Gli interventi del giudice delle leggi sulla recidiva

Gaetano Bonifacio
18 Ottobre 2016

Con la legge 5 dicembre 2005 n. 251 il Legislatore ha rivisitato l'istituto della recidiva apportando ad esso modifiche di notevole rilievo. Nel corso degli anni poi i vari interventi della Corte costituzionale hanno modificato l'art. 99 c.p., riportandolo ad un assetto più coerente con le altre disposizioni del codice penale in materia di circostanze del reato. Uno degli ultimi interventi della Consulta è stato operato con la sentenza n. 185 del 23 luglio 2015, con il quale è stato modificato il disposto dell'art. 99, comma 5, c.p., rendendo non più obbligatorio l'aumento della pena ...
Abstract

Con la legge 5 dicembre 2005 n.251 il Legislatore ha rivisitato l'istituto della recidiva apportando ad esso modifiche di notevole rilievo.

Nel corso degli anni poi i vari interventi della Corte costituzionale hanno modificato l'art. 99 c.p., riportandolo ad un assetto più coerente con le altre disposizioni del codice penale in materia di circostanze del reato.

Uno degli ultimi interventi della Consulta è stato operato con la sentenza n. 185 del 23 luglio 2015, con il quale è stato modificato il disposto dell'art. 99, comma 5, c.p., rendendo non più obbligatorio l'aumento della pena in presenza della recidiva, nei casi in cui si tratti di uno dei delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p., rendendone in tal modo l'applicazione facoltativa, come già era per le ipotesi previste dai primi quattro commi della disposizione.

Premessa

Le prime voci che sono seguite all'entrata in vigore legge 5 dicembre 2005 n. 251, sono state di sostanziale critica alle innovazioni apportate agli istituti del codice penale.

È difficile stabilire se tali critiche siano fondate o no e, soprattutto, se il prodotto legislativo sia o no di scarsa qualità in relazione alle applicazioni concrete.

La legge 5 dicembre 2005 n. 251, recante Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione, ha determinato una radicale modificazione dell'istituto della recidiva.

In realtà l'estensione innovativa della novella normativa in oggetto, come già si può capire dalla sua rubrica, è molto più ampia, non limitandosi la stessa alla modifica del solo istituto della recidiva ma innovando anche in materia di circostanze attenuanti generiche, di giudizio di comparazione delle circostanze del reato per i recidivi, di usura e di prescrizione del reato, oltre che prevedere della modifiche alla legge 354 del 26 luglio 1975.

Le innovazioni che sono state introdotte in materia di recidiva, non sono state tali da mutare la sua classificazione da un punto di vista sostanziale, in quanto le stesse hanno riguardato sostanzialmente il suo campo di applicazione.

La recidiva è tradizionalmente classificata dalla dottrina come circostanza aggravante inerente la persona del colpevole, in maniera conforme alla definizione contenuta nell'art. 70, comma 1, n. 2 ultima parte e comma 2, c.p., in presenza della quale il giudice può aumentare la pena secondo i parametri contenuti nell'art. 99 c.p.

La definizione di elemento circostanziale, che è riservata a tutti gli elementi accessori del reato, è tale in ragione del fatto che essi servono a meglio descrivere la realtà fattuale in termini normativi; essa mal si adatta alla recidiva, in quanto questa si sostanzia in una qualificazione giuridica soggettiva, che anche se influente sulla misura della pena, non può considerarsi come elemento descrittivo del reato.

Essendo la variazione della pena una conseguenza dell'applicazione delle circostanze del reato, appare condivisibile l'assunto che definisce la recidiva come circostanza solo agli effetti della pena e non in senso proprio, riprova ne è che la recidiva era ed è tuttora sottoposta alla stessa disciplina stabilita per le ipotesi circostanziali del reato, sia sotto il profilo del possibile aumento della pena in sua presenza, sia come elemento rientrante nel giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato.

