Agevolazione della latitanza dei mafiosi e configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. 152/1991

Raffaele Frate
24 Maggio 2016

In giurisprudenze è discussa la possibilità di configurare l'aggravante di cui all'art. 7 d.l. 152/1991 conv. l. 203/1991 esclusivamente sul rilievo della accertata condotta volta a favorire la latitanza di un soggetto di vertice di un'organizzazione mafiosa.
Abstract

In giurisprudenze è discussa la possibilità di configurare l'aggravante di cui all'art. 7 d.l. 152/1991 conv. l. 203/1991 esclusivamente sul rilievo della accertata condotta volta a favorire la latitanza di un soggetto di vertice di un'organizzazione mafiosa. Occore tener presente che è ormai pacifico, da arresti della suprema Corte il principio di diritto sostanziale secondo cui sussiste piena compatibilità tra l'aggravante di cui all'art. 7 d.l. 152/1991 e quella di cui all'art. 378, comma 2, c.p., avente natura oggettiva e configurabile nell'ipotesi in cui l'aiuto sia prestato a soggetto che ha commesso il delitto previsto dall'art. 416-bis c.p. (cfr. Cass. pen. Sez. VI, 10 giugno 2005, n. 35680; Cass. pen., Sez. V, 24 giugno 2009, n. 41063; Cass. pen. Sez.V, 14 ottobre 2009, n. 16556).

Elementi a favore della compatibilità con l'aggravante del favoreggiamento personale

L'art. 378 c.p. punisce, come è noto, chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce l'ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell'autorità, o a sottrarsi alle sue ricerche. Quando, poi, il delitto commesso è quello previsto dall'art. 416-bis è stata prevista dal legislatore l'applicazione di una circostanza aggravante.

La suprema Corte, con un primo pronunciamento, ha statuito la natura oggettiva della circostanza aggravante di cui all'art. 378, comma 2, c.p. stante la maggiore entità del danno subito dall'amministrazione della giustizia in ragione della lesione dell'interesse alla repressione del reato di cui all'art. 416-bis c.p., oggetto del favoreggiamento, ritenuto di particolare gravità, di guisa che la sussistenza della circostanza aggravante in esame è ragionevolmente presupposta per il solo fatto che il soggetto "favorito" abbia fatto parte della consorteria criminale, a nulla rilevando che l'azione di favoreggiamento sia diretta ad agevolare l'attività del sodalizio.

La suprema Corte, inoltre, nello stesso pronunciamento, ha evidenziato la differenza sussistente con la circostanza aggravante di cui all'art. 7 d.l. 152/1991, che come è noto ha natura soggettiva. Il discrimine si evince dalla maggiore pericolosità sociale dimostrata dall'agente attraverso l'intento di perseguire il vantaggio dell'organizzazione criminale, che necessita, pertanto, di specifica prova (cfr. Cass. pen., Sez. I, 21 gennaio 2010, n. 17702; Cass. pen., Sez. II, 13 giugno 2007, n. 35266).

Relativamente a tali argomentazioni si era, inoltre, evidenziata l'incompatibilità sostanziale tra il delitto di concorso nel reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e quello di favoreggiamento aggravato dal fine di agevolare l'attività dell'associazione stessa, ai sensi dell'art. 7 d.l. 152/1991 e questo sia per l'espressa riserva prevista dall'art. 378 c.p. fuori dei casi di concorso, che rende il delitto di favoreggiamento non contestabile a chi è responsabile del presupposto reato associativo, sia in ragione della coincidenza tra l'attività prevista dalla indicata aggravante e l'attività del concorrente volta a favorire l'organizzazione. Di conseguenza, quando la contestazione concerne l'aiuto prestato al partecipe all'associazione di stampo mafioso e in capo all'agente non sia riscontrabile una qualsiasi altra forma di collegamento con l'associazione, non è consentito ipotizzare anche il concorso nel reato associativo ma dovrà essere contestato il solo delitto di favoreggiamento.

