Il delitto di traffico di influenze illecite. Primi orientamenti giurisprudenziali
30 Agosto 2016
Abstract
Il nuovo delitto di traffico di influenze illecite si differenzia dalle fattispecie di corruzione perché punisce condotte propedeutiche all'accordo corruttivo, nonché dal reato di millantato credito perché la prospettata influenza sul pubblico ufficiale deve essere effettivamente esistente e non solo vantata. La genesi della norma
Come è noto la legge 6 novembre 2012, n.190 ha introdotto una normativa organica tesa ad implementare l'apparato preventivo e repressivo contro la corruzione e l'illegalità nella pubblica amministrazione. Invero l'intervento normativo, frutto di un lungo procedimento legislativo, ha provveduto alla necessità di adeguare l'Italia agli obblighi derivanti dalla Convenzione Onu contro la corruzione del 31 ottobre 2003 (c.d. Convenzione di Merida) e dalla Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d'Europa del 27 gennaio 1999 (Convenzione di Strasburgo), sanando così alla mancata attuazione delle medesime da parte delle rispettive leggi di ratifica (l. 3 agosto 2009, n. 116 e l. 28 giugno 2012, n. 110). Con riferimento specifico alla figura di trading in influence, si rammenta che l'art. 18 della Convenzione Onu di Merida prevedeva che ciascuno Stato parte esamina l'adozione di misure legislative e delle altre misure necessarie per conferire il carattere di illecito penale, quando tali atti sono stati commessi intenzionalmente: a) al fatto di promettere, offrire o concedere a un pubblico ufficiale o ad ogni altra persona, direttamente o indirettamente, un indebito vantaggio affinché detto ufficiale o detta persona abusi della sua influenza reale o supposta, al fine di ottenere da un'amministrazione o da un'autorità pubblica dello Stato parte un indebito vantaggio per l'istigatore iniziale di tale atto o per ogni altra persona; b) al fatto, per un pubblico ufficiale o per ogni altra persona, di sollecitare o di accettare, direttamente o indirettamente, un indebito vantaggio per sé o per un'altra persona al fine di abusare della sua influenza reale o supposta per ottenere un indebito vantaggio da un'amministrazione o da un'autorità pubblica dello Stato parte; al pari l'art. 12 della Convenzione di Strasburgo del 27 gennaio 1999, aveva previsto che ciascuna Parte adotta i provvedimenti legislativi e di altro tipo che si rivelano necessari per configurare in quanto reato in conformità al proprio diritto interno quando l'atto è stato commesso intenzionalmente, il fatto di proporre, offrire o dare, direttamente o indirettamente qualsiasi indebito vantaggio a titolo di rimunerazione a chiunque dichiari o confermi di essere in grado di esercitare un'influenza sulle decisioni delle persone indicate agli articoli 2, 4 a 6 e 9 ad 11, a prescindere che l'indebito vantaggio sia per se stesso o per altra persona, come pure il fatto di sollecitare, di ricevere, o di accettarne l'offerta o la promessa di rimunerazione per tale influenza, a prescindere che quest'ultima sia o meno esercitata o che produca o meno il risultato auspicato. A tal fine la novella del 2012 ha introdotto all'art. 346-bis c.p. la nuova fattispecie, punita con la reclusione da uno a tre anni, di Traffico di influenze illecite consistente nel fatto di chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319 ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio. La stessa pena si applica, secondo quanto prevede il comma secondo dell'art. 346-bis c.p., a chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale, mentre la pena è, dal comma terzo, aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio. Infine, rispettivamente in forza del comma quarto e quinto, le previste pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attività giudiziarie, e sono invece diminuite se i fatti sono di particolare tenuità. La nuova fattispecie, che nelle intenzioni del Legislatore – e, si ripete, in adempimento per l'appunto degli obblighi internazionali – appare volta a sanzionare condotte propedeutiche rispetto a successivi accordi corruttivi, presenta, a prima vista, nella sua prima parte, evidenti tratti del reato di millantato credito di cui al primo comma dell'art. 346 c.p., topograficamente posto subito prima e rimasto inalterato, ove l'utilità o la promessa appaiono collegate, nella rappresentazione dei fatti da parte dell'intermediario, alla necessità, per costui, di esercitare opera di mediazione verso il soggetto pubblico rispetto alle attese e richieste del privato. Essa quindi trova il suo ristretto ambito applicativo