La maggior quantità di pena irrogabile in concreto, trova il suo fondamento nel fatto che la pena comminata per il precedente reato non è stata sufficiente, dal punto di vista della deterrenza, a far sì che il soggetto si astenesse in futuro dal commettere altri reati; la maggiore afflittività della pena dovuta all'aumento in presenza della recidiva, ha la sua ragione non nella gravità del fatto di reato commesso nel caso di specie, che è commisurata in base ai parametri contenuti nell'art. 133 c.p. ma nella supposta e constatata insufficienza della pena che si era irrogata a seguito della commissione del precedente fatto di reato.

Da un primo esame della “nuova” disposizione, si può subito notare come l'ambito di applicazione dell'istituto della recidiva abbia subito un notevole restringimento, rispetto alla precedente formulazione.

Infatti l'art. 4 della legge 251/2005 limita la possibilità di aumentare la pena alle sole ipotesi di sussistenza di delitti non colposi.

Non è questa la sede per discutere sulla opportunità da un punto di vista sostanziale di un intervento di tale portata innovativa ma preme sottolineare come siano in un certo senso diminuiti gli effetti stigmatizzanti della condanna, proprio in considerazione del fatto che ora la condanna per fatti di reato contravvenzionali o per i delitti colposi, non rileva più al fine della ricorrenza della recidiva.

Preso atto di quest'ultima caratteristica dell'istituto riformato, è necessario considerare che la ragione per cui venne introdotta la norma sulla recidiva nel codice penale del 1930, fu quella di reputare insufficiente la quantità di pena già comminata per un precedente reato a chi poi commetteva un altro reato e, quindi, prevedere un aumento della pena nei confronti dei soggetti recidivi in ragione dell'efficacia deterrente della pena nei confronti di chi commette un reato dopo averne già commesso un altro; preso atto di questo, è di tutta evidenza ritenere che il Legislatore della riforma abbia considerato meritevoli di un aumento di pena solo coloro che commettono delitti dolosi, dopo averne già commessi altri in precedenza. L'effetto di tutta evidenza è quello che ora il Legislatore considera non più necessario ai fini della deterrenza della pena, il suo aumento nel caso di commissione di delitti colposi o di contravvenzioni.

Altro elemento di interesse della riforma, è l'influenza che questa circostanza ha nel computo del tempo necessario a prescrivere in riferimento ai soggetti recidivi; il testo novellato dell'art. 161, comma 2, seconda parte c.p., prevede che in presenza di atto interruttivo della prescrizione, l'aumento dei termini necessari a prescrivere sia della metà nei casi di recidiva previsti all'art. 99, comma 2, c.p., e di due terzi nel caso previsto dall'art. 99, comma 4, c.p., considerato che il prolungamento della prescrizione è di norma di un quarto del tempo necessario a prescrivere in presenza di atto interruttivo.

Le scelte legislative e gli interventi della Corte costituzionale

Individuare quali siano state le ragioni che hanno spinto il Legislatore ad introdurre la nuova formulazione della recidiva non è compito agevole per l'interprete.

Il procedimento di ricostruzione della volontà legislativa è infatti possibile solo attraverso lo studio del dato normativo, che ora pare essere poco integrato nel contesto generale del codice penale.

Alcune considerazioni sono comunque possibili in ordine al riformato istituto della recidiva; la logica di prevedere la sussistenza della recidiva solo nell'ipotesi di commissione di delitti a titolo di dolo, troverebbe giustificazione nel fatto che il Legislatore ritiene il soggetto meritevole di un aumento di pena a discrezione del giudice, solo nei casi in cui il reato che commette sia stato posto in essere con dolo, perché con l'aumento della pena, è la “cattiva” volontà che si sanziona, essendo per tale motivo esenti da aumenti di pena, tutti i fatti che sono posti in essere contro la volontà, come nelle ipotesi della colpa.

