Amministrazione delegata

Alessandro Luciano
25 Giugno 2015

In presenza di una previsione statutaria o di una deliberazione assembleare che lo consenta, il consiglio di amministrazione può delegare le sue attribuzioni – ad esclusione di alcune espressamente enumerate dalla legge – a sue singole componenti.
Inquadramento

In presenza di una previsione statutaria o di una deliberazione assembleare che lo consenta, il consiglio di amministrazione può delegare le sue attribuzioni – ad esclusione di alcune espressamente enumerate dalla legge – a sue singole componenti. Destinatari della predetta delega possono essere uno o più amministratori delegati (organi unipersonali) ovvero un comitato esecutivo (organo pluripersonale).

Tra gli organi delegati e il c.d.a. si instaura una competenza c.d. concorrente: quest'ultimo determina contenuto, limiti ed eventuali modalità di esercizio della delega, è sempre libero di revocarla o di avocare a sé singole operazioni, ovvero di emanare direttive vincolanti. L'eventuale affidamento di una delega amministrativa, peraltro, assume rilievo anche sotto il profilo delle responsabilità (cfr. art. 2392, comma 1, c.c.). La riforma del 2003 ha operato un riparto di competenze tra amministratori delegati e organo amministrativo collegiale: i primi, tra l'altro, “curano” l'adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili alla natura e alle dimensioni dell'impresa e riferiscono al c.d.a. e ai sindaci sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo effettuate dalla società e dalle sue controllate; il secondo “valuta” la summenzionata adeguatezza e quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari e il generale andamento della gestione.

Amministrazione delegata e monitoring board

La concessione di deleghe amministrative a singole componenti del c.d.a. rappresenta una prassi consolidata nelle società di media e grande dimensione: le esigenze di efficienza che contraddistinguono lo svolgimento dell'attività di impresa determinano una sostanziale impossibilità di affidare la gestione sociale all'organo amministrativo collegiale e favoriscono la distinzione tra una componente esecutiva, a cui spetta la c.d. day by day conduct, e il plenum consiliare, al quale si riconosce sostanzialmente una funzione di controllo e indirizzo (c.d. monitoring board); da qui la distinzione tra amministratori delegati e privi di deleghe operative. Questo sistema favorisce la rapidità decisionale e, in generale, l'efficiente esercizio della funzione amministrativa.

Autorizzazione assembleare e nomina

Il conferimento di una delega amministrativa presuppone una deliberazione autorizzatoria dell'assemblea, ovvero una disposizione dello statuto in questo senso (art. 2381, comma 2, c.c.). Se i soci non prevedono particolari limiti ma, come spesso accade, l'autorizzazione assembleare o statutaria è di carattere generico, può essere oggetto di delega qualsivoglia prerogativa consiliare, tranne quelle la cui “indelegabilità” è espressamente sancita dalla legge (v. par. 4).

L'autorizzazione dei soci concede talvolta la possibilità di delegare unicamente la “ordinaria amministrazione”, espressione di contenuto non univoco che è oggetto di interpretazioni varie ed eterogenee. Può ritenersi, tuttavia, che esulino da quest'ambito le operazioni che per importanza, oggetto, finalità si pongono come “eccezionali” rispetto a quelle che normalmente caratterizzano l'attività sociale. Tra queste rientrano quelle che riguardano la struttura e l'organizzazione dell'ente societario.

Sulla portata che può assumere la previsione autorizzatoria dello statuto non sussiste unicità di vedute. Controversa è, in particolare, la legittimità delle deleghe c.d. obbligatorie, che vincolano il plenum consiliare a delegare le proprie attribuzioni. Considerato che la s.p.a. si caratterizza per una rigida distinzione di competenze tra organi, che la gestione della compagine spetta in via esclusiva agli amministratori (art. 2380-bis c.c.) e che a tali prerogative hanno delle dirette corrispondenze sul piano della responsabilità, sembra doversi concludere a favore dell'illegittimità di siffatta prescrizione e, quindi, della piena libertà del c.d.a. di organizzare l'esercizio delle funzioni che gli sono riservate. Per le medesime ragioni, pare necessario propendere per l'illegittimità di clausole statutarie e deliberazioni assembleari che indicano preventivamente il contenuto della delega, privando di tale prerogativa il plenum consiliare, la cui competenza in tal senso è espressamente disposta dalla legge (art. 2381, comma 3, c.c.). Argomentando in questo senso, occorre altresì concludere a favore dell'illegittimità della nomina diretta degli amministratori delegati da parte dell'assemblea, che così priverebbe l'organo amministrativo di un potere espressamente attribuitogli dalla legge.