tra i reati che puniscono a vario titolo le condotte corruttive da un lato e la fattispecie del millantato credito dall'altro. Con riguardo al rapporto con i reati di corruzione l'art.346-bis c.p. contiene un'espressa clausola di riserva (fuori dai casi di concorso …) riferita però alle sole ipotesi di cui agli articoli 319 e 319-ter c.p., che si pongono pertanto in rapporto di progressione criminosa rispetto al traffico di influenze di nuovo conio; si anticipa la soglia di tutela penale all'accordo tra il cliente e trafficante che non lambisce il pubblico ufficiale destinatario delle indebite influenze. La suddetta clausola non è invece riferita alla corruzione per l'esercizio della funzione di cui al novellato art. 318 c.p., scelta che pone non pochi dubbi. Secondo alcuni commentatori stante il riferimento all'atto contrario ai doveri d'ufficio, non sarebbe configurabile in astratto un traffico di influenze illecite finalizzato all'esercizio della funzione in conformità ai doveri d'ufficio. Per altri autori invece sarebbe preferibile far leva sul meccanismo dell'assorbimento del traffico illecito nella corruzione impropria, come antefatto non punibile. Con riguardo invece al rapporto con il reato di millantato credito, la dottrina unanime ritiene che il reato di traffico di influenze illecite si differenzierebbe essenzialmente per il fatto che le relazioni con il pubblico funzionario vantate dall'intermediario devono essere, come segnalato dall'aggettivo esistenti, reali e non invece meramente vantate dall'agente. In tal senso, dovrebbe quindi anzitutto valutarsi la “tenuta” degli orientamenti giurisprudenziali formatesi nel tempo che hanno ritenuto configurabile il reato di cui all'art. 346 c.p. anche laddove il credito vantato presso il pubblico ufficiale o impiegato sia effettivamente sussistente ma venga artificiosamente magnificato e amplificato dall'agente in modo da far credere al soggetto passivo di essere in grado di influire sulle determinazioni di un pubblico funzionario e correlativamente di poterlo favorire nel conseguimento di preferenze e di vantaggi illeciti in cambio di un prezzo per la propria mediazione. Le prime pronunce della Cassazione
Le decisioni giurisprudenziali che hanno analizzato il nuovo reato di traffico di influenze in rapporto alle altre figure criminose che lo lambiscono sono al momento poche. Con riguardo alla corruzione e concussione si segnalano le seguenti decisioni: La sentenza Sez. VI, n. 29789 del 27 giugno 2013 così massimata: Il delitto di traffico di influenze, di cui all'art. 346-bis c.p., si differenzia, dal punto di vista strutturale, dalle fattispecie di corruzione per la connotazione causale del prezzo, finalizzato a retribuire soltanto l'opera di mediazione e non potendo, quindi, neppure in parte, essere destinato all'agente pubblico, accentra l'attenzione sulla destinazione causale delle somme date dal privato potenziale corruttore. Nella motivazione si legge in particolare: Il delitto di traffico di influenze di cui all'art. 346-bis c.p., così come introdotto dalla l. 190 del 2012, art. 1, comma 75, è fattispecie che punisce un comportamento propedeutico alla commissione di una eventuale corruzione e non è quindi, ipotizzabile quando sia già stato accertato un rapporto – come nella specie – paritario tra il pubblico ufficiale ed il soggetto privato. Di tanto è espressiva la clausola di esclusione posta all'art. 346-bis c.p., comma 1, che definisce il rapporto della fattispecie con quelle corruttive di cui agli artt. 319 e 319-ter c.p., ponendo la condotta dei due soggetti attivi del traffico di influenze illecite – il "mediatore" ed il "compratore di influenze" – prima ed al di fuori del patto corruttivo, assumendo detta condotta autonomo rilievo penale in ragione di una soglia anticipata di tutela voluta dal legislatore. Dal punto di vista strutturale, elemento differenziale tra la fattispecie corruttiva e quella del traffico di influenze è la connotazione causale del "prezzo", destinato – nel traffico di influenze – a retribuire l'opera di mediazione, e non potendo detto prezzo, neppure in parte, essere destinato all'agente pubblico, altrimenti realizzandosi un concorso nella corruzione attiva. Nella specie, la Corte di cassazione aveva di conseguenza escluso potersi trattare di traffico di influenze, rilevando che la promessa dell'intervento di Tizio costituiva già la controprestazione nei confronti del pubblico ufficiale che aveva fatto mercimonio del proprio voto e, quindi, in base alla clausola di esclusione sopra richiamata ero stato oltrepassato il