Le dichiarazioni tardive del collaboratore di giustizia
31 Marzo 2016
Abstract
L'art. 16-quater, comma 9, d.l. 8/1991 (conv. l. 82/1991) dispone l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal collaboratore dopo il centottantesimo giorno dall'apertura del verbale illustrativo. La disposizione, però, fa espresso riferimento solo alla valutazione delle dichiarazioni stesse ai fini della prova. Ci si è dunque chiesti se il regime dell'inutilizzabilità coprisse esclusivamente la fase dibattimentale, ovvero se dovesse estendersi anche alla fase delle indagini preliminari, impedendo l'impiego delle dichiarazioni tardive anche a sostegno dell'emissione di misure cautelari, personali o reali. Il dies a quo di decorrenza del termine di utilizzabilitá
Il tema della decorrenza del termine utile ai fini della utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia è stato foriero di numerose incertezze interpretative. Il comma 1 dell'art. 16-quater d.l. 8/1991, infatti, sembrerebbe far decorrere il suddetto termine dal momento in cui il soggetto manifesta la volontà di iniziare il percorso di collaborazione. La giurisprudenza, dal canto suo, ha invece adottato una diversa posizione, frutto di una più attenta ricostruzione sistematica dei vari commi dell'art. 16-quater. Sin dai primi arresti successivi all'introduzione della disposizione in esame, i supremi giudici hanno affermato che Il momento del tempo dal quale comincia a decorrere il termine di centottanta giorni entro cui, a norma dell'art. 16-quater, comma 1, d.l. 15 gennaio 1991 n. 8, convertito nella legge 15 marzo 1991 n. 82, introdotto dall'art. 14 della legge 13 febbraio 2001 n. 45, la persona che abbia manifestato la volontà di collaborare deve rendere note al Procuratore della Repubblica tutte le notizie di cui è in possesso, è rappresentato dalla avvenuta redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione (Cass. pen., Sez. I, n. 41028/2002, da ultimo confermata da Cass. pen., Sez. VI, n. 14556/2011). In effetti, l'epilogo interpretativo patrocinato dalla giurisprudenza affonda le proprie radici nella circostanza che la generica manifestazione di volontà di collaborare non potrebbe essere cristallizzata in alcun atto processualmente valido, ed avente data certa, diverso dal verbale illustrativo. In realtà, l'equivoco nasce dal fatto che, sempre stando al dato letterale, è proprio il verbale illustrativo a dover intervenire entro centottanta giorni. Più precisamente, dunque, va chiarito che il termine decorre dal primo colloquio, con cui si apre il verbale illustrativo, tra il collaborante ed il procuratore della Repubblica, che va documentatori sensi del'art. 141-bis c.p.p. Le dichiarazioni tardive
Una volta individuato il momento dal quale far decorre il termine di efficacia delle dichiarazioni, è necessario comprendere cosa si intenda effettivamente per dichiarazione tardiva. Ed invero, rientra nella stessa fisiologia di una relazione dialogica che il propalante, dopo aver riferito episodi generici, responsabilità di terzi e dopo aver risposto a domande specifiche che gli investigatori erano già in grado di formulare, abbia la necessità di approfondire il racconto, di meglio specificarne taluni aspetti, di circostanziare maggiormente sfumature che di primo acchito possono non risultare rilevanti o di immediata percezione. Del resto, fin dalla novella l. 45/2001 si era compreso che il verbale illustrativo dovesse fungere da "traccia orientativa" di un discorso in fieri e non un documento definitivo ed immodificabile. Su questa stessa linea, la giurisprudenza – con arresti confermati negli anni – ha statuito che La previsione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal collaborante decorsi i centottanta giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare non si applica a quelle dichiarazioni rese come precisazione ed integrazione, che siano state sollecitate dagli organi inquirenti a chiarimento ulteriore degli episodi già riferiti nei termini di legge, sempre che non conducano ad individuare episodi criminosi nuovi e diversi o ulteriori soggetti responsabili degli episodi già denunciati (Cass. pen., Sez. I, n. 9070/2011). I concetti di integrazione e precisazione, dunque, coprono pacificamente approfondimenti sulle modalità esecutive del reato, sul contesto in cui fu deciso, sugli ordini impartiti, sul ruolo di ciascun partecipe ecc. L'importante è che il narrato non si apra ad episodi integralmente nuovi o coinvolga nel fatto soggetti prima non presi in considerazione. Del resto, se la funzione di un termine di validità delle dichiarazioni è proprio quella di consentire la verifica empirica dei fatti narrati, o comunque la loro plausibilità sul piano investigativo, è evidente come tale verifica non possa che vertere sull'episodio in quanto tale e non su singoli particolari. La portata della sanzione di inutilizzabilitá per omesso rispetto del termine
