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Risarcimento del danno

Alessandra Testaguzza
05 Marzo 2019

Oltre alle pene (principali o accessorie) e/o alle misure di sicurezza, che ne sono conseguenze propriamente penali, dal reato possono anche derivare, in via immediata o mediata, alcune conseguenze di natura civile delle quali si occupa il titolo VII del codice penale agli artt. 185 e ss. Quest'ultima disposizione ricomprende anche la formula risarcitoria che in passato, secondo la prevalente dottrina, veniva ricondotta direttamente nella struttura del sistema penale. Impostazione venuta meno in epoca più recente quando è stato sostenuto che nonostante il risarcimento non vada esente da qualche tratto punitivo esso non può definirsi una pena, neppure privata, stante la sua struttura tipicamente compensativa-reintegratoria.
Inquadramento

Oltre alle pene (principali o accessorie) e/o alle misure di sicurezza, che ne sono conseguenze propriamente penali, dal reato possono anche derivare, in via immediata o mediata, alcune conseguenze di natura civile delle quali si occupa il titolo VII del codice penale agli artt. 185 e ss. Quest'ultima disposizione ricomprende anche la formula risarcitoria che in passato, secondo la prevalente dottrina, ricondotta direttamente nella struttura del sistema penale alla luce di un rinnovato interesse per la vittima e della potenziale insoddisfazione nper la ridotta capacità dissuasiva delle sanzioni penali tradizionali. Tale impostazione è venuta meno in epoca più recente quando è stato sostenuto che nonostante il risarcimento non vada esente da qualche tratto punitivo (addirittura più intenso rispetto ad una comune sanzione penale) esso non può definirsi una pena, neppure privata, stante la sua struttura tipicamente compensativa-reintegratoria.

Natura del risarcimento del danno “da reato”

Il risarcimento del danno si pone come elemento di valutazione complessiva del reato e del suo autore. Nel sistema penale vigente può influire o sulla commisurazione della pena oppure, dopo la condanna, sull'an dell'esecuzione o sulla durata di essa. Nel primo caso, l'art. 62, comma 1, n. 6, c.p. prevede una circostanza attenuante con conseguente diminuzione di pena per chi abbia prima del giudizio, riparato interamente il danno mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni.

Per la giurisprudenza più recente la circostanza attenuante dell'attivo ravvedimento di cui all'art. 62 comma 1, seconda parte, c.p., si riferisce non già ad un atto di risarcimento patrimoniale parziale ma all'elisione o all'attenuazione di quelle conseguenze del reato che non consistono in un danno patrimoniale o non patrimoniale, ma economicamente risarcibile, ai sensi dell'art. 185 c.p. Tale interpretazione della norma è l'unica riconoscibile, perché diversamente verrebbero prese in considerazione condotte tra loro incompatibili -risarcimento parziale e risarcimento integrale- che potrebbero comportare il medesimo effetto (Cass. pen., Sez. II, 3 ottobre 2014 n. 1748).

Parimenti, per l'art. 165 c.p., la sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'adempimento dell'obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno (…) e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno (…). Anche la liberazione condizionale della pena, a norma dell'art. 176, comma 4, c.p., è subordinata all'adempimento delle obbligazioni civili derivanti da reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nella impossibilità di adempierle.

Di attività risarcitorie se ne occupa il d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 recante Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468 e in particolare l'art. 35 ove la sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato da parte del giudice può susseguire alla condotta restitutoria/risarcitoria dell'imputato valutata unitamente alla avvenuta eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato. La connessione fra l'intervenuto risarcimento del danno e il soddisfacimento delle esigenze di riprovazione del reato e di prevenzione di cui al comma 2 dell'art. 35 d.lgs. 274/2000 tuttavia, ripropone l'annosa querelle interpretativa sul carattere pubblicistico- afflittivo della tutela apprestata.

