La delega gestoria nelle s.r.l.: principio di collegialità, norme imperative e deroghe statutarie

14 Febbraio 2017

Lo statuto di una s.r.l., costituita in epoca anteriore all'1.1.2004, che preveda la facoltà del c.d.a. di delegare le proprie attribuzioni – ad eccezione di quelle riservate ex lege esclusivamente all'organo consiliare – ai singoli consiglieri delegati, con esercizio disgiuntivo dei poteri, non si pone in contrasto con norme imperative e precipuamente con l'art. 2475, comma 3, c.c. (nel testo riformato dal D.lgs. n. 6/2003), non imponendo tale norma – fatte salve le previsioni dell'ultimo comma – l'applicazione inderogabile del principio di collegialità, attesa la natura suppletiva che rivestono le disposizioni in questione rispetto ad eventuali diverse disposizioni dettate in materia dall'atto costitutivo (commi 1, 3 e 4).
Massima

Lo statuto di una s.r.l., costituita in epoca anteriore all'1.1.2004, che preveda la facoltà del c.d.a. di delegare le proprie attribuzioni – ad eccezione di quelle riservate ex lege esclusivamente all'organo consiliare – ai singoli consiglieri delegati, con esercizio disgiuntivo dei poteri, non si pone in contrasto con norme imperative e precipuamente con l'art. 2475, comma 3, c.c. (nel testo riformato dal D.lgs. n. 6/2003), non imponendo tale norma – fatte salve le previsioni dell'ultimo comma – l'applicazione inderogabile del principio di collegialità, attesa la natura suppletiva che rivestono le disposizioni in questione rispetto ad eventuali diverse disposizioni dettate in materia dall'atto costitutivo (commi 1, 3 e 4). Peraltro, la disposizione statutaria che autorizzi la delega non costituisce impedimento alla concorrente legittimazione del c.d.a. all'esercizio dei poteri di gestione dell'impresa, in considerazione dei poteri informativi, di intervento direttivo e di valutazione, nonché di avocazione e revoca – analoghi a quelli indicati nell'art. 2381 c.c. – allo stesso comunque spettanti in via preventiva, concomitante e successiva, rispetto alle attribuzioni delegate.

La legittimazione processuale non può prescindere dal conferimento di una delega di poteri gestionali, ma non è sempre vero il contrario potendo l'atto costitutivo o lo statuto attribuire la legittimazione ad agire e resistere in giudizio, in nome della società, soltanto ad uno tra i soggetti dotati di poteri di rappresentanza negoziale con esercizio disgiunto dei poteri.

Il caso

Il ricorso alla Corte è presentato da una s.r.l. contro la decisione della Commissione tributaria della Lombardia la quale, rigettando l'appello proposto dalla medesima società, confermava la decisione di primo grado che aveva riscontrato la mancanza del potere di rappresentanza della società.

Infatti, a fronte di un avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate, ufficio di Vigevano, uno solo degli amministratori delegati aveva conferito il mandato ad litem. I giudici tributari avevano pertanto rilevato la carenza della legittimazione attiva nella società in quanto le previsioni dello statuto sociale (che abilitava la delega di funzioni gestorie ed il conferimento di poteri di rappresentanza “nei limiti dei poteri conferiti”), nonché una decisione del c.d.a. (che individuava, all'interno dell'organo collegiale, i consiglieri delegati), avrebbero violato il principio di collegialità di cui all'art. 2475, comma 3, c.c. con conseguente “nullità” delle deleghe perché rilasciate in violazione di norma imperativa.

Tale nullità avrebbe conseguentemente travolto anche il potere di rappresentanza dei consiglieri delegati (e, nella specie, di colui che aveva conferito mandato al legale).

Le questioni

Al di là della disamina di alcuni aspetti procedurali (relativamente alle modalità di proposizione del ricorso per cassazione, che si omettono) le questioni in discussione riguardano la supposta violazione del combinato disposto degli articoli del Codice civile 2380, 2381 e 2384 (nel testo anteriore alla riforma del diritto societario del 2003), nonché 2380-bis e 2475 riformati.

