Fisionomia del nuovo reato di frode in processo penale e depistaggio

Pierluigi Di Stefano
24 Agosto 2016

La legge 11 luglio 2016, n. 133 ha introdotto nel codice penale il reato di frode in processo penale e depistaggio, che sanziona le condotte di pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio i quali, mediante inquinamento delle prove o fornendo false e reticenti informazioni agli inquirenti od al giudice, intendano impedire, ostacolare o sviare un'indagine o un processo penale.
Abstract

La legge 11 luglio 2016, n. 133 ha introdotto nel codice penale il reato di frode in processo penale e depistaggio, che sanziona le condotte di pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio i quali, mediante inquinamento delle prove o fornendo false e reticenti informazioni agli inquirenti od al giudice, intendano impedire, ostacolare o sviare un'indagine o un processo penale. Si tratta di un reato proprio, di pericolo ed a dolo specifico, in rapporto di specialità rispetto ai reati comuni di cui agli artt. 371-bis, 372 e 374 c.p., introdotto al fine di adeguare l'apparato sanzionatorio per tali più gravi condotte.

Funzione del nuovo reato

Tale nuova fattispecie – art. 375 c.p. – nasce da una esigenza di seria repressione di quelle condotte definite con il termine, sinora esclusivo del linguaggio comune, di depistaggio. Il testo approvato ha, in realtà, di mira condotte ben più ampie rispetto a quelle del progetto iniziale che intendeva sanzionare le infedeltà di pubblici ufficiali mirate ad occultare responsabilità e garantire la sostanziale impunità nel solo contesto dei più gravi reati di eversione e terrorismo, mafia, traffico armi e droga; la disposizione ricomprende, difatti, lo sviamento delle indagini per qualsiasi reato. Inoltre, anche per i soggetti privi della qualità pubblica è stata introdotta una aggravante speciale dei reati di false dichiarazioni e frode processuale quando vi sia la finalità di depistaggio delle indagini per i reati più gravi (nuovo art. 384-ter c.p.).

Nel dibattito parlamentare finale, però, si è continuato a considerare essenzialmente la sola funzione di prevenire e punire fenomeni distorsivi delle indagini su fatti di eversione (condotte che ci rimandano ai momenti più bui della storia della nostra democrazia. Le ricostruzioni giudiziarie di tutte queste tragedie sono state estremamente difficoltose, come è noto, anche a causa del comportamento di infedeli appartenenti alle strutture dello Stato che hanno ostacolato l'accertamento della verità) per cui non emergono con chiarezza le ragioni per sanzionare, con pene decisamente elevate, condotte di sviamento che non riguardano affatto vicende di eversione, servizi segreti deviati, gruppi occulti infiltrati nelle istituzioni etc., bensì riguardano qualsiasi reato, perfino le contravvenzioni sanzionate con pena pecuniaria. Si noti, inoltre, come manchi una disposizione corrispondente a quell'art. 370c.p. che, per i gravi reati di calunnia e simulazione del reato, prevede che la pena sia ridotta laddove si prospetti falsamente la commissione di una contravvenzione.

La materialità e le forme di manifestazione del reato

Il reato è incentrato fondamentalmente sulla finalità di depistaggio e per questo, quindi, sono previste nelle due lettere a) e b) del primo comma condotte tra loro ben diverse che corrispondono, del resto, a ben distinti reati comuni.

La lettera a) prevede l'ipotesi di immutazione materiale del corpo del reato ovvero lo stato dei luoghi, delle cose o delle persone connessi al reato. Tale condotta è assimilabile a quella dell'art. 374 c.p. (frode processuale), corrispondendovi anche una parte del testo. Inoltre, nei casi concreti, ben possono realizzarsi condotte corrispondenti alla calunnia commessa mediante la simulazione di tracce di un reato nonché al favoreggiamento personale.

Sono certamente applicabili i principi affermati dalla giurisprudenza in tema di frode processuale: trattandosi di reato di pericolo, il reato si consuma con le condotte materiali, purché abbiano idoneità ingannatoria (Cass. pen., Sez. VI,n. 10842/2008) non rilevando che l'effetto di sviamento sia stato in concreto realizzato (Cass. pen., Sez. VI, n. 38657/2011).