In evidenza

Controversa è la questione relativa alla natura giuridica del risarcimento del danno da reato. Alcuni hanno infatti rilevato come esso da un lato presenti un carattere privato (in quanto tende al riequilibrio delle situazioni giuridiche tra i privati) e dall'altro possieda un indubbio carattere afflittivo (che non lo rende privo di riflessi pubblicistici). In particolare, una parte della dottrina, nella misura in cui ne sottolinea la spiccata valenza afflittiva (in rapporto peraltro alla natura immateriale dei beni lesi), giunge a considerare il danno morale come una vera e propria sanzione penale.
Chi opta per la natura civile del risarcimento pone l'accento sullo scopo perseguito, consistente nella riparazione di un danno (a differenza delle pene che assolvono ad una funzione di retribuzione e prevenzione generale e speciale); inoltre ciò sarebbe confermato dalla sopravvivenza delle obbligazioni derivanti da reato nonostante l'avvenuta estinzione del reato o della pena

Il danno cui fa riferimento la norma rappresenta un quid differente dall'offesa al bene tutelato necessaria perché si configuri il reato. Si tratta, innanzitutto, del danno patrimoniale risultante dalla lesione degli interessi civili che fanno sorgere il diritto al risarcimento in sede civile: tale danno consiste, più precisamente, nella sottrazione o nella diminuzione del patrimonio sotto le forme del danno emergente e del mancato guadagno (c.d. lucro cessante). ma può dirsi ricompreso anche il danno non patrimoniale o morale consistente nella sofferenza fisica o psichica patita in conseguenza del reato: esso abbraccia ogni forma di perturbamento psichico (dall'angoscia all'afflizione, dall'ansia al risentimento, fino a ricomprendervi anche il pregiudizio sociale, incidente sulla personalità dell'interessato).

Con il termine reato si intende la fattispecie corrispondente, nella sua oggettività, all'astratta previsione di un illecito penale per cui ai fini civilistici la responsabilità può essere fondata anche su una presunzione di legge (Corte cost. 11 luglio 2003, n. 233). Infatti il riferimento al “reato” contenuto nell'art. 185 c.p. non postula più, come si riteneva per il passato, la ricorrenza di una concreta fattispecie illecita, completa nei suoi connotati peculiari. Al contrario, il danno non patrimoniale, risulta risarcibile anche in assenza di un effettivo accertamento e di una effettiva qualificazione del fatto come reato, la sua previsione nonchè l'astratta idoneità a ledere l'interesse tutelato dalla norma penale (ricomprendendosi in questa ipotesi, anche la responsabilità di cui all'art. 2051 c.c.) (Cass., Sez. III, 18 agosto 2011).

Non è da intendere come reato, invece, il fatto che, pur tipico, sia commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa scusante (come tale rispettivamente lecito o non colpevole). Ed allo stesso modo non lo è neppure il fatto del (totalmente) non imputabile (indipendentemente dalla concreta presenza di un responsabile civile) non essendo consentito alcun rimprovero al suo autore (che non può per definizione dirsi colpevole). Mentre è stato riconosciuto il diritto al risarcimento anche nel caso di estinzione del reato o della pena per amnistia (Cass. pen., Sez. I, 10 novembre 1997), di perdono giudiziale e di prescrizione del reato (Cass. pen., Sez. III, 23 giugno 1999).

Per il danno da reato non solo non vale il limite della risarcibilità dei soli danni prevedibili (limite che, sancito dall'art. 1225 c.c e non richiamato dall'art. 2056 c.c. si afferma valere per la sola responsabilità contrattuale) ma non possono neppure esservi delimitazioni in forza di un preteso necessario collegamento di astratta affinità tra il tipo di offesa criminosa stessa e il danno che ne sia conseguito. Se si postula, infatti, che il danno patrimoniale risarcibile cagionato dal reato è quello richiedibile al giudice civile dalla parte civile costituitasi nel processo penale, dovrà concludersi per l'inaccettabilità di delimitazioni diverse da quelle valide sul terreno civilistico.

Obbligati al risarcimento del danno del danno sono sia l'autore del reato, sia coloro i quali devono rispondere per il fatto di lui.