Nelle società di capitali la legittimazione processuale è legata a quella sostanziale: gli amministratori a cui è attribuita una delega operativa possono avere (ma non necessariamente hanno) la rappresentanza processuale. Diversamente, quest'ultima, può non essere in capo a tutti i delegati ma non potrà mai essere attribuita a chi non ha la rappresentanza sostanziale. Tale aspetto costituisce orientamento abbastanza costante della Cassazione (come evidenziato dalla stessa Corte che richiama alcuni propri precedenti conformi del 2009 e del 2005).

Il Giudice di legittimità tuttavia, prima di ribadire il proprio orientamento in merito, si sofferma su una questione più generale (che costituisce peraltro antecedente logico-giuridico del primo aspetto), vale a dire quella dell'ambito di operatività del principio di collegialità nella gestione delle società a responsabilità limitata (e per azioni, la cui regolamentazione è sostanzialmente coincidente).

La Commissione tributaria regionale ha ritenuto nulla la delibera del c.d.a. con cui si nominavano i consiglieri delegati, attribuendo loro le relative competenze, per contrasto con il “principio di collegialità” espresso nell'art. 2475, comma 3, c.c. per la srl e nell'art. 2380-bis, comma 3, c.c. per la spa, come risultanti dalla riforma del diritto societario. Una delega generale di poteri, con esercizio disgiunto, costituirebbe – secondo il giudice di merito – un impedimento alla realizzazione di quell'agire collegiale dell'organo gestorio di una società di capitali che dovrebbe invece sempre essere presente nell'esercizio del potere di gestione.

In maniera condivisibile la suprema Corte ritiene non condivisibile tale impostazione, che troverebbe tra l'altro puntuale smentita proprio nelle medesime disposizioni citate dalla Commissione tributaria regionale.

In particolare, il ragionamento dei giudici di legittimità si articola nei seguenti passaggi. Anzitutto, va tenuta presente la distinzione tra potere di gestione/amministrazione e poteri di rappresentanza degli amministratori di s.r.l.: prima della riforma la legge richiamava la disciplina propria della s.p.a. (fatta eccezione per l'art. 2380 c.c.: art. 2487, comma 2, c.c.) mentre nel regime riformato vi sono due articoli ad hoc nella disciplina della s.r.l. (artt. 2475 e 2475-bis, c.c.) con un unico richiamo (contenuto nel comma 2 dell'art 2475) alla disciplina della società azionaria (art. 2383, commi 4 e 5).

Nella sostanza, quando vi siano più amministratori in una s.r.l. sarà lo statuto a poter individuare il modello organizzativo da adottare: quello consigliare, proprio delle società di capitali, oppure uno (oppure entrambi, variamente combinati) tra quelli disgiuntivo o congiuntivo, propri delle società di persone. In ogni caso, gli amministratori hanno la “rappresentanza generale” della società (questa previsione di cui all'art. 2475-bis, comma 1, c.c., secondo la Corte, costituisce “norma inderogabile” perché coordinata con l'art. 2383, comma 4, c.c., senza contare – per altro – la sua derivazione comunitaria).

In secondo luogo, mancando una espressa previsione statutaria, risulterebbe applicabile in via analogica la norma dell'art. 2381 c.c. (si noti come tale estensione è ritenuta legittima dalla maggior parte della dottrina. Si ritiene altresì che lo statuto possa introdurre comunque una disciplina anche diversa per la delega di funzioni: si veda, ad es., M. Cian, Manuale di diritto commerciale, Torino, 2016, 537).

La delega generale di proprie attribuzioni da parte del c.d.a., fatte salve le competenze indelegabili ex lege, è legittima e non trova ostacolo nel principio di collegialità. Conferma di ciò è rinvenibile proprio nell'art. 2381, comma 2, c.c., che ammette la delega di funzioni anche ad uno solo dei componenti del consiglio di amministrazione (si tratta di un'opzione adottabile a livello statutario o assembleare).

