Colpa professionale

Chiara Fiandanese
08 Settembre 2017

Con l'espressione colpa professionale si indica la colpa propria di chi esercita una determinata professione. L'art. 2236 c.c.prevede che, nelle ipotesi in cui la prestazione comporti la soluzione di problemi di particolare difficoltà tecnica, il prestatore non risponda dei danni con esclusione di fatti commessi con colpa media o lieve. Molto discusso è il problema della configurabilità anche in diritto penale della fattispecie in oggetto in quanto, bisogna capire se il reato colposo cagionato dal professionista nell'esercizio della sua professione, deve essere valutato secondo le regole generali secondo le quali egli risponde per negligenza, imperizia e imprudenza oppure se trova applicazione anche il sede penale l'art.2236 c.c.
Inquadramento

Con l'espressione colpa professionale si indica la colpa propria di chi esercita una determinata professione. L'art. 2236 c.c., nel delineare i confini della responsabilità del prestatore d'opera intellettuale, prevede che, nelle ipotesi in cui la prestazione comporti la soluzione di problemi di particolare difficoltà tecnica, il prestatore non risponda dei danni con esclusione di fatti commessi con colpa media o lieve. Molto discusso è il problema della configurabilità anche in diritto penale della fattispecie in oggetto in quanto, bisogna capire se il reato colposo cagionato dal professionista nell'esercizio della sua professione, deve essere valutato secondo le regole generali secondo le quali egli risponde per negligenza, imperizia e imprudenza oppure se trova applicazione anche il sede penale l'art.2236 c.c.

Con particolare riferimento alla professione medica la limitazione di responsabilità si applica solo nelle ipotesi in cui vi sia la necessità di risolvere problemi tecnici nuovi o di speciale complessità che comportano un amplio margine di rischio.

La responsabilità civile: contrattuale ed extracontrattuale

La responsabilità civile riguarda l'esigenza di essere risarciti nel momento in cui si subisce un danno cagionato da un altro soggetto. Si distinguono due tipi di responsabilità civile:

  • contrattuale: art. 1218 c.c. è la responsabilità che deriva in capo al soggetto debitore di risarcire i danni cagionati al creditore a causa dell'inadempimento, dell'inesatto adempimento o dell'adempimento tardivo di una preesistente obbligazione sorta tra loro da una qualunque fonte (un contratto o qualunque atto o fatto)ad esclusione del fatto illecito. Il debitore che non esegue esattamente la prestazione è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
  • extracontrattuale: art. 2043 c.c., detta anche aquiliana, sorge da qualsiasi fatto illecito colposo o doloso che cagiona ad un soggetto un danno ingiusto. La responsabilità deriva dalla violazione del generico obbligo di non ledere alcun soggetto senza che prima della violazione sia possibile l'individuazione di un'obbligazione. Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

Ad esempio, con riferimento alla responsabilità medica, la responsabilità contrattuale è a carico delle strutture sanitarie, pubbliche e private, ed extracontrattuale per l'esercente la professione sanitaria che svolge la propria attività nell'ambito di una struttura sanitaria pubblica o privata o in rapporto convenzionale con il Servizio sanitario nazionale.

In evidenza

Nella responsabilità contrattuale l'onere della prova è a carico del danneggiante, mentre nella responsabilità extracontrattuale l'onere della prova è a carico del danneggiato che deve dimostrare il fatto illecito in tutti i suoi elementi incluso il dolo o la colpa.

La responsabilità penale e la colpa

La responsabilità penale si basa sul principio di legalità sancito nell'art. 25 Cost. e nell'art. 1 c.p.; essa è prevista dalle norme penali cioè da quelle regole di comportamento che sono ritenute fondamentali per la convivenza. La violazione delle regole penali costituisce reato e per attribuire la responsabilità penale occorre che sussistano la condotta, l'evento e il nesso causale. La relativa sanzione non soddisfa direttamente la vittima del danno che, per ottenere un risarcimento patrimoniale, deve instaurare una causa di tipo civilistico all'interno di quella penale. La responsabilità penale è sempre individuale.