La suprema Corte, tuttavia, con un più recente pronunciamento ha chiarito che, in tema di favoreggiamento personale, l'aggravante di cui all'art. 378, comma 2, c.p. è compatibile con quella prevista dall'art. 7 d.l. 152/1991 quando il favoreggiamento sia attribuibile non solo al partecipe dell'associazione di stampo mafioso ma sia diretto anche ad agevolare l'attività dell'intera organizzazione. Ne consegue che l'aggravante di cui all'art. 7 d.l. 152/1991è pienamente compatibile con quella sancita in tema di favoreggiamento personale dall'art. 378, comma 2 (Cfr. Cass. pen., Sez. IV, 10 settembre 1996, n. 2100; Cass. pen., Sez. V, 14 ottobre 2009, n. 16556).

Si è altresì chiarito che, in tema di favoreggiamento personale, sussiste l'aggravante di avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l'attività dell'associazione di tipo mafioso, qualora la condotta favoreggiatrice sia posta in essere a vantaggio di un esponente di spicco di un'associazione di tipo mafioso, in quanto l'aiuto fornito al capo per dirigere da latitante l'associazione concretizza un aiuto all'associazione la cui operatività sarebbe compromessa dal suo arresto, mentre, sotto il profilo soggettivo, non può revocarsi in dubbio l'intenzione dell'agente di favorire anche l'associazione allorché risulti che abbia prestato consapevolmente aiuto al da lui conosciuto capomafia.

Per quanto attiene, invece, la concreta applicabilità dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa in ipotesi di favoreggiamento personale, si registra un contrasto di orientamenti in seno alla giurisprudenza di legittimità.

Un primo orientamento sostiene, infatti, che nell'ipotesi di favoreggiamento personale sussiste l'aggravante di cui all'art. 7 d.l. 152/1991, nella misura in cui la condotta favoreggiatrice, diretta ad aiutare taluno a sottrarsi alle ricerche delle autorità, sia posta in essere a vantaggio di un soggetto che sia un esponente apicale di un'organizzazione di stampo mafioso e che allo stesso tempo sia operante in un ambito territoriale nel quale la sua notorietà si presuma diffusa oltre che riconosciuta.

La sussistenza dell'aggravante trova fondamento in quanto l'azione descritta ha un duplice riverbero: sotto il profilo oggettivo giacchè concretizza un aiuto alla consorteria di stampo mafioso, posto che l'arresto dell'esponente apicale ne comprometterebbe l'operatività; sotto il profilo soggettivo, sarebbe corroborata dalla consapevolezza che l'aiuto prestato al capo mafia favorirebbe di fatto anche l'intera associazione.

L'arresto in esame ha trovato seguito nella pronuncia della suprema Corte, Sez. II, 12 febbraio 2014, n. 15082.

Sulla medesima linea interpretativa possono collocarsi ulteriori pronunce della giurisprudenza di legittimità secondo i quali l'aggravante dell'agevolazione mafiosa ricorre quando l'attività dell'agente sia diretta in favore delle risorse personali o materiali della organizzazione stessa, agevolandone, così, in tutto o anche solo in parte, l'attività o il suo mantenimento funzionale; di conseguenza, l'aver favorito la latitanza di "elementi di assoluto spicco" di una determinata cosca mafiosa, non può che integrare i requisiti della suddetta aggravante, proprio perché, avendo contribuito alla preservazione del vertice, quell'attività finisce per favorire l'intera associazione criminale (cfr. Cass. pen., Sez. II, 26 maggio 2011, n. 26589), nonché la pronuncia che ha applicato il principio di cui sopra in una fattispecie, nella quale i favoreggiatori avevano ospitato, per rilevanti periodi di tempo, presso immobili di loro pertinenza, esponenti di spicco di "Cosa Nostra", favorendone così la latitanza (cfr. Cass. pen., Sez. V, 30 novembre 2010, n. 6199) nonché quella sentenza che ha evidenziato la sussistenza dell'aggravante di cui art. 7 d.l. cit., nell'ipotesi in cui l'aiuto al capo per dirigere da latitante l'associazione concretizzi un aiuto all'associazione, la cui operatività sarebbe compromessa dal suo arresto, mentre, sotto il profilo soggettivo, non può revocarsi in dubbio l'intenzione del favoreggiatore di favorire anche l'associazione allorché risulti che abbia prestato consapevolmente aiuto al capomafia (cfr. Cassazione penale Sez. V, 24 giugno 2009, n. 41063).

