano fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione (art. 297, comma 3, c.p.p.).

Il quadro normativo

La normativa che disciplina il fenomeno delle contestazioni a catena non prevede motivi di nullità dell'ordinanza applicativa della misura cautelare ma influisce solo sul computo della durata della custodia e si applica solo nella fase delle indagini preliminari, quando è necessario un controllo del giudice sull'attività del P.M. anche in riferimento al termine di durata dello stato di custodia dell'indagato. Nessuna operatività ha invece nella fase dibattimentale o comunque dopo che sia stata pronunciata sentenza di primo grado, in quanto il termine intermedio decorre dal provvedimento che dispone il giudizio. Le contestazioni a catena ricorrono quando con successive ordinanze vengono contestati uno stesso fatto, benché diversamente circostanziato o qualificato, ovvero fatti di reato diversi, tutti già configurabili al momento del primo provvedimento impositivo di misura. Il testo originario dell'art. 297, comma 3, c.p.p. stabiliva una eccezione dunque alla regola dell'autonoma decorrenza dei termini limitatamente all'ipotesi in cui nei confronti di un imputato venissero emesse più ordinanze impositive della medesima misura per uno stesso fatto, benché diversamente circostanziato o qualificato, ed a questa situazione era equiparato il caso di concorso formale di reati ex art. 81, comma 1, c.p., di reato aberrante ex artt. 82, comma 2, e 83, comma 3, c.p. In queste situazioni era stabilito che si applicasse la "retrodatazione" dei termini: questi, cioè, decorrevano dal giorno in cui era stata eseguita o notificata la prima ordinanza, commisurati all'ultima delle imputazioni contestate. Fin da subito però la giurisprudenza aveva adottato una interpretazione mirante ad escludere un uso strumentale della normativa in oggetto, estendendo il meccanismo della retrodatazione anche a quelle ipotesi di ordinanze emesse per fatti diversi che fossero "giàconfigurabili al momento dell'emanazione del primo provvedimento", laddove "la reiterazione delle contestazioni derivasse da colpevole inerzia del requirente nella verifica della sussistenza o della consistenza degli indizi in ordine ai fatti per ultimi contestati". La novella del 1995 ha ampliato le ipotesi di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, aggiungendovi le ipotesi di reato continuato e di reati legati dal nesso teleologico: limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, i termini di durata della custodia, commisurati alla più grave delle imputazioni contestate, decorrono dall'esecuzione o notificazione del provvedimento iniziale, a prescindere dalla effettiva conoscibilità degli altri reati sin dal giorno della contestazione del primo.

Gli apporti giurisprudenziali

Inizialmente l'orientamento della Cassazione era di escludere l'applicabilità di tale previsione normativa nel caso in cui per la prima contestazione fosse già intervenuto il rinvio a giudizio e sostenere che il requisito della desumibilità dagli atti dei fatti posti a base delle ordinanze cautelari successive alla prima dovesse riferirsi anche alle ipotesi di cui al primo periodo dell'art. 297, comma 3, c.p.p. La Corte costituzionale, già in disaccordo (Corte cost. 28 marzo 1996, n. 89), però ha risolto la questione dichiarando l'illegittimità della norma nella parte in cui non si applicava anche a fatti diversi non connessi, quando risultasse che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza (Corte Cost. 3 novembre 2005, n. 408). La Cassazione ha precisato che tale disposizione nella nuova veste si applica anche quando le ordinanze cautelari per fatti diversi non legati da connessione qualificata vengono emesse in differenti procedimenti che sono in corso davanti alla stessa A.G. e la cui separazione può essere frutto di una scelta del P.M. (Cass. pen, Sez. un., 19 dicembre 2006, n. 14535 e successivamente anche Corte cost. 21 dicembre 2007, n. 445). Opera anche in caso di competenza territoriale differente e pure nella ipotesi in cui per il primo fatto oggetto della custodia sia intervenuta sentenza di condanna irrevocabile (Cass. pen., Sez. VI, 25 settembre 2013, n. 43235). Non opera invece nel caso in cui le autorità giudiziarie siano diverse per ragioni di competenza funzionale: non vi è in tal caso alcun "abuso" della misura custodiale da prevenire con l'eccezione della retrodatazione (Cass. pen., Sez. II, 16 ottobre 2013, n. 51838).

Quanto alla questione della deducibilità della questione della retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia per effetto della contestazione a catena per la prima volta nel corso del procedimento cautelare, nonostante precedenti difformi (Cass. pen, Sez. II, 27 giugno 2007, n. 35605) per cui essa andava sottoposta al giudice competente, recentemente la Cassazione ha affermato che essa può essere dedotta anche nel procedimento di riesame a condizione che, per effetto della stessa, al momento dell'emissione della successiva ordinanza cautelare, il termine di durata complessivo sia già scaduto (Cass. pen., Sez. II, 10 marzo 2015, n. 13021, Corte Cost. 6 dicembre 2013, n. 293).