L'obbligo del risarcimento del danno da reato è solidale nel caso di più persone condannate per uno stesso fatto illecito (art. 187, comma 2, c.p.), così come tra colpevole del reato e responsabile civile ai sensi dell'art. 538, comma 3, c.p.p., di tal che tutti sono tenuti al pagamento per l'intero, fatto salvo il diritto di regresso per chi abbia pagato nei confronti dei condebitori solidali secondo il principio della solidarietà passiva ove non espressamente escluso. Analogamente la solidarietà passiva opera quando il fatto dannoso sia conseguenza di più comportamenti autonomi fra loro, coevi o successivi, costituenti distinti reati, in forza dell'art. 2055 c.c.

In giurisprudenza è stato ritenuto che in tema di risarcimento dei danni derivanti da reato è irrilevante la mancata citazione di uno tra i responsabili civili atteso che la scelta del soggetto al quale richiedere il predetto risarcimento spetta alla parte danneggiata e che, trattandosi di obbligazioni ex illicito, vige la regola della solidarietà passiva, sicché il danneggiato può rivolgersi ad uno qualsiasi tra i soggetti obbligati (Cass. pen., Sez. IV, 1 dicembre 2000, n. 12505).

Ai sensi dell'art. 541 c.p.p., con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno, il giudice condanna l'imputato e il responsabile civile in solido al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, salvo ritenga di doverne disporre, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale. Mentre nei casi di rigetto della domanda od a seguito di una sentenza di assoluzione dell'imputato per cause diverse dal difetto di imputabilità il giudice, se ne è fatta richiesta, condanna la parte civile alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'imputato e dal responsabile civile per effetto dell'azione civile, sempre che non ricorrano giustificati motivi per la compensazione totale o parziale.

Se vi è colpa grave, può inoltre condannarla al risarcimento dei danni causati all'imputato o al responsabile civile.

Risarcimento ex art. 185, comma 2, e 2043 c.c.: norme a confronto

La fonte dell'obbligazione risarcitoria può essere (anche se non necessariamente è) il reato ai sensi dell'art. 185, comma 2, c.p., secondo cui ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga al risarcimento il colpevole. Non si tratta, tuttavia, di una disposizione concorrente con quella di cui all'art. 2043 c.c., come paventato più volte dalla dottrina, ma di una semplice norma integratrice degli artt. 2043-2059 c.c. per il caso in cui l'illecito civile sia anche reato. Non potendosi sostenere che il risarcimento del danno patrimoniale cambi natura quando l'illecito civile sia al contempo reato, si conclude generalmente che la fattispecie di cui all'art. 185 c.p., sovrapponendosi all'art. 2043 c.c., fa sorgere una vera e propria obbligazione risarcitoria (con riferimento al danno patrimoniale) ed un'obbligazione sanzionatoria (con riferimento al danno non patrimoniale).

Le due norme presentano una disomogeneità sotto il profilo strutturale: l'art. 185 c.p., a differenza dell'art. 2043 c.c., non contempla una fattispecie completa, limitandosi a stabilire che, qualora sia stato commesso un reato, il colpevole debba risarcire il danneggiato di tutti i danni da questo subiti (compreso quello non patrimoniale).

L'art. 185 c.p. è una norma connessa alla tipicità dell'illecito penale che entra in gioco solo a seguito dell'accertamento di un fatto di reato da parte del giudice penale o, incidentalmente, da parte del giudice civile. Per quanto concerne il risarcimento del danno patrimoniale la norma, a detta della dottrina dominante, pare superflua poiché anche laddove l'art. 185 c.p. fosse assente dall'ordinamento, non potrebbe negarsi al danneggiato dal reato il diritto al risarcimento ex art. 2043 c.c. Viene, a tal proposito, riconosciuta la coincidenza tra illecito penale ed illecito civile, quantomeno nella ipotesi in cui il danneggiato sia la persona offesa dal reato. Ove non sussista tale coincidenza, la commissione del reato non è sufficiente per far sorgere l'obbligazione risarcitoria dovendosi necessariamente accertare la sussistenza del rapporto di causalità tra l'evento criminoso ed il danno pativo. Ove sussistente, l'illecito civile incorpora il fatto di reato, per cui il giudice, pertanto, a fronte della condanna pronunciata in sede penale, non può mettere in discussione l'esistenza del reato ma deve limitarsi ad accertare l'esistenza degli ulteriori elementi che consentono di qualificare il fatto come illecito civile. È, quindi, la fattispecie civile (e non una speciale prevista dall'art. 185 c.p.) a costituire la fonte dell'obbligazione risarcitoria. Ad ulteriore conferma di ciò, la giurisprudenza ha ribadito che il giudice penale, nel pronunziare condanna generica al risarcimento dei danni, non è tenuto a distinguere quelli materiali da quelli morali, né deve espletare alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, potendo limitare il suo accertamento alla potenziale capacità lesiva del fatto dannoso ed alla esistenza di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato (Cass. pen., Sez. V, 24 settembre 2008, n. 36657)