La lettera b) prevede il depistaggio mediante false dichiarazioni. La disposizione è evidentemente speciale rispetto agli artt. 371-bis e 372 c.p., che sanzionano le false dichiarazioni al P.M. della persona informata dei fatti e la falsa testimonianza.

Si tratta sia delle dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria che quelle alla polizia giudiziaria. In tal modo, sussistendo la specifica intenzione, si sanzionano le false informazioni alla polizia giudiziaria che non sono altrimenti punite (l'art. 371-bisc.p. prevede esclusivamente la condotta di false informazioni al pubblico ministero). Solo in tale limitato ambito, quindi, vi è una nuova incriminazione per un fatto che, in precedenza, non era penalmente rilevante.

Si noti, invece, che il reato non è configurabile in caso di false o reticenti informazioni al difensore (art. 371-ter c.p.); a quest'ultimo reato, comunque, si applica l'aggravante della finalità di depistaggio del citato nuovo art. 384-ter c.p.

In quanto disposizione speciale rispetto ai reati di falsità in dichiarazioni, anche per tale tipo di condotta sono applicabili le stesse regole degli artt. 371-bis e 372 c.p., soprattutto quanto al concetto di idoneità ingannatoria delle dichiarazioni ed alla loro pertinenza e rilevanza.

Quindi

  • i fatti oggetto delle dichiarazioni devono essere direttamente o indirettamente attinenti all'accertamento giurisdizionale;
  • la prova è pertinente e rilevante quando ha una effettiva efficacia probatoria dei fatti ed è quindi in grado di influire deviando il corso del processo in termini potenziali, senza necessità che tale influenza sia effettiva.

L'esito del processo, perciò, non sarà determinante pur potendo essere elemento di valutazione della idoneità della condotta. L'elemento qualificante del reato, si rammenti, è quello della finalità della azione, che deve essere oggetto di specifico accertamento.

Il tentativo va ritenuto configurabile, sostanzialmente sulla scorta delle regole individuate per i reati comuni corrispondenti.

La specialità rispetto ad altri reati e la clausola di sussidiarietà

Si è detto che l'art. 375 c.p. è speciale rispetto ai reati di false dichiarazioni e falsa testimonianza differenziandosi per essere richiesto il dolo specifico; in mancanza (di prova) di tale elemento psicologico, anche il soggetto che riveste la carica pubblica in ogni caso risponde dei reati comuni.

Allo stesso modo, la disposizione è speciale rispetto alla frode processuale (art. 374 c.p.) che, comunque, è norma sussidiaria (qualora il fatto non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge).

Nei casi concreti, inoltre, appare ben possibile la contemporanea commissione di altri delitti contro l'amministrazione della giustizia, in particolare calunnia, favoreggiamento personale, intralcio alla giustizia, ma non vi è un rapporto di specialità a livello di fattispecie astratta.

Il reato in esame è di carattere sussidiario in base alla clausola salvo che il fatto costituisca più grave reato. Tale sussidiarietà, tenuto conto del livello elevato della pena edittale, può operare solo nei rapporti con reati diversi da quelli contro l'amministrazione della giustizia poiché una sanzione più elevata nell'ambito di tale categoria è prevista soltanto per l' ipotesi di calunnia aggravata per aver comportato una ingiusta condanna alla reclusione superiore ai cinque anni (senza considerare le aggravanti dell'art. 375 c.p.).

Nell'ambito delle condotte di cui al comma 1 lett. a), possono ipotizzarsi reati quali l'incendio, l'omicidio etc.; con condotte esattamente sovrapposte alla condotta di depistaggio; in tali ambiti opera la clausola di sussidiarietà.

Va anche considerato che, non essendovi clausola di sussidiarietà per i corrispondenti reati comuni di false dichiarazioni, ed essendo più ampia la clausola di sussidarietà prevista per il reato di frode processuale dell'art. 374 c.p. (opera anche in relazione a reati meno gravi), possono esservi incertezze applicative che qui, per brevità, non si possono approfondire.

Il carattere di reato proprio

Autore del reato può essere il pubblico ufficiale ovvero l'incaricato di pubblico servizio.

La formulazione letterale della norma è, però, peculiare rispetto ad altri reati in cui la qualità pubblica è elemento costitutivo o circostanziale poiché, in tale caso, non si specifica quale ufficiale ovvero quale sia il rapporto tra questi e l'indagine od il processo penale che intenda impedire, ostacolare o sviare.