Tali considerazioni non servono comunque a spiegare l' esclusione delle contravvenzioni commesse con dolo dal computo della recidiva.

Riguardo poi alla commissione dei delitti colposi, un aspetto forse critico della modifica legislativa, è ravvisabile nel fatto di aver tolto al giudice la possibilità di aumentare la pena nei casi di reiterazione di condotte colpose dovute a mera disattenzione, effetto deterrente comunque necessario, in quanto rientra nel raggio della volontà, l'autocontrollo del soggetto sulle sue azioni.

Con riferimento alle contravvenzioni, è sostenibile che esse non sono idonee a permettere la sussistenza della recidiva, in quanto, seppur poste in essere secondo l'intenzione, sono connotate, secondo i principi generali, da minore gravità rispetto ai delitti e riprova di ciò ne può essere il quadro di insieme della riforma, che ne prevede, come già era in precedenza, un termine di prescrizione più breve, essendo comunque il nuovo termine di prescrizione delle contravvenzioni più ampio rispetto a quello previsto nella normativa ante riforma.

Altro aspetto fonte di incertezze interpretative, è quello derivante dagli effetti del prolungamento della prescrizione dovuto alla recidiva, solo in presenza di atti interruttivi della prescrizione.

In poca sostanza è come dire che, dal punto di vista della prescrizione, il recidivo è trattato come il soggetto incensurato, eccetto che nelle ipotesi di ricorrenza di un atto interruttivo della prescrizione, per cui e trattato in maniera più afflittiva; tale previsione normativa non è di semplice comprensione, seppur ritenendo che rientra nel potere discrezionale del legislatore prevedere termini di prescrizione diversi per i recidivi, lo si dovrebbe fare in tutti i casi di commissione di un delitto doloso, e non solo nell'ipotesi in cui sia posto in essere un atto interruttivo della prescrizione.

Preso atto delle modifiche introdotta alla disciplina della recidiva e considerate queste in base alle disposizioni dell'art. 2 del codice penale, i casi di recidiva dichiarati in precedenza all'introduzione della riforma, andrebbero ridefiniti in relazione ai nuovi parametri di valutazione, nelle ipotesi in cui questi possano essere più favorevoli al reo, fatti salvi gli effetti delle sentenze di condanna irrevocabili.

In relazione poi alle regole sul giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato, esse sono state oggetto di modifica a seguito dell'entrata in vigore della legge 251/2005, in particolare l'art.69, comma 4, c.p. ha subito modifiche di rilievo; in tali ipotesi vi è il divieto di prevalenza delle ritenute circostanze attenuanti con la recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p., ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato.

La formulazione originaria dell'art. 69, comma 4, del c.p., è stata oggetto di rivisitazioni di rilievo a seguito degli interventi della Corte costituzionale che si riportano di seguito, che ne hanno profondamente modificato la struttura.

Il Legislatore aveva infatti previsto un “contenimento” del giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato nei casi di ricorrenza della recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p., impedendo che il giudizio di bilanciamento potesse avere come esito la dichiarazione di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p.; i successivi interventi della Consulta, hanno in qualche maniera mitigato lo spirito della novella legislativa contenuta nella l. 251/2005, nei casi in cui la stessa aveva come obbiettivo quello di “penalizzare” i recidivi di cui all'art. 99, comma 4, c.p.

La Corte costituzionale, con sentenza del 5 novembre 2012, n. 251, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 69, comma 4, c.p. nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. 309 ottobre 1990, sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p., mentre con la sentenza del 14 aprile 2014, n. 105, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p. nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 648, comma 2, sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, del c.p.

La sentenza 18 aprile 2014, n. 106, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p. nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis, comma 3, sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4 del codice penale.
Da ultimo con sentenza n. 74 del 2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p. nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 7,d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, sulla recidiva reiterata prevista dall'art. 99, comma 4, del codice penale.