La liquidazione del danno per fatto illecito, quindi, sfuggendo ad una piena valutazione analitica, resta affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di merito, il quale nell'effettuare la relativa quantificazione deve tener conto delle effettive sofferenze patite dall'offeso, della gravità dell'illecito di rilievo penale e di tutti gli elementi peculiari della fattispecie concreta, in modo da rendere la somma riconosciuta adeguata al particolare caso concreto ed evitare che la stessa rappresenti un simulacro di risarcimento.

Il danno non patrimoniale

L'art. 185, comma 2, c.p. ricomprende espressamente nelle ipotesi risarcitorie anche il danno non patrimoniale. Questo concerne ogni sofferenza fisica, psichica o morale – ogni tipo di dolore o privazione – patiti dal danneggiato a causa del fatto criminoso. Di qui la definizione del danno non patrimoniale come pecunia (o petitum) doloris. Da quest'ultimo vanno distinti i cc.dd. danni materiali mediati i quali, per essere rappresentati dal pregiudizio economico indotto dai primi, sono da considerare danni patrimoniali a ogni effetto e, pertanto, da risarcire come tali. Con le sentenze gemelle della Corte di cassazione, nn. 8827 e 8828 del 2003, il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c. è stato identificato con il danno derivante dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Esso non delinea una distinta fattispecie di illecito ma consente la riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla legge, in presenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell'illecito civile che si ricavano dall'art. 2043 c.c. e che consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno e nel danno che ne consegue. A differenza del quadro tracciato dalle pronunce della Consulta della fine-inizio anni '90, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, viene ricondotto nell'ambito dell'art. 2059 c.c. anche il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) c.d. danno biologico al quale, in precedenza, veniva accordata una tutela grazie al collegamento tra l'art. 32 Cost. e l'art. 2043 c.c.

In evidenza
Le Sezioni unite civili (11 novembre 2008, n. 26972) hanno fornito una compiuta lettura dell'art. 2059 affermando che il danno non patrimoniale deve essere inteso come una categoria unitaria nel cui ambito non è utile né necessario individuare distinte e autonome sottocategorie di danno se non a meri fini descrittivi e di ausilio per il giudice. Pertanto, la distinzione tra danno morale, biologico ed esistenziale, seguita nel corso degli anni da dottrina e giurisprudenza, può essere mantenuta attribuendole, però, solo una mera valenza descrittiva. Di recente, tuttavia, la S.C. ha precisato che non può non tenersi conto della cd. fenomenologia del danno alla persona, ossia delle circostanze del caso concreto che impongono l'adeguata valutazione di tutti i pregiudizi non patrimoniali, al di là del ricorso ad astratte tassonomie classificatorie che portano al rischio “di sostituire una meta-realtà giuridica ad una realtà-fenomenica”.In questo senso si giustifica pienamente l'autonoma risarcibilità del dolore interiore e della significativa alterazione della vita quotidiana, trattandosi di due modalità attraverso le quali si esplica la sofferenza umana.Tali pregiudizi, dunque, devono trovare adeguato ristoro, al di là di “sterili formalismi unificanti” che rischiano di oscurarne la rilevanza.Una conferma di tale costruzione dogmatica si troverebbe nell'art. 612-bis c.p., norma che, nel disciplinare il reato di atti persecutori, individua separatamente le conseguenze della condotta dello stalker sia nel perdurante e grave stato di ansia e paura cagionato nella vittima, sia nell'alterazione delle abitudini di vita della stessa.