Anche sulla scorta della lettura complessiva dell'art. 375 c.p., la individuazione del soggetto responsabile non è affatto scontata. La tipologia di condotte non è tale che possa esserne autore soltanto un soggetto che abbia un ruolo nelle indagini o nel processo; ciò ancor di più perché il reato è proprio anche dell'incaricato di pubblico servizio mentre colui che svolge le indagini è, di norma, un pubblico ufficiale.

Manca, insomma, la pur generica limitazione a fatti commessi nell'esercizio delle funzioni, di omessa denuncia, di mancato intervento etc. Eppure non sembra proponibile una interpretazione secondo la quale è sanzionato il soggetto solo in ragione della particolare qualifica soggettiva indipendentemente dal collegamento con il fatto. Ciò poteva essere plausibile in riferimento a reati quali quelli di eversione dell'ordine democratico ovvero in relazione alla condotte tenute da particolari pubblici ufficiali (dipendenti dei servizi di informazione, dei corpi speciali di sicurezza, alti ufficiali) ma non sembra affatto plausibile quale regola generale, sia per profili di disparità di trattamento che, poi, perché non si comprende per quale ragione, ad esempio, un tabaccaio, sol perché incaricato di pubblico servizio in relazione alla riscossione di valori per conto dell'erario, debba rispondere di un così grave reato per false dichiarazioni mirate ad ostacolare una indagine su una modesta contravvenzione non collegata alla sua attività.

Restando al dato letterale, vi è anche un altro contenuto della disposizione che sembrerebbe deporre per un reato di posizione. Il comma 7 dell'art. 375 c.p. prevede che la pena si applichi anche quando il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio siano cessati dal loro ufficio o servizio. Una tale disposizione, però, è già presente nell'art. 360 c.p. per il quale, quando la qualità di pubblico ufficiale od incaricato di pubblico servizio sia elemento costitutivo o circostanza aggravante di un reato, la cessazione di tale qualità, nel momento in cui il reato è commesso, non esclude l'esistenza di questo né la circostanza aggravante con la precisazione, in tale disposizione generale, se il fatto si riferisce all'ufficio o al servizio esercitato. Se la norma in esame, quindi, ha un senso laddove ripete la disposizione dell'art. 360 c.p., tale senso dovrebbe essere proprio nella non previsione della necessità di un rapporto tra fatto e qualifica. Certamente è difficile pensare che possa ritenersi responsabile di un tale reato proprio un soggetto che sia stato pubblico ufficiale od incaricato di pubblico servizio per tutt'altra ragione ed in un altro momento, ma il dato testuale è questo, salvo ritenere che si tratti di una ridondanza, peraltro incompleta ed equivoca.

La interpretazione del reato di posizione, però, pur se conseguente ad una lettura strettamente letterale, non è sostenibile ed è, invece, doverosa una interpretazione adeguatrice; si può dare una chiave di lettura per la individuazione del soggetto destinatario della norma, pur se la assenza di un dato normativo specifico lascia comunque i dubbi sulla determinatezza della fattispecie.

In ragione della finalità della disposizione, il pubblico ufficiale od incaricato di pubblico servizio destinatario della norma non può che essere colui che, in ragione del proprio incarico, abbia in qualsiasi modo uno specifico obbligo di collaborare alle indagini sia per dovere specifico (perché polizia giudiziaria delegata, perché fatto avvenuto nell'ambito delle attività del proprio ufficio, etc.) che per essersi intromesso sfruttando il proprio ruolo per attività di ostacolo (si pensi al personale di polizia che, pur non avendo competenza, utilizzi la propria qualifica per accedere indisturbata ai locali dove è custodita la documentazione delle indagini e sottrarla).

Una ultima notazione, comunque, rende ulteriormente problematica la interpretazione della disposizione: secondo la giurisprudenza, i testimoni sono pubblici ufficiali sin dal momento della citazione ed anche dopo l'esame (Cass. pen., 25150/2013). A rigore dovrebbe conseguirne che il testimone, in quanto pubblico ufficiale, risponda sempre del reato in esame se, nell'ambito del suo tipico ufficio di rendere testimonianza, dica il falso a fini di depistaggio. D'altro canto, però, il reato di falsa testimonianza prevede ora l'aggravante dell'essere stato commesso il fatto con il dolo specifico di depistaggio, norma che, per quanto appena detto, non sarebbe mai applicabile (in quanto pubblico ufficiale, dimostrato il dolo di depistaggio, dovrebbe rispondere del nuovo reato e non di falsa testimonianza)

Quale che sia la soluzione, la assenza di specificità della norma rende difficile una interpretazione univoca.