Un altro intervento della Consulta di notevole portata innovativa, è stato operato dalla Consulta con la sentenza n. 185 del 23 luglio 2015, pronuncia con la quale è stata eliminata dall'ordinamento l'ultima ipotesi di recidiva di applicazione obbligatoria, attraverso la dichiarazione di illegittimità costituzionale del disposto contenuto nell'art. 99, comma 5, c.p., nella parte in cui prevedeva come obbligatorio l'aumento della pena per la recidiva in presenza dei delitti indicati nell'art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p.

Alcuni spunti interessanti si possono trarre in tema di effetti della recidiva per quanto attiene ai reati attribuiti alla competenza del giudice di pace.

L'art. 52, comma 3, del d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274, stabilisce che Nei casi di recidiva reiterata infraquinquennale, il giudice applica la pena della permanenza domiciliare o quella del lavoro di pubblica utilità, salvo che sussistano circostanze attenuanti ritenute prevalenti o equivalenti.

È questo un caso di determinazione della pena in maniera indipendente da quella ordinariamente prevista per il reato, dovuto alla presenza di un particolare tipo di recidiva; in tale ipotesi, in tema di prescrizione del reato, sarebbe applicabile il disposto dell'art. 157, comma 5, c.p., essendo la permanenza domiciliare o il lavoro di pubblica utilità, pene di specie diversa da quella detentiva e da quella temporanea, se non che tale disposizione, che prevede un termine di prescrizione di tre anni, non sarebbe applicabile in quanto le predette pene deriverebbero dall'applicazione dello speciale meccanismo di conversione previsto per la competenza penale del giudice di pace.

Il fatto che dalla presenza della recidiva derivi non un semplice aumento della pena ma l'applicabilità di una pena di specie diversa, fa si che la circostanza aggravante della recidiva sia da considerare in questo caso, come circostanza aggravante ad effetto speciale.

Da sottolineare invece la mancanza di coordinamento tra la disposizione dell'art. 52, comma 3, del d.lgs. 274/2000 e quella dell'art. 69, comma 4, del codice penale, laddove l'art. 52, comma 3, d.lgs. 274/2000 rende bilanciabili, anche con giudizio di prevalenza, le circostanze attenuanti con la recidiva reiterata infraquinquennale, nonostante il divieto posto dall'art. 69, comma 4, c.p.

Può anche costituire un interessante momento di riflessione il confronto tra la norma sulla recidiva, e quella contenuta nell'art. 133, comma 2, n.2 c.p., che fa riferimento ai precedenti penali e giudiziari e, in genere, alla condotta e alla vita del reo antecedenti al reato, ai fini della valutazione della pena nell'esercizio del potere discrezionale del giudice di cui parla l'art. 132 c.p.

È evidente che la disposizione dell'art. 133 c.p. si riferisce ai precedenti penali, senza la previsione di alcuna differenziazione in relazione al tipo di precedente, come per esempio alla tipologia di reato commesso.

Dal raffronto tra la disposizione di cui all'art. 133 c.p. e la nuova formulazione dell'art. 99 c.p., si può notare come le due norme abbiano finalità diverse; la disposizione dell'art.133 c.p. prevede attraverso quali parametri il giudice debba esercitare il proprio potere discrezionale, al fine della valutazione della gravità del reato, mentre l'art. 99 c.p., essendo elemento circostanziale aggravatore del reato, rende possibile al giudice un aumento della pena.

È evidente la disomogeneità dei profili valutativi; quando il giudice calcola la pena base, i precedenti penali e giudiziari entrano tutti in considerazione, mentre quando deve decidere, prima di operare il relativo aumento, sulla sussistenza della recidiva, deve verificare solo la commissione di delitti dolosi.

