Colpa professionaleFonte: Cod. Civ. Articolo 2236
08 Settembre 2017
Inquadramento
Con l'espressione colpa professionale si indica la colpa propria di chi esercita una determinata professione. L'art. 2236 c.c., nel delineare i confini della responsabilità del prestatore d'opera intellettuale, prevede che, nelle ipotesi in cui la prestazione comporti la soluzione di problemi di particolare difficoltà tecnica, il prestatore non risponda dei danni con esclusione di fatti commessi con colpa media o lieve. Molto discusso è il problema della configurabilità anche in diritto penale della fattispecie in oggetto in quanto, bisogna capire se il reato colposo cagionato dal professionista nell'esercizio della sua professione, deve essere valutato secondo le regole generali secondo le quali egli risponde per negligenza, imperizia e imprudenza oppure se trova applicazione anche il sede penale l'art.2236 c.c. Con particolare riferimento alla professione medica la limitazione di responsabilità si applica solo nelle ipotesi in cui vi sia la necessità di risolvere problemi tecnici nuovi o di speciale complessità che comportano un amplio margine di rischio.
La responsabilità civile riguarda l'esigenza di essere risarciti nel momento in cui si subisce un danno cagionato da un altro soggetto. Si distinguono due tipi di responsabilità civile:
Ad esempio, con riferimento alla responsabilità medica, la responsabilità contrattuale è a carico delle strutture sanitarie, pubbliche e private, ed extracontrattuale per l'esercente la professione sanitaria che svolge la propria attività nell'ambito di una struttura sanitaria pubblica o privata o in rapporto convenzionale con il Servizio sanitario nazionale.
La responsabilità penale si basa sul principio di legalità sancito nell'art. 25 Cost. e nell'art. 1 c.p.; essa è prevista dalle norme penali cioè da quelle regole di comportamento che sono ritenute fondamentali per la convivenza. La violazione delle regole penali costituisce reato e per attribuire la responsabilità penale occorre che sussistano la condotta, l'evento e il nesso causale. La relativa sanzione non soddisfa direttamente la vittima del danno che, per ottenere un risarcimento patrimoniale, deve instaurare una causa di tipo civilistico all'interno di quella penale. La responsabilità penale è sempre individuale. Il codice penale non prevede una distinzione tra colpa lieve e colpa grave, l'art. 43 c.p. dà solo una definizione di delitto colposo, disponendo che esso venga in essere quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. La graduazione della colpa può trovare rilievo solo ex art. 133 c.p., in merito alla commisurazione della pena poiché il giudice deve desumere la gravità del reato, tra i vari parametri anche in base al grado della colpa. Per colpa professionale deve intendersi soltanto quella di chi eserciti una delle professioni intellettuali, previste e disciplinate dagli artt. 2229 c.c. e non quella di chiunque eserciti professionalmente una certa attività. Il professionista che esercita un'attività intellettuale assumendo l'incarico che gli viene affidato dal cliente, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo ed è per questa ragione che le obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale sono obbligazioni di mezzi e non di risultato. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall'art. 1176, comma 2, c.c. , che è quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione. La diligenza richiesta al professionista è una diligenza qualificata, superiore a quella che viene richiesta ad una persona comune ed è commisurata alla prestazione che lo stesso deve eseguire. Come previsto dall'art. 2236 c.c., se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il professionista non risponde dei danni se non in caso di dolo o di colpa grave. Ad esempio rientra nella ordinaria diligenza dell'avvocato il compimento di atti interruttivi della prescrizione del diritto del suo cliente, i quali, di regola, non richiedono speciale capacità tecnica, salvo che, in relazione alla particolare situazione di fatto, che va liberamente apprezzata dal giudice di merito, si presenti incerto il calcolo del termine. Non ricorre tale ipotesi, con la conseguenza che il professionista può essere chiamato a rispondere anche per semplice negligenza, ex art. 1176, comma 2, c.c., e non solo per dolo o colpa grave ai sensi dell'art. 2236 c.c., allorché l'incertezza riguardi non già gli elementi di fatto in base ai quali va calcolato il termine ma il termine stesso, a causa dell'incertezza della norma giuridica da applicare al caso concreto. Parimenti, l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione relativa all'applicabilità del termine di prescrizione in caso di mancata proposizione della querela non esime il professionista dall'obbligo di diligenza richiesto dall'art. 1176 c.c. La valutazione della colpa professionale in sede penale non è limitata all'ipotesi di colpa grave, posto che, a differenza di ciò che avviene nel processo civile in ragione dell'art. 2236 c.c. ai fini del risarcimento del danno, l'accertamento dell'elemento psicologico ai sensi dell'art. 43 c.p. non ammette restrizioni. Qualora la condotta dell'esercente un'attività intellettuale incida su beni primari, quali la vita o la salute delle persone, i parametri valutativi devono essere estratti dalle norme proprie al sistema penale e non già da quelle civilistiche sull'inadempimento nell'esecuzione del rapporto contrattuale. Il tema della responsabilità penale del sanitario è stato oggetto di una riforma introdotta con la legge Balduzzi (d.l. 13 settembre 2012, n. 263 conv. l. 189/2012), art. 3, comma 1, a seguito della quale, si prevede che l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo. Con quella legge il Legislatore aveva introdotto, per la prima volta, un'espressa distinzione tra colpa grave e colpa lieve nell'ambito della disciplina penale dell'imputazione soggettiva, escludendo dall'ambito del penalmente rilevante la condotta del sanitario connotata da colpa lieve, nei soli casi in cui questa sia conforme alle linee guida ed alle buone pratiche scientificamente accreditate. Si era posto, pertanto, il problema