Concorso tra reati di bancarotta: il punto della giurisprudenza

Iacopo Santinelli
12 Giugno 2017

Il presente lavoro è finalizzato a riassumere sommariamente la posizione fatta propria dalla Giurisprudenza in ordine alle più rilevanti ipotesi di concorso tra i diversi reati di bancarotta.
La peculiare disciplina in tema di concorso tra reati fallimentari

L'art. 219 l. fall. reca una specifica disciplina per il concorso tra i reati di cui agli artt. 216 (bancarotta fraudolenta), 217 (bancarotta semplice) e 218 (ricorso abusivo al credito), commessi nell'ambito del medesimo fallimento.

Più in particolare, ai sensi dell'art. 219, comma 2, n. 1, l. fall., rubricato “circostanze aggravanti e circostanze attenuante”, le pene previste per i reati suddetti “sono aumentate […], se il colpevole ha commesso più fatti tra quelli previsti in ciascuno degli articoli indicati”.

Nonostante il tenore letterale della norma, si è escluso che la commissione di più fatti bancarottieri all'interno di un unico fallimento dia luogo a un unico reato circostanziato.

Infatti, le SS.UU. sono recentemente intervenute sul punto e hanno stabilito il principio di diritto secondo il quale “i diversi episodi di bancarotta nell'ambito dello stesso fallimento conservano la loro autonomia e la disciplina dettata dalla legge fallimentare (art. 219, comma 2, n. 1) costituisce, sotto il profilo strutturale, non un'aggravante ma un'ipotesi particolare di continuazione derogativa di quella ordinaria” e, pertanto, “danno luogo a un concorso di reati, che vengono unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico". Ciò in quanto la norma in questione “disciplina, nella sostanza, un'ipotesi di concorso di reati autonomi e indipendenti, che il Legislatore unifica fittiziamente agli effetti della individuazione del regime sanzionatorio nel cumulo giuridico, facendo ricorso formalmente allo strumento tecnico della circostanza aggravante” (Cass. Pen., SS.UU., n. 21039/2011 rif. Loy).

Quindi, in assenza di tale norma speciale, la commissione di più fatti di bancarotta nell'ambito del medesimo fallimento sarebbe assoggettata al regime generale del concorso materiale, trattandosi strutturalmente, come visto, di fatti di reato distinti e autonomi.

Dovrebbe quindi applicarsi l'art. 73, comma 1, c.p., che prevede la misura, rigorosa, del cumulo materiale, costituito dalla somma aritmetica delle pene inflitte per ciascun reato.

Ove poi l'agente avesse agito nell'ambito del “medesimo disegno criminoso”, potrebbe beneficiare della norma favorevole dettata dall'art. 81, comma 2, c.p. in tema di reato continuato, che prevede, anziché la somma aritmetica delle pene, il cumulo giuridico costituito dall'aumento “fino al triplo” della pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave.

Ora, in deroga alla disciplina generale, la norma speciale dispone, da un lato, il ricorso al cumulo giuridico anziché al cumulo materiale, anche in assenza di identità del disegno criminoso (e degli altri requisiti in tema di reato continuato), permettendo quindi l'applicazione del regime di favore anche per episodi bancarottieri tra loro assolutamente autonomi e indipendenti, purchè commessi nell'ambito dello stesso fallimento; dall'altro, prevede che le pene siano genericamente “aumentate”, e cioè, in pratica, contiene l'aumento entro il massimo di un terzo della pena per il reato più grave, ex art. 64, comma 1, c.p., anziché fino al triplo, come previsto in tema di reato continuato (e di concorso formale).

Il particolare favore accordato dalla legge al bancarottiere in parte qua trova la sua ragion d'essere sia per la particolare frequenza statistica con cui molti fatti astrattamente riconducibili a uno o più reati di bancarotta sono contestati all'agente nell'ambito di ogni singolo fallimento, sia per l'assoluto rigore che caratterizza il regime sanzionatorio dei reati fallimentari; da qui, il ragionevole timore, da parte del Legislatore, che l'applicazione della normativa generale sul concorso dei reati avrebbe potuto portare a conseguenze sanzionatorie sperequate.

Dalla affermata autonomia ontologica di ciascun fatto di bancarotta posto in essere nell'ambito del medesimo fallimento discendono rilevanti conseguenze in tema di bis in idem; infatti, osservano le SS.UU., “deve escludersi, con riferimento a condotte di bancarotta ancora sub iudice, la preclusione dell'eventuale giudicato intervenuto su altre e distinte condotte di bancarotta relative alla stessa procedura concorsuale”.