Relativamente all'autorizzazione assembleare, invece, occorre evidenziare come, pur nel silenzio del legislatore sul punto, la dottrina largamente maggioritaria ritenga che una tale deliberazione possa essere legittimamente assunta dall'assemblea ordinaria.

Il potere di nomina degli amministratori delegati spetta, quindi, esclusivamente al c.d.a., che può delegare le proprie funzioni ad un comitato esecutivo (organo collegiale che rappresenta una sorta di articolazione interna del c.d.a.) ovvero a uno o più amministratori delegati. Questi ultimi costituiscono degli organi unipersonali che operano disgiuntamente o congiuntamente a seconda di come previsto dallo statuto o dall'atto di nomina. La coesistenza di amministratori delegati e comitato esecutivo – casomai a seguito di una chiara determinazione delle competenze di ciascuno – è generalmente ritenuta legittima.

La competenza concorrente del c.d.a. e degli organi delegati

Il rapporto tra c.d.a. e organi delegati è tradizionalmente definito come “concorrente”: a seguito dell'affidamento della delega, infatti, il primo non si spoglia dei poteri conferiti ma, oltre ad individuare contenuto, limiti e modalità di esercizio della delega, resta libero di revocarla e di avocare a sé singole funzioni. L'organo delegante può anche emanare direttive vincolanti nei confronti dei delegati. Sui limiti del dovere di esecuzione di tali atti che grava in capo a questi ultimi non si registra unicità di vedute, anche se sembra doversi ritenere che si ritiene che l'amministratore delegato non sia tenuto ad agire in tal senso laddove la condotta richiesta comporterebbe l'integrazione di ipotesi di responsabilità – civile o penale – dell'agente.

Tutto quanto sopra consente di ritenere che il c.d.a. sia organo sovraordinato rispetto agli amministratori delegati e al comitato esecutivo.

Si discute in merito alla possibilità di concedere deleghe di contenuto ampio (se non addirittura illimitate) e generico arrivando, nei casi più estremi, ad affidare a una componente del c.d.a. la funzione amministrativa nel suo complesso. Nonostante il riferimento operato dalla disposizione dell'art. 2381, comma 3, c.c. alla competenza del c.d.a. nella fissazione dei “limiti” della delega – da leggere come una prerogativa potenzialmente esercitabile e non come un dovere – la questione sembra dover essere risolta positivamente, in ragione del principio di piena delegabilità (nei limiti che verranno chiariti) che emerge, nel complesso, dalla disciplina in esame. Il conferimento di una delega di così ampia portata, tuttavia, non fa venir meno i compiti che spettano agli amministratori non esecutivi e, in generale, al plenum consiliare ai sensi della normativa di cui all'articolo da ultimo citato, così come la loro responsabilità ex art. 2392, comma 2, c.c.

In evidenza: Tribunale di Milano

Il Tribunale di Milano, sez. VIII, con sentenza del 12 maggio 2010, ha stabilito che il c.d.a. di una società per azioni può revocare gli amministratori delegati senza giusta causa, ma resta fermo il loro diritto al risarcimento dei danni laddove il conferimento della delega sia strettamente connesso all'incarico di amministratore.

Funzioni degli organi delegati e competenza indelegabili

A prescindere dai singoli incarichi che possono essere affidati ai titolari di deleghe amministrative, ai medesimi spettano per espressa previsione legislativa determinate mansioni. Ai sensi dell'art. 2381, comma 5, c.c., in particolare, costoro “curano” l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, mentre al c.d.a. spetta la “valutazione” di siffatta adeguatezza. Agli organi delegati, in altri termini, compete l'organizzazione dell'impresa in modo efficiente, tenuto conto di qualsivoglia aspetto che possa influire sulla stessa. I medesimi, inoltre, riferiscono periodicamente, e comunque perlomeno ogni sei mesi, al c.d.a. e al collegio sindacale sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione, così come sulle operazioni di maggior rilievo, per dimensioni o per caratteristiche, effettuate anche dalle società controllate (cfr. art. 2381, comma 5, c.c.).

