Compravendita di partecipazione sociale: validità delle clausole contrattuali

Federica Fainelli
14 Gennaio 2016

La compravendita di partecipazioni sociali è un contratto il cui oggetto immediato è la partecipazione, mentre la quota parte del patrimonio sociale, rappresentata dalla partecipazione medesima, ne costituisce l'oggetto mediato: i vizi relativi alla consistenza e alle qualità dei beni ricompresi nel patrimonio sociale, pertanto, possono dare luogo ai rimedi di cui agli artt. 1492 e 1497 c.c. solo ove sino state fornite, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali.
Massima

La compravendita di partecipazioni sociali è un contratto il cui oggetto immediato è la partecipazione, mentre la quota parte del patrimonio sociale, rappresentata dalla partecipazione medesima, ne costituisce l'oggetto mediato: i vizi relativi alla consistenza e alle qualità dei beni ricompresi nel patrimonio sociale, pertanto, possono dare luogo ai rimedi di cui agli artt. 1492 e 1497 c.c. solo ove sino state fornite, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali; le quali non debbono essere state espressamente qualificate tali, essendo sufficiente che il loro rilascio si evinca inequivocamente dal contratto (così argomentando è stata riconosciuta la validità della clausola contrattuale escludente il rilascio di ogni garanzia circa consistenza e qualità del patrimonio sociale).

Il patto parasociale con cui i soci compratori s'impegnino a non deliberare l'azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori è valido se stipulato a seguito della cessazione dalla carica degli amministratori medesimi.

Il caso

A seguito dell'emissione del decreto con cui il Tribunale di Roma ingiungeva agli acquirenti di una partecipazione sociale il pagamento del corrispettivo di vendita pattuito in favore degli alienanti, gli acquirenti ingiunti proponevano giudizio di opposizione. In tale sede, essi chiedevano, in via riconvenzionale, che fosse dichiarata la nullità del contratto di compravendita di partecipazione sociale, facendo valere molteplici profili di nullità.

Le questioni

Le principali questioni affrontate dalla pronunzia del Tribunale di Roma in commento sono le seguenti:

(i) il rilievo assunto, nell'ambito del contratto di compravendita di partecipazioni sociali, dalla consistenza qualitativa o quantitativa del patrimonio sociale, in particolare, le condizioni di operatività delle rimedi codicistici previsti per il contratto di vendita (azione di risoluzione e riduzione del prezzo ex art. 1490 ss. c.c. o, in ipotesi di aliud pro alio, risoluzione ex art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 c.c.) in caso di riscontrata differenza tra la consistenza patrimoniale effettiva e quella indicata in contratto;

(ii) la validità del patto parasociale (riconducibile alla species dei cc. dd. “sindacati di voto”) con cui gli acquirenti di partecipazione sociale s'impegnino a non deliberare azione sociale di responsabilità contro gli amministratori cessati dalla carica.

Osservazioni

(i) Quanto all'oggetto delle garanzie di cui agli artt. 1490 e ss. c.c. in caso di compravendita di partecipazione sociale, il Tribunale di Roma ha aderito al consolidato orientamento secondo il quale la cessione di azioni o quote, di società di capitali o di persone, ha come oggetto immediato la partecipazione sociale (insieme di diritti, poteri ed obblighi, sia di natura patrimoniale sia di natura c.d. amministrativa, in cui si compendia lo status di socio)e come oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che la partecipazione rappresenta. Conseguentemente, i vizi relativi alla consistenza (quantitativa e qualitativa) dei beni ricompresi nel patrimonio sociale possono legittimare l'applicabilità dei rimedi specifici di cui agli artt. 1492 e 1497 c.c. solo ove sino state fornite, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali; le quali non debbono, all'uopo, essere espressamente qualificate tali, essendo sufficiente che il rilascio delle garanzie medesime “si evinca inequivocamente dal contratto” (nei medesimi termini, quanto alla giurisprudenza di legittimità: Cass. 29 agosto 1995 n. 9067; Cass. 28 marzo 1996 n. 2843; Cass. 21 giugno 1996 n. 5773; Cass. 13 dicembre 2006 n. 26690; Cass. 19 luglio 2007 n. 16031; quanto alla giurisprudenza di merito: Trib. Milano 12 febbraio 2007 n. 1755, in Giustizia a Milano 2007, 2, 13; Trib. Milano 18 marzo 2006 n. 3527, in Il merito 2006, 10, 45; Trib. Milano 2 novembre 2004, in Giustizia a Milano 2004, 77; Trib. Milano 26 novembre 2001, in Le Società 2002, 568; Corte App. Milano 28 gennaio 2009, in Redazione Giuffrè 2009; Trib. Milano 3 aprile 2014 n. 4567, in Redazione Giuffrè 2014).