Assumono particolare importanza nel descritto solco giurisprudenziale anche quelle pronunce che, pur soffermandosi su una fattispecie relativa ad una diversa tipologia di reato (estorsione), hanno ribadito la validità dell'automatismo, secondo cui l'aiuto fornito al "capo" si concretizza in agevolazione anche dell'associazione stessa, di talché la posizione di vertice del "favorito", se operante in un ambito territoriale nel quale la sua notorietà si presume diffusa, finisce per essere elemento valido e sufficiente ai fini della sussistenza della aggravante in questione (cfr. Cass. pen., Sez. V, 5 marzo 2013, n. 17979,) o comunque hanno ritenuto applicabile l'aggravante dell'art. 7 d.l. 152/1991 in una fattispecie di rapina di un'autovettura, finalizzata a favorire la latitanza del soggetto apicale di un sodalizio mafioso, che avrebbe in tal modo potuto utilizzare il mezzo per l'eventuale fuga. Anche in questa circostanza, la Corte ha osservato che l'azione criminosa, pur sostanziandosi nell'apporto ad un singolo per la conservazione del relativo ruolo di vertice e di guida della consorteria, si traduce di fatto in un contributo all'organizzazione criminale, la cui sopravvivenza ed affermazione sono direttamente riconducibili all'azione guida e di iniziativa del capo (cfr. Cassazione penale Sez. VI, 2 luglio 2014, n. 45065, Bidognetti ed altri, Rv. 260834-839)

In buona sostanza, secondo questo primo orientamento, prestato un concreto ed accertato aiuto ad un esponente di spicco di una organizzazione mafiosa, per favorirne la latitanza, si configura automaticamente l'aggravante di cui all'art. 7 d.l. 152/1991 tanto sul piano oggettivo quanto su quello soggettivo: sul piano oggettivo, stante il beneficio che ne deriva all'associazione nel permanere di un proprio leader in stato di libertà, sul piano soggettivo, stante la sicura rappresentazione da parte del favoreggiatore di agevolare l'organizzazione attraverso la preservazione del ruolo dirigenziale del latitante.

La giurisprudenza che l'esclude l'automatismo dell'aiuto all'associazione

Secondo un altro orientamento, di segno contrario, cui negli anni si è conformato un discreto numero di pronunce della suprema Corte, dovrebbe escludersi quell'automatismo indicato dal primo orientamento, poiché la circostanza di favorire la latitanza di un esponente di spicco di un'associazione mafiosa non può determinare, in ragione dell'esclusivo ruolo apicale di questi all'interno dell'associazione e della supremazia esercitata dall'organizzazione sul territorio, la sussistenza dell'aggravante.

Secondo l'arresto in esame deve, piuttosto, effettuarsi un distinguo netto tra l'aiuto prestato alla singola persona, benché esponente di spicco, e l'aiuto prestato all'associazione, di guisa che il soccorso prestato al singolo individuo potrà rilevare ai fini dell'aggravante dell'art. 7 d.l. 152/1991, solo quando si accerti la oggettiva funzionalità della condotta di aiuto, di soccorso, al singolo rispetto all'agevolazione dell'attività riconducibile alla relativa organizzazione criminale (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 27 ottobre 2005, n. 41261; Cass. pen., Sez. VI, 8 novembre 2007, n. 294 (ambedue relative a fattispecie in materia di favoreggiamento personale); Cass. pen., Sez. VI, 28 febbraio 2008, n. 13457 e Cass. pen. Sez.VI, 11 febbraio 2008, n. 19300).

In buona sostanza, in tali pronunzie si sostiene che la circostanza aggravante di cui all'art. 7 d.l. 152/1991 ricorre soltanto nel caso in cui si accerti il nesso teleologico tra l'azione in favore del soggetto mafioso di vertice e l'eventuale vantaggio che ne possa derivare per l'organizzazione criminale.

Rispetto ai contrapposti arresti, ciò che in questo secondo gruppo di pronunce non si condivide è quell'automatismo valutativo che giustifica la sussistenza dell'aggravante in questione sulla base di una semplice presunzione, vale a dire, che il favoreggiamento della latitanza di un vertice del sodalizio criminoso avrebbe diretta incidenza sull'esistenza del sodalizio stesso, che, privato della figura apicale, patirebbe una crisi strutturale e funzionale.