della individuazione dei limiti di operatività dell'esonero dalla responsabilità penale previsto dalla norma e, più in particolare, la necessità di stabilire se esso si limiti alle ipotesi di condotte colpose connotate da imperizia o possa estendersi anche a quelle riguardanti profili di diligenza e di prudenza. La giurisprudenza di legittimità era pervenuta a soluzioni contrastanti. Secondo un primo orientamento la suddetta limitazione, operando soltanto per le condotte professionali conformi alle linee guida, e contenendo queste ultime esclusivamente regole di perizia, non si estende agli errori diagnostici connotati da negligenza o imprudenza (Sez. IV, 20 marzo 2015, n. 16944; Sez. IV, 27 aprile 2015, n. 26996). Secondo altro orientamento, invece, la disciplina dell'art. 3 legge 189 del 2012, pur trovando terreno d'elezione nell'ambito dell'imperizia, può venire in rilievo anche quando il parametro valutativo della condotta dell'agente sia rappresentato da quello della diligenza (Sez. IV, 8 luglio 2014, n. 2168; Sez. IV, 1 luglio 2015, n. 45527). Con la legge Gelli-Bianco (legge dell'8 marzo 2017, n. 24) è stato abrogato il citato art. 3, è stato chiarito cosa si intende per linee guida (art. 5: «Gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonchè dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali») ed è stato, infine, inserito nel codice penale l'art. 590-sexies (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario), il quale così detta: «Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell'esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto». Secondo la prima interpretazione giurisprudenziale di queste ultime norme (Sez. IV, 20 aprile 2017, n. 28187), in presenza di una «disarticolante contraddittorietà» dell'enunciato normativo («si è in colpa per imperizia ed al contempo non lo si è, visto che le codificate leges artis sono state rispettate ed applicate in modo pertinente ed appropriato»), deve essere rigettata l'interpretazione letterale, secondo la quale il Legislatore abbia voluto escludere la punibilità anche nei confronti del sanitario che, pur avendo cagionato un evento lesivo a causa di comportamento rimproverabile per imperizia, in qualche momento della relazione terapeutica abbia comunque fatto applicazione di direttive qualificate, pure quando esse siano estranee al momento topico in cui l'imperizia lesiva si sia realizzata. Infatti, una interpretazione di tal genere sarebbe irragionevole e vulnererebbe il diritto alla salute del paziente e quindi l'art. 32 Cost. Pertanto, la novella trova applicazione quando le raccomandazioni generali siano pertinenti alla fattispecie concreta, mentre quando le linee guida non sono appropriate e vanno quindi disattese, l'art. 590-sexies c.p. non viene in rilievo e trova applicazione la disciplina generale prevista dagli artt. 43, 589 e 590 c.p. Inoltre, il novum non opera in relazione alle condotte che, sebbene poste in essere nell'ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti ed appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo. Il metro di valutazione costituito dalle raccomandazioni ufficiali è invece cogente, con il suo portato di determinatezza e prevedibilità, nell'ambito di condotte che delle linee guida siano pertinente estrinsecazione. Tale ricostruzione dà conto anche dell'espressione a causa di imperizia: l'art. 590-sexies c.p. si applica solo quando sia stata elevata o possa essere elevata imputazione di colpa per imperizia e non anche per negligenza o imprudenza. In tal modo interpretata, la novella implica problemi di diritto intertemporale con riferimento ai fatti commessi in epoca anteriore. Infatti, l'abrogazione della legge del 2012 implica la reviviscenza, sotto tale riguardo, della previgente, più severa normativa che, per l'appunto, non consentiva distinzioni connesse al grado della colpa. Infatti la novella del 2017 non contiene alcun riferimento alla gravità della colpa. Pertanto, ai sensi dell'art. 2 c.p., il nuovo regime si applica solo ai fatti commessi in epoca successiva alla riforma. Per i fatti anteriori, sempre in attuazione dell'art. 2 c.p., può trovare applicazione, invece, quando pertinente, la citata normativa del 2012, che appare più favorevole con riguardo alla limitazione della responsabilità ai soli casi di colpa grave. Rimane ferma, invece, la giurisprudenza relativa alla applicabilità, in ambito penale, della disciplina dell'art. 2236 c.c., la quale è pervenuta alla conclusione che tale norma, sebbene non direttamente esportabile nel diritto penale, sia comunque espressione di un principio di razionalità: situazioni tecnico scientifiche nuove, complesse o influenzate e rese più difficoltose dall'urgenza implicano un diverso e più favorevole metro di valutazione. In tale ambito ricostruttivo, si è infatti considerato che il principio civilistico di cui all'art. 2236 c.c., che assegna rilevanza soltanto alla colpa grave, può trovare applicazione in ambito penalistico come regola di esperienza cui attenersi nel valutare l'addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione di problemi di speciale difficoltà (Sez. IV, 29 novembre 2015, n. 12478; Sez. IV, 22 novembre 2011, n. 4391). Con riferimento alla responsabilità civile, l'art. 7 della l. 24/2017 stabilisce che «1. La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose. 2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell'ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina. 3. L'esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'articolo 5 della presente legge e dell'articolo 590-sexies del codice penale, introdotto dall'articolo 6 della presente legge». Il medico, quindi, risponde per responsabilità extracontrattuale dei danni causati al paziente. Nella responsabilità extracontrattuale il paziente che muove causa deve rigorosamente dimostrare gli errori del sanitario ed il nesso causale tra questi ed il danno subito. Inquadrando, invece, l'ipotesi di danno nella responsabilità contrattuale, è sufficiente per il paziente dare la prova del danno e del fatto che il danno si sia manifestato in occasione della cura. Casistica
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