Riguardo all'ambito oggettivo di applicazione dell'art. 219, comma 2, l. fall., la stessa pronuncia delle S.U. ha chiarito che tale disposizione opera “sia nel caso di reiterazione di fatti riconducibili alla medesima ipotesi di bancarotta, che in quello di commissione di più fatti tra quelli previsti indifferentemente dai precedenti artt. 216 e 217”.

Le SS.UU. hanno inoltre dato seguito all'indirizzo giurisprudenziale consolidato secondo il quale l'applicabilità della norma in questione “deve essere estesa anche alle ipotesi di bancarotta impropria” di cui all'art. 223 L.F.”, Infatti, si argomenta, “il richiamo contenuto alle norme incriminatrici della bancarotta impropria allo stesso trattamento sanzionatorio previsto per le corrispondenti ipotesi ordinarie non legittima margini di dubbio sull'applicabilità del relativo regime nella sua interezza, ivi compresa l'aggravante sui generis di cui si discute” (ibid.).

Unicità e pluralità delle condotte di bancarotta: criteri distintivi e conseguenze giuridiche

Si pone in primo luogo il problema di individuare quando la ripetizione di più atti tipici (ad esempio, più atti distrattivi) compiuti nel medesimo fallimento dia luogo a una pluralità di condotte, e quindi all'applicazione delle norme in tema di concorso di reati, e quando, viceversa, tali atti diano luogo a una medesima, unica, condotta.

Occorre evidenziare in proposito che, come rilevato nella sentenza delle SS.UU. Loy citata sopra, “vi sono disposizioni a più norme (o norme miste cumulative), che contengono diverse ipotesi incriminatrici, aventi ciascuna una propria autonomia ed un'autonoma rilevanza penale” e “norme a più fattispecie (o norme miste alternative o fungibili), che viceversa prevedono un'unica ipotesi di reato e sono applicabili una sola volta anche in caso di realizzazione di più fattispecie, che degradano al rango di semplici modalità di previsione di un unico tipo di reato”.

Ad esempio, l'art. 216 l. fall., se “apprezzato nella sua complessa articolazione, è inquadrabile nella categoria della disposizione a più norme”, prevedendo “ipotesi di reato assolutamente eterogenee”, quali la bancarotta fraudolenta patrimoniale, quella documentale e la bancarotta preferenziale. Si avranno quindi pacificamente più reati posti in concorso materiale, e assoggettati alla specifica disciplina di cui all'art. 219, comma 1, l. fall., in caso di violazione di alcuni di tali precetti con diverse condotte.

Tuttavia, il medesimo art. 216 “contiene anche norme a più fattispecie alternative o fungibili. E' il caso delle condotte di distrazione, occultamento, distruzione o dissipazione […], le quali, se hanno ad oggetto lo stesso bene, sono, per così dire, in rapporto di ‘alternatività formale', di ‘alternatività di modi', nel senso cioè che le diverse condotte descritte dalla legge sono estrinsecazione di un unico fatto fondamentale e integrano un solo reato, anche se vengono poste in essere, in immediata successione cronologica, due o più di tali condotte, che, essendo omogenee tra loro, ledono lo stesso bene giuridico” (ibid.). Si tratta quindi di un reato “a condotta eventualmente plurima, per la cui realizzazione è sufficiente il compimento di uno solo dei fatti contemplati dalla legge, mentre la pluralità di essi non fa venir meno il suo carattere unitario” (Cass. Pen., n. 1762/2008).

Muovendo da tali principi, la S.C. ha concluso che viola il principio del divieto di bis in idemdi cui all'art. 649 c.p.p. la sottoposizione dell'agente a un secondo processo per bancarotta fraudolenta per distrazione dopo l'intervento del giudicato rispetto ad altro e distinto episodio distrattivo posto in essere nell'ambito del medesimo fallimento, poiché “i pur distinti profili distrattivi” devono ritenersi “assorbiti nel disvalore dell'unico reato già giudicato” (ibid.).

Bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice

Così chiariti i termini generali della questione oggetto di trattazione, nel prosieguo si analizzeranno brevemente le principali ipotesi specifiche di concorso tra reati fallimentari.

La giurisprudenza è pacifica nel sostenere l'ammissibilità del concorso tra bancarotta fraudolenta (art. 216) e bancarotta semplice (art. 217). Si tratta, all'evidenza, di fattispecie di reato tra loro autonome, che, essendo poste in essere attraverso una molteplicità di condotte, saranno assoggettate a concorso secondo la regola speciale di cui al predetto art. 219, comma 2. A titolo di esempio, la S.C. ha ritenuto sussistente il concorso tra omessa tenuta di scritture contabili e distrazione di merci e attrezzature poste in essere dal soggetto attivo nell'ambito del medesimo fallimento (cfr., Cass. Pen., n. 46689/2016, in questo portale, con nota di D'Avirro, La concreta idoneità decettiva dell'informazione ovvero il volto nuovo del falso in bilancio; Cass. Pen., n. 48242/2004; in senso conforme: Cass., n. 8041 del 1996).

Bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale

Ancora, sulla base degli stessi principi di diritto, la S.C. ha ritenuto ammissibile il concorso tra le ipotesi di cui ai nn. 1 e 2, art. 216 l. fall. (cfr., Cass. Pen., n. 1762/2008; Cass. Pen., n. 4710/2002; Cass. Pen., n. 10423/2000).

Anche in tale caso, infatti, le condotte poste in essere dall'agente sono tra di loro eterogenee e autonome. Si pensi al caso di chi, nell'ambito del medesimo fallimento, distragga denaro e distrugga o occulti le scritture contabili.

I due reati saranno quindi assoggettati, quanto al trattamento sanzionatorio, alla speciale disciplina di cui all'art. 219, comma 2, l. fall.

Bancarotta fraudolenta patrimoniale e operazioni dolose

L'art. 223, comma 2, n. 2, l. fall. punisce i vertici societari che “hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società”.

La Giurisprudenza ritiene non configurabile il concorso formale tra i due reati ora in esame tutte le volte in cui “l'azione diretta a causare il fallimento si identifichi nella medesima condotta sussunta nel modello descrittivo della bancarotta fraudolenta, in quest'ultimo reato dovendosi ritenere assorbita la bancarotta impropria” (Cass. Pen., n. 533/2017, si veda la news, in questo portale).

Quindi, ove l'agente abbia commesso, con un'unica condotta, sia il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, sia quello di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, si applicherà solo la disposizione, più grave, di cui all'art. 216.

Al contrario, qualora, “oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 L.F., si siano verificati differenti e autonomi comportamenti dolosi i quali, concretandosi in abuso o infedeltà nell'esercizio della carica […], siano stati causa del fallimento”, i due reati concorrono (Cass. Pen., n. 19460/2016).

In tale ultima ipotesi, infatti, le due condotte sono tra loro distinte e autonome e la loro commissione cumulativa nell'ambito del medesimo fallimento dà luogo a concorso materiale.

I principi appena esposti sono pacifici in Giurisprudenza (si veda, a titolo di esempio in senso conforme: Cass. Pen., n. 44103/2016; Cass. Pen., n. 6813/2015; Cass. Pen., n. 29921/2014; Cass. Pen,, n. 24051/2014; Cass. Pen., n. 15613/2014; Cass. Pen., n. 34559/2010; Cass. Pen., n. 17978/2010).

Un caso emblematico per il tema che ci riguarda è costituito dalla sentenza emessa dalla S.C. nel 2015 sul caso Parmalat (Cass. Pen., n. 15613/2015). In tale vicenda, la S.C. ha da un lato ritenuto sussistente il concorso materiale tra i due reati in relazione ai capi d'accusa in cui le condotte costituenti operazioni dolose e quelle distrattive non coincidevano; viceversa, in relazione a altro capo di imputazione, ha ritenuto il reato di operazioni dolose assorbito in quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, trovando origine entrambi i reati in un'unica condotta posta in essere dagli agenti.

Più in particolare, la Corte d'Appello, nella sentenza impugnata, aveva ritenuto sussistente il concorso (materiale) tra i due reati in parola nel contesto dell'erogazione al Gruppo Parmalat di un prestito ponte da 50 milioni di Euro da parte di Banca di Roma e del successivo dirottamento di tale somma in favore di società insolventi facenti parte del Gruppo Parmalat.

La Corte territoriale aveva qualificato come operazione dolosa, rilevante ex art. 223, comma 2, n. 2, l. fall., l'erogazione del prestito bridge e come vera e propria condotta distrattiva il successivo trasferimento della provvista dalle casse di Parmalat a quelle di altre società, insolventi, appartenenti al Gruppo.

La S.C. censura l'iter logico seguito dalla Corte d'Appello, osservando che “tale interpretazione si risolve invero in una ingiustificata atomizzazione di un fatto che presenta, invece, ai fini della qualificazione giuridica, un profilo unitario, rappresentando i due passaggi [erogazione del prestito e successivo dirottamento della provvista, n.d.a.] null'altro che i segmenti di un'unica condotta distrattiva” (Cass., n. 15613/2015, rif. Parmalat).

Bancarotta fraudolenta impropria e bancarotta fraudolenta da reato societario

L'art. 223, comma 1, l. fall. estende ai vertici della società le disposizioni previste per l'imprenditore individuale dall'art. 216 l. fall.

L'art. 223, comma 2, n. 1, l. fall., sanziona con la pena prevista dall'art. 216, comma 1, i vertici della società che “hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile”.

Viene qui in particolare rilievo il delitto di infedeltà patrimoniale di cui all'art. 2634 c.c., che punisce i vertici della società che, “avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale”.