Il codice penale non prevede una distinzione tra colpa lieve e colpa grave, l'art. 43 c.p. dà solo una definizione di delitto colposo, disponendo che esso venga in essere quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. La graduazione della colpa può trovare rilievo solo ex art. 133 c.p., in merito alla commisurazione della pena poiché il giudice deve desumere la gravità del reato, tra i vari parametri anche in base al grado della colpa.

Colpa professionale e responsabilità dell'esercente un'attività intellettuale

Per colpa professionale deve intendersi soltanto quella di chi eserciti una delle professioni intellettuali, previste e disciplinate dagli artt. 2229 c.c. e non quella di chiunque eserciti professionalmente una certa attività.

Il professionista che esercita un'attività intellettuale assumendo l'incarico che gli viene affidato dal cliente, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo ed è per questa ragione che le obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale sono obbligazioni di mezzi e non di risultato. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall'art. 1176, comma 2, c.c. , che è quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione. La diligenza richiesta al professionista è una diligenza qualificata, superiore a quella che viene richiesta ad una persona comune ed è commisurata alla prestazione che lo stesso deve eseguire.

Come previsto dall'art. 2236 c.c., se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il professionista non risponde dei danni se non in caso di dolo o di colpa grave.

Ad esempio rientra nella ordinaria diligenza dell'avvocato il compimento di atti interruttivi della prescrizione del diritto del suo cliente, i quali, di regola, non richiedono speciale capacità tecnica, salvo che, in relazione alla particolare situazione di fatto, che va liberamente apprezzata dal giudice di merito, si presenti incerto il calcolo del termine. Non ricorre tale ipotesi, con la conseguenza che il professionista può essere chiamato a rispondere anche per semplice negligenza, ex art. 1176, comma 2, c.c., e non solo per dolo o colpa grave ai sensi dell'art. 2236 c.c., allorché l'incertezza riguardi non già gli elementi di fatto in base ai quali va calcolato il termine ma il termine stesso, a causa dell'incertezza della norma giuridica da applicare al caso concreto. Parimenti, l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione relativa all'applicabilità del termine di prescrizione in caso di mancata proposizione della querela non esime il professionista dall'obbligo di diligenza richiesto dall'art. 1176 c.c.

La valutazione della colpa professionale in sede penale non è limitata all'ipotesi di colpa grave, posto che, a differenza di ciò che avviene nel processo civile in ragione dell'art. 2236 c.c. ai fini del risarcimento del danno, l'accertamento dell'elemento psicologico ai sensi dell'art. 43 c.p. non ammette restrizioni. Qualora la condotta dell'esercente un'attività intellettuale incida su beni primari, quali la vita o la salute delle persone, i parametri valutativi devono essere estratti dalle norme proprie al sistema penale e non già da quelle civilistiche sull'inadempimento nell'esecuzione del rapporto contrattuale.

Responsabilità penale del medico e la legge balduzzi

Il tema della responsabilità penale del sanitario è stato oggetto di una riforma introdotta con la legge Balduzzi (d.l. 13 settembre 2012, n. 263 conv. l. 189/2012), art. 3, comma 1, a seguito della quale, si prevede che l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo.


Con quella legge il Legislatore aveva introdotto, per la prima volta, un'espressa distinzione tra colpa grave e colpa lieve nell'ambito della disciplina penale dell'imputazione soggettiva, escludendo dall'ambito del penalmente rilevante la condotta del sanitario connotata da colpa lieve, nei soli casi in cui questa sia conforme alle linee guida ed alle buone pratiche scientificamente accreditate. Si era posto, pertanto, il problema della individuazione dei limiti di operatività dell'esonero dalla responsabilità penale previsto dalla norma e, più in particolare, la necessità di stabilire se esso si limiti alle ipotesi di condotte colpose connotate da imperizia o possa estendersi anche a quelle riguardanti profili di diligenza e di prudenza. La giurisprudenza di legittimità era pervenuta a soluzioni contrastanti. Secondo un primo orientamento la suddetta limitazione, operando soltanto per le condotte professionali conformi alle linee guida, e contenendo queste ultime esclusivamente regole di perizia, non si estende agli errori diagnostici connotati da negligenza o imprudenza (Sez. IV, 20 marzo 2015, n. 16944; Sez. IV, 27 aprile 2015, n. 26996). Secondo altro orientamento, invece, la disciplina dell'art. 3 legge 189 del 2012, pur trovando terreno d'elezione nell'ambito dell'imperizia, può venire in rilievo anche quando il parametro valutativo della condotta dell'agente sia rappresentato da quello della diligenza (Sez. IV, 8 luglio 2014, n. 2168; Sez. IV, 1 luglio 2015, n. 45527).