In realtà la salvaguardia del suddetto principio di collegialità si rinviene nei poteri di avocazione di singole operazioni, di direzione e di valutazione dell'attività di gestione, che compete pur sempre al c.d.a. e si realizza attraverso lo scambio informativo tra deleganti e delegati imposto dalla legge e sintetizzato nel dovere di agire informato che incombe a ciascun amministratore.

Senza contare poi che, a fronte dell'interesse dei soci che l'attività gestoria sia svolta da più amministratori, vi è un interesse di questi ultimi a perseguire gli obiettivi sociali in maniera efficace. E ciò lo si può realizzare attraverso un'efficiente (auto) organizzazione del potere gestorio: non con rigide forme procedimentalizzate di attività ma delegando ad uno o più consiglieri la gestione e mantenendo in capo al consiglio poteri di vigilanza e controllo (nonché di valutazione), con assunzione di precise responsabilità da parte di ogni amministratore e fermo restando il potere di revoca dei gestori che spetta all'assemblea dei soci.

In tale contesto si inseriscono le previsioni attributive al consiglio del potere di gestione “concorrente” che si estrinseca nella possibilità di revocare le deleghe, oppure di avocare a sé singole operazioni, di richiedere informazioni e di valutare (anche nel merito) l'operato dei delegati.

In sostanza, ed in definitiva, il c.d.a. è chiamato a valutare quali questioni attinenti alla gestione siano di importanza tale da richiedere una preventiva trattazione collegiale; la delega (anche generale) di attribuzioni non impedisce al consiglio di operare tale valutazione laddove i singoli consiglieri ed i delegati possano costantemente interfacciarsi attraverso i poteri di informativa e di valutazione (di cui vi è una esemplificazione nell'art. 2381, commi 3, 5 e 6, c.c.).

Nemmeno la previsione (statutaria) dell'esercizio disgiunto dei poteri delegati costituisce “violazione o compressione” del principio di collegialità (e, quindi, non comporta violazione di norme imperative) laddove, come nelle s.r.l., si tratta di una delle modalità espressamente ammesse dalla normativa. Il richiamo della disciplina propria delle società di persone (amministrazione disgiuntiva e congiuntiva, ex artt. 2257 e 2258 c.c.) consente comunque di fare applicazione anche alla s.r.l. di quei meccanismi di coordinamento tra le possibili iniziative dei diversi amministratori delegati (il “potere di veto” e la conseguente necessità di trasferire in sede consiliare la discussione e decisione sulla data operazione) in modo da rendere comunque efficiente e spedita la gestione.

Osservazioni

Va brevemente osservato come, al di là del principio di diritto enucleato, la Cassazione opti correttamente per attribuire al c.d.a. – nel caso di s.r.l. organizzata con organo amministrativo collegiale, autorizzato ad individuare amministratori delegati operanti in regime disgiuntivo – il potere di dirimere il contrasto insorto tra consiglieri delegati (diversamente che nelle società di persone, laddove la norma rimette ai soci la decisione sull'opposizione, nonché nelle srl organizzate con amministrazione pluripersonale disgiuntiva, per le quali ultime la dottrina, in modo quasi unanime, estende la soluzione propria delle società personali. Su tale ultimo aspetto si vedano, ad es., A. Zanardo, L'amministrazione disgiuntiva e congiuntiva nella società a responsabilità limitata, in Soc., 2009, 717 ss.; M. Campobasso, Il caso della s.r.l. a gestione personalistica. Innesto botanico o prodotto transgenico?, in Riv. dir. civ., 2012, 69 ss.).

Conclusioni

L'articolato argomentare della Cassazione – comunque condivisibile nell'esito finale – evidenzia l'intento, per le società a responsabilità limitata, di valorizzare l'autonomia statutaria, di prediligere interpretazioni volte ad implementare l'efficienza gestionale e la semplificazione organizzativa (anche a scapito di quella procedimentalizzazione dell'attività gestoria invece imposta alle spa per garantire la correttezza gestionale – soluzione che appare quanto meno discutibile), di estendere comunque la disciplina della s.p.a. nel caso di lacune o nei situazioni dubbie (aspetto che divide la dottrina).

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