I danni non patrimoniali si risarciscono talora anche mediante le riparazioni di contenuto diverso da quello dell'esborso di una somma di denaro in quanto data la peculiarità di tale danno e le difficoltà della sua misurazione, interventi di tipo “morale” o simbolico si presentano in linea di principio più idonei rispetto ad una condanna pecuniaria.

In evidenza

La Corte Costituzionale, con la sentenza 184/1986, ha chiarito la struttura del fatto realizzativo della menomazione dell'integrità psicofisica del soggetto offeso; a tal fine ha premesso la distinzione tra danno-evento, al quale appartiene il danno biologico, e danno conseguenza, al quale appartengono il danno morale e il danno patrimoniale. In particolare, la Consulta ha distinto, da un lato il fatto costitutivo dell'illecito civile extracontrattuale e, dall'altro, le conseguenze dannose del fatto illecito. Quest'ultimo si compone, oltre che del comportamento, anche dell'evento e del nesso di causalità che lega il comportamento all'evento. Ogni danno è, in senso ampio, una conseguenza: anche l'evento dannoso o pericoloso, infatti, è conseguenza del comportamento illecito. Tuttavia, è possibile distinguere l'evento naturalistico che, pur essendo conseguenza del comportamento, è un aspetto costitutivo del fatto, dalle conseguenze dannose di quest'ultimo, legate all'intero fatto illecito da un ulteriore nesso di causalità. Non esiste comportamento senza evento: il primo è il momento dinamico e il secondo momento statico del fatto costitutivo dell'illecito.

Parte della dottrina ammette anche per i danni non patrimoniali l'applicazione, in via diretta o analogica, dell'art. 2058 c.c. e, quindi, della reintegrazione in forma specifica a richiesta del danneggiato (a sostegno di tale tesi milita l'esistenza di alcune disposizioni dell'ordinamento che prevedono espressamente misure risarcitorie in forma specifica. Sono, infatti, da intendersi in tal senso: l'obbligo di rettifica di cui alle leggi sulla stampa o in materia di diffusione radiotelevisiva o la pubblicità dell'accertamento giudiziale prevista in tema di tutela del nome o del diritto d'autore nonché la stessa pubblicazione della sentenza di condanna di cui all'art. 186 c.p.).

La scelta del codice di ricomprendere anche il risarcimento del danno non patrimoniale fra le conseguenze civili del reato si spiega sia in ragione della specificità della lesione necessariamente tipica del reato, per via della doverosa “puntuale” previsione legale (a fronte della generica lesione, tendenzialmente atipica, propria dell'illecito civile), sia con il maggior disvalore e contenuto lesivo del reato medesimo rispetto a quest'ultimo.

I danni non patrimoniali sono risarcibili anche in favore degli enti pubblici esponenziali della collettività benché costituiti in epoca successiva alla consumazione del fatto di reato (Nel caso di specie, relativo alla strage di Sant'Anna di Stazzema commessa il 12 agosto 1944, la suprema Corte ha riconosciuto la legittimità della costituzione di parte civile della Regione Toscana – ente costituito dopo la consumazione del fatto di reato – della Provincia di Lucca, del Comune di Stazzema e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, rilevando che il crimine di guerra in esame abbia provocato dolore, sofferenze, sbigottimento nella collettività di cui le parti civili costituiscono enti esponenziali, creando nella misura collettiva (…) una ferita che ancora oggi è fonte di indelebile turbamento ed è produttiva di danno non patrimoniale risarcibile. Cass. pen., Sez. I, 25 gennaio 2008, n. 4060).

Allorché l'azione civile per il risarcimento del danno sia esercitata nel processo penale ha luogo l'interruzione della prescrizione del relativo diritto (v. bussola, Prescrizione del reato) per tutta la durata del processo e il termine riprende a decorrere dalla data in cui divine irrevocabile la sentenza penale che dichiari la prescrizione del reato, non potendosi ritenere che il riferimento contenuto nell'art. 2947, comma 3, c.c., alla durata, eventualmente più lunga, della prescrizione penale operi solo con riguardo al termine base e non anche a tutti gli istituti propri di essa (Cass. pen., Sez. I, 20 dicembre 2007, n. 3601).