Con la legge Gelli-Bianco (legge dell'8 marzo 2017, n. 24) è stato abrogato il citato art. 3, è stato chiarito cosa si intende per linee guida (art. 5: «Gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonchè dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali») ed è stato, infine, inserito nel codice penale l'art. 590-sexies (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario), il quale così detta:

«Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell'esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma.

Qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto».

Secondo la prima interpretazione giurisprudenziale di queste ultime norme (Sez. IV, 20 aprile 2017, n. 28187), in presenza di una «disarticolante contraddittorietà» dell'enunciato normativo («si è in colpa per imperizia ed al contempo non lo si è, visto che le codificate leges artis sono state rispettate ed applicate in modo pertinente ed appropriato»), deve essere rigettata l'interpretazione letterale, secondo la quale il Legislatore abbia voluto escludere la punibilità anche nei confronti del sanitario che, pur avendo cagionato un evento lesivo a causa di comportamento rimproverabile per imperizia, in qualche momento della relazione terapeutica abbia comunque fatto applicazione di direttive qualificate, pure quando esse siano estranee al momento topico in cui l'imperizia lesiva si sia realizzata. Infatti, una interpretazione di tal genere sarebbe irragionevole e vulnererebbe il diritto alla salute del paziente e quindi l'art. 32 Cost. Pertanto, la novella trova applicazione quando le raccomandazioni generali siano pertinenti alla fattispecie concreta, mentre quando le linee guida non sono appropriate e vanno quindi disattese, l'art. 590-sexies c.p. non viene in rilievo e trova applicazione la disciplina generale prevista dagli artt. 43, 589 e 590 c.p. Inoltre, il novum non opera in relazione alle condotte che, sebbene poste in essere nell'ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti ed appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo. Il metro di valutazione costituito dalle raccomandazioni ufficiali è invece cogente, con il suo portato di determinatezza e prevedibilità, nell'ambito di condotte che delle linee guida siano pertinente estrinsecazione. Tale ricostruzione dà conto anche dell'espressione a causa di imperizia: l'art. 590-sexies c.p. si applica solo quando sia stata elevata o possa essere elevata imputazione di colpa per imperizia e non anche per negligenza o imprudenza.

In tal modo interpretata, la novella implica problemi di diritto intertemporale con riferimento ai fatti commessi in epoca anteriore. Infatti, l'abrogazione della legge del 2012 implica la reviviscenza, sotto tale riguardo, della previgente, più severa normativa che, per l'appunto, non consentiva distinzioni connesse al grado della colpa. Infatti la novella del 2017 non contiene alcun riferimento alla gravità della colpa. Pertanto, ai sensi dell'art. 2 c.p., il nuovo regime si applica solo ai fatti commessi in epoca successiva alla riforma. Per i fatti anteriori, sempre in attuazione dell'art. 2 c.p., può trovare applicazione, invece, quando pertinente, la citata normativa del 2012, che appare più favorevole con riguardo alla limitazione della responsabilità ai soli casi di colpa grave.

Rimane ferma, invece, la giurisprudenza relativa alla applicabilità, in ambito penale, della disciplina dell'art. 2236 c.c., la quale è pervenuta alla conclusione che tale norma, sebbene non direttamente esportabile nel diritto penale, sia comunque espressione di un principio di razionalità: situazioni tecnico scientifiche nuove, complesse o influenzate e rese più difficoltose dall'urgenza implicano un diverso e più favorevole metro di valutazione. In tale ambito ricostruttivo, si è infatti considerato che il principio civilistico di cui all'art. 2236 c.c., che assegna rilevanza soltanto alla colpa grave, può trovare applicazione in ambito penalistico come regola di esperienza cui attenersi nel valutare l'addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione di problemi di speciale difficoltà (Sez. IV, 29 novembre 2015, n. 12478; Sez. IV, 22 novembre 2011, n. 4391).