Ora, è chiaro che, nell'ambito del medesimo fallimento, i vertici della società possano compiere, in più episodi e con più condotte tra loro autonome e distinte, sia fatti di bancarotta riconducibili al paradigma di cui all'art. 216, sia fatti di c.d. “bancarotta societaria” di cui all'art. 223, comma 2, n. 1. In tal caso, si tratterebbe di un concorso materiale di reati, sempre configurabile.

Può tuttavia accadere anche che, con una medesima condotta, il soggetto attivo violi entrambe tali disposizioni, come, ad esempio, nel caso di “concessione da parte dell'amministratore della società fallita di un'ipoteca su un bene sociale a garanzia del mutuo erogato ad altra società per consentire a quest'ultima il pagamento [in favore dello stesso imputato, n.d.a.] delle quote della fallita”. E' il caso trattato da Cass. Pen., n. 26083/2008.

Si tratta quindi di stabilire se tra le norme in esame possa configurarsi un concorso formale, con conseguente punizione per entrambi i reati secondo i principi del cumulo giuridico, oppure se, al contrario, il concorso sia solo apparente e, pertanto, debba applicarsi solo una delle due disposizioni che sembrerebbero, entrambe, prima facie applicabili.

Al riguardo, la S.C. afferma pacificamente che le norme in questione “sono in rapporto di specialità reciproca e possono quindi concorrere” (Cass. Pen., n. 43001/2012. Si veda anche, in senso conforme: Cass. Pen., n. 26083/2008, cit.; Cass. Pen., n. 39546/2008), “perché è possibile un'attività distrattiva che non integri l'infedeltà patrimoniale per mancanza di conflitto di interessi e una condotta di infedeltà patrimoniale che non integri distrazione” (Cass. Pen., n. 6140/2007).

Alla medesima conclusione si deve giungere constatando la “diversità degli interessi tutelati dalle due norme anzidette (quello dei creditori sociali, quanto alla prima, e quello della tutela del patrimonio sociale, quanto alla seconda)” e “dovendosi altresì considerare che si perverrebbe, altrimenti, all'assurda conseguenza per cui la condotta di infedeltà patrimoniale, aggravata dal conflitto d'interessi, sarebbe punibile solo se avesse determinato il dissesto della società mentre la distrazione, commessa senza conflitto d'interessi, sarebbe punibile di per sé, anche in mancanza di un rapporto di causalità con il dissesto (Cass. Pen., n. 13110/2008; si veda anche, in senso conforme: Cass. pen., n. 6140/2007, cit.; Cass. Pen., n. 40921/2005).

Bancarotta documentale e omesso deposito dei bilanci e delle scritture contabili

L'art. 216, comma 1, n. 2, l. fall. punisce, se dichiarato fallito, l'imprenditore che “ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”. Tale delitto prende il nome di bancarotta fraudolenta documentale.

Ai sensi dell'art. 217, comma 2, è punito “il fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta”.

A sua volta, l'art. 220 punisce chi “non osserva gli obblighi” imposti al fallito ex art. 16, comma 1, n. 3, nella sentenza dichiarativa del fallimento, consistenti nel “deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell'elenco dei creditori”.

Ai fini di una corretta analisi sulla prospettabilità di un concorso tra le fattispecie di bancarotta documentale e quella omissiva appena citata, occorre distinguere tra i casi in cui le scritture che devono essere oggetto di deposito ex artt. 220 e 16 l. fall. siano o non siano esistenti in rerum natura al momento in cui sorge a carico del fallito il dovere, penalmente sanzionato, di farne deposito, e cioè, come visto, al momento della sentenza dichiarativa del fallimento.

Infatti, se le scritture non esistono (perché non sono state tenute o sono state distrutte), non potrà ovviamente farsi luogo al deposito e quindi, afferma la Giurisprudenza, il fallito non sarà soggetto a punizione a tale titolo, essendo nel caso di specie “inesigibile” la condotta richiesta dalla norma incriminatrice. In tal caso, la fattispecie di bancarotta documentale (sia essa semplice o fraudolenta), “ricomprende in sé, come norma di più ampia portata la cui sanzione, più grave, esaurisce l'intero disvalore oggettivo e soggettivo delle condotte di riferimento, anche la previsione di cui all'art. 220 e art. 16, n. 3” (Cass. Pen., n. 49789/2013; si vedano anche, in senso conforme: Cass. Pen., n. 13550/2011; n. 4550/2010; n. 42260/2006; n. 5504/2005; n. 48282/2004).

Ove al contrario le scritture esistano, anche se tenute in maniera irregolare, incompleta o comunque in modo tale da impedire la ricostruzione del patrimonio o degli affari, il dovere di farne deposito permane e i due reati, pertanto, concorrono.

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