Ancora in ragione della incerta formulazione del dato normativo si è posto un ulteriore interrogativo sulla reale portata della sanzione processuale. In particolare, ci si è interrogati se l'inutilizzabilità colpisca le sole dichiarazioni tardive rispetto ad una collaborazione iniziata in fase di indagini preliminari, ovvero se affligga anche le collaborazioni intervenute nel corso del dibattimento. Anche su questo punto, la giurisprudenza ha offerto un orientamento stabile nel ritenere che La sanzione di inutilizzabilità che, ai sensi dell'art. 16-quater, comma nono, del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito nella L. 15 marzo 1991, n. 82, come modificata dall'art. 14 della L. 13 febbraio 2001, n. 45, colpisce le dichiarazioni del collaboratore di giustizia rese oltre il termine di centottanta giorni, previsto per la redazione del verbale informativo dei contenuti della collaborazione, trova applicazione solo con riferimento alle dichiarazioni rese fuori del contraddittorio e non a quelle rese nel corso del dibattimento (da ultimo Cass. pen., Sez. VI, n. 16939/2012). Inutilizzabilitá solo probatoria?
Non meno complessa l'esatta perimetrazione del regime dell'inutilizzabilità introdotto dalla disposizione in esame. Ci si è chiesti – e ciò è stato motivo di un acceso contrasto giurisprudenziale, sfociato in un intervento compositivo delle Sezioni unite – se l'inutilizzabilità fosse limitata al rilievo probatorio e dunque colpisse solo il momento dibattimentale e decisionale, ovvero se impedisse l'impiego delle dichiarazioni anche a sostegno degli atti tipici della fase procedimentale. Secondo un primo orientamento, Ai fini dell'applicazione di una misura cautelare personale possono essere utilizzate le dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia dopo il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare, giacché l'inutilizzabilità delle dichiarazioni tardive riguarda esclusivamente il giudizio di merito e non anche la fase cautelare (Cass. pen., Sez. IV, n. 83/2007,). Immediatamente successivo un orientamento diametralmente opposto a mente del quale Le dichiarazioni di collaboratori di giustizia rese oltre il termine di 180 giorni previsto dall'art. 16 quater del D.L. 15 gennaio 1991 n. 8, conv. con modd. in legge 15 marzo 1991 n. 82 sono da ritenere inutilizzabili non solo ai fini della formazione della prova in sede di giudizio ma anche ai fini cautelari (Cass. pen., Sez. I, n. 16249/2008, rv. 239580). La portata del conflitto e soprattutto l'immediatezza con cui è insorto, ha imposto il repentino intervento compositivo delle Sezioni unite. Il massimo organo nomofilattico, aderendo al primo degli esposti orientamenti, hanno statuito che Le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare sono utilizzabili nella fase delle indagini preliminari, in particolare ai fini della emissione delle misure cautelari personali e reali, oltre che nell'udienza preliminare e nel giudizio abbreviato (Cass. pen., Sez. un., n. 1149/2009). Secondo la Corte, nella particolare composizione, l'inutilizzabilità in parola non può essere considerata assoluta, poiché un'eventuale acquisizione tardiva delle dichiarazioni del collaboratore non determinerebbe alcuna violazione dei principi fondamentali dell'ordinamento. L'assunto è certamente esente da critiche ma forse prova troppo. Invero, a mente del dato testuale del comma 9 dell'art. 16-quater d.l. 8/1991 l'inutilizzabilità delle dichiarazioni incide sulla relativa capacità di “prova dei fatti” in esse affermati. La decisione delle Sezioni unite, dunque, determina una singolare cesura tra il compendio indiziario disponibile al giudice della cautela per affermare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e quanto sarà invece fruibile da parte del giudice del dibattimento. Allo stesso tempo, l'irrilevanza del divieto in sede di giudizio abbreviato instaura un'asimmetria probatoria tra rito alternativo e rito ordinario che non pare coerente con le ragioni che hanno indotto il legislatore a comminare la sanzione processuale. Deve infatti ricordarsi che l'inutilizzabilità ai fini della prova dei