Con riferimento alla responsabilità civile, l'art. 7 della l. 24/2017 stabilisce che «1. La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose. 2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell'ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina. 3. L'esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'articolo 5 della presente legge e dell'articolo 590-sexies del codice penale, introdotto dall'articolo 6 della presente legge».

Il medico, quindi, risponde per responsabilità extracontrattuale dei danni causati al paziente. Nella responsabilità extracontrattuale il paziente che muove causa deve rigorosamente dimostrare gli errori del sanitario ed il nesso causale tra questi ed il danno subito. Inquadrando, invece, l'ipotesi di danno nella responsabilità contrattuale, è sufficiente per il paziente dare la prova del danno e del fatto che il danno si sia manifestato in occasione della cura.

Casistica

Lesioni provocate da uno sciatore

Le lesioni colpose provocate dall'utente di una pista sciistica non sono riconducibili a colpa professionale, ai sensi dell'art. 4, comma 1, lett. a) d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274, poiché la nozione evocata dalla norma processuale rimanda esclusivamente agli esercenti una delle professioni intellettuali previste e disciplinate dall'art. 2229 c.c., con la conseguenza che là è competente a giudicare il giudice di pace. (Cass. pen., Sez. IV, 12 luglio 2013, n. 43182)

Responsabile del servizio di prevenzione

Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione risponde a titolo di colpa professionale, unitamente al datore di lavoro, degli eventi dannosi derivati dai suoi suggerimenti sbagliati o dalla mancata segnalazione di situazioni di rischio, dovuti ad imperizia, negligenza, inosservanza di leggi o discipline, che abbiano indotto il secondo ad omettere l'adozione di misure prevenzionali doverose. (Cass. pen., Sez. IV, 21 dicembre 2010, n. 2814)

Personale medico e paramedico

In tema di colpa professionale, qualora ricorra l'ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario – compreso il personale paramedico – è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all'osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte dell'agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l'altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l'affermazione dell'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità. (In applicazione del principio la S.C. ha confermato la sentenza di condanna nei confronti degli infermieri e dell'anestesista per le lesioni occorse alla vittima, la quale, in attesa di essere sottoposta ad intervento chirurgico, era stata posizionata sul lettino operatorio ed era stata girata sul lato, senza tuttavia essere legata, ed in tale posizione le era stata somministrata l'anestesia, a causa della quale, sopravvenuto lo stato di incoscenza, era caduta dal letto). (Cass. pen., Sez. IV, 6 febbraio 2015, n. 30991)

Responsabilità dell'aiuto o dell'assistente medico

In tema di colpa in ambito sanitario, non è configurabile una responsabilità professionale dell'aiuto e dell'assistente medico sulla base della sola partecipazione all'intervento chirurgico effettuato direttamente dal primario, non essendo essi obbligati a dissociarsi dall'attività materialmente compiuta dal primo operatore o a manifestare il proprio dissenso in tempo reale abbandonando la sala operatoria. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato senza rinvio, in applicazione di quanto previsto dall'art. 129, comma 2, c.p.p., la sentenza impugnata che aveva dichiarato estinto per prescrizione il reato di lesioni personali colpose nei confronti di un medico la cui condotta era consistita nell'essere stato presente all'intervento direttamente eseguito dal primario). (Cass. pen., Sez. III, 12 dicembre 2013, n. 5684)

Medico anestesista

In tema di colpa professionale, l'anestesista è tenuto a controllare, prima dell'inizio dell'intervento chirurgico, che lo sfigmanometro ed il pulsossimetro siano presenti in sala operatoria e siano, altresì, pronti all'uso, essendo suo compito verificare costantemente i parametri vitali del paziente. (Nella fattispecie è stata riconosciuta la responsabilità dell'anestesista per il decesso del paziente, avvenuto a causa della mancata tempestiva diagnosi di un difetto di ventilazione, dovuta all'omessa verifica manuale dei parametri vitali per la mancanza in sala operatoria dello sfigmanometro e pulsossimetro, non potendosi utilizzare la strumentazione elettronica per un improvviso blackout).