circoscritto ambito applicativo dell'art. 346-bis c.p.; tuttavia la motivazione della sentenza, seppur corretta nel decidere il caso in esame, lascia perplessi perché l'art. 346-bis c.p. prevede espressamente l'ipotesi in cui le somme date al mediatore siano destinate espressamente a remunerare, in tutto o in parte, la corruzione del pubblico ufficiale precostituendone la provvista, per cui la connotazione causale del prezzo non appare elemento dirimente tra i due reati. In termini generali si può invece affermare che laddove non emerge la prova del mercimonio della funzione pubblica, al di là di ogni ragionevole dubbio, il fatto va sussunto nella fattispecie del traffico di influenze. Negli stessi termini di recente anche la sentenza Sez. VI, 2 febbraio 2016, n. 18999; in motivazione si legge infatti che il delitto previsto dall'art. 346-bis c.p., invocato dalla difesa dell'imputato perché meno grave, .punisce un comportamento propedeutico alla commissione di un'eventuale corruzione e si differenzia dal punto di vista strutturale per la connotazione causale del prezzo, che è finalizzato a retribuire l'opera di mediazione e non è destinato all'agente pubblico. A ben guardare la clausola di esclusione presuppone che in concreto non sia ravvisabile il delitto di corruzione e neppure un'ipotesi di concorso, presupponendosi per il resto lo sfruttamento di una relazione esistente con pubblico ufficiale o incaricato di pubblico, fermo restando che il denaro o l'utilità patrimoniale devono essere rivolti a chi è chiamato ad esercitare l'influenza e non al soggetto che esercita la pubblica funzione.
Con riguardo invece al rapporto con la concussione vi è la sentenza: Sez. VI, n. 11808 del 11 febbraio 2013 la cui massima è la seguente: Il delitto di traffico di influenze di cui all'art. 346-bis c.p., così come introdotto dall'art. 1, comma 75, della l. 190 del 2012, è una fattispecie che punisce un comportamento propedeutico alla commissione di una eventuale corruzione e non è, quindi, ipotizzabile quando sia già stato accertato un rapporto, alterato e non partitario, fra il pubblico ufficiale ed il soggetto privato. Nel caso di specie l'imputato, magistrato della Corte dei conti, era in stato di detenzione cautelare con l'accusa di concussione per induzione. Nella motivazione per respingere l'eccezione circa la possibile riqualificazione del fatto nella fattispecie meno grave del traffico di influenze, la Corte ha affermato: Nè allo stato appare configurabile, nel caso in esame, il diverso reato di traffico di influenze illecite di cui all'art. 346-bis c.p., introdotto dalla già citata l. 190 del 2012, trattandosi di delitto propedeutico alla commissione dei reati di corruzione propria – come si desume agevolmente dall'inciso iniziale contenuto nel dell'art. 346-bis comma 1 – e, dunque, non riconoscibile in una situazione, quale quella la cui sussistenza, nel caso di specie, è stata accertata in via indiziaria, di alterato e non paritario rapporto tra il pubblico ufficiale ed il soggetto privato. Quanto alla differenza strutturale tra il reato di traffico di influenza e la più grave ipotesi di millantato credito appare di fondamentale importanza la sentenza Sez. VI, 28 novembre 2014, n. 51688, che risolve anche la questione relativa alla successione di leggi nel tempo. Il caso riguardava un parlamentare, componente della Commissione Bilancio e Finanze della Camera e consulente giuridico del Ministro dell'Economia, detenuto in custodia cautelare per il delitto di cui all'art. 319 c.p., che aveva accettato una somma di denaro al fine di esercitare pressioni sui funzionari del Ministero dell'Economia e del Cipe che doveva deliberare un finanziamento pubblico per la realizzazione di una certa opera pubblica. La Cassazione dopo aver riqualificato il fatto in una ipotesi di millantato credito, ha affrontato il problema della sussunzione di esso sotto l'art. 346 c.p. ovvero sotto la nuova fattispecie di cui all'art. 346-bis c.p. Nella compiuta motivazione si legge : A questo proposito, risalendo nel tempo, occorre ricordare che il 'millantare credito' veniva inizialmente interpretato come vanteria di un'influenza inesistente, idonea a ingannare il c.d. compratore di fumo, il quale, credendo alle parole del millantatore, dà il denaro destinato a compensare la presunta mediazione; successivamente, considerato che il reato di cui all'art. 346 cod. pen. è stato concepito per tutelare il prestigio della pubblica amministrazione piuttosto che il patrimonio del solvens, si è focalizzata l'attenzione sulla condotta dell'agente, che si