La retrodatazione si applica anche nel caso in cui per i fatti oggetto della prima ordinanza sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato prima dell'adozione della seconda misura (Cass. pen., sez. IV, 15 luglio 2014, n. 50063, Corte cost. 22 luglio 2011, n. 233).

Con riferimento al legame tra il reato associativo e i singoli delitti fine, la Cassazione ha escluso che vi sia di per sé un rapporto di connessione rilevante ex art. 297, comma 3, c.p.p., evidenziando comunque che la permanenza del reato associativo cessa con la privazione della libertà: pertanto ove si provi l'ulteriore adesione al sodalizio criminale (dopo l'inizio della detenzione ovvero dopo la scarcerazione) va ravvisato un autonomo reato per cui può essere emesso un nuovo provvedimento cautelare (Cass. pen., Sez. VI, 26 aprile 2007, n. 37952); d'altro canto (Cass. pen., Sez. VI, 3 aprile 2014, n. 29554) il requisito dell'anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto all'emissione della prima, non ricorre allorché il provvedimento successivo riguardi un reato associativo e la condotta di partecipazione si sia protratta dopo l'emissione della prima ordinanza. In generale, poi, in caso di reato permanente la protrazione della condotta criminosa nonostante il provvedimento coercitivo non può essere genericamente affermata ma va specificamente argomentata e dimostrata, onde vincere la generica presunzione di interruzione della condotta criminosa generata dall'applicazione della misura coercitiva (Cass. pen., Sez. I, 13 novembre 2013, n. 48211).

La retrodatazione opera, ove ne sussistano nel condizioni, anche nel caso particolare in cui vi sia stata assoluzione dell'imputato dal reato cui si riferisce alcuna di queste ordinanze ed anche nel caso in cui la misura sia stata mantenuta, medio tempore, per il solo reato per cui egli sia stato assolto: per il giorno di decorrenza dei termini, infatti, rileva solo il giorno a partire dal quale l'imputato sia effettivamente sottoposto alla misura, mentre per la determinazione del termine concretamente applicabile occorre far riferimento al reato per cui sia intervenuta la condanna.

Pacifico infine che la retrodatazione non opera tra misure custodiali e altro genere di misura cautelare (nella specie obbligo di presentazione alla P.G., Cass., Sez. VI, 20 dicembre 2013, n. 13886).

In conclusione

Nonostante dunque i continui arricchimenti giurisprudenziali su specifici profili, in un quadro estremamente complesso che ha anche visto contrasti importanti tra le decisioni della cassazione e quelle della Corte costituzionale, sembra potersi delineare comunque un quadro sintetico coerente e lineare, nelle sue linee essenziali. La retrodatazione, nel caso di più ordinanze emesse per fatti diversi commessi prima dell'emissione della prima ordinanza, legati da concorso formale, continuazione o connessione teleologica, opera indipendentemente dalla possibilità, al momento della prima ordinanza, di desumere dagli atti l'esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive (come anche di desumere dagli atti l'esistenza di elementi idonei a giustificare le relative misure); la retrodatazione opera anche per i fatti oggetto di un diverso procedimento, in caso di più ordinanze emesse per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, sempre che i fatti fossero desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza; infine in caso di fatti diversi non legati da alcuna connessione prevista dall'art. 297, comma 3, si applica la retrodatazione ogni volta che, al momento dell'emissione della prima ordinanza, erano desumibili dagli atti gli elementi che hanno giustificato le ordinanze successive (Cass. pen., Sez. un., 22 marzo 2005, n. 21957). In altri termini, in caso di fatti reato non connessi ex art. 12 c.p.p. il giudice deve accertare caso per caso se fin dalla prima ordinanza esistessero o meno agli atti del procedimento elementi tali da giustificare una richiesta di misura cautelare anche per gli altri fatti, a nulla rilevando che magari nel corso delle indagini si sia sviluppato un quadro probatorio più chiaro e più consistente che abbia reso quasi inevitabile le successive richieste di misura. È evidente anche perchè la cassazione sottolinea che l'esistenza del "fatto" va intesa come riferita al singolo imputato e alla singola imputazione anziché alla indagine nel suo complesso, non potendo lasciare il P.M. arbitro di gestire i termini della custodia aggiungendo magari nuovi fatti e nuovi indagati (Cass., I, 24 giugno 1999). Non basta tuttavia la mera conoscibilitàdella notizia di reato, occorrendo la sussistenza di tutti gli elementi apprezzabili come presupposti per l'emissione di nuove misure cautelari (Cass. pen., Sez. IV, 3 luglio 2007, n. 44316). Ne consegue l'onere, da parte di chi sostenesse l'applicabilità della retrodatazione in caso di più notizie di reato pervenute in tempi diversi all'ufficio del P.M., di evidenziare specificamente le ragioni a proprio sostegno, cioè spiegare in che modo gli elementi indiziari già conosciuti avrebbero potuto e dovuto essere a sostegno di una richiesta e di una applicazione di misura anche per i fatti diversi (Cass. pen., Sez. II, 14 novembre 2007, n. 46038).

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