Il giudizio di ottemperanza nella fase di esecuzione della pena
23 Giugno 2016
Abstract
Al fine di conferire al rimedio disciplinato dall'art. 35-bis, l. 354/1975 la necessaria effettività e superare così la criticità rilevata dalla Corte Edu (sentenza 8 gennaio 2013, Torreggiani c. italia), con riferimento al reclamo giurisdizionalizzato (artt. 14-ter, 35 ord. penit.), la disciplina del ricorso giurisdizionale introdotto dal d.l. 146/2013 prevede (art. 35-bis, commi 5-8, ord. pen.), una speciale procedura di esecuzione coattiva del dictum giudiziale nel caso di inottemperanza dell'amministrazione. Carattere del giudizio di ottemperanza
Una delle più incisive novità sottese all'introduzione del reclamo giurisdizionale è la previsione normativa della efficacia vincolante della decisione assunta dal giudice per tutte le parti e, segnatamente, per l'Amministrazione. Tale caratteristica del nuovo rimedio – già affermata da alcune decisioni della Corte costituzionale (Corte cost. n. 266/2009 e 135/2013) con riguardo al previgente assetto imperniato sul ricorso giurisdizionalizzato (art. 14-ter, 35 ord. pen.). La nuova disciplina prevede che, in caso di mancata esecuzione del provvedimento non più soggetto ad impugnazione, l'interessato o il suo difensore munito di procura speciale possano richiedere l'ottemperanza al magistrato di sorveglianza che ha emesso il provvedimento. I primi commenti hanno sottolineato la singolarità di tale previsione osservando che L'affidamento del giudizio di ottemperanza allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento rappresenta una novità nello schema tipico del giudizio di ottemperanza nel nostro ordinamento e nella tipologia delle funzioni attribuite alla magistratura di sorveglianza e, pertanto, forse ragioni di natura sistematica avrebbero consigliato di attribuire al giudice amministrativo anche la competenza a conoscere dell'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali emessi dal magistrato di sorveglianza. (GASPARI). Eccentrica appare, effettivamente, l'attribuzione dell'ottemperanza al magistrato di sorveglianza anziché al Tar, dal momento che viene a crearsi una disparità con riferimento alle altre amministrazioni pubbliche (per le quali il giudizio di ottemperanza si incardina presso il Tar). Certamente, ha giocato a favore della scelta tradottasi nel disposto normativo la considerazione che il magistrato di sorveglianza potrà più efficacemente adottare le disposizioni necessarie per assicurare l'effettività delle prescrizioni imposte con il proprio provvedimento, anche in relazione al ruolo di vigilanza da quest'ultimo esercitato sugli istituti di pena. Inoltre, la considerazione del detenuto quale soggetto intrinsecamente debole, ha indotto il Legislatore a introdurre una forma di procedimento esecutivo più accessibile (anche sotto il profilo dei costi della difesa tecnica) rispetto al giudizio di ottemperanza “classico”. Sotto il profilo procedurale, si segnalano i seguenti profili rilevanti:
Gli esiti del procedimento
Il magistrato di sorveglianza provvede con ordinanza e, in esito al procedimento:
Deve ritenersi che, anche nelle more del procedimento di ottemperanza, residui in capo all'amministrazione il potere-dovere di provvedere, emanando gli atti amministrativi necessari per adeguarsi al dictum giudiziale. In questo caso qualora, all'esito di tale attività discrezionale, il giudice ritenga che l'Amministrazione ha integralmente ottemperato, il procedimento esiterà in una pronuncia di non doversi procedere. È previsto che, in sede di ottemperanza, l'amministrazione predisponga un piano attuativo del contenuto sostanziale della decisione del magistrato di sorveglianza, indicando tempistica e modalità con cui intende adeguarsi al dictum giudiziale. Tale prospettazione, peraltro, non ha forza vincolante per il giudice, che può ritenere la proposta non adeguata e indicare all'amministrazione le modifiche necessarie. La legge non disciplina l'ipotesi in cui a tale sollecitazione l'amministrazione non ottemperi alle modifiche richieste dal giudice. Probabilmente, la soluzione più corretta alla luce dalla ratio legis, che riflette la scelta di opportunità che l'atto di adeguamento alla decisione giudiziale sia sempre riferibile all'amministrazione (e non sia, pertanto, costituito da un provvedimento giurisdizionale), consiste nella nomina di un commissario ad acta da parte del magistrato, con l'incarico di formulare il piano attuativo cui l'Amministrazione dovrà adeguare la propria attività. In questo caso, inoltre, la disposizione dell'art. 35-bis,lett. b) ord. pen., in esame, prevede il potere del magistrato di sorveglianza di dichiarare nulli gli atti emessi dall'Amministrazione nel caso di provvedimento rimasto ineseguito (resta, peraltro, formalmente esclusa dall' indicato potere di annullamento ope iudicis l'ipotesi di inesatta esecuzione del piano attuativo o del disposto giudiziale da parte del Dap). In secondo luogo, non è espressamente disciplinata l'ipotesi in cui l'amministrazione “convenuta” ometta di presentare il programma attuativo previsto dal comma 6 dell'art. 35-bis, ord. pen., in esame. Anche in questo caso, l'unica soluzione che appare percorribile sembra consistere nel ricorso ai sensi del comma 7, della stessa disposizione, con la possibilità di chiedere al magistrato di sorveglianza la nomina di un commissario ad acta, incaricato della predisposizione del programma attuativo de quo. Il commissario ad acta
Il magistrato di sorveglianza è competente in relazione a tutte le questioni relative all'esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario ad acta. Quest'ultimo, sotto il profilo tecnico, va qualificato quale ausiliario del giudice ed opera, pertanto, nell'ambito delle direttive impartite con il provvedimento di nomina in esito al procedimento di ottemperanza. Poiché il commissario opera quale delegato del giudice, gli atti compiuti nell'ambito di tale mandato assumono natura giurisdizionale e non amministrativa. La verifica della corrispondenza degli atti del commissario alle indicazioni del magistrato di sorveglianza spetta a quest'ultimo (art. 35-bis, comma 7, ord. pen.). Impugnazione
Avverso il provvedimento emesso in sede di ottemperanza è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge. In assenza di una specifica indicazione normativa, si ritiene che il termine per l'impugnazione sia quello di quindici giorni dalla notifica del provvedimento giudiziale, in linea con quanto previsto dalla nuova disciplina con riferimento al ricorso per cassazione avverso il provvedimento che definisce il procedimento nei casi dell'art. 69, comma 6, l. 354/1975 (art. 35-bis, comma 4, ord. pen.). In conclusione
Il procedimento esecutivo introdotto dalla disposizione dell'art. 35-bis, commi 5-8, l. 354/75, risponde, da un lato, all'esigenza di adeguare l'ordinamento alle prescrizioni della nota sentenza della Corte Edu Torreggiani, che aveva imposto l'introduzione di un rimedio preventivo dotato delle caratteristiche di effettività e accessibilità per costituire un efficace strumento di tutela dei diritti fondamentali delle persone detenute e internate; dall'altro lato, evidenzia lo sforzo profuso dal Legislatore per trovare un punto di equilibrio tra l'esigenza di assicurare la concreta attuazione della decisione giudiziale e l'opportunità di assicurare all'amministrazione la scelta delle modalità organizzative con le quali adeguarsi all'esito del giudizio. L'efficacia di tale complesso meccanismo procedurale resta, in definitiva, affidata alla leale collaborazione tra tutte le istituzioni. |