Il dolo specifico

L'elemento caratterizzante il reato, che unifica le varie condotte del tutto eterogenee, è il dolo specifico in quanto il soggetto deve agire al fine di impedire, ostacolare o sviare un'indagine o un processo penale (questa, quindi, è la definizione normativa del termine depistaggio che appare solo in rubrica). I vari reati la cui condotta è sovrapponibile a quella dell'art. 375 c.p. sono, invece, fattispecie a dolo generico, salvo la frode processuale (art. 374 c.p.). La medesima riforma, inoltre, ha reso rilevante il dolo specifico quale aggravante di alcuni reati comuni per il depistaggio delle indagini per i reati più gravi.

È utile il riferimento alla disciplina della “vecchia” frode processuale (che continua ad applicarsi a soggetti privi di qualifica pubblica).

La prima considerazione riguarda quando esista una indagine.

Pur se la nuova disposizione non prevede espressamente che la condotta sia punibile anche quando tenuta anteriormente al procedimento (come disciplina l'art. 374 c.p.), è proprio la formulazione in termini di reato di pericolo a dolo specifico che non può che rendere punibile anche la condotta tenuta in previsione della indagine (… impedire … un'indagine); una tipica ipotesi è proprio quella di non far risultare le tracce di un reato perché la indagine non inizi mai.

Un'ulteriore considerazione è che il dolo specifico del nuovo reato non caratterizza una diversa offensività della condotta rispetto ai reati comuni corrispondenti bensì una diversa gravità soggettiva con riferimento alla infedeltà dell'ufficiale che tiene la condotta.

Infatti la finalità di depistaggio corrisponde appieno all'interesse tutelato in tutti i reati contro l'amministrazione della giustizia: ovvero che questa non sia fuorviata. Impedire, ostacolare o sviare un procedimento penale è esattamente quanto i vari reati comuni intendono impedire, prima ed a prescindere dalla nuova disciplina.

Si rammenta che, nel caso delle false dichiarazioni, non è rilevante la mera formale violazione di un obbligo di rispondere il vero ma la falsità o reticenza su temi caratterizzati da pertinenza «astratta» rispetto agli accertamenti; e che, per la frode processuale, è richiesta la capacità ingannatoria. In entrambi i casi, quindi, la condotta rilevante è quella in grado di impedire, ostacolare o sviare il procedimento.

Ciò quindi pone questa ipotesi di punibilità a dolo specifico di fatti già altrimenti sanzionati (salvo le false dichiarazioni alla P.G., non ricomprese nell'art. 371-bis c.p.) in quell'ambito, individuato dalla dottrina, in cui il dolo specifico ha una funzione di aggravamento «soggettivo» della responsabilità non essendovi alcuna ulteriore offensività del fatto rispetto all'interesse della amministrazione della giustizia tutelato né producendo la previsione di tale dolo specifico la anticipazione della soglia di commissione del reato (per le dichiarazioni false il momento consumativo è identico mentre, quanto alla immutazione materiale, anche la frode processuale è reato di pericolo a dolo specifico).

Insomma, l'aggravamento di pena nei confronti della data categoria di soggetti, con un reato ad hoc, pur dovendosi necessariamente trovare un rapporto fra la carica e la condotta, tocca fondamentalmente un profilo soggettivo (lo si è affermato espressamente in sede di presentazione per la votazione finale del progetto di legge: intanto si può punire una condotta di falsità processuale più severamente in quanto essa è finalizzata ad ostacolare l'accertamento della verità processuale dal versante qualificato dei soggetti agenti pubblici).

Il tema dell'accertamento del dolo specifico, poi, ha una peculiarità nel reato in esame. L'accertamento dell'esservi una azione obiettivamente in grado di sviare (depistare) – in termini potenziali – dal corretto accertamento dei fatti in sede di indagini e di processo deve essere fatto sia per le fattispecie comuni che per quella in esame.