fatti è comminata in ragione dell'intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni tardive, o comunque della difficoltà della relativa verifica dei fatti narrati. È forse questa la ragione per cui la giurisprudenza successiva, mitigando la portata delle conclusioni delle Sezioni unite, ha imposto un onere motivazionale rafforzato al giudice della cautela che faccia uso delle dichiarazioni tardive: L'utilizzazione, ai fini dell'emissione di misure cautelari personali, delle dichiarazioni accusatorie di un pentito che si esternino con carattere di novità oltre il centottantesimo giorno dall'inizio della collaborazione e siano ritenute dal giudice meritevoli di apprezzamento nell'ambito del quadro indiziario di riferimento, richiede adeguata motivazione la quale dia conto del legittimo sospetto che la propalazione, in conseguenza della sua intempestività, sia nata per ragioni strumentali e possa quindi non essere veritiera (Cass. pen., Sez. I, n. 7454/2009). Si nota, in questa posizione, una diffidenza congenita riguardo alle dichiarazioni tardive, che appare temperata, però, da quella necessità di non dispersione della prova che pervade tutti gli istituti borderline del codice del 1988. L'inutilizzabilità per violazione delle formalità di documentazione. Cenni
Per mera completezza, si segnala che il regime di inutilizzabilità delle dichiarazioni accompagna anche le ipotesi di redazione del verbale illustrativo secondo modalità diverse da quelle prescritte dall'art. 141-bis c.p.p. Come anche di recente ribadito dalla suprema Corte, L'omessa redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione secondo le modalità previste dall'art. 141-bis disp.att. cod. proc. pen., richiamate dall'art. 16-quater, terzo comma, del D.L. n. 8 del 1991, convertito dalla legge n. 82 del 1991, determina l'inutilizzabilità delle dichiarazioni "contra se" ed "erga alios" (Cass. pen., Sez. VI, n. 15477/2014). Tale forma di inutilizzabilità, a rigore, andrebbe considerata assoluta. E ciò sia perché la documentazione “rafforzata” garantisce la posizione dei soggetti che intervengono dell'atto processuale – come di coloro che ne subiranno gli effetti – sia perché il rispetto delle formalità documentali era già stato indicato dalla Sezioni unite in precedenza citate quale condizione di compatibilità tra l'impiego delle dichiarazioni tardive e i principi generali dell'ordinamento. In conclusione
All'esito dell'indagine svolta, il regime dell'inutilizzabilità delle dichiarazioni “viziate”, come strutturato nel diritto vivente, si presenta variamente composto e non sempre lineare. Per le dichiarazioni mal documentate, l'inutilizzabilità andrebbe considerata assoluta, impedendo l'impiego delle stesse in alcuna fase processuale. Salva, evidentemente, la possibilità per il collaboratore di reiterarle in sede dibattimentale, esponendosi al contraddittorio con le parti e con il giudice. Diverso il discorso per le dichiarazioni tardive. Come si è visto, la loro inutilizzabilità è molto circoscritta. Essa, infatti, bersaglia le sole dichiarazioni intervenute nella fase delle indagini preliminari, mentre non intacca le collaborazioni iniziate nel corso del dibattimento. Allo stesso tempo, si tratta di un'inutilizzabilità solo ai fini della prova piena: quelle dichiarazioni, infatti, restano idonee a supportare il quadro gravità indiziaria necessario per l'emissione di provvedimenti cautelari, così come l'affermazione di responsabilità in sede di giudizio abbreviato. Col solo limite dell'aggravamento un onere motivazionale, da parte del giudice, quanto al giudizio di attendibilità della propalazione. Il vero vulnus di questo sistema risiede nella possibilità di aggirare i divieti attraverso l'attento rispetto dei tempi e dei modi della collaborazione. Considerando, infatti, che la fase dibattimentale ed il contraddittorio si attestano quale formidabile sanatoria del vizio processuale, ove il collaboratore intenda svelare fatti prima taciuti, basterà che attenda il dibattimento per sfuggire alla sanzione di inutilizzabilità. Allo stesso tempo, sarà anche interesse degli inquirenti – al fine di preservare le dichiarazioni nuove ma tardive – non procedere alla verbalizzazione di siffatte dichiarazioni, lasciando che le stesse si manifestino per la prima volta in giudizio. Il cortocircuito è evidente. E soprattutto annienta le medesime ragioni che avevano indotto il legislatore a comminare una così (apparentemente) severa sanzione per le dichiarazioni rese in violazione della disciplina. |