Il giudizio in ordine alla sussistenza della recidiva, deve essere basato sulla valutazione del processo motivazionale avuto dal reo nella commissione del fatto di reato, in relazione a quanto la sentenza definitiva di condanna precedentemente irrogata abbia influito sia in positivo, che in negativo, sulla commissione del nuovo fatto di reato; la responsabilità del recidivo è proporzionale al livello di ribellione all'efficacia contromotivazionale della sentenza irrevocabile di condanna da lui riportata in precedenza.

Questo giudizio è ora limitato alla sola considerazione dell'efficacia deterrente della precedente condanna per delitti dolosi, il che crea un evidente squilibrio in relazione ai principi generali che riguardano la funzione general preventiva attribuita alla pena dalla Costituzione, di tal che la deterrenza che interessa all'ordinamento ai fini di un aumento della pena, è limitata ai soli casi in cui questa si riferisca alla commissione di delitti a titolo di dolo.

Due metri di valutazione diversi, in riferimento alla pena il primo, secondo il quale è considerato qualunque precedente penale e giudiziario, in riferimento alla sussistenza della recidiva e quindi al possibile aumento della pena il secondo, in base al quale entrano in considerazione solo i precedenti penali relativi ai delitti commessi a titolo di dolo.

Il perché di questi diversi parametri valutativi è forse da individuare nel fatto che si tratta di elementi di natura diversa, aventi differenti finalità.

Non è questa la sede per intraprendere un discorso di questo tipo, vista la limitatezza del presente lavoro ma la nuova disciplina della recidiva potrebbe determinare problemi di coordinamento delle due disposizioni; i parametri dell'art. 133 c.p. riguardano la determinazione della pena base, quelli dell'art. 99 c.p. invece determinano l'aumento che si deve operare sulla pena base così determinata; finalità diverventi, che però richiederebbero maggior coordinamento tra le due disposizioni.

Viene infine da pensare che il legislatore abbia voluto reintrodurre, anche se con qualche differenziazione, l'istituto dell'art. 100 c.p., poi abrogato dall'entrata in vigore dell'art. 10, d.l. 11 aprile 1974 n. 99, che prevedeva la recidiva facoltativa secondo la seguente formulazione Il giudice, salvo che si tratti di reati della stessa indole, ha la facoltà di escludere la recidiva fra delitti e contravvenzioni, ovvero fra delitti dolosi o preterintenzionali e delitti colposi, ovvero fra contravvenzioni.

In conclusione

L'impianto originario post riforma operata dalla l. 251/2005 in relazione ai casi di recidiva previsti dall'art. 99, comma 4, c.p., prevede l'operatività nel caso del giudizio di bilanciamento, del divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva, cosi come stabilito nell'art. 69, comma 4, c.p.

Nel corso degli anni trascorsi dall'entrata in vigore della riforma, i numerosi interventi operati dalla Corte costituzionale, pur permanendo il divieto di cui all'art. 99, comma 4, c.p. per quanto riguarda il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti su tale recidiva, hanno rideterminato il profilo normativo dell'art. 69, comma 4, c.p., riportando l'assetto della norma verso un sostanziale ritorno alla vecchia regolamentazione, attraverso l'eliminazione, in alcuni casi, del divieto della prevalenza delle circostanze attenuanti su alcune circostanze aggravanti, nonché prevedendo la obbligatorietà della contestazione della recidiva, attribuendo però al giudice il potere di non aumentare la pena in presenza della recidiva attraverso la sua disapplicazione.

Altro aspetto innovativo della riforma è ravvisabile nella definizione di recidiva, per la quale il Legislatore ha diminuito le ipotesi in cui è possibile dichiararne la sussistenza ai soli casi di commissione di delitti dolosi, escludendo cosi dal novero dei reati presupposto, i delitti colposi e le contravvenzioni.

Tale aspetto ha innovato profondamente il modo di intendere le circostanze aggravanti inerenti la persona del colpevole, limitando i casi di sussistenza della recidiva in maniera più favorevole al reo, diminuendo in tal modo il potere dei precedenti penali di influire sulla pena.

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