Mentre, però, nelle ipotesi a dolo generico (false dichiarazioni in particolare) l'accertamento potrà essere limitato alla oggettiva attitudine ad ingannare e ad affermare che la finalità tipica di una tale consapevole condotta è, sino a prova contraria, lo sviamento delle indagini, essendo così realizzato il fatto tipico, per l'art. 375 c.p. vi deve essere, invece, uno specifico approfondimento. Essendo elemento costitutivo il dolo specifico, spetterà alla accusa dimostrarlo e, quindi, dovrà potersi affermare, dopo specifica valutazione, la certezza della finalità soggettiva di depistaggio. Se così è, l'eventuale incertezza sulle motivazioni dell'azione comporterà l'applicazione delle disposizioni comuni secondo la comune regola che il dubbio si risolve a favore del reo.

Le circostanze aggravanti

Le aggravanti speciali previste dalla norma sono di particolare rilievo portando la misura della pena a livelli assai elevati, soprattutto nel minimo, tenuto altresì conto della regola specifica in tema di esclusione del giudizio di comparazione delle circostanze attenuanti.

La prima aggravante ricorre nel caso di creazione di una prova falsa o distruzione/alterazione di una prova vera (… di un documento o di un oggetto da impiegare come elemento di prova ….).

La condotta materiale sulla prova appare chiara; più difficile, invece, la individuazione delle condizioni di pertinenza e rilevanza.

Innanzitutto, va considerato che, tenuto conto della descrizione delle condotte del comma 1, lett. a), la aggravante dovrebbe riguardare l'alterazione di … cose… connessi al reato; non dovrebbe, invece, riguardare il corpo del reato o lo stato dei luoghi salvo farli rientrare nel concetto di oggetto.

Questa circostanza, riferendosi a qualsiasi oggetto da utilizzare quale prova, ha di fatto una funzione chiarificatrice della nozione di connessi al reato, che altrimenti potrebbe sembrare di per sé sola più restrittiva del concetto di cose pertinenti al reato necessari per l'accertamento dei fatti e di … le tracce e le cose pertinenti al reato di cui al codice di procedura penale; la diversa terminologia, quindi, non ha alcuna particolare funzione.

Una incertezza terminologica risulta anche lì dove, dopo la specificazione di cosa da impiegare come elemento di prova, chiara descrizione omnicomprensiva di ogni prova concretamente utilizzata od in prospettiva utilizzabile, si aggiunge la alterazione della diversa cosa che è comunque utile alla scoperta del reato o al suo accertamento. Sarà evidentemente compito della giurisprudenza chiarire se si sia voluto estendere in modo particolare il concetto di elemento la cui alterazione rileva (facendo riferimento alla distinzione del codice di rito tra cose e tracce) o, invece, se si è semplicemente in presenza di espressioni ridondanti. Si tenga anche conto che, secondo la giurisprudenza sull'art. 374 c.p. (Cass. pen., Sez.VI, 47172/2007), pur a fronte della lettera della disposizione, va adottata una interpretazione estensiva per includere nelle attività di indagine tutelate anche gli accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone ex art. 354 c.p.p. in quanto si tratta comunque di mezzi di ricerca della prova.

Si rammenta l'importanza della corretta interpretazione derivando dalla aggravante un aumento minimo di un terzo della pena senza possibilità di comparazione con le circostanze attenuanti.

L'altra aggravante riguarda l'ipotesi in cui la condotta sia tenuta per depistare procedimenti per reati particolarmente gravi. Si tratta, invero, proprio di quelle situazioni che avevano fatto ritenere inizialmente opportuna la introduzione di una simile fattispecie, per poi estendersi il reato al depistaggio. Si tratta dei reati di: associazione sovversiva (art. 270 c.p.), associazione terroristica (art. 270-bis c.p.), attentato contro il Presidente della Repubblica (art. 276 c.p.), attentato per finalità terroristiche o di eversione (art. 280 c.p.), atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi (art. 280-bis c.p.), attentato contro la Costituzione (art. 283 c.p.), insurrezione armata (art. 284 c.p.), devastazione, saccheggio e strage (art. 285 c.p.), sequestro di persona a scopo di terrorismo o eversione (art. 289-bis c.p.), cospirazione politica mediante accordo (art. 304 c.p.), cospirazione politica mediante associazione (art. 305 c.p.), banda armata (art. 306 c.p.), associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.), scambio elettorale politico mafioso (art.416-ter c.p.), strage (art. 422 c.p.), associazioni segrete (art. 2 della legge 17 del 1982), traffico illegale di armi o di materiale nucleare, chimico o biologico e comunque se il fatto è commesso in relazione a procedimenti concernenti tutti i reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis, c.p.p.