Così argomentando il Tribunale ha, pertanto, concluso in favore del rigetto della domanda degli opponenti di dichiarare la nullità (“per violazione di principi di ordine pubblico”) della clausola contrattuale che espressamente escludeva il rilascio di qualsiasi garanzia concernente la consistenza del patrimonio sociale: ed infatti, proprio alla luce del prevalente orientamento illustrato e a cui il Tribunale ha aderito, non solo non è rinvenibile alcuna norma che imponga al venditore di una partecipazione sociale di prestare garanzie in ordine alla consistenza del patrimonio sociale, ma l'operatività delle medesime deve ritenersi limitata (in assenza di espressa manifestazione di volontà in tal senso) “unicamente alla qualità dei diritti e degli obblighi” integranti lo status socii.

A questo proposito, si segnala una recente pronunzia del Tribunale di Milano, la quale, in caso analogo a quello di specie, accertato che le parti venditrici non avevano offerto alcuna specifica garanzia in merito alla consistenza e qualità del patrimoniale sociale, ha affermato che può sussistere responsabilità precontrattuale delle parti venditrici, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1337 c.c., nel caso in cui queste abbiano dolosamente taciuto, sia in sede di trattative sia in sede di acquisto, informazioni rilevanti in merito a consistenza e qualità dei beni sociali, violando il precetto di buona fede, qualora fosse a loro noto che l'acquisto del patrimonio sociale integraval'unica ragione per la quale si erano determinati all'acquisto delle quote (così Trib. Milano 3 aprile 2014 n. 4567).

(ii) Quanto alla (dedotta) nullità della clausola, contenuta nel contratto di compravendita di partecipazione sociale, con cui i soci acquirenti si impegnavano a non deliberare l'azione sociale di responsabilità nei confronti del socio venditore, già amministratore unico della società, si osserva quanto segue.

Innanzitutto, la sentenza accoglie la cd. “teoria generale dei sindacati di voto” (cfr. Costi, La cassazione e i sindacati di voto: tra dogmi e «natura delle cose», nota a Cass. 23 novembre 2001 n. 14865, in Giur. comm. 2002, II, 671), come elaborata dalla giurisprudenza.

Le “proposizioni fondanti” tale teoria possono essere così riassunte: i patti parasociali disciplinano in via convenzionale le modalità di esercizio di diritti e facoltà spettanti ai soci, in modo difforme o (anche solo) complementare rispetto a quanto previsto nello statuto; ad essi è riconosciuta efficacia obbligatoria: vincolano, infatti, le sole parti dell'accordo; qualora abbiano ad oggetto le modalità di esercizio del diritto di voto in assemblea (cd. “sindacati di voto”), essi non violano, di per sé, né il principio della libertà di voto né quello del corretto funzionamento dell'assemblea, non essendo al socio impedito di optare per l'inadempimento del patto e non essendo, in ogni caso, riscontrabile la vigenza di norme che impongano che la volontà in merito al voto si formi in sede assembleare; pur non essendo vietati, i patti di specie sono soggetti a sindacato di validità qualora essi si pongano in contrasto con norme imperative o principi generali dell'ordinamento, ovvero costituiscano mezzo di elusione degli stessi (cfr. N. Ciocca, p. 144-145 con richiami alla giurisprudenza rilevante).

Ribaditi i predetti principi, il Tribunale ha richiamato due noti (e rilevanti, rispetto alle questioni sottoposte al suo esame) precedenti della Suprema Corte, espressamente dichiarando, però, di non condividere gli orientamenti ivi espressi (si tratta di Cass. 27 luglio 1994 n. 7030 e Cass. 28 aprile 2010 n. 10215).

A mezzo dei richiamati precedenti, la Suprema Corte ha escluso la validità dei patti in questione. In particolare, il più recente tra i due afferma che se il socio non può esercitare il diritto di voto in conflitto di interessi con la società, a fortiori non può disporre dello stesso in contrasto con l'interesse della società (argomento a fortiori cui già Cass. 27 luglio 1994 n. 7030 aveva fatto ricorso), a ciò aggiungendo che la nullità di un tale patto sarebbe comunque ingenerata dalla contrarietà dello stesso alle norme, imperative, sancite dagli artt. 2392 e 2393 c.c.; norme, queste ultime, di cui il patto “tenderebbe ad eludere l'applicazione.