In evidenza
Sulla nozione di "reato" di cui all'art. 185 c.p. la dottrina prevalente ha ritenuto che la stessa stia ad indicare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie criminosa da cui è derivato il danno. La Consulta, tuttavia, ha chiarito che tale riferimento postuli solo una fattispecie corrispondente alla astratta previsione di una figura di reato, con la conseguente possibilità che ai fini civili la responsabilità sia ritenuta per effetto di una presunzione di legge. Corte Cost. 11 luglio 2003, n. 233.
Responsabile civile e responsabile indiretto

Oltre ad individuare nella figura del colpevole del reato il soggetto su cui grava l'obbligo del risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale ad esso conseguito, l'art. 185, comma 2, c.p. impone che tale onere sia assolto anche dalle persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui.

La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire il tenore letterale della disposizione in esame individuando gli oneri posti a carico del responsabile civile e del c.d. responsabile indiretto. In materia di impresa, per esempio, ha di recente affermato che ai fini della sussistenza della responsabilità civile dell'imprenditore per fatto illecito commesso dal dipendente, non è necessaria l'esistenza di uno stabile rapporto di lavoro subordinato essendo sufficiente che l'autore del fatto illecito sia legato all'imprenditore temporaneamente od occasionalmente e che l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso (È stata considerata, pertanto, civilmente responsabile del reato di lesioni volontarie aggravate una società che gestiva una casa di riposo per anziani presso la quale l'imputata svolgeva mansioni di assistente. Cass. pen., Sez. V, 25 luglio 2013, n. 32462).

Così come è stata ritenuta civilmente responsabile la P.A. in base al criterio della c.d. occasionalità necessaria per gli illeciti penali commessi da propri dipendenti ogni qualvolta la condotta di costoro non abbia assunto i caratteri dell'assoluta imprevedibilità ed eterogeneità rispetto ai loro compiti istituzionali, sì da non consentire il minimo collegamento con essi (Cass. pen., Sez. III, 7 agosto 2003, n. 33562).

In tema di patteggiamento, benché debbano essere ricomprese nel concetto di danno derivante dal reato anche le spese delle parti per far valere le proprie ragioni, il giudice può pronunziare condanna alle spese sostenute dalla parte civile solo nei confronti dell'imputato, dovendosi escludere che tale statuizione possa essere emessa anche nei confronti del responsabile civile, il quale rimane estraneo all'accordo definitorio della vicenda processuale (Cass. pen., Sez. VII, 14 gennaio 2002, n. 2119).

Trova, inoltre, giustificazione nel principio cuius commoda eius incommoda anche la responsabilità indiretta del committente che risenta degli effetti derivanti da eventuali conseguenze dannose del fatto illecito. Pertanto la situazione giuridica in cui viene a trovarsi il committente per effetto della responsabilità prevista dall'art. 2049 c.c. è identica sia nei riguardi del dipendente sia nei riguardi di eventuali coautori del fatto illecito, legati da solidarietà tra di loro e con il medesimo, nell'adempimento dell'obbligazione risarcitoria.

La condanna al risarcimento pronunciata in sede penale nei soli riguardi dell'imputato e non anche del responsabile civile, regolarmente citato, non inficia la decisione agli effetti civili, poiché il vincolo di solidarietà tra imputato e responsabile civile ha efficacia ope legis (Cass. pen., Sez. IV, 21 ottobre 1991, n. 10605).

Il danneggiato

In tema di risarcimento del danno, il soggetto legittimato a promuovere l'azione civile è il danneggiato che non necessariamente si identifica con il soggetto passivo del reato in senso stretto ma è chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione o all'omissione del soggetto attivo del reato.

La risarcibilità del danno può spettare anche a soggetti diversi dalle persone fisiche, come gli enti pubblici (Cass. pen., Sez. VI, 7 maggio 2004, n. 21677), e le associazioni (Cass. pen., Sez. III, 10 giugno 2002, n. 22539).