Il riferimento ai procedimenti fa ritenere che la aggravante scatti laddove vi sia iscrizione per tali reati indipendentemente dall'esito finale; in termini problematici, però, va considerato quale sia la conseguenza quando, rispetto all'ipotesi iniziale, nel corso del procedimento risulti del tutto erronea la qualifica, ad esempio, del reato quale associazione di stampo mafioso anziché associazione per delinquere semplice ovvero reato continuato non aggravato. Non appare ragionevole una interpretazione che faccia semplicemente riferimento alla prospettazione dovuta alla iscrizione formale del reato al momento della condotta incriminabile, dovendosi quantomeno escludere le ipotesi di insostenibilità della specifica tesi di accusa (tenuto conto di come, per ragioni ovvie di quantità, la iscrizione delle notizie di reato sia inevitabilmente quasi sempre una attività burocratica, potendo ben essere solo successivo il controllo di congruità della qualificazione). Ovviamente la questione va considerata anche sotto il profilo della imputabilità soggettiva della circostanza, ovvero della consapevolezza del reo di quale sia la qualifica giuridica dei fatti rispetto ai quali opera il depistaggio.

La circostanza attenuante

L'art. 375 c.p. prevede un fortissimo sconto di pena per la ipotesi del ravvedimento attivo. Si tratta, evidentemente, innanzitutto di ripristinare lo status quo ante per evitare che l'attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, il che ragionevolmente significa che deve venire meno l'effetto di depistaggio. Si prevede, poi, la ipotesi di aiutare concretamente gli inquirenti o il giudice nella ricostruzione del fatto rispetto al quale si era tentato il depistaggio nella individuazione degli autori; tale ultimo caso riguarda chiaramente l'ipotesi in cui il depistaggio sia stato sventato in altro modo e, quindi, in tale caso si premia l'utilità probatoria della collaborazione prestata. Come in altri casi (si veda, in particolare, l'art. 73, comma 7, d.P.R. 309/1990) si porrà il problema di definire il concetto di aiuto concreto.

Ritrattazione e cause di non punibilità

lità della causa di non punibilità soggettiva della ritrattazione di cui all'art. 376 c.p. Ciò, di fatto, rende particolarmente poco probabile che si realizzino le condizioni per il ravvedimento attivo previsto quale attenuante.

È stato invece esclusa la applicabilità delle cause di non punibilità dell'articolo 384 c.p. (comma 1: Fatto commesso per necessità di salvare sé medesimo od un congiunto da un nocumento nella libertà o nell'onore. Comma 2: false dichiarazioni rese da soggetto che non poteva essere assunto come persona informata dei fatti, testimone etc.)

La ragione non è certamente tecnica e risiede nel carattere fortemente repressivo della disposizione; è presumibile che, sul piano pratico, ciò renderà ancor più delicata la individuazione della fattispecie applicabile (se, ovvero, vi sia il dolo specifico del pubblico ufficiale) e, comunque, soprattutto quanto al secondo comma dell'articolo 384 c.p., si dovrà comprendere se si è inteso punire anche il soggetto che non poteva essere obbligato a deporre.

In conclusione

La nuova norma introduce sanzioni maggiori per condotte già disciplinate, scegliendo la via del reato autonomo.

Le ragioni che hanno indotto la scelta sono essenzialmente legate a particolari vicende concrete, la attenzione alle quali ha portato alla utilizzazione di una terminologia (depistaggio) che, in realtà, descrive lo sviamento delle attività giudiziaria alla cui prevenzione e repressione erano già destinati i reati contro l'amministrazione della giustizia.

La norma, quindi, persegue il suo fine di aggravare il trattamento sanzionatorio ma presenta alcuni profili di incertezza nella definizione dei destinatari della disposizione e qualche perplessità sull'eccessività della sanzione che potrebbe essere applicata per vicende obiettivamente minori; inoltre la distinzione tra ipotesi speciale ed i vari reati comuni è affidata a parametri sottili. Ciò rischia di assegnare un ruolo eccessivo alla elaborazione giurisprudenziale, destinata a integrare profili di definizione delle condotte che, invece, dovrebbero emergere in termini di certezza dalla descrizione della fattispecie.

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