Secondo il Tribunale, invece, una volta ammesso che la “volontà di voto” ben possa formarsi “al di fuori del contesto assembleare” (così Cass. 20 settembre 1995 n. 9975, e, del resto, riconosciuto espressamente anche da Cass. 28 aprile 2010 n. 10215), “l'impegno a non votare l'azione di responsabilità, assunto dai soci al termine dell'incarico dell'amministrazione, non appare in contrasto con nessuna delle norme imperative ricavabili dagli artt. 2393 e 2393-bis c.c.”: non con l'ultimo comma dell'art. 2393 c.c. (contra Cass. 27 luglio 1994 n. 7030), il quale, conformemente all'art. 2476, quinto comma, c.c., “attribuisce alla società la facoltà di disporre definitivamente del proprio diritto di credito al risarcimento dei danni subiti in seguito ad una negligente gestione imputabile agli amministratori e [pertanto] conferma la possibilità per la società – e, quindi, per i soci - di disporre, direttamente o indirettamente, dello stesso diritto di credito”; non con l'art. 2392 c.c. (contra, assertivamente, Cass. 28 aprile 2010 n. 10215), risultando del tutto impregiudicata la funzione “deterrente” da riconoscersi alle norme sancite dalle richiamate disposizioni.

Il Tribunale giunge a tale soluzione osservando, innanzitutto, che il legislatore ha “sottratto, imperativamente, alla disponibilità delle parti […] il modello normativo di condotta sancito dall'art. 2392 c.c., il quale costituisce un precetto inderogabile a tutela della società e di terzi creditori”.

Tale precetto, prosegue il Tribunale, verrebbe evidentemente eluso, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1344 c.c., nel caso in cui i soci accordassero un esonero da responsabilità preventivo in favore degli amministratori “entranti”, e ciò sia che venga accordato a mezzo di delibera assembleare, sia a mezzo di clausola statutaria, sia a mezzo di patto parasociale: ed infatti, in tutte le ipotesi menzionate, si realizzerebbe un (vietato) “preventivo accordo su un diverso modello di comportamento”, il quale ben “vanificherebbe la funzione di prevenzione della mala gestio riconosciuta agli artt. 2392 e 2393 c.c.” (un patto parasociale del predetto tenore, aggiunge poi il Tribunale, dovrebbe considerarsi, in quanto volto a “esclude[re] o limita[re] preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave”, nullo ai sensi dell'art. 1229 c.c.).

Tale ”disvalore”, prosegue il Tribunale, non sarebbe, invece, riscontrabile nel caso in cui l'impegno dei soci di non votare in assemblea l'esercizio dell'azione di responsabilità sia assunto “alla conclusione del mandato gestorio”, vale a dire, nei confronti di amministratori uscenti (e non entranti).

Ed infatti, poiché successiva rispetto alla gestione per la quale “l'esonero” è riconosciuto, la pattuizione parasociale di specie: (i) in primo luogo, non frustrerebbe la “funzione deterrente” delle norme sulla responsabilità degli amministratori (artt. 2392 e 2393 c.c.); (ii) in secondo luogo, non contrasterebbe con l'art. 1229 c.c., il quale ben consente ai creditori di non far valere il proprio diritto al risarcimento del danno, anche nel nell'ipotesi in cui il debitore abbia agito con dolo o colpa grave (in dottrina, in termini coincidenti, ben prima della pronuncia in commento, si veda: N. Ciocca, Patti parasociali e rinunzia all'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori uscenti, in Banca borsa e tit. cred. 2012, 2, pp. 141 ss.).