fa dare il denaro rappresentando i pubblici impiegati come persone venali, inclini ai favoritismi, cosicché si è consolidato l'indirizzo ermeneutico secondo cui, per integrare la millanteria, non è necessaria una condotta ingannatoria o raggirante, perché ciò che rileva è la vanteria dell'influenza sul pubblico ufficiale, che, da sola, a prescindere dai rapporti effettivamente intrattenuti, offende l'immagine della pubblica amministrazione. A questo punto si deve tener conto dell'entrata in vigore della legge n. 190/2012, che, senza toccare l'art. 346 cod. pen., ha aggiunto la nuova fattispecie di reato denominata 'traffico di influenze illecite', che fissa come presupposto della ricezione del denaro chiesto come prezzo della mediazione propria o come retribuzione per il pubblico ufficiale "lo sfruttamento delle relazioni esistenti" con quest'ultimo. Ai sensi dell'art. 346 bis cod. pen., autore del reato non è più chi millanta influenze non importa se vere o false, ma unicamente chi sfrutta influenze effettivamente esistenti (il che giustifica il diverso trattamento riservato a chi sborsa denaro ripromettendosi di trarne vantaggio: non punibile nel primo caso, che ha per protagonista un millantatore puro sedicente faccendiere, concorrente nel reato nel secondo caso, che vede all'opera un faccendiere vero realmente in contatto con il pubblico ufficiale). Ne deriva che i fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge n. 190/2012, nei quali il soggetto attivo ha ottenuto la promessa o dazione del denaro vantando un'influenza sul pubblico ufficiale effettivamente esistente, che pacificamente ricadevano sotto la previsione dell'art. 346 cod. pen., devono ora essere ricondotti nella nuova fattispecie descritta dall'art. 346 bis cod. pen., che, comminando una pena inferiore, ha realizzato un caso di successione di leggi penali regolato dall'art. 2, comma quarto, cod. pen., con applicazione della norma più favorevole al reo; col risultato paradossale che una riforma presentata all'insegna del rafforzamento della repressione dei reati contro la pubblica amministrazione ha prodotto, almeno in questo caso, l'esito contrario. Invero, mentre l'art. 346, comma primo, cod. pen. stabilisce la pena della reclusione da uno a cinque anni, l'art. 346 bis cod. pen. commina la reclusione da uno a tre anni, ossia una pena il cui massimo edittale, nel caso di affermazione della responsabilità penale, comporta l'irrogazione di una sanzione meno severa e, quanto agli effetti sulla disciplina cautelare, preclude l'applicazione di qualsivoglia misura coercitiva. Si può dunque affermare il seguente principio di diritto: le condotte di colui che, vantando un'influenza effettiva verso il pubblico ufficiale, si fa dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione o col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale, condotte finora qualificate come reato di millantato credito ai sensi dell'art. 346, commi primo e secondo, cod. pen., devono, dopo l'entrata in vigore della legge n. 190/2012, in forza del rapporto di continuità tra norma generale e norma speciale, rifluire sotto la previsione dell'art. 346 bis cod. pen., che punisce il fatto con pena più mite. In estrema sintesi il tratto distintivo tra le due fattispecie starebbe nell'effettiva esistenza della possibilità di influenzare la condotta del pubblico ufficiale, che non sarebbe più una mera vanteria del “trafficante”, ipotesi rimasta invece sussumibile sotto la fattispecie di cui all'art. 346 c.p. Un caso del tutto analogo è stato deciso di recente dalla sentenza Sez. VI, 26 febbraio 2016, n. 23355. Si trattava anche in quella vicenda di un parlamentare che aveva accettato una somma di denaro per fare pressioni nei confronti del Presidente della Regione Basilicata ( del suo stesso partito) e dei vertici di un'impresa al fine di indirizzare le gare di un appalto pubblico riguardante quel territorio. La Corte di Cassazione, nell'assolvere l'imputato dal reato di corruzione per il quale era stato condannato in primo e secondo grado, ha affermato che le condotte potevano rientrare nel paradigma del nuovo art. 346 bis cod.pen., norma però non ancora entrata in vigore all'epoca dei fatti e quindi non applicabile. A differenza della citata sentenza n. 51688/2014, la Corte non ha però ritenuto di considerare che quei fatti potevano essere inquadrabili nella fattispecie del millantato credito, così come interpretata dalla giurisprudenza maggioritaria prima dell'introduzione nell'ordinamento dell'art. 346 bis cod.pen., lasciando in tal modo un dubbio interpretativo.