L'art. 2381, comma 3, c.c. individua tra i compiti del c.d.a. l'esame dei piani strategici, industriali e finanziari della società, quando elaborati. Questa prescrizione – di formulazione non certo felice – per un verso consente di desumere che la predetta elaborazione competa agli organi delegati (mentre al c.d.a. spetta unicamente l' “esame”), per altro verso pone la problematica in merito al carattere eventuale o obbligatorio della predetta elaborazione. Considerato che la pianificazione rappresenta un imprescindibile elemento dell'attività amministrativa e che, pertanto, è formulabile un dovere di procedere in tal senso, la norma in questione può essere interpretata sì da considerare che se tale pianificazione, che non deve necessariamente realizzarsi per iscritto, viene comunque ad assumere una tale forma ed è quindi effettivamente elaborato un documento programmatico volto ad indirizzare l'attività amministrativa, il medesimo debba essere redatto dagli amministratori delegati e approvato dal c.d.a. Qualora, però, una tale “redazione” non venga operata (e, quindi, nessun piano sia approvato dal plenum), la condotta degli amministratori delegati non è di per sé qualificabile in termini abusivi, non essendo rintracciabile alcun dovere di predisporre un documento dotato di siffatta forma. Una tale qualificazione, invece, può essere effettuata se una pianificazione – anche non scritta – manchi in assoluto e la funzione amministrativa si svolga conseguentemente in modo improvvisato e casuale.

Il legislatore ha espressamente individuato un elenco di materie che non possono essere oggetto di delega (c.d. indelegabili) e che, pertanto, rientrano inderogabilmente nelle competenze dell'organo amministrativo collegiale (art. 2381, comma 4, c.c.). Tra queste si annovera la redazione del bilancio sociale, la facoltà di aumentare il capitale sociale, gli adempimenti posti a carico degli amministratori in caso di riduzione obbligatoria del capitale per perdite e la redazione del progetto di fusione e scissione. Il denominatore comune di queste ipotesi è tradizionalmente rintracciato nel coinvolgimento, accanto a profili amministrativi e gestionali, di aspetti che riguardano l'organizzazione della società.

Si ritiene generalmente che l'elenco delle materie indelegabili sia tassativo, prevedendo ipotesi di carattere eccezionale rispetto al principio di libera delegabilità delle funzioni amministrative e che, pertanto, sono insuscettibili di applicazione analogica e vanno interpretate in senso restrittivo.

Responsabilità

Il combinato disposto dagli artt. 2381 e 2392 c.c., regola i doveri e le conseguenti responsabilità degli amministratori in modo da ridurre i rischi ai quali sono esposti i non esecutivi e, conseguentemente, accentuare il ruolo e le funzioni degli amministratori delegati. Il riferimento operato dal primo comma dell'art. 2392 c.c., alla “natura dell'incarico”, in particolare, attribuisce rilievo allo specifico rapporto sussistente tra l'amministratore e la società e quindi, per quanto in questa sede più interessa, anche alle eventuali deleghe eventualmente affidate al medesimo. L'ultima parte di questa previsione, peraltro, sembra operare una totale equiparazione tra le deleghe autorizzate (tipiche) e quelle non autorizzate (atipiche). È stato sostenuto, tuttavia, come tra queste ultime non rientrerebbero le deleghe concesse in assenza di autorizzazione assembleare o di disposizione statutaria in questo senso: in tale ipotesi la deliberazione consiliare sarebbe viziata e impugnabile dal collegio sindacale o dagli amministratori assenti o dissenzienti. Ai sensi della disposizione in esame, pertanto, deleghe atipiche sarebbero unicamente quelle autorizzate ma non concesse dal c.d.a. per mezzo di una formale deliberazione, ovvero quelle che tale organo sarebbe stato potenzialmente legittimato a conferire.

La delega amministrativa nelle s.r.l.

Pur essendo l'istituto della delega amministrativa disciplinato con esclusivo riferimento alla s.p.a., si ritiene che il medesimo possa essere adottato anche dalla s.r.l., stante l'ampia autonomia concessa ai soci nel disciplinare l'esercizio della funzione amministrativa. In linea di principio, può ritenersi che anche in siffatto tipo sociale si applichino le norme previste per la s.p.a. e, in particolare, il principio di preventiva autorizzazione della delega, così come i limiti al conferimento della stessa con riguardo alle materia c.d. indelegabili.

Riferimenti

Normativi

  • Art. 2381 c.c.
  • Art. 2392 c.c.

Giurisprudenza

  • Cassazione, sentenza 9 gennaio 2013, n. 319
  • Tribunale Milano, sezione VIII, sentenza 12 maggio 2010
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