Il danneggiato dal reato è legittimato a proporre l'azione civile nel processo penale per il risarcimento dei danni che assume aver subito, indipendentemente dalle azioni proposte o proponibili dalla persona offesa, che restano autonome e distinte. La qualità di persona offesa dal reato, infatti, compete esclusivamente al titolare dell'interesse direttamente protetto dalla norma penale e non coincide con quella di danneggiato. Nei reati contro la P.A., pertanto, persona offesa è solamente quest'ultima, mentre danneggiati possono essere i soggetti che solo di riflesso ed in via eventuale subiscono un pregiudizio dalla azione delittuosa.

Casistica
Successione di leggi nel tempo Al risarcimento del danno non è applicabile la disciplina di cui all'art.2 c.p., ma quella di cui all'art. 11 disp. prel. c.c., secondo cui agli effetti civili la legge non dispone che per l'avvenire. (Cass. pen., Sez. II, 19 aprile 2017, n. 29713)

Prescrizione

Nel caso in cui l'illecito civile sia considerato dalla legge come reato ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche se per mancata presentazione della querela, l'eventuale, più lunga prescrizione prevista per il reato si applica anche all'azione di risarcimento, a condizione che il giudice civile accerti, incidenter tantum, e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi, e la prescrizione stessa decorre dalla data del fatto, atteso che la chiara lettera dell'art. 2947, comma 3, c.c., a tenore della quale se il fatto è considerato dalla legge come reato, non consente la differente interpretazione, secondo cui tale maggiore termine sia da porre in relazione con la procedibilità del reato (Cass. pen., Sez. unite, 18 novembre 2008, n. 27337).

Costituzione di parte civile

In caso di costituzione di parte civile in un processo penale (nella specie, per truffa), poi definito per prescrizione del reato, nel successivo giudizio promosso in sede civile per la ripetizione di indebito, la pregressa costituzione ha valore interruttivo della prescrizione in quanto, ai sensi dell'art. 185 c.p. ogni reato obbliga, oltre che al risarcimento, alle restituzioni, sicché l'esperimento della azione civile nel processo penale è di per sé idonea ad identificare il petitum della domanda, senza che occorrano ulteriori enunciazioni formali rispetto a quella del legame eziologico che collega la pretesa stessa al fatto-reato (Cass. pen., Sez. III, 29 luglio 2014, n. 17226).

Legittimati all'azione civile – Enti territoriali

Sebbene il d.lgs. 152/2006 attribuisca allo Stato la legittimazione all'azione civile in sede penale in caso di danno all'ambiente, gli Enti territoriali possono agire per il risarcimento dei danni ulteriori e diversi derivanti comunque dal fatto produttivo del danno ambientale. Tali danni possono essere sia di natura patrimoniale sia di natura non patrimoniale, trovando applicazione in alternativa l'art. 185 c.p. o l'art. 2059 c.c (Cass. pen., Sez. IV, 27 maggio 2014, n. 24619)

Rilevanza dell'elemento soggettivo

L'onore e la reputazione costituiscono diritti inviolabili della persona, la cui lesione fa sorgere in capo all'offeso il diritto al risarcimento del danno, a prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo integri o meno un reato, sicché ai fini risarcitori è del tutto irrilevante che il fatto sia stato commesso con dolo o con colpa (Cass. pen., Sez. III, 2 dicembre 2014, n. 25423)

Prossimi congiunti

In tema di obbligazioni civili derivanti dal reato è risarcibile il danno biologico-psichico sofferto dai congiunti della vittima iure proprio a condizione che si tratti di danno permanente, provato nella sua concreta entità, e ricorrano i presupposti di cui all'art. 2059 c.c. (Cass. pen., Sez. IV, 14 gennaio 2003, n. 1031).

Morte della vittima

Gli eredi possono richiedere solo il riconoscimento, pro quota, dei diritti entrati nel patrimonio del de cuius, e quindi, nel caso di morte che si verifica immediatamente o a breve distanza di tempo dalla lesione, possono ottenere solo il risarcimento del danno per lesione del diritto alla salute della vittima ma non quello per la lesione del diverso bene giuridico della vita, che, per il definitivo contestuale venir meno del soggetto, non entra nel suo patrimonio e può ricevere tutela solo in sede penale.

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