Si segnala poi la sentenza Sez. VI, 15 febbraio 2013, n. 17941, che differenzia gli articoli 346 e 346-bis c.p. sotto altro profilo. La massima afferma che: Per la sussistenza del delitto di millantato credito, di cui al comma secondo dell'art. 346 c.p. non è necessario – a differenza di quanto previsto per la nuova fattispecie di cui all'art. 346-bis c.p. – che il pubblico funzionario, avvicinabile dal millantatore, debba essere descritto come corrotto o pronto a rendersi partecipe di una corruzione passiva in senso proprio, essendo, invece, sufficiente anche che ne sia preannunciata la sua disponibilità remunerabile a svolgere interventi presso terzi, sia pubblici funzionari che privati. Nella fattispecie è stato ritenuto sussistente il delitto di cui al comma secondo dell'art. 346 cod. pen. nei confronti di persona che si era fatta dare una somma di denaro con il pretesto di doverla consegnare ad un ufficiale giudiziario perché si adoperasse, tramite sue conoscenze, per ottenere un'assunzione presso una società privata (Conforme Sez. VI, 7 luglio 2015, n. 51049). In conclusione
Il ridotto numero di sentenze pronunciate in materia di traffico di influenze illecite conferma quanto sopra detto in ordine al ridotto ambito applicativo della nuova fattispecie, stretta tra il delitto di millantato credito e le varie ipotesi di corruzione/concussione. Seppure con qualche “sbavatura” si può affermare che la Cassazione ha comunque chiarito alcuni principi di non poca importanza. Da un lato è stata affermata la continuità normativa tra la fattispecie di millantato credito, nell'ipotesi, riconosciuta dalla giurisprudenza in precedenza, di un'esaltazione di effettive influenze sul pubblico ufficiale da parte del millantatore, così disinnescando le forzature interpretative operate sul delitto di cui all'art. 346 c.p. Dall'altro lato è stato chiarito che può sussistere il traffico di influenze solo nella misura in cui in due artefici del reato non vengano in contatto con il pubblico ufficiale destinatario dell'attività di influenza illecita, in quanto l'art. 346-bis c.p. è un delitto propedeutico alla commissione dei reati di corruzione propria. Tuttavia rimane ancora non affrontata, tra le altre, la questione di fondo della nuova fattispecie, ossia la distinzione tra influenza illecita e normale attività di lobbying, che purtroppo in Italia non ha una compiuta disciplina. Sarà quindi compito della giurisprudenza dare contenuto ai termini utilizzati genericamente dall'art. 346-bis c.p., come far dare o promettere indebitamente denaro quale prezzo per la propria mediazione illecita. Vi sarà spazio per un'attività di mediazione lecita, magari attraverso il semplice arricchimento informativo del patrimonio conoscitivo del soggetto pubblico soprattutto quando costui non è un tecnico, con conseguente debita corresponsione del compenso per tale attività di promozione di interessi legittimi? Il problema sorgerà soprattutto quando non sarà possibile scorgere con nitidezza, quale obiettivo dell'accordo tra il privato ed il lobbista, l'atto contrario ai doveri d'ufficio. FUX, La natura propedeutica del reato di cui all'art. 346-bis c.p. rispetto a quello di corruzione, in Cass. pen., 2013, fasc. 7/8, 2642 ss.; GAMBARDELLA, Dall'atto alla funzione pubblica, la metamorfosi legislativa della corruzione “impropria”, in Arch. Pen., 2013, fasc.1, pag. 51 e ss.; NOTARGIACOMO, La differenza tra i delitti di corruzione e di traffico di influenze illecite, in Cass. pen., 2014, fasc. 3, 848 ss.; SCAROINA, Lobbying e rischio penale, in Dir. pen. e proc., 2016, fasc.6, pag. 811; UBIALI, I rapporti tra corruzione ex art. 319 c.p., traffico di influenze illecite e millantato credito nella prima pronuncia della Cassazione sulla vicenda di “Tempa Rossa”, in Dir. pen. cont.; VENEZIANI, Lobbismo e diritto penale. Il traffico di influenze illecito, in Cass. pen., 2016, fasc. 4, 1293 ss. |