(Cass. pen., Sez. IV, 8 novembre 2013, n. 7597)

Visita collegiale

Il medico che partecipi alla visita collegiale non può essere esonerato da responsabilità ove ometta di differenziare la propria posizione, rendendo palesi i motivi che lo inducano a dissentire dalla decisione presa dal direttore del reparto di dimettere il paziente. (Fattispecie in cui è stata ritenuta la responsabilità del chirurgo per il decesso del paziente che, nonostante presentasse sindrome dolorosa, veniva prematuramente dimesso senza aver eseguito le opportune indagini diagnostiche). (Cass. pen., Sez. IV, 19 aprile 2013, n. 26966)

Casistica civile

Responsabilità medica

In tema di responsabilità medica, qualora, nel corso di un trattamento terapeutico o di un intervento, emerga una situazione la cui evoluzione può comportare rischi per la salute del paziente, il medico, che abbia a disposizione metodi idonei ad evitare il verificarsi della situazione pericolosa, è tenuto ad impiegarli, essendo suo dovere professionale applicare metodi che salvaguardino la salute del paziente, preferendoli a quelli che possano anche solo esporla a rischio, sicché, ove egli privilegi il trattamento più rischioso e la situazione pericolosa si determini, non riuscendo egli a superarla senza danno, la colpa si radica già nella scelta inizialmente compiuta. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto esente da colpa un medico in relazione alla scelta compiuta di sottoporre un paziente, affetto da paraparesi spastica, ad intervento di ernia discale per via transarticolare, in luogo del meno rischioso intervento anteriore alla colonna attraverso toracotomia destra, con determinazione della situazione pericolosa connessa al detto rischioso intervento e conseguente necessità di un secondo intervento, attraverso toracotomia, all'esito del quale era residuata una lesione dell'integrità psico-fisica stimata pari al 68 per cento). (Cass. civ., Sez. III, 29 settembre2015, n. 19213)

Notariato

In relazione all'obbligo di espletare la visura dei registri immobiliari in occasione di una compravendita immobiliare, il notaio non può invocare la limitazione di responsabilità prevista per il professionista dall'art. 2236 c.c. con riferimento al caso di prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (nella specie, per l'arretrato in cui versavano le Conservatorie all'epoca della stipula e per la necessità di esaminare le annotazioni provvisorie di cui al c.d. "mod. 60"), in quanto tale inosservanza non è riconducibile ad un'ipotesi di imperizia, cui si applica quella limitazione, bensì a negligenza o imprudenza, cioè alla violazione del dovere della normale diligenza professionale media esigibile ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., rispetto alla quale rileva anche la colpa lieve. (Cass. civ.,Sez. III, 27 ottobre 2011, n. 22398)

Responsabilità professionale per mancata impugnazione di sentenza sfavorevole al suo cliente

Posto che, in generale, la circostanza che l'errore commesso dall'avvocato nel giudizio di primo grado possa essere rimediato attraverso la proposizione dell'appello contro la sentenza sfavorevole non è sufficiente, di per sé, ad escludere che la parte abbia risentito e continui a risentire danno dalla lamentata negligenza, deve ritenersi affetta da vizio di motivazione la sentenza che escluda la responsabilità professionale del difensore allorquando la soccombenza sia dipesa da errori di impostazione attinenti alla sfera processuale o alla corretta evocazione in giudizio dei soggetti legittimati passivi (come nella specie), siccome riconducibili a competenze squisitamente tecniche, senza che risultino esaminati i profili relativi all'ascrivibilità del rigetto della domanda risarcitoria a colpa dell'assistito o all'emergenza di fatti idonei a dimostrare la mancanza di colpa del legale nonché i profili relativi all'imputabilità dell'omessa proposizione dell'appello a colpa del cliente o non, piuttosto, alla responsabilità del professionista. (Cass. civ., Sez. III, 2 luglio 2010, n. 15718)

Commercialista

La responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell'attività del commercialista incaricato dell'impugnazione di un avviso di accertamento tributario, l'affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole del ricorso alla commissione tributaria, che avrebbe dovuto essere proposto e diligentemente seguito. (Cass. civ., Sez. III, 26 aprile 2010, n. 9917)

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