La soluzione approntata dal Giudice di merito, seppur contrastante con i precedenti di legittimità in materia, dalla medesima richiamati, risulta condivisa in dottrina (tra i contributi più recenti, si rimanda ad A. Franchi, La responsabilità degli amministratori di S.p.A. e gli strumenti di esonero da responsabilità, Giuffrè, Milano, 2014, p. 116, nt. 31, secondo il quale “nessuna questione di legittimità si pone con riguardo alla previsione di un patto relativo alla disposizione della responsabilità degli amministratori successivamente al compimento di operazioni (potenzialmente) foriere di responsabilità (…) in tale ipotesi, infatti, giacché i patti relativi alla disposizione della responsabilità si riferiscono a comportamenti già posti in essere non può ravvisarsi alcun contrasto con la funzione dissuasiva rappresentata dalla disciplina sull'azione sociale di responsabilità”. Per la validità delle pattuizioni parasociali sulla rinunzia all'azione di responsabilità, purché successive al verificarsi dei fatti che determinano la responsabilità, G. A. Rescio, I sindacati di voto, in Trattato Colombo – Portale, 3, Torino, 1994, 546 ss., con la possibilità “in caso di scoperta, successiva alla conclusione del patto, di fatti produttivi di responsabilità ivi non descritti e non noti ai contraenti o ad alcuni di loro … [di] richiamare gli ordinari istituti civilistici della responsabilità precontrattuale, dell'errore, ecc.” in Riv. dir. priv. 1996, I, p. 124. Limitano il giudizio di invalidità alle convenzioni parasociali con cui preventivamente i soci rinunzino all'azione di responsabilità: G. Cottino, Le convenzioni di voto nelle società commerciali, Milano, 1958, 255; P. G. Jaeger, Il problema delle convenzioni di voto, in Giur. comm. 1990, I, 243. Ammette la validità di pattuizioni parasociali di rinunzia all'azione di responsabilità anche preventive A. Tina, L'esonero da responsabilità degli amministratori, Milano, 2008, 334 ss.).

Tuttavia, un dubbio sorge all'esito della lettura della pronunzia di specie in merito alla correttezza della tesi ivi esposta.

Parrebbe, infatti, che, secondo il Tribunale, condizione necessaria e sufficiente a rendere valido il patto parasociale di specie sia la (sola) circostanza che la stipula del medesimo intervenga a valle del compimento delle operazioni gestorie per le quali l'esonero da responsabilità è riconosciuto. Tuttavia, alcun requisito, in merito al contenuto del predetto patto, è menzionato, e pertanto, ritenuto necessario ai fini della validità dei patti in questione. Ciò non può essere condiviso, per le ragioni di seguito brevemente esposte.

Secondo giurisprudenza e autorevole (nonché compianta) dottrina, la validità della delibera assembleare di rinuncia o transazione all'esercizio dell'azione sociale è condizionata al rispetto (anche) di un requisito contenutistico: la delibera deve indicare specificamente le operazioni o le violazioni da cui derivano le pretese risarcitorie da rinunciare o transigere “poiché solo in questo modo […] l'oggetto del negozio (di rinuncia e transazione) è determinato o determinabile (e v. art. 1346 c.c.)” (F. Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, Giuffrè, 2004, 197 e la giurisprudenza citata in nota 264. Nel medesimo senso anche: P. Benazzo, Rinuncia e transazione in ordine all'azione sociale di responsabilità. Il ruolo dell'assemblea, Padova, Cedam, 1992, 334. In giurisprudenza: Trib. Milano, 4 ottobre 1984, in Le società 1985, 176; Trib. Roma, 28 settembre 1998, in Il nuovo diritto 1999, 37; Trib. Milano, 10 febbraio 2000, in Giur. Comm. 2001, II, 327; Trib. Milano 2 dicembre 2005, in Le Società 2006, 12, p. 1525 ss.; Trib. Milano, 12 marzo 2009, n. 3390, in Giustizia a Milano 2009, 6, 44).

A parere di chi scrive, tale requisito contenutistico ben potrebbe estendersi ai patti parasociali: in assenza di specifica individuazione degli atti per i quali i soci si impegnano a non esercitare l'azione di responsabilità, infatti, potrebbe fondatamente sostenersi la nullità dei medesimi, per indeterminatezza ed indeterminabilità del loro oggetto, ai sensi degli artt. 1346 e 1419, comma 2, c.c.

Ebbene, nel caso deciso dal Tribunale di Roma, l'adesione a quest'ultima tesi avrebbe dovuto condurre alla declaratoria di invalidità del patto parasociale, per indeterminatezza ed indeterminabilità dell'oggetto: esso, infatti, difettava del requisito contenutistico, prevedendo, genericamente, che “l'acquirente assume l'obbligo di non esercitare e, comunque, garantisce di non deliberare o far deliberare dalla società qualsiasi azione di responsabilità dei confronti del Dott. … per la carica di amministratore dallo stesso ricoperta”.

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