A tale arresto si è conformata una pronuncia della Sez. V, 22 novembre 2013, n. 4037 che, in relazione ai reati di falso, ha ritenuto indispensabile, ai fini della sussistenza dell'aggravante in esame, l'accertamento in concreto dell'effettiva ed immediata coincidenza degli interessi del capomafia con quelli dell'apparato di cui è vertice e la Corte, proprio in virtù di tale principio, ha escluso che la sussistenza della circostanza aggravante potesse essere ravvisata in relazione ad una serie di falsificazioni di atti, sommariamente finalizzate all'attribuzione della paternità ad un soggetto latitante, escludendo la tesi fondata esclusivamente sulla posizione di vertice occupata dal soggetto "favorito" nella consorteria mafiosa di appartenenza.

In conclusione

La sesta Sezione della suprema Corte, con una recente soluzione interpretativa, ha affrontato la questione di cui si discorre stemperando i profili di discrasia tra i due orientamenti affermatisi negli anni ed ha offerto un'autonoma soluzione esegetica che della questione distingue il piano sostanziale da quello probatorio (cfr. Cass. pen.10 dicembre 2013, n. 9735).

La Corte ha rilevato che entrambi i contrastanti indirizzi giurisprudenziali riconoscono la necessità che una condotta di favoreggiamento, affinché possa dirsi aggravata a norma dell'art. 7 d.l. 152/1991, valga oggettivamente ad agevolare anche l'attività dell'organizzazione mafiosa di riferimento e che l'agente sia consapevole di tale funzionalità.

Tuttavia, il comune dato di partenza non consente di individuare un univoco criterio discretivo, che possa ritenersi valido per tutte le fattispecie, poiché, secondo la Corte, la questione in esame costituisce un tipico caso dove non è semplice poter operare un distinguo tra la scelta interpretativa, della cui correttezza si discute in sede di legittimità, ed il piano meramente sostanziale attraverso l'identificazione di aspetti strettamente fattuali.

In buona sostanza, l'arresto in esame non propende per alcuno dei due indirizzi esegetici sopra scrutinati e dirime la questione affermando il principio generale secondo cui per la configurabilità nel reato di favoreggiamento dell'aggravante speciale di cui all'art. 7 d.l. 152/1991 è necessario, indipendentemente dalla posizione associativa ricoperta dal favorito, che l'accertata condotta valga oggettivamente ad avvantaggiare anche l'attività dell'organizzazione criminosa di riferimento e che il soggetto agente sia consapevole di tale obiettiva circostanza; rimettendo, poi, alla valutazione del caso concreto, l'accertamento della strumentalità della condotta di favoreggiamento rispetto alla agevolazione dell'attività del sodalizio. In tal caso, le valutazioni probatorie del giudice potranno essere confortate da alcuni sintomatici criteri, quali, ad esempio, il ruolo direttivo eventualmente svolto dal soggetto favorito e la natura della prestazione offerta dall'agente.

Da ultimo è possibile evidenziare come, in tema di favoreggiamento aggravato dall'art. 7 d.l. 152/1991, il fatto di favorire la latitanza di un soggetto di vertice di una associazione mafiosa non determini la sussistenza dell'aggravante, in ragione esclusivamente dell'importanza rivestita da questi all'interno dell'associazione e del predominio esercitato dal sodalizio sul territorio, dovendosi distinguere l'aiuto prestato alla persona da quello prestato all'associazione e potendosi ravvisare l'aggravante soltanto nel secondo caso, quando cioè si accerti la oggettiva funzionalità della condotta all'agevolazione della attività posta in essere dall'organizzazione criminale. (cfr. Cass. pen., Sez. VI, n. 2730/1997. Cfr. Cass. pen., Sez. V, n. 41063/2009, Cass. pen., Sez. VI, n. 6571/2007; Cass. pen., Sez. VI, n. 294/2007; Cass. pen., Sez. VI, n. 41261/2005). Non è altresì ravvisabile l'aggravante di cui all'art. 7 d.l. 152/1991, neppure nel caso di favoreggiamento della latitanza, in ragione dei rapporti personali di stretta affinità, di un semplice affiliato di un'associazione di tipo mafioso, mancando il fine di agevolare l'associazione e la consapevolezza di fornire un contributo